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giugno - Fraternità San Carlo

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MENSILE DELLA FRATERNITÀ SACERDOTALE DEI MISSIONARI DI SAN CARLO BORROMEOAnno XVI, n. 6<strong>giugno</strong> 2012 - € 1,50fraternitàemissionePoste Italiane S.p.A. - Sped. in Abb. Post.D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46)art. 1, comma 2, DCB Milano6www.sancarlo.orgLA FRATERNITÀ SAN CARLO NEL MONDO: ALVERCA PORTOGALLO ASUNCIÓN PARAGUAY BOLOGNA ITALIA BOSTON USA BUDAPEST UNGHERIA CHIETI ITALIA CITTÀ DEL MESSICO MESSICO COLONIA GERMANIACONCEPCIÓN CILE DENVER USA FROSINONE ITALIA FUENLABRADA SPAGNA GERUSALEMME ISRAELE GROSSETO ITALIA GROTTAMMARE ITALIA LONDRA GRAN BRETAGNA MILANO ITALIA MOSCA RUSSIA NAIROBI KENYA NOVOSIBIRSK SIBERIAPESARO ITALIA PRAGA REPUBBLICA CECA ROMA ITALIA SAN PAOLO BRASILE SAN QUIRICO ITALIA SANTIAGO DEL CILE CILE ‘S-HERTOGENBOSCH OLANDA TAIPEI TAIWAN TRIESTE ITALIA VIENNA AUSTRIA VIGEVANO ITALIA WASHINGTON USATu sei insostituibiledi Massimo CamisascaLa parola vocazione sembrerebbe, a prima vista,riguardare coloro che sono chiamati ad una formaparticolare di vita, quella religiosa. Siano essi chiamatial sacerdozio o a una particolare comunità di personededicate a Dio.Niente di più falso. La vocazione riguarda ogni uomoe ogni donna. Solo riscoprendo questo significato radicaledell’esperienza della vocazione si possono comprendereanche le diverse forme di vita in cui essa si articola.«Dio mi ha chiamato dal nulla» ha scritto don Giussaniin un suo testo del 1959 (Vita come vocazione, ora inPorta la speranza. Primi scritti, pagg. 163-167). La semplicitàassoluta, quasi sconvolgente, di questa notazioneè come un pozzo senza fondo. Potevo non esserci e cisono. Cosa c’è di più radicale, di più commovente,di più semplice? Tante altreesperienze chiariranno e approfondirannoquesta origine. Ma innanzitutto c’è l’evidenzache io ci sono, che sono stato chiamatoalla vita. La parola vocazione racchiudein sé innanzitutto Colui che chiama,che ha il potere di portare all’essere ciòche non è. Parlare della vita come vocazionesignifica parlare di un’infinità dimomenti, di fatti, che Dio solo conosce, e in cui egli alimenta,richiama, risveglia l’esistenza di tutti gli uominiche ama.Non c’è dunque nessuna vita umana che non abbia unsignificato, un peso. Di fronte alle difficoltà e alle contraddizionidelle nostre giornate, di fronte all’esperienza delmale e del dolore, possiamo correre il rischio di smarrireil dialogo con Colui che ci fa, che ci crea continuamente.Perdiamo la coscienza di noi stessi e possiamo caderenella disperazione o, più semplicemente, nella stanchezza,nell’indifferenza, nell’abulia. Occorre allora cercarela mano che può risollevarci e indicarci la strada diuna coscienza vera e viva di noi stessi, quella strada ver-«La mia vitacontinua perchéEgli continuaa chiamarmi»Luigi Giussaniso l’autocoscienza che ha costituito tutto il tema della vitadi Gesù e che don Julián Carrón ha recentemente descritto,ancora una volta, negli ultimi esercizi della Fraternitàdi Cl. Gesù è venuto per dirci: «Tu non vieni dal nullae non vai verso il nulla, ma all’opposto, vieni da Dio e vaiverso di lui. Sei suo. Sei una cosa preziosa. In mille modiil Padre cerca di riaprire il tuo cuore e la tua mente a questaverità. Qualunque sia la condizione di vita in cui ti trovia svolgere la tua esistenza quotidiana».Continuava allora don Giussani, sempre in quel testodella fine degli anni Cinquanta: «La mia vita continuaperché Egli continua a chiamarmi, impedendomi diricadere nel silenzio del nulla da cui fui tratto». Unavolontà mi ha chiamato dal nulla perché mi ama, e vuoleche sia davanti a lui una persona libera e amante. E perciòmi corregge, mi richiama, mi fa passareanche attraverso il buio per riconsegnarmialla luce.Sei tu che hai creato le mie viscere e mihai tessuto nel seno di mia madre. Ti lodoperché mi hai fatto come un prodigio. Sonostupende le tue opere. Tu mi conosci fino infondo (Sal 139).Proprio perché ci conosce fino in fondo,Dio ci chiama attraverso le sue opere. Parla a noi il piùdelle volte attraverso la voce degli uomini, attraversociò che fa accadere. Fatti e parole sono dei segni attraversocui Egli rivela a noi la sua volontà, il suo disegno,la nostra personale vocazione.Leggere i segni è dunque la strada fondamentale percapire ciò a cui Dio ci invita. Egli ha un disegno precisoper ciascun uomo e per ciascuna donna. Nessuna vita èper lui insignificante o di piccolo peso. Ognuno ha unposto insostituibile, che non può essere occupato danessun altro. È come un immenso mosaico in cui soltantola visione d’insieme dà ragione delle singoletessere.ORDINAZIONI 2012Roma, 23 <strong>giugno</strong> -sei membri dellaFraternità san <strong>Carlo</strong>diventano sacerdoti,per l’imposizionedelle mani delcardinale Kurt Koch:Emanuele Angiola,Diego García Terán,Simone Gulmini,Tommaso Pedroli,Ruben Roncolato,Luca Speziale.In queste pagine,il raccontodella loro vocazione.Nella stessacelebrazione sonoordinati diaconi:Nicolò Ceccolini,Matteo Collini,Donato Contuzzi,Matteo Dall’Agata,Francesco Ferrari,Stefano Lavelli,Lorenzo Locatelli,Paolo Paganini,Daniele Scorrano.I sei membri della <strong>San</strong> <strong>Carlo</strong>ordinati sacerdoti il 23 <strong>giugno</strong>,durante la festa delle ordinazionidiaconali, lo scorso anno.PASSIONE PER LA GLORIA DI CRISTO


La mia generosità è come il mare e non ha confini, e il mio amore è altrettantoprofondo; ambedue sono infiniti e così più do a te, più ho per me.William Shakespeare2 fraternitàemissioneGIUGNOOgni volta che guardo la mia storia provo un senso digratitudine perché in essa il Signore ha voluto metterequalcosa di sé. La somma di tutti gli episodi e ditutte le tappe non produce necessariamente la vocazione,né la dimostra, perché essa fiorisce come un donogratuito di Dio.Studiando ingegneria meccanica avevo imparato cheogni fenomeno può essere spiegato e dimostrato; o cheper lo meno si può cercare di indagarlo perché si sa checerte cause producono certi effetti.Non è così per la vocazione. L’ho capito dopo che, permolto tempo, avevo cercato di dimostrare al Signore cheil mio cammino era un altro: pensavo ad una famiglia,un buon lavoro, dei figli, tanti amici. Non mi sembravamale, e soprattutto lo ritenevo l’esito normale di venticinqueanni ordinati e cristiani, vissuti tra l’oratorio diun piccolo paese e la Milano dell’università. La scuolafrequentata con diligenza, insieme agli amici che eranogli stessi del catechismo e delle partite a calcio. Poi illiceo e l’università fatta per bene.Quando mi trasferii in Inghilterra per preparare latesi, pensai finalmente di aver composto tutti i pezzi: unaserie di prove che, messe insieme, bastavano a indicareun destino come lo immaginavo io. In realtà, volevo solousarle per far tacere un pensiero dominante che miaccompagna da quando ero piccolo e che non volevoriconoscere: dare a Dio tutta la vita per sempre e senzariserve. Un pensiero che mi affascinava e allo stessotempo mi spaventava per la sua radicalità, e che cercavoquindi di raffreddare. Ma tornava a dominare incerti momenti, alimentandosi della vita dei padri e degliamici che ho incontrato. Di fronte a loro si faceva sentirecon indiscrezione. Di fronte alla fede dei miei genitori ealla carità di mia nonna; di fronte al parroco con il qualesono cresciuto, che ha dato la sua vita per noi e nel qualeho sempre ammirato l’amore per la Chiesa e per la«Don Paolo, tienilo d’occhio»«Un ragazzo attento, curioso, appassionato. Un ingegnerecon un cuore d’artista». Così don Paolo Torti, da 20 anniparroco di S. Antonino Ticino (frazione di Lonate Pozzolo,Varese), ricorda Ruben. «L’ho visto crescere, andare al liceoe poi all’università, nella comunità di Cl del Politecnico.Ma la sua presenza e il suo servizio in parrocchia nonsono mai venuti meno. La sua passione per la Chiesa, il suogusto missionario ed educativo si riversavano sia nel movimentosia nella nostra comunità. Così abbiamo sempresentito la sua vocazione come legata anche a noi, e lui oggiè in Cile anche a nome nostro».Ruben era il leader del gruppo chierichetti, tanto che lasua tunica c’è ancora: le nonnine della sacristia la tengonosempre a disposizione. «Ricordo un episodio» raccontadon Paolo: «Il giorno di una cresima, Ruben era nella cappellaferiale con i chierichetti che guidava. Il vescovo (mons.Mascheroni, ausiliare di Milano) che era lì a pregare, si misead osservarlo, a studiare il modo con cui stava con i ragazzi.Poi venne da me e mi disse: “Don Paolo, Ruben ha undono particolare. Tienilo d’occhio”».Il pensiero dominantedi Ruben RoncolatoRuben Roncolato, 32 anni e unalaurea in ingegneria. La sua vocazionelo ha portato in missione a<strong>San</strong>tiago del Cile.realtà che parla di Dio e che parla di me. Di fronte agliamici del movimento che ho conosciuto al liceo e poi alPolitecnico, con i quali il cristianesimo è diventatoun’esperienza personale, anima dello studio e dell’amicizia.Un pensiero dominante, quello di essere tutto di Dio,che ha sempre vissuto in me e che mi ha aspettato conpazienza. Un pensiero indimostrabile, eppure presentee sempre vivo, fedele, radicale come il fascino che irradiava.Un solo nemico si opponeva: il mio desiderio diavere tutto sotto controllo e di non perdere ciò che finoa quel momento avevo incontrato: dove avrei lasciato imiei amici? E il tempospeso per studiare ingegneria?A chi avreivoluto bene nella vita?A queste domande nonsapevo rispondere.A quasi venticinqueanni e a pochi mesidalla laurea ho ceduto,stanco di continuare adoppormi. «Non mi hai«Non mi hai maiabbandonato.Sei sempre venutoa cercarmi.Mi hai sempreaspettato»mai abbandonato per un istante, sei sempre venuto acercarmi. Mi hai sempre aspettato. Perché mi cerchi? Inalcuni momenti ti sei acceso come un fuoco e mi haifatto amare la vita. Io non lo so perché mi cerchi, peròsono tuo, e, se mi vuoi, vengo con Te».Per venticinque anni non ho saputo cosa desideravoveramente. L’ho scoperto solo quando mi sono abbandonatoa quella presenza dominante e fedele. Guardo lamia storia con gratitudine: in essa il Signore non havoluto dimostrare la sua presenza, ha semplicementevoluto stare con me. Egli mi chiama a essere sacerdoteperché possa essere suo figlio.fraternitàemissione MENSILE DELLA FRATERNITÀ SACERDOTALE DEI MISSIONARI DI SAN CARLO BORROMEOAut. del Trib. di Cassino n. 51827 del 2-6-1997 - Mensile della Fraternità Sacerdotale dei Missionari di <strong>San</strong> <strong>Carlo</strong> Borromeo DIRETTORE: GianlucaAttanasio REDAZIONE: Fabrizio Cavaliere, Jonah Lynch, Francesco Montini, Marco Sampognaro HANNO COLLABORATO: EmanueleAngiola, Gabriella Bigi, Massimo Camisasca, Ezio Delfino, Luciana Diotti, Diego García Terán, Simone Gulmini, Tommaso Pedroli,Ruben Roncolato, Luca Speziale, Roberto Verga PROGETTO GRAFICO: G&C STAMPA: Arti Grafiche Fiorin, <strong>San</strong> Giuliano Milanese (Mi)REDAZIONE E ABB.: Via Boccea 761 - 00166 Roma Tel. + 39 0661571400 - fm@sancarlo.org ABBONAMENTI base € 15 - sostenitore € 50 - C/C 72854979IBAN: IT04T0351203206000000098780 OFFERTE c/c postale 43262005 codice IBAN: IT72W0351203206000000018620 WWW.SANCARLO.ORG


Annunciare la buona novella non è dire «Dio ti ama», ma «Io ti amo e voglioimpegnarmi con te».Jean VanierGIUGNOfraternitàemissione3«E tu chi sei?»Un ragazzino messicano di tredici annie uno sguardo che cambierà la sua vitadi Diego García TeránAvevo tredici anni e frequentavo il catechismo nellamia città, Coatzacoalcos, in Messico. Mi ero iscrittodi mia iniziativa. In casa mia non erano molto preoccupatidella mia educazione cattolica. Ma io ricordavo lafede dei miei nonni e intuivo che lì c’era qualcosa perme: così mi ero messo in moto da solo, desideroso diricevere i sacramenti. Mi ero iscritto al catechismo eUna piccola mascotted Gabriella Bigi e Luciana DiottiDiego García Terán, 38 anni: dalMessico a Roma, e ora in missionea Denver (Usa). In alto, duranteun pellegrinaggio.Abbiamo conosciuto Diego nel 1988, aCoatzacoalcos (Messico), dove siamo statein missione per un anno insieme a BrunellaAncorani. Diego, all’epoca, era poco più cheun bambino. Avevamo messo insieme ungruppetto di ragazzi della Scuola Secondariaa cui proponevamo l’esperienza di Gs attraversosemplici gesti come la caritativa, il raggio,momenti di gioco e convivenza sullaspiaggia. Lo zio di Diego era uno studenteche partecipava e lo portava spesso con sé.Ricordo un bambinetto vivace, sorridenteche ci seguiva dappertutto, la nostra“mascotte”. Ci invitò anche alla sua primacomunione e alla festa, a casa sua, volle checi portassimo a casa un pezzo di torta…Rientrammo in Italia, ma l’esperienza dellaComunità continuò per la decisione e lafedeltà delle “Signore” (un gruppo di donnecoinvolte nell’esperienza di Cl).Dopo circa vent’anni, abbiamo saputo cheun giovane messicano di Coatzacoalcos frequentavaa Roma il seminario della Fraternitàsan <strong>Carlo</strong> e che si chiamava Diego. E siè aperto un file... Ci siamo messi in contattoe ci siamo rivisti a Rimini al Meeting: non èstato difficile riconoscerci dopo tanti anni. Ciha raccontato tutta la sua storia e come èiniziato il suo cammino vocazionale. Lo zio haabbandonato l’esperienza della comunità,ma lui è rimasto, custodito e aiutato dalle“Signore” di Coatzacoalcos e ci ha dettoche, comunque, noi eravamo state il suo“trampolino di lancio”.Siamo piene di stupore e gratitudine perchéè evidente che Gesù conduce ciascunodi noi al compimento del proprio destinoattraverso circostanze misteriose, oltre lanostra capacità di immaginazione. Diego ciha invitate alla sua ordinazione sacerdotale enoi cercheremo di esserci, proprio a testimonianzadi questa grande storia che ci è statadonata e per partecipare alla gioia di Diegoche compie il proprio percorso vocazionale alservizio di Cristo e della sua Chiesa.Grazie, Diego, della tua fedeltà.facevo trenta, quaranta minuti a piedi, tutte le domeniche,per andare a messa in una parrocchia che non erala più vicina a casa mia. Non volevo né andare in girocon gli amici né restare a casa con i miei genitori: volevoandare a messa. E dopo messa mi sentivo così liberoche potevo andare ovunque. Il momento della celebrazioneera sacro per me. I miei amici e la mia famiglia,dopo un po’, lo compresero.Proprio in quel periodo, mentre mi preparavo allaprima comunione, incontrai, per caso, gli amici di Cl. Èstato a una cena chiamata “dei presepi”, che si tieneprima di Natale, il 18 dicembre. Un compagno di scuolami aveva invitato e io ero andato. C’erano gli amici disua sorella, di tre anni più grande di noi.Una ragazza del gruppo adulto, Brunella Ancorani, misi avvicinò chiedendomi chi fossi, e se volevo andarecon loro, il sabato seguente, a un incontro in una parrocchiaancora più lontana da casa mia. Immaginatevi lareazione di un tredicenne che, in quel preciso momento,si sente trattato come adulto, invitato a vivere le cosedella gente adulta e in cui percepisce qualcosa digrande per la sua vita.Dopo la festa tornai a casa e raccontai tutto ai miei. Lororimasero così stupiti da voler conoscere gli amici di cuiparlavo. Così, iniziando da mia sorella, poi il fratello piùpiccolo di mia mamma e poi altri parenti, si sono avvicinatiperché volevano partecipare di questa novità.Le domande sul significatoIniziai a frequentare gli incontri di Cl anche se noncapivo nulla dei testi. Vedevo qualcosa di particolare inquelle persone e volevo restare con loro, anche se ero ilpiù piccolo tra tutti: gli altri avevano dai 17 ai 30 anni.Dopo un anno di questi incontri, le ragazze del gruppoadulto tornarono in Italia, e poco tempo dopo anche iragazzi più giovani lasciarono la città per frequentarel’università in altri stati. Ma il mio legame con il movimentorimaneva: andavo alla caritativa e alla messa.Arrivò il momento di iscriversi all’università. Miiscrissi a ingegneria nella mia città e in quel periodoiniziai a chiedermi conpiù insistenza il senso diciò che vivevo. Cercavosoddisfazione in tantecose che invece miallontanavano dalla felicità.Nel 1999 partecipaia un’assemblea internazionaledi Cl a La Thuilee conobbi in un bar donVolevo andarea messa.Dopo mi sentivocosì libero da poterandare ovunqueFabio, un prete della Fraternità san <strong>Carlo</strong>, che sapevoabitava a Città del Messico, ma che non avevo maiincontrato di persona. Mi si avvicinò e mi chiese: «E tuchi sei?». Ancora la stessa domanda che mi scuoteva. Elo stesso sguardo. Diventammo amici e lui immediatamentesi prese cura di quelle domande sul senso dellecose che facevo, con grande discrezione, senza maiaccennare a questioni vocazionali. Attraverso quel rapporto,dopo un paio d’anni arrivai a chiedere per me latotalità: arrivai cioè alla consapevolezza di voler consegnarela mia vita per vivere quella totalità. La stessa cheavevo visto negli occhi delle persone che quando avevotredici anni, mi avevano guardato in quel modo.Entrando in seminario (prima nella mia città, poi a Cittàdel Messico nel seminario della <strong>San</strong> <strong>Carlo</strong>) presicoscienza di tutti i segni che Dio mi aveva messoaccanto nel corso di tutta la giovinezza e che, congrande stupore, continuo a scoprire an cora oggi. La promessadi Dio rimane intatta dal primo giorno, nonostantela mia fragilità e debolezza umana.


Dove sarà la mia casa / e dove il sentiero che ad essa conduce / e quell'alberogrande / e mio padre e mia madre / e la festa nei campi...Claudio Chieffo, «La collina»4 fraternitàemissioneGIUGNOLa corsa più bellaUn ragazzo di campagna, una passione per la corsa,un desiderio inquieto. E un volantino trovato in universitàdi Simone GulminiSono nato a Dogato, un paesino di mille anime, nelBasso Ferrarese. Sono figlio di contadini: il giorno incui sono nato mio padre stava lavorando la terra e,all’annuncio, abbandonò il trattore in mezzo al campo esi precipitò a vedermi. Appena fui in grado di saliresulla bicicletta, mio nonno, segretario socialista, miportò con sé a distribuire il giornale del partito, L’Avanti.La passione per la campagna e per la natura, dallapesca alla caccia, era ciò che mi distingueva sia da miofratello sia dagli amici della piazza. Trascorrevo i pomeriggiaiutando mio padre o lungo i fiumi a pescare. Perquesto motivo i miei risultati scolastici lasciavano moltoa desiderare. Non mi piaceva studiare e preferivo unazappa ad un libro.Il catechismo me lo insegnarono le suore del paese.Di venti ragazzi, rimasi l’unico che continuò ad andare amessa senza mai fare il chierichetto o il lettore. Semplicementeandavo e mi fermavo in fondo alla chiesa. Ciòche mi spingeva non erano i miei familiari, a parte mianonna, ma erano soprattutto le parole di quell’anziano prete,don Antonio. In esse percepivo qualcosa di buono edi vero. Sentire parlare di un uomo che aveva dato la vitaper me e per il mondo, e quindi che mi amava e continuavaad amarmi, era cosa che arrivava dritta al cuore.Era il primo segno della mia vocazione. Per circa un annocontinuai ad andare a messa. Poi abbandonai la Chiesaperché le parole non bastavano più, serviva una compagnia.La domenica diventò il giorno della discoteca.A 16 anni iniziai a praticare l’atletica leggera e presi avincere le gare di corsa domenicali, prima in giro per laprovincia, poi per la regione, fino ad arrivare ai campionatiitaliani. Terminate le scuole superiori a 18 anni, erodeciso a lavorare la terra dei miei genitori ma, ironiadella sorte, furono costretti a venderla. Avrei potuto lavorarela terra di altri, ma la passione per l’atletica preseil sopravvento. I buoni risultati mi facevano sognare ilprofessionismo. Poiché il servizio di leva era alle portee non volevo passare un anno senza correre, un amicomi suggerì di continuare gli studi per ottenere il rinvioSimone Gulmini, 38enne, in missionea Fuenlabrada, sobborgo diMadrid. In alto, giochi con alcunibambini.Una nuova squadraCarissimo Simone,noi che abbiamo avuto la fortuna di vedereil tuo cammino prima di entrare in seminario,abbiamo avuto la percezione evidente che iltuo punto di forza è sempre stato quello diessere figlio, oggetto di un grande amore ricevuto.Ed anche nella tua storia è evidente cheCristo ci raggiunge e salva attraverso lanostra umanità, con i nostri limiti che sonocomunque la strada per arrivare a lui. Cometutti sei sempre stato alla ricerca di "qualcosa"che compie. L'incontro con Cristo, tramite ilClu e poi Gl, ti ha permesso l'aprirsi e approfondirsidi ciò che eri. E, nel tempo, abbiamovisto fiorire la tua paternità nei confronti deitanti ragazzi difficili che incontravi nel tuomilitare. Mi disse anche che l’atletica non mi avrebbedato da mangiare per tutta la vita, mentre lo studio miavrebbe aperto nuove strade. Pur di correre, non ci pensaidue volte e mi iscrissi a Scienze Naturali.Con il passare del tempo mi prese una certa inquietudine.Qualsiasi cosa facessi non mi soddisfaceva.Uscivo con gli amici col desiderio di stare assieme, manon riuscivo mai a stare veramente con qualcuno. Perciòtornavo a casa triste. Oppresso da questo vuoto, ungiorno mi recai in una libreria per cercare un libro cheparlasse della felicità. Volevo capire cosa fosse e dovepotevo incontrarla. Fu così che a 21 anni lessi il mioprimo libro per intero. Ma questo desiderio, questa setedi capire mi stimolò anche nello studio. Capii che, piùdelle piante, degli animali e delle rocce, ciò che mi interessavaera me stesso e quindi l’uomo. Feci la tesi inAntropologia fisica, sull’uomo di Neanderthal.In un momento di piena crisi, decisi di riprendere inconsiderazione le parole che quel vecchio prete pronunciavadal pulpito. Ricordo perfettamente il punto inaperta campagna dove avvenne, la luce rossa del tramontoe il profumo della paglia. Il giorno seguenteandai in libreria a comperare qualche libro che mi parlassedi Gesù, perché di lui non ricordavo più nulla. Miimbattei invece, in università, in un volantino intitolato«Non basta essere nati per vivere»: era l’invito alla presentazionedel libro di don Giussani intitolato Il sensoreligioso.La sera stessa mi presentai nel salone del castello diFerrara e mi sedetti in ultima fila. Rimasi folgorato, quellibro, quelle persone stavano parlando di me, della miadomanda di felicità. Ora non ero più l’unico ad averla,non ero più l’incompreso, non ero più solo. La serastessa andai a cena con quei ragazzi. Una cena stupendache iniziò con un canto e terminò con una preghiera.Durante la cena, quando uno parlava gli altri ascoltavano.Non avevo mai visto una cosa del genere. Ero l’ultimoarrivato, eppure mi sentivo a casa. Mi lanciai inquella compagnia. Capii che dovevo restare con quellepersone per trovare la risposta alle mie domande.Non passò molto tempo che una sera, mentre tornavoa casa in bicicletta dagli allenamenti, mi venne in testal’ipotesi del sacerdozio. All’inizio mi spaventò, perchéero fidanzato; nel tempo diventò un pensiero felice. Fuuna verifica lunga (intanto avevo iniziato a lavorare nell’ambitoeducativo e a insegnare in un centro di formazioneprofessionale). Ma a trent’anni, entrai nella Fraternitàsan <strong>Carlo</strong>.lavoro di educatore che avevi intrapreso, edelle loro famiglie spesso sgangherate. Questonon è mai stato frutto di un tuo buonismod'animo ma il dilatarsi spontaneo della "ricchezza"che avevi incontrato. Di questo haisempre avuto chiara coscienza. E ce l'haitestimoniato partecipando alla nascita delle“Fraternità dei giovani”: luoghi di comunionecon ragazzi che non potevano stare con Gsperché lavoratori precoci. Caro Simone, tipiace correre ed eri una promessa dell'atleticaferrarese. Hai solo cambiato squadra percorrere nel mondo con «Passione per la gloriadi Cristo». Florenskij scrive che «per vivere trai fratelli bisogna avere un amico, anche lontano».Noi vogliamo continuare ad essere nelnovero dei tuoi amici lontani.I tuoi amici ferraresi di CL


Nacque il tuo nome nello stesso istante in cui il cuore divenne l’effige: effigedi verità. / Nacque il tuo nome da ciò che fissavi.Karol WojtyłaGIUGNOfraternitàemissione5Il segreto di un prete feliceLa vocazione passa anche da una vacanza sulla neve, uno speck e quattro grappedi Tommaso Pedrolio sono un prete felice». Onestamente, non avevo«Icapito che quel signore di mezz’età fosse un prete,visto che stavamo quasi tutto il giorno in tuta da sci. D’altrondenon conoscevo nessuno a quella vacanza, trannela ragazza che mi aveva convinto a parteciparvi e ilgruppetto delle sue amiche più strette. Una settimanasulla neve, in Val d’Aosta. Tutto sommato una bella occasione,pensavo.Da piccolo avevo conosciuto diversi preti, perché lamia parrocchia è sede di un convento di frati francescani.Tutte persone che stimavo, uomini di profonda edoperosa fede, che si guardavano con affetto e virilità.Nessuno di loro, tuttavia, si era mai presentato così esplicitamente:«Io sono un prete felice!». Non sapevo nemmenoil suo nome, e ci avrei messo un po’ per impararlo.Era il 6 gennaio del 2001.Un anno e mezzo più tardi, quasi senza nemmenoconoscermi, mi invitò ad una vacanza dei responsabilidi Gioventù studentesca. L’ordine era stato di portarsi ilpranzo al sacco. Dopo un’ora e mezzo di viaggio, tuttavia,il pulmino si fermò presso un promettente ristorantinoaffacciato sul Lago di Como. Ci costrinse a valutarela differenza fra un panino ed un pranzo vero... Pagò luiper tutti e ripartimmo per Saint Moritz. Don Roberto ciha sempre insegnato il gusto delle cose belle, semplicima curate.Quella totale semplicitàPoi mi chiamò ad occuparmi della segreteria di Gs:furono due anni intensi, il nostro rapporto crebbe rapidamente.In quel periodo mi cercava spesso, senza maiessere indiscreto. Voleva sapere come andavano i gesti,le iscrizioni alle vacanze, il lavoro con la segreteria.Quando qualcosa non era curato alla perfezione,quando c’era un ritardo, si arrabbiava. Era esigente, masempre paterno nella correzione.Ma ciò che più mi colpiva di lui era quella totale semplicitàe letizia di fronte al lavoro nella sua grande parrocchiae alla responsabilità di Gs. Una letizia che sorpassavaogni limite e che sorgeva direttamente dal riconoscimentodel compito affidatogli da Dio per il mondointero. Andava a toccare le persone più impensabili elontane. Portava quanti incrociavano il suo cammino ascoprire, insieme a lui, la gioia della vita con Cristo. Equando a scuola di comunità ci raccontava queste vitecambiate le difficoltà erano sempre messe in secondopiano: «Vi ho mai detto che sono un prete felice?». Sì,don Roberto, almeno mille volte… Guardando lui riaffioròil fascino verso la vita sacerdotale, che Dio avevaseminato nel mio cuore sin da quando ero piccolo.Viaggio su una Punto grigiaMa il colpo di grazia avvenne a 18 anni. Finita la settimanadi vacanza all’Alpe di Siusi, stavo per salire sulpullman che ci avrebbe riportati a Varese, pronto peruna dormita colossale dopo cinque notti quasi insonni.Qualcosa, però, ci era sfuggito: tra partenze anticipate earrivi ritardati, mancava un posto per il viaggio diritorno.Don Roberto mi fissò deciso: «Perché non partiamo?».«Ho sbagliato i conti, don, non c’è posto per uno». «Belcolpo. Adesso vieni tu in macchina con me… almeno mifai compagnia».Senza quasi accorgermi salii sulla sua Punto grigia –senza aria condizionata – e ci dirigemmo verso l’autostradae la calda pianura. La macchina, però, invece diimboccare lo svincolo, andò dritta verso un paesino.Arrivammo in una fattoria. Lì comprò dei grossi speck echiese quattro bottiglie della grappa migliore che avevano.Ma cosa stava facendo? Arrivati in macchina, midiede i sacchetti in mano e disse: «Questi sono per te eper gli amici della segreteria, grazie per questi giorni!».Con pazienza e senza alcuna pressione mi accompagnònel cammino vocazionale fino alla fine del liceo.Qualche giorno prima di venire a Roma, mi chiese dovemi sarebbe piaciuto, una volta ordinato prete, andare inmissione. Poi si corresse e disse: «in ogni caso sii unprete felice, altrimenti non vale la pena!».Cercare Cristodi Roberto VergaTommaso ha sempre testimoniato,durante icinque anni di Gs, lasua quasi naturale adesionea Cristo, sperimentandocosì la certezzadella fede. La miaesperienza di amiciziacon lui e con tanti altriamici giessini mi rendesempre più certo cheCristo mantiene semprela promessa della felicità,perché Lui è presenteanche nelle vicendedifficili della vita.<strong>San</strong>t’Agostino ci insegnache Cristo si fa trovareda chi lo cerca:questo è il segreto peressere sempre felici, equesto è il mio appassionatoaugurio.Tommaso Pedroli, varesino, 27anni, entra giovanissimo nellacasa di formazione. In alto, conalcuni bambini in un oratorio romano.


C’è una voce nella mia vita, / che avverto nel punto che muore, / voce stanca,voce smarrita, / col tremito del batticuore.Giovanni Pascoli6 fraternitàemissioneGIUGNOUna bici oltre la nebbiaDa Pavia a Roma passando per il Brasile. Come dimenticare le chiavi di casa,svegliare un sacerdote nella notte e incontrare il proprio destinodi Luca SpezialeSono nato a Pavia. Fin da piccolo la cosa che più miaffascinava era la nebbia. Percorrere con la mia biciclettale viuzze medievali del centro storico per arrivarefino alla scuola era come assistere, dalla platea di unteatro, a uno spettacolo sorprendente. Avevo una bici dacorsa velocissima e non riuscivo ad andare piano; madietro la nebbia poteva spuntare improvvisamente unpedone o una macchina. Quindi, con la testa piegata ingiù, tenevo ben stretto il manubrio e gli indici sempresui freni, pronto ad ogni imprevisto.La nebbia mi ha aiutato a comprendere che il mondoè molto più grande di quel che vedo. Che c’è semprequalcosa dietro le quinte.Sono nato in una famiglia cattolica. Di mio padrericordo la cura con cui la domenica innaffiava i geranidel nostro balcone, le stelle di natale, le violette e i ficusche teneva nel suo studio. Si chinava su di loro quasi glisussurrasse qualcosa. Quando, molti anni dopo, glichiesi perché avesse voluto fare il biologo mi disse:«Sono sempre stato attratto dal mistero della vita».Da lui ho imparato anche l’importanza del lavoro.Lavorava molto. A volte andava in laboratorio anche didomenica, e qualche volta mi portava con lui. Ricordolo stupore con cui sfogliava i suoi libri, pieni di fotografiecoloratissime scattate al microscopio e la curiositàcon cui alla sera guardavamo alcunidocumentari in televisione sugli animali.Da mia madre ho imparato a dare unnome a quel qualcosa che “stava dietro lequinte” dell’esistenza. Lei mi ha insegnatoa pregare. Quando andavamo a messasi portava dietro il messalino per seguireogni parola. Ne aveva comprato uno ancheper me. Poi all’elevazione, mentre eravamoin ginocchio, mi sussurrava all’orecchio:«Ripeti con me: Signore mio e Dio mio».Nei momenti di difficoltà, quando ero triste perché levacanze erano finite oppure quando avevo litigato conqualcuno, mi diceva: «Prega la Madonna» e io prendevoil mio rosario, regalo di mia nonna, e cominciavo a pregare.E la Madonna mi donava subito serenità.Poi ci fu l’incontro con Comunione e Liberazione. Miaffascinarono tre cose in particolare. Innanzitutto gliAvevo vistoin quel «benvenuti»un misteriosoprolungarsi dellavita di Cristoscritti di don Giussani. Ricordo che finito il liceo compraitutti i libri che aveva pubblicato. Mi colpiva la radicalitàdel suo parlare. Ma soprattutto le sue parole miaiutavano a pregare. Le fissavo a lungo e le meditavo ecosì dentro di me cresceva la certezza che Qualcunostava dietro a tutte le cose e le creava per un disegnopositivo.Poi c’erano gli amici. Mi trovai in unacomunità di gente vivace, che non volevamai dare nulla per scontato. Facevamotutto insieme e parlavamo di tutto. Nonc’erano argomenti tabù.La terza cosa che mi colpì fu la promessaaffettiva. Con i miei amici sentivamospesso ripetere le parole di Gesù:«Chi segue me avrà il centuplo». Lentamentecapii che dovevo prendere sul serio questoinvito. Come dovevo rispondere?Nell’estate del 2004 mi trovai a passare venti giorni inBrasile, a Belo Horizonte. Assieme ai miei amici piùstretti incontrai Pigi Bernareggi, un sacerdote missionarioche abitava lì da quarant’anni. Per qualche notte dormimmonella canonica della sua parrocchia. Una voltatornammo molto tardi, sarà stata l’una di notte, ci avvicinammoal cancello della chiesa di Pigi ma ci rendemmoconto che avevamo dimenticato le chiavi. C’era soloun’alternativa: svegliarlo. Lo chiamammo al telefono elui, tutto trafelato, con ancora addosso il pigiama, scesein strada, ci guardò e ci disse sorridendo: “Benvenuti!”.Questo piccolo episodio mi colpì profondamente. Senzavolerlo, cominciò a nascere dentro di me il pensiero:«Voglio diventare come quell’uomo». Per un momentoavevo visto in quel “benvenuti” come un misterioso prolungarsidella vita di Cristo che mi raggiungeva accogliendomie chiedendomi una risposta. Tornato in Italiacominciai a leggere i vangeli.Quando nel 2005 morì don Giussani capii che ilSignore mi stava chiedendo: «Cosa vuoi fare della tuavita?». Quasi inaspettatamente mi risposi: «Voglio viverecome Cristo, compiere i gesti che lui ha compiuto, impararead amare come lui ha amato». Così chiesi di entrarein seminario.L’obbedienza«Luca... Luca... ricordoappena. Ma sai, sonotanti i ragazzi che vengonoqui d’estate, a visitaregli asili della Rosetta.E tutti dormono nella canonica,li ospitiamo lì».Don Pigi Bernareggi,raggiunto telefonicamentea Belo Horizonte,ascolta sorpreso il raccontodella vocazione diLuca Speziale, di comelui, in qualche modo,c’entri. «Sono molto impressionatoda come unparticolare così piccolo,un fatto così marginalepossa risvegliare un sentimentocosì importantenel cuore di un ragazzo».Don Pigi era presidentedella Gioventù studentescanegli anni ‘60.Nel 1964 partì per il Brasile,agli albori delleesperienze missionariedi Comunione e liberazione,e da allora è lì. «Lanostra partenza fu unfatto molto significativoper la comunità di allora».Quest’anno festeggia il45° di sacerdozio. Qual èla prima cosa che raccomanderestia un preteneo ordinato? «L’obbedienza.Alle circostanzein cui Dio ti mette, e alleindicazioni dell’autoritàin quelle circostanze. Esoprattutto quando è ingioco il proprio futuro. Senon avessi obbedito, misarei perduto».Pavese doc, ingegnere, Luca ènato 29 anni fa. È il prezioso segretariodi Massimo Camisasca. Afianco, con alcuni compagni di università.In alto, una strada di Pavia(foto Francesco Negri).


Ognuno di noi nasce da un momento di amore totale, da un momento diamore arrivato al grado di non potersi nemmeno più conoscere se non conl’aiuto, l’intervento e la presenza di Dio. Giovanni TestoriGIUGNOfraternitàemissione7Il mio canto liberorima o poi farò il prete!...». Ci sono voluti anni per-questo presentimento, che avevo già da bam-«Pchébino, si chiarisse, prendesse corpo e si trasformassenelle parole: «Sì, eccomi!».La prima immagine che ho è di un sacerdote di Cuneo,don Massimo, che tutti i giorni veniva a casa nostraa trovare mio nonno, per mesi a letto malato, consumatopian piano dal tumore. Facevo la terza elementare. Finoall’ultimo giorno, don Massimo passava da noi, scambiavadue parole in piemontese con lui, dava la comunioneal nonno e prendeva il caffè che mia mamma glioffriva. Ecco cos’era un prete agli occhi di quel bambinodi 7-8 anni: un estraneo, che però si prendeva cura dellamia famiglia gratuitamente. Quasi vent’anni dopo, leggendole lettere di don Francesco Bertolina dalla Siberia,mi son detto: questo è ciò che ho sempre desiderato;anch’io vorrei dare la vita per quelle quattro vecchiettedi un villaggio sperduto nel freddo glaciale!Tutto quello che è successo nel frattempo è stata lastrada paziente con cui Dio mi ha voluto chiamare, attraversotanti segni e persone, a prendere coscienza diquel primo fascino.Innanzitutto la mia famiglia, i miei genitori, i mieinonni. Da loro ho imparato l’onestà, il senso del dovere,il rispetto per gli altri. Poi l’incontro alle medie con ilMovimento di Cl, grazie ad Ezio, mio professore dimusica, che a lezione ci suonava Il gatto e la volpe diBennato all’organo, ma che subito dopo ci faceva ascoltarela Nona sinfonia di Beethoven o il Bolero di Ravel.Con lui la domenica facevamo delle gite, che terminavamosempre cantando, accompagnati dalla chitarra odalla sua fisarmonica. Qualche anno dopo, versoPasqua, Ezio mi invitò a partecipare agli esercizi spiritualiper gli studenti delle superiori, a Rimini. Non avevola minima idea di cosa fossero, ma risposi: «Va bene,perché no?». E fin da subito, ascoltando la lezione di donGiorgio, mi dissi: la risposta a tutte le domande che hosulla mia vita, o è qui, o non c’è da nessuna parte.Nel tempio della liricaNel frattempo, finito il liceo, mi iscrissi all’Università.Ero affascinato dalle lingue, ma alla fine scelsi Filosofia,perché ciò che mi interessava veramente, quello su cuiavrei voluto spendere tutto il mio tempo non erano lelingue, ma la verità, il senso ultimo delle cose.Tuttavia, non avevo fatto i conti con un’altra passione,nata da tempo, e che stava prendendo sempre più spazio:quella del canto lirico. Avevo iniziato ad ascoltaredi Emanuele AngiolaEmanuele nasce a Cuneo 31 annifa. Una fulgida carriera di tenorelo ha portato in trasferta... a Taipei.In alto, con alcuni amici taiwanesie don Paolo Costa (a destra).Preso per la goladi Ezio DelfinoSono stato l’insegnante di musica di Emanuelealle medie a Cuneo. Lo ricordo buono, positivoe disponibile. Diligente anche nella miamateria, ma musicalmente nella norma. Durantel’ultimo mese della terza media proposi, fattoinusuale, l’ascolto di opere liriche di Verdi ePuccini, con l’intento di introdurre gli alunni, seppurper cenni, al mondo affascinante del melodramma.Dopo l’estate seppi da Emanueleche quegli ascolti erano stati per lui una folgorazione:dopo qualche anno avrebbe iniziato astudiare canto lirico presso il Conservatorio diCuneo. È il caso di dire: preso… per la gola!Il talento, nel tempo, mostrava la sua eccezionalitàe durante le superiori spesso lo invitavoa esibirsi nelle nostre feste in comunità.Per due o tre anni preparò anche dei breviascolti musicali la sera di Natale nella sede delmovimento a Cuneo. Erano per noi tutti occasionedi vera commozione.l’opera per caso, ed era stato amore “a primo ascolto”.Non pago delle incisioni di Pavarotti e di Di Stefano, mimisi a cantare anch’io, prendendo lezioni private da unbaritono. Già dagli anni del liceo avevo iniziato a tenereparecchi concerti. Dopo il primo anno di Università aMilano, decisi di iscrivermi al Conservatorio di Cuneo,per imparare a cantare da tenore professionista. Ungiorno arrivò l’intuizione: forse la verità delle cose chestavo cercando nella filosofia, la potevo raggiungere inmodo più immediato ed affascinante nella bellezzadella musica e del canto. Detto, fatto: lasciai l’Universitàper dedicarmi a tempo pieno alla musica.Arrivarono le prime soddisfazioni: a vent’anni mi chiamaronoa cantare come corista in un’opera di Verdi allaScala di Milano, il tempio della lirica! Sembrava cheormai la mia strada fosse stabilita, eppure tutte quellegioie non appagavano ancora i miei desideri. Mi riavvicinaial Movimento, da cui mi ero un po’ allontanato perinseguire i miei sogni di gloria.La felicità di donarsiUna sera del <strong>giugno</strong> 2004 Ezio mi propose di accompagnaredei ragazzi delle medie in una vacanza in Svizzera,a Pontresina. «Va bene, perché no?», fu di nuovo lamia risposta. Sul treno, nel viaggio d’andata, una ragazzinadi prima media, Maria Giulia, mi chiese a bruciapelo:«Ma allora quest’anno fai l’oratorio con noi?!».«Piano - le dico - vediamo come mi fate arrivare alla finedella settimana!». Al ritorno lei insisteva. Le risposi: «Macerto, ormai siamo amici!». Quell’anno il centro dellamia settimana divenne il sabato pomeriggio, in cui preparavoi giochi per l’oratorio guidato con sapienza epassione da don Vittorio. Per la prima volta vissi l’esperienzadi donarmi gratuitamente per la felicità di qualcunaltro. E mi accorsi allora che io, in tutti quegli anni,ero stato già amato gratuitamente da Dio attraverso lepersone che Lui mi aveva messo accanto, e che solo ildonarmi poteva rendermi veramente felice.Nel gennaio 2005, a <strong>San</strong> Galgano, durante la “Promessadei Cavalieri”, insieme ai ragazzi che accompagnavo,ho recitato la preghiera di consacrazione a Cristo,Re dell’Universo. Allora finalmente ho detto: «Sì,eccomi, desidero donarmi a Te, perché la mia vita sicompia e il mondo ti riconosca».Dopo gli anni di studio, mi chiese di parteciparealla scuola di comunità che tenevo aCuneo: la sua presenza era fresca e semplice.Una sera, usciti dalla scuola di comunità,gli chiesi di schianto: «Ema, ma tu non hai maipensato alla vocazione?». Ancora adesso nonso da dove nacque in me quella domanda. Lasua risposta fu immediata: «Ma tu come fai asaperlo?». «Che cosa?». «Da qualche mesesento il desiderio di diventare sacerdote e tusei il primo a cui lo dico». Poco dopo eravamoal bar - lui con una tisana ed io con un buonwhisky (per riprendermi dal contraccolpo) -per dare spazio a quella sua risposta sincera,che mi aveva sorpreso. Gli regalai una copiade «Il treno delle spighe dorate», di FrancescoBertolina, e gli chiesi di pregare e di custodirequella confidenza, affinché la domanda di vocazionediventasse oggettiva.È Dio che fa le cose belle e dà la vocazione.Ma occorre un cuore semplice che rispondadi sì. Questo è ciò che Ema ha portato e porta,oggi, alla mia esperienza del Vero.


CONSIGLIDI LETTURA>>Andrea D’AuriaLibertà del fedelee sceltadella vocazioneUrbaniana Press 2012pp. 238 € 22Nel quadro attuale della scienza canonica, il volume affronta il tema del diritto del fedele a sceglieresenza costrizioni la propria vocazione. L'autore risale ai presupposti storici e culturali del canoneed esamina le sue applicazioni pratiche alla vita dei fedeli, in cui la libertà di scelta della vocazioneassume la dimensione della stabilità e dell’impegno definitivo. Andrea D’Auria, sacerdote della<strong>San</strong> <strong>Carlo</strong>, è Decano della Facoltà di Diritto Canonico alla Pontificia Università Urbaniana.Esempi praticiDesideravo trasmettere un’esperienza di fede, piùche tante parole. Così ho cercato molti esempi pratici,per portare il discorso a un livello comprensibile a tutti.Questo nonostante il mio inglese non fosse proprio perfettoe gli esempi non fossero sempre calzanti. Peresempio, una volta, parlando di Gesù, ho cercato un’immagineevangelica. Allora ho detto: «Immaginate unavigna». La classe mi guardava con aria interrogativa.«Ma sapete cos’è una vigna?». «No, padre». «Bene alloraprendiamo un albero di papaya. Immaginate i rami diquesto albero». «Ma padre, gli alberi di papaya nonhanno i rami e i frutti crescono attaccati direttamente altronco». «Ok, che cosa ne dite di un albero di mango?».Così ho potuto approfondire anche la mia conoscenza dibotanica africana.Una volta al mese siamo andati a visitare degli anzianiin un ricovero poco distante, per fare esperienza dellacarità e della condivisione. Questo gesto è ciò che piùha colpito i catecumeni durante il corso e anch’io sonorimasto impressionato da come queste persone, soprattuttole più umili e semplici, stavano con gli anziani men-8 fraternitàemissioneGIUGNONotizie Flasha cura di Marco SampognaroDESTINAzIoNI/1NeodiaconiEcco dove andranno i diaconi ordinatiil 23 <strong>giugno</strong>: Matteo Colliniè destinato a Colonia (Germania),Donato Contuzzi a Taipei(Taiwan), Matteo Dall’Agata aVienna (Austria). Francesco Ferrariandrà a <strong>San</strong>tiago del Cile eStefano Lavelli nella costituendacasa di Napoli. Nicolò Ceccolini,Daniele Scorrano, Lorenzo Locatellie Paolo Paganini rimarrannoa Roma: i primi due nella casa diformazione, il terzo alla Magliana,il quarto nella casa di Roma<strong>San</strong>t’Eusebio.DESTINAzIoNI/2Nuova casa a LondraLa Fraternità inaugura una presenzain Gran Bretagna. DonJosé Claveria è stato infatti destinatoa Londra, dove collaboreràcon il nunzio apostolico AntonioMennini e seguirà le comunitàdi Cl della zona. La sua missioneinizierà di Gabriele a settembre. FotiDoMENICA DI FESTAImola abbraccia la <strong>San</strong> <strong>Carlo</strong>Grande affluenza di pubblicoalla Festa della <strong>San</strong> <strong>Carlo</strong> domenica29 aprile a Imola. Molte personee famiglie hanno cantato,giocato, visitato la mostra sul padree hanno assistito alla presentazionedi “Amare ancora”.JEAN DANIéLoUGiornata di studi a Roma“Finestre aperte sul mistero”: ilteologo Jean Daniélou è stato alcentro di un convegno organizzatoil 9 maggio dalla Fraternitàsan <strong>Carlo</strong> e dalla Pontificia Universitàdella <strong>San</strong>ta Croce. Relatori:Luis Romera, Massimo Camisasca,Ysabel de Andia, GuillaumeDerville, Giulio Maspero.Gabriele Foti battezza alcuniadulti di Kahawa Sukari (Nairobi,Kenya). In alto, alberi di papaya.NAIROBIBattesimi e botanicaLe avventure di un missionario in Kenya alle prese con il catechismo per gli adultidi Gabriele FotiQuando l’anno scorso mi hanno chiesto di seguire ilcorso del catechismo per adulti, ero arrivato dapochi mesi a Nairobi. E per giunta non avevo mai insegnatoné a bambini né, tantomeno, ad adulti. Abbiamodato l’avviso alla fine delle messe e raccolto le iscrizioni.Don Alfonso, il parroco, ha individuato quelli cheavrebbero dovuto ricevere tutti i sacramenti, in quantobattezzati in una delle varie sette locali dal nome altisonante(per esempio «Chiesa del Raccolto Selvaggio»)ma non riconosciute dalla Chiesa Cattolica; e quelli chene avrebbero ricevuti solo alcuni, poiché già validamentebattezzati. Quindi siamo partiti, trovandoci tutte ledomeniche pomeriggio, per un anno. Un gruppo assortito:malati di Aids del Meeting Point, studenti delle universitàvicine, domestiche di famiglie benestanti.tre i nonnini raccontavano le loro battaglie durante laguerra per ottenere l’indipendenza dagli Inglesi.Durante la Settimana <strong>San</strong>ta siamo andati a trascorrereuna giornata di ritiro in un centro situato dall’altra partedella città. Sfortunatamente ha coinciso con la primapioggia seria della stagione: la città era paralizzata; enoi con lei. Abbiamo impiegato più di quattro ore perarrivare e così abbiamo iniziato il ritiro sul bus. Ma lagiornata è stata veramente bella, ricca di condivisionee preghiera. Una di loro mi ha detto: «Sono veramentefelice perché adesso so a chi appartengo».«Mimi nakubatiza»La sorpresa più grande è stata quando don Alfonso miha proposto di battezzare questi amici. È stato un donoinaspettato, poiché davo per scontato che sarebbe statoil parroco ad amministrare i sacramenti. Ho incominciatoa imparare a memoria la formula in kiswahili: «Miminakubatiza kwa jiina la Baba, na la Mwana, na la Roho Mtakatifu»,che per l’appunto vuol dire «Ti battezzo nel nomedel Padre e del Figlio e dello Spirito <strong>San</strong>to». Solo che continuandoa ripeterla, mi usciva come una specie di scioglilinguadel tipo «Sopra la panca…». Così ho scritto lafrase e l’ho incollata sul fonte battesimale. La sera dellavigilia di Pasqua, dopo tutta la stupenda parte iniziale dellamessa, ho battezzato quindici adulti, uno a uno. Li guardavovenire avanti, accompagnati dai padrini, e di ognunodi loro mi tornava in mente il rapporto particolare cheè cresciuto in questi mesi, la loro amicizia, il loro desideriodi diventare cristiani. E io ero il tramite di un immensomiracolo che stava per cambiare la loro vita. Poi Alfonsoli ha cresimati insieme ad altri sette già battezzati,e infine ho dato loro la prima comunione. Che faccecontente! Adesso c’incontreremo ancora per qualchemese per accompagnarli nei primi passi di vita cristiana,e stiamo loro proponendo di aderire a gruppi dellaparrocchia, perché dal seme piantato possano nascerealberi forti e rigogliosi.(foto Charles Roffey).IL TUO 5X1000 Anche quest’anno puoi sostenere la missione e le opere della Fraternità san <strong>Carlo</strong> senza spendere nulla.Nella tua dichiarazione firma nello spazio per il sostegno del volontariato e inserisci il nostro CODICE FISCALE 97408060586

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