• o la Normativa, dalla legge 517/77 alla recente Direttiva, che ci chiede di personalizzareper includere• o le Norme (DPR 122 e Prove Invalsi) che ci costringono a valutare tutti allo stessomodo, escludendo così i non adeguati agli standard.Noi insegnanti ogni giorno lavoriamo con persone che credono in noi e nelle quali crediamo.Perché Khadim, Karen, Daniel, Ibrahim, Emra, Asako li guardiamo negli occhi. Non ci possiamopermettere di essere contradditori e di deludere le loro aspettative, per altro da noi alimentatecon i “piani didattici personalizzati”..Gentili Ministre Carrozza e Kyenge,gentile Sottosegretario Rossi Doria,Vi chiediamo di intervenire per risolvere al più presto la contraddizione che esistenella Normativa. Perché a pagarne il prezzo, pesante, sono loro, le alunne e gli alunni chehanno la “colpa” di essere svantaggiati per motivi economici, sociali e linguistici. Perché, comedice don Milani, “non c’è nulla di più ingiusto che fare parti uguali fra diseguali”.***********NAVIGANDO IN RETE15. Se lo studio allontana il lavoro - di Alba SassoSconforto è la parola che forse definisce meglio lo stato d'animo di chi si ferma ad analizzare iprovvedimenti per l'occupazione varati dal governo. Una misura in particolare salta subito agliocchi, e ferisce nel profondo: la proclamazione, di fatto, dell'inutilità degli studi. I posti dilavoro previsti infatti sarebbero riservati a giovani privi di titoli di studio come il diploma, eovviamente la laurea. Ci si sarebbe aspettati che il premier Letta dichiarasse che questa è unamisura del tutto parziale e ancora insufficiente, dedicata soltanto a chi ha di meno e a chi partecon meno chances.Sottolinearlo nella presentazione del piano sarebbe stato almeno un atto di chiarezza. Maquesto avrebbe mostrato in modo esplicito i limiti di questa misura. Il problema infatti ètragicamente molto più vasto e riguarda i giovani tutti. Certo i cosiddetti neet, giovani che nonstudiano e non lavorano, sono gli invisibili, le fasce più deboli e più colpite che alimentano inmisura significativa quel 40% di disoccupazione giovanile che pesa come un macigno su ognipossibile futuro per il nostro paese. Ma la strategia di Europa 2020,che pure si occupa colprogetto "Youth on the move" e con l'iniziativa "Opportunità per i giovani" di questo specificotarget, si pone come obbiettivo l'individuazione di percorsi che favoriscano il ritornoall'istruzione e alla formazione. Cresce un paese che non garantisca una solida istruzione dibase, qualifiche e diplomi?Cresce un paese che è fanalino di coda in Europa per il numero dei suoi laureati, il 21% nellafascia 25/34 anni, a fronte della media europea del 35,8%, mentre l'Europa ci chiede diportare al 40% questa percentuale entro i12020? Ogni lavoro, anche quello che può apparire ilmeno qualificato, ha bisogno oggi di maggiori conoscenze e competenze. In questi anni l'operadi impoverimento del sistema dell'istruzione pubblica è stata sistematica e ha lasciato feritedolorose, forse difficilmente sanabili.Ora si proclama ufficialmente che chi ha passato tanti anni a studiare, specializzarsi, formarsiprofessionalmente ed intellettualmente ha buttato via il suo tempo, i libri non servono. E sitratta di una decisione che pare sposarsi perfettamente con una tendenza che negli ultimi anniha ridotto la scuola pubblica ad un sistema ferito e depotenziato, tenuto su dall'ostinazione edall'amore per la scuola di generazioni di insegnanti e studenti che in quei valori continuano acredere. Questa decisione del governo si inserisce poi in una generale tendenza all'abbandonodelle facoltà universitarie. E' da qualche anno che diminuiscono le immatricolazioni
all'università. E certo numeri chiusi e sbarramenti vari non aiutano. Crollano le facoltàumanistiche, in particolare. Cioè quei luoghi della cultura in cui si è formata l'identità dellanazione moderna, in cui vien custodita la memoria storica e letteraria di un intero paese. Negliultimi 20 anni la riduzione di oltre il 25% delle iscrizioni nelle facoltà umanistiche è un dato chedovrebbe far paura a tutti. Sembra quasi il trionfo di una inconsistente banalità, dilagata perònella cultura delle classi dirigenti, quella secondo cui con la cultura "non si mangia".Laddove invece tutta la storia di questi anni dimostra clamorosamente il contrario, la nostraindustria culturale ha continuato a primeggiare nonostante tutto, e a rappresentare una voceimportante del Pil nazionale. Ma anche le facoltà scientifiche conoscono una flessionedrammatica, destinata a pesare negativamente sul futuro economico e produttivo del nostropaese. E alle nostre ragazze e ai nostri ragazzi, soprattutto a quelli maggiormente preparati equalificati e iperspecializzati, per la cui preparazione e qualificazione si è investito, non resteràche emigrare, anzi scappare. Agli altri, a quelli meno "schizzinosi", ai "cervelli che non possonofuggire", per trovare lavoro non resterà che coltivare l'ignoranza, in un paese che non sa o nonvuole invece coltivare le intelligenze e la creatività. Per fare scelte diverse sarebbe bastatoascoltare i rettori, gli insegnanti, gli studenti, per capire lo stato comatoso in cui versa il nostrosistema di istruzione ed individuarne le criticità proprio in rapporto al mondo del lavoro. Cheavrebbe bisogno sempre di più per crescere di figure di alto profilo culturale e professionale.Costerebbe troppo un piano per il lavoro dei giovani tutti? Che si occupi del disagio edell'eccellenza, che non dimentichi che è il sapere a produrre vantaggio economico, sociale ecivile, capace di creare collegamenti e sinergie tra istruzione, formazione , lavoro ancheattraverso incentivi alla ricerca e all'innovazione rivolti alle imprese? Forse sarebbe statonecessario non rinviare bensì cancellare l'acquisto degli F35, peraltro dismessi dagli Stati uniti,per avere gli indispensabili finanziamenti per coprire ampiamente un progetto più forte ecoraggioso, senza andare a racimolare risorse dal Fondo di funzionamento universitario o daiFondi europei, sottraendoli alle regioni che già utilizzano su obiettivi analoghi. Scegliere èdifficile, ma è l'unica strada per governare.***********16. Il diritto all’istruzione in tempo di crisi - Costituzione, educazione escuola pubblica. Alessandro Pace - Articolo 33 n. 5-6/<strong>2013</strong>Alessandro Pace è professore emerito di Diritto costituzionale nella Facoltà di giurisprudenzadell’Università “La Sapienza” di Roma.Il diritto allo studio non è materia di pareggio di bilancio. E` un principiocostituzionale che ha natura programmatica e non può essere modificato con leggiordinarie.Gli scarsi investimenti in istruzione e i discutibili finanziamenti alle scuole privateRelazione al Convegno nazionale FLC CGIL sul tema «Per un governo democraticodella scuola», Roma, 15 e 16 gennaio <strong>2013</strong>.Due sono le opzioni, per giunta tra loro antitetiche, che, per risolvere il problema del dirittoall’istruzione nel tempo di crisi, si prospettano alle forze politiche e al legislatore (1). La primaconsiste nell’ulteriore progressiva riduzione, sia nella legge di stabilità sia con provvedimentiamministrativi, dei finanziamenti alla scuola pubblica.Deve invece escludersi che, a vantaggio degli equilibri di bilancio, si possano disattendere leconquiste, compiute in passato, a favore del diritto allo studio tramite provvedimenti legislativi.Ed infatti se il legislatore ordinario revocasse precedenti misure favorevoli al diritto allo studio,si porrebbe in controtendenza rispetto al principio fondamentale secondo il quale «LaRepubblica promuove lo sviluppo della cultura e della ricerca scientifica e tecnica» (art. 9Cost.), che, proprio perché ha natura programmatica, mentre non è assistito da rimedigiustiziali in caso di omissioni da parte del legislatore, costituisce però la causa efficiente per ladeclaratoria d’incostituzionalità delle leggi che esplicitamente lo contraddicono, non potendo,per definizione, le leggi ordinarie operare in senso contrario alle norme programmatiche (2).