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Novecento" (p. 168), anche se, d'altro canto, egli afferma che "oggi che il liberalismo disvelaappieno la sua capacità d'unificazione del mondo, si rivela fino in fondo la lezione di <strong>Gramsci</strong>sull'inganno della distinzione liberale tra Stato e società civile" (p. 169). Diversa, sempre nelconvegno leccese, la posizione di Arcangelo Leone de Castris, molto più attento (come <strong>Gramsci</strong>)ai percorsi nazionali imprescindibili per arrivare a un "nuovo internazionalismo" non a egemoniacapitalistica.3. In tutt'altra direzione rispetto a <strong>Gramsci</strong> e il Novecento sembra andare <strong>Gramsci</strong> e la rivoluzionein Occidente (a cura di Alberto Burgio e Antonio A. Santucci, Editori Riuniti, pp. 377, £. 40.000),libro che raccoglie le relazioni del convegno promosso dal Partito della Rifondazione comunista,svoltosi a Torino nel dicembre 1997. Come affermano a chiare lettere nella Premessa i duecuratori, <strong>Gramsci</strong> è infatti considerato qui "un compagno di strada e di battaglia" (p. XI). Vi è,cioè, un rapportarsi a <strong>Gramsci</strong> più direttamente "politico", fin troppo immediato, anche se di segnoopposto a quello che ha caratterizzato alcuni momenti dell'assise cagliaritana. Ma taleatteggiamento è dichiarato, esplicitato, interno quasi al fatto stesso che sia stata una forza politica aorganizzare questo momento di riflessione e di confronto.Tra tutti i contributi, vorrei almeno segnalare quelli di Domenico Losurdo, su Conflittosociale, questione nazionale e internazionalismo, perché la sottolineatura del privilegiamentogramsciano della tematica "nazionale" costituisce una risposta indiretta (e molto efficace) adalcune delle tesi che abbiamo visto affiorare nel dibattito cagliaritano ("l'attenzione alla questionenazionale è [prima per <strong>Gramsci</strong>, poi per il Pci] il terreno privilegiato su cui si sviluppa la lotta perl'egemonia […] il conflitto nazionale è una forma del conflitto sociale, di cui, in certi momenti, , laquestione nazionale diviene l'espressione più acuta e concentrata" (pp. 212 e 214); di AldoTortorella, che ha polemizzato con le interpretazioni di <strong>Gramsci</strong> come alfiere della "rivoluzioneliberale" (pp. 260-262); e di Francisco Fernandéz Buey, su un tema non scontato come quellodell'etica nei Quaderni. Va anche detto che questo dell'etica è stato un altro polo, sia pur "minore",del dibattito del '97: oltre ai ripetuti interventi di Tortorella (si veda ad esempio quello in <strong>Gramsci</strong>da un secolo all'altro), va ricordato l'importante contributo cagliaritano di Giuseppe Cacciatore.Indubbiamente anche al convegno di Rifondazione molti sono stati gli interventi di rilievo.Voglio qui soffermarmi —per i motivi già sopra richiamati —solo sulla tematica che a mio avvisoha maggiormente caratterizzato questo incontro: quella di Americanismo e fordismo—ma forsequi sarebbe meglio dire "taylorismo e fordismo"—, punto sul quale vi è stata una differenziazionesignificativa e di grande interesse. Da una parte, infatti, si sono registrati gli interventi di AdalbertoMinucci, che ha ricostruito con efficacia l'importanza storica della scoperta del Quaderno 22,lungamente sottovalutato, per la sinistra italiana, e di Alberto Burgio, che ha affrontato questionipiù propriamente teoriche. Minucci e Burgio hanno concordemente sottolineato la fecondità di— 11 —

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