Originale Italiano | numero 7 – luglio 2016

luglio 2016 | anno I n° 7
#OriginaleItaliano
l’esperto risponde
Rubrica
di Michele Intrieri
l’intervista
Football’s Kitchen
Maurizio Rosazza Prin
di Silvia Ruffolo
il panificatore
Ezio Marinato
INSERTO
una nuova avventura
di BIGAMAN
Erica Liverani
la vincitrice
di Masterchef
Italia ci svela i suoi
segreti in cucina
Ricette
la nuova rubrica

è tempo di metterti in mostra
concessionaria di pubblicità per
canale 10
del digitale terrestre

Cibo
a colori
PERCHE’ ANCHE
L’OCCHIO VUOLE
LA SUA PARTE
a cura di Rossella Galati
Uno stimolo per il palato ma
anche una gioia per gli
occhi, curare il piatto
dal punto di vista “estetico”
non è cosa da poco. Del resto
il primo impatto è sempre visivo.
Pertanto anche in cucina parliamo
di arte, di un mix di fattori
che, se ben combinati tra loro,
danno vita ad una vera e propria
creazione. Nei vari numeri di
Originale Italiano, oltre a offrirvi
spunti e consigli interessanti in
ambito enogastronomico, come
in questo nuovo numero, vi suggeriamo
di volta in volta gustose
ricette che, se preparate con
prodotti di stagione e quindi
genuini, danno la giusta
importanza anche all’aspetto
cromatico. Perchè
il piatto per gli chef è
come la tela per i pittori,
uno “spazio artistico” in
grado di comunicare un
significato multisesoriale.
E in questo periodo
dell’anno più che mai
ci piace pensare ad una
esplosione di colori sulle
nostre e vostre tavole! Colore,
odore e sapore sono
del resto gli elementi che
se ben amalgamati danno
vita a vere e proprie pietanze succulente.
Studi in merito hanno infatti dimostrato
che la relazione tra colore, gusto e
forma è più complessa di quanto si
possa immaginare: è infatti in grado
di influenzare percezioni primarie
come dolce e amaro, non influenza
invece giudizi più complessi come
possono essere l’apprezzamento
e la qualità del cibo che solo
una completa esperienza del
pasto, che riguarda tutti e
cinque i sensi, può offrire.
Dunque, prestare la giusta
attenzione ai colori e
alla presentazione
del cibo, lo rende
sicuramente
più invitante a
livello visivo,
ma ne aumenta
anche
la sapidità.
E allora,
a noi di
Originale
Italiano
piace
pensare
che il
gusto ha
anche
un colore!
l’editoriale

#originale
#OriginaleItaliano
Editore
La Fabbrica Dei Mestieri
Direttore Editoriale
Rossella Galati
Direzione artistica
e progettazione grafica
Giovanni Stefano Rodia
per Pubbliora
pag. 11
C’è pane e PANE
EZIO MARINATO
svela i segreti
di questo storico
alimento
Collaboratori
Silvia Ruffolo
Luca Misasi
Maria Rosaria Romano
Nicoletta Mearelli
Alberto Campagnolo
Alessandro Guagliardi
Massimiliano Scalzo
Ugo Avenoso
Per Bigaman
Disegnatore : Eugenio Colonna
Autore:
Michele Intrieri
Anche l’occhio
vuole
la sua parte
pag. 17
Sceneggiatore
Matteo Filicetti
Colorista
Ilaria Marino
L’applicazione Originale Italiano
è stata creata da
Maurizio Iazzolino
www.originaleitaliano.it
Intervista
a Erica Liverani
PAG. 29
Pubblicità: Pubbliora S.A.S.
Via Martiri di Melissa, 5
87040 Castrolibero (CS)
Telefono: +39 0984 852744
Fax: +39 0984 853196
segreteria@pubblioracalabria.it
www.pubblioracalabria.it

Miti e leggende
sulla birra
Continua la rubrica dedicata a una
delle più diffuse e più antiche
bevande alcoliche del mondo
8
Parola
al Sommelier
Il Presidente dell’Associazione Italiana
Sommelier Calabria, Maria Rosa Romano,
ci parla del “Dolce d’Asti
14
Le ricette
di A casa tua
26

Sommario
41
L’intervista a Maurizio Rosazza
conduttore di “Football’s Kitchen”
il nuovo programma TV
in onda su Gambero Rosso Channel
interviste
Panificatori: Ezio Marinato 11
Chef: Erica Liverani 29
RUBRICHE
Olio: La dolce di Rossano 35
Molino Grassi
I profumi d’Italia 45
parola di corsista
Federico Rotella
l’esperto risponde
La stesura dell’impasto
36
visual food
Bouquet di melanzane 17
granelli di tecnica
Il cereale della ricchezza 19
Carne di Lusso
Il manzo KOBe 44
storie di pane
La macina a pietra 34
21
Bigaman
il nuovo episodio
Ricette
Cipolla Rossa di Tropea 25
Le ricette di Erica Liverani 32
Piccoli chef
Pizzaioli amatoriali
38
38
Chef casalinghi 39

Nei capitoli precedenti, si è iniziato
Miti
ad analizzare quante imprecisioni ruotino
intorno all’argomento e come queste siano
difficili da estirpare dalle consuetudini popolari.
e leggende
di Luca Misasi
sulla birra
Da quando finalmente è
stata disciplinata legalmente
anche in Italia la
produzione della birra
fatta in casa, si è iniziato a
capire come al di fuori del
grigiore dei prodotti industriali,
esisteva un mondo
meraviglioso e colorato
ma soprattutto divertentissimo!
Il merito spetta tutto
al glorioso Decreto
Legislativo n. 504 del
26/10/1995 che sancisce
la fine dell’oscurantismo
culturale, quasi da inquisizione
medievale!
Una sorta di “pillola
rossa” di Morfeus, nel
noto film Matrix, che
finalmente ci ridesta alla
verità.
Magari adesso, i soliti
complottisti hanno una
nuova argomentazione,
dopo Torri Gemelle e
scie chimiche, ora possono
ipotizzare che questo
ritardo sia dovuto a oscure
lobby di vinificatori
incappucciati antibirra
oppure che il mix di malto
e luppolo sia il veleno
più temuto dai rettiliani!
Chissà, comunque abbiamo
finalmente capito che
sin’ora, ci hanno raccontato
solo tante frottole e
tante imprecisioni sull’argomento
ma nessuno vi
ha mai raccontato…
Capitolo 4/6
Nei capitoli precedenti,
abbiamo iniziato ad analizzare
le imprecisioni che
ruotano intorno all’argomento
birra sottolineando
quanto siano difficili
da estirpare dalle consuetudini
popolari.
Un altro mito prettamente
italiano da sfatare è
quello di identificare le
birre attraverso il colore.
Quante volte abbiamo
sentito frasi del tipo “mi
piacciono solo le bionde e
solo ghiacciate!”, oppure
“le bionde sono leggere
mentre le rosse sono
forti”! Oppure ancora “le
nere non sono buone, in
quanto troppo amare o
corpose”! Ebbene, tutte
imprecisioni, luoghi comuni
o meglio ancora…
miti e leggende!
Innanzitutto, la terminologia
più corretta in
fase di approccio visivo,
è senza dubbio definirle
“CHIARE, AMBRATE
e SCURE”. Dimentichiamo
quindi aggettivi
del tipo “bionde, rosse e
nere”, ma partiamo dal
presupposto che il colore,
in sé per sé, non identifica
la birra in maniera
univoca ed esaustiva…
cosa che invece è demandata
esclusivamente allo
STILE.
Con l’avvento delle birre
di qualità, l’utente medio
inizia a comprendere
che “non esiste la birra,
ma esistono le birre!”
(Cit. Kuaska). Dobbiamo
imparare a conoscerle e
richiederle in relazione
proprio alle loro peculiarità
tipiche, che caratterizzano
il prodotto al di
là del colore.
Mi spiego. Prendiamo
per esempio due CHIA-
RE, una prodotta in
America e l’altra nella
Repubblica Ceca. Ancor
prima di approcciarsi alla
bevuta, bisogna essere
consapevoli di avere di
fronte due prodotti palesemente
diversi, accomunati
solo dal colore. Nella
prima, sicuramente, mi
arriverà un fruttato agrumato
e resinoso in bocca
8#OI

e al naso, tipico delle alte
fermentazioni statunitensi;
nella seconda, mi
aspetto invece il classico
gusto pulito di cereale al
palato, tipico delle basse
fermentazioni
“le bionde sono
leggere, le rosse
sono forti, le nere
non sono buone”
ceche che ricorda quasi
il miele, con sentori al
naso speziati e floreali.
Ebbene le birre sono
entrambe chiare ma
prodotte secondo idee e
scuole brassicole diverse
che rendono i prodotti
decisamente opposti!
Anche le temperature di
servizio dovranno essere
diverse, la prima intorno
agli 8/10° (quella
di cantina), la seconda
intorno ai 2/4°. Questo
perché, nelle alte fermentazioni
(ALE), mi aspetto
un fruttato al naso e in
bocca che non deve essere
inibito e anestetizzato
da temperature glaciali.
Nelle basse fermentazioni
(LAGER) invece, dove
lo scopo è di avere una
bevanda dal gusto pulito,
dissetante e scorrevole,
è corretto il servizio a
temperature molto basse.
Ma, ripeto, questo concetto
vale solo per questo
tipo di birre,
mentre le altre
vanno servite alle
temperature previste
dai singoli
stili.
Quindi, la
prima evidente
macrodivisione
l’abbiamo sul metodo
produttivo, in base a ciò,
finché non affino meglio
le differenze tra i vari stili
(oltre 100), al pub non
ordinerò più semplicemente
una “bionda” (che
non significa nulla), magari
chiedendo una ALE
o una LAGER. In questo
caso, pur non essendo ancora
completamente preciso,
migliorerò la possibilità
di ottenere ciò che
voglio avere nel bicchiere,
evitando di lasciare
decidere il pubblican che
potrebbe rifilarmi sempre
quello che gli pare.
Un altro mito da sfatare
è dovuto alla credenza
popolare rispetto alla
convinzione che più la
birra scurisce, più diventi
alcolica. In realtà la
presenza di alcool non è
determinata dal colore.
Posso avere nel bicchiere
una chiara leggera, come
una bohemian pilsner
orientata sui 4° o una
chiara molto forte, come
per esempio un belgian
tripel che invece si aggira
intorno ai 9°, oppure,
posso imbattermi in
un’ambrata leggerissima
tipo una English Bitter
che si attesta a poco più
di 3°, o ancora una scura
tipo Porter che insiste
normalmente sui 5°.
Dire che le “nere” non
siano buone, in quanto
troppo amare o corpose,
è anche questo un concetto
decisamente limitativo,
dovuto sicuramente
alla bassa qualità dei vari
prodotti commerciali a
cui ci hanno abituato per
anni. In ogni caso, di scure
al mondo ne esistono
di tanti tipi e ciascuna di
esse con le sue particolarità,
quindi è chiaro che
l’esternazione diviene
alquanto imprecisa. Le
scure belghe per esempio,
sono completamente
diverse da quelle irlandesi
ed entrambe non hanno
nulla a che spartire con
quelle tedesche e così via
dicendo.
Nelle artigianali di qualità,
il concetto è chiaramente
amplificato dalla
sincerità delle materie
prime che le costituiscono,
consentendo di
bere birre complesse
e strutturate anche…
(tenetevi forte) a temperatura
ambiente, per
esaltarne sapori e profumi.
Se provate una scura
inglese, magari barricata,
presa direttamente dalla
dispensa e abbinata a
del cioccolato fondente,
potreste rimanere colpiti
quanto basta, per capire
che dobbiamo cancellare
tutti questi luoghi comuni
che si sono pian piano
radicati e calcificati nelle
nostre menti.
Concludo raccontando
di uno strampalato
aneddoto che mi ha visto
protagonista un giorno
entrando in un pub di
periferia, quando preso
dell’entusiastica visione di
un bancone corredato da
oltre 15 spine, chiesi quali
birre di qualità avessero,
immaginando già fiumi
di IPA e AMERICAN
PALE ALE scorrere nel
bicchiere e, magari, per
concludere una cascata
di IMPERIAL STOUT
o di qualsiasi altro buon
prodotto in stile vista la
cotanta abbondanza e
scelta. Di tutta risposta, il
pubblican, allargando le
braccia, mi annichilì con
la frase “mi spiace, non
ho nessuna di queste birre
“MODAIOLE” che in
tanti mi chiedono, ma in
compenso ho delle ottime
e ghiacciate… BIRRE
NORMALI” !
Comunque, a parte ancora
qualche simpatico, romantico
e sporadico caso,
a sottolineare che non c’è
mai nulla di nuovo sotto
questo cielo, il mondo sta
prendendo consapevolezza
di ciò che gli accade
intorno. Oggi si vuole il
perché delle cose, si vuole
la verità, ovvero la strada
che ci renda liberi dalle
schiavitù, dai preconcetti
e dai dogmi.
I tempi dell’oscurantismo
stanno finendo, ora c’è la
“pillola rossa”, ora c’è la
birra ARTIGIANALE!
9#OI

Intervista
a Ezio Marinato
di Silvia Ruffolo
Ci spiega la differenza
tra le farine doppio
zero e i cosiddetti
grani antichi?
“Sicuramente le caratteristiche
distintive tra
farine moderne e grani
antichi vanno ricercate
nei cromosomi. Mi spiego.
I grani antichi sono
stati “meno incrociati”
rispetto alle farine 00 e
perciò, sotto certi aspetti,
hanno un valore nutrizionale
maggiore oltre che
una elevata digeribilità.
Tuttavia, non posso fare
a meno di constatare che
oggi si pretendono delle
performance dalle farine
di grani antichi ché vengono
trattate invece come
fossero farine attuali.
Beh, questo è un concetto
sbagliato poiché a livello
di tenuta sono diversi e
sono grani trattati anche
in diversa maniera”
Sempre più spesso
sentiamo parlare di
intolleranze alimentari.
Come affronta
il problema della
celiachia e del “senza
glutine” nella sua
attività?
“Questo è un argomento
abbastanza spinoso. Nella
mia attività, collocata in
un paesino molto piccolo,
non ho questo tipo
di esigenza per cui, non
essendoci molte richieste,
obiettivamente non l’ho
molto approfondito. Sicuramente
è una fetta di
Passione e umiltà sono le semplici caratteristiche
che contraddistinguono uno dei massimi esperti
italiani della panificazione: Ezio Marinato. Maestro
di lievitazione e amante dell’arte della pasticceria.
Già campione europeo e mondiale dei panificatori,
docente presso diversi istituti alberghieri e di specializzazione,
oggi risulta essere tra i più ricercati
consulenti di industrie che producono macchine e
attrezzature per la panificazione.
mercato che diventa sempre
più importante. Per
come la penso io bisognerà
valutare negli anni
il fatto che queste farine
siano fondamentalmente
degli amidi e che, se da
una parte non creano
problemi, mi sento di dire
che alla lunga valuteremo
altri aspetti…senza entrare
troppo nello specifico”
Che rapporto ha col
mondo biologico?
“Oggi il vero bio lo fa
chi è eticamente corretto.
C’è però chi abusa di
questo termine e magari
non è poi così trasparente
nel proporre i prodotti
che commercializza. Forse,
proprio l’aspetto commerciale
è determinante
nel settore biologico, nel
senso che qualcuno ne
“approfitta” e gioca su
queste cose, a cominciare
da ciò che viene impresso
sulle etichette. Credo
che, in generale, almeno
per quanto mi riguarda,
siano le persone a fare
la differenza. Quando si
parla di salute, in questo
caso di bio, devi essere
molto corretto con te
stesso e con gli altri.
Tuttavia credo si possa
mettere qualche punto
di domanda qua e là…
pensando a quello che c’è
in giro”!
Cosa vuol dire “applicare
le tecniche di
panificazione”?
“La conoscenza delle
tecniche serve per ottimizzare
la produzione
ed ottimizzare un determinato
prodotto. Se
conosci le tecniche, le
usi per ottenere il massimo
rendimento da un
certo tipo di prodotto.
E’ chiaro che alcune
tecniche vanno bene per
determinate lavorazioni
e determinati prodotti,
ma per altri ancora sei tu
a dover scegliere e capire
quale sia la tecnica ideale
per il prodotto che vuoi
realizzare”
11#OI

Maria Rosa Romano
Sommelier,
Analista Sensoriale,
da giugno 2014
Presidente
dell’Associazione
Italiana
Sommelier Calabria
Il dolce d’Asti
Cosa sarebbe il cenone di fine
anno senza una bottiglia di Asti
Spumante?
Il panettone rimarrebbe orfano,
triste, su una tavola vestita per le
grandi occasioni.
Asti ed è subito festa. Dolce,
profumato di zagare, di pesche
mature e con quelle bollicine che
solleticano il naso, un alcol talmente
trascurabile che una coppa
la si può dare anche ai bambini.
Piemonte, astigiano, patria di un
vino che oggi rappresenta una
grande risorsa economica ed è l’identità
di un territorio, di nebbie,
silenzi e una natura meravigliosamente
intatta. L’uva è il moscato
bianco ed il disciplinare prevede
oltre all’Asti Spumante anche il
Moscato d’Asti, tappo raso e una
versione passita. Per essere fuori
dal coro, da provare con scaglie di
parmigiano e, perché no, insieme
ad un piatto con una discreta
piccantezza.
Massimiliano Scalzo
Dottore Magistrale
in Scienze
dell’Alimentazione
e della Nutrizione Umana
I
del
Il frumento (Triticum
aestivum o vulgare) è,
sin dalla preistoria, il più
importante dei cereali
utilizzato per l’alimentazione
dell’ uomo.
Il contenuto di
acqua (umidità) del
frumento è molto
variabile e dipende
dal clima e dall’ambiente
dove viene
coltivato: è possibile
avere da un minimo
di 8% in grani coltivati
in zone a clima
secco ad un massimo
del 17-18% in
grani prodotti in
zone a clima particolarmente
umido.
Il contenuto in
acqua rappresenta,
un notevole indice
commerciale in
quanto varia il peso
specifico del grano e
quindi ne influenza
la resa in macinazione,
la conservabilità
della farina e
le sue caratteristiche
tecnologiche.
Il 72% del peso
della cariosside del
frumento è costituita
da carboidrati o
glucidi, a loro volta
formati dal 60-68%
di amido, dal 6,5%
di pentosani; dal
2-2,5% di cellulosa
e dall’1,5% di zuccheri
riducenti. Il
componente glucidico
più importante
dal punto di vista
14#OI

consigli
nutrizionista
Le proprietà del frumento
è il più
importante
dei cereali
utilizzato per
l’alimentazione
dell’uomo.
tecnologico e di cui il
grano è maggiormente
ricco è l’amido; la sua
importanza tecnologica
è dovuta alla capacità di
assorbire acqua. Notevole
importanza tecnologica,
oltre all’amido, rivestono
anche gli zuccheri riducenti
in quanto sono le
sostanze che permettono
l’attuazione della fermentazione
degli impasti
(farina-acqua) con produzione
di gas. Gli zuccheri
riducenti sono presenti in
minima quantità nel grano
appena raccolto, ma si
formano successivamente
durante la conservazione
sia del grano che della farina,
per azione di enzimi
che trasformano l’amido
in destrina e maltosio.
Il grano contiene una
quantità di proteine
variabile dal 7 al 18%, a
seconda delle tipologie,
mediamente ne contiene
il 12%. Le albumine e le
globuline sono proteine
solubili in acqua (idrosolubili),
mentre le gliadinee
le glutenine sono
insolubili e sono le responsabili
della formazione
del glutine, un reticolo
proteico fondamentale
nella produzione di pane
e pasta. Nel particolare
le gliadine sono molecole
relativamente piccole, di
forma globulare e simmetrica,
con area superficiale
ridotta; ciò determina
una minore tendenza
ad interagire con altre
La quantità
di proteine che
può contenere
il grano varia
dal 7 al 18%
proteine. Un eccesso di
gliadine comporta un impasto
molto estensibile .
Le glutenine presentano
una superficie notevole,
ciò favorisce le interazioni
molecolari. Un eccesso
di glutenine comporta un
impasto molto rigido e
forte (elastico).
La quantità di lipidi presente
nella composizione
chimica del frumento e di
1,5-2% e sono localizzati
principalmente nel germe
(particolarmente ricco in
tocoferoli, che prendono
il nome di vitamina E)
la presenza di sali minerali
la troviamo nella crusca
e nelle cellule aleuroniche
e la loro quantità
oscilla tra l’1,5 e il 2%.
Il frumento contiene notevoli
quantità di alcune
vitamine, quali la tiamina
(B1), la riboflavina (B2),
la niacina, l’acido pantotenico,
l’acido folico, la
biotina, la colina, l’insitolo,
i tocoferoli e la xantofilla,
precursore della
vitamina A.
Le farine derivate da basse
estrazioni (grado di abburattamento)
provengono
principalmente dalla
parte centrale del chicco
e si contraddistinguono
ad occhio nudo per la
loro purezza e candore;
sono denominate in Italia
farina tipo 00. Al contrario,
una farina ad alto
tasso di estrazione (circa
80%) sarà meno chiara in
quanto contiene anche la
farina proveniente dalla
parte esterna del chicco
(strato aleuronico); in
relazione al contenuto in
ceneri (minerali) possono
essere denominate farina
tipo 0, tipo 1 o tipo 2.
Quando la percentuale
di estrazione giunge al
100% si ottiene la cosiddetta
farina integrale,
cioè uno sfarinato comprensivo
anche di crusca.
15#OI

fOOD
Nicoletta Mearelli
blogger
VisualFoodist Roma
www.visualfood.org
www.visualfoodist.it
BOUQUET
DI CALLE
DI MELANZANE
In estate le melanzane
la fanno da
padrone nelle tavole
e il richiamo ai
sapori e gusto della
parmigiana è spesso
evocato in tante
ricette. Vediamo di
creare in pieno stile
VisualFood una creazione
che ricordi
il piatto. Settimo
principio del Visual-
Food: sii creativo:
lasciati ispirare dalle
forme, dai colori e
dagli ingredienti. Gli
ingredienti sono per
un piatto a persona.
INGREDIENTI:
una melanzana grande
basilico
granella di mandorle
parmigiano
olio evo
sale
preparazione:
Tagliare le melanzane
per il senso della lunghezza
e grigliarle alla piastra
o al forno (io oggi ho usato
il forno) cuocerle senza
scurirle troppo. Tagliate
3 pomodorini ciliegina a
filetti e lasciateli perdere
la loro acqua. Fate un
trito grossolano di basilico
e mandorle aggiungere
un pò di olio e tenere
da parte per guarnire il
piatto .
Cotte le melanzane
disponetele a bouquet
come nella foto piegando
ed unendo leggermente
i due lembi sul taglio
orizzontale. posizionate
i filetti di pomodoro.
Mettere la composizione
su una teglia ricoperta di
carta forno, spolverizzate
di parmigiano e mettete
in forno a 180 ° per 4
min. giusto per far si che
il parmigiano si sciolga
e si scottino leggermente
i pomodorini. Togliere
dal forno e inpiattare allo
stesso modo guarnendo
con la salsa di basilico
come per formare dei
gambi. Buon appetito!
17#OI

di Alberto Campagnolo
tecnica
Il grano:
Alberto Campagnolo
tecnico commerciale
cereale della
ricchezza
Nel Paleolitico l’homo
(nomade) sopravvisse
cacciando animali, raccogliendo
frutta e radici
selvatiche. La nascita
dell’agricoltura (già come
la intendiamo noi oggi)
potremmo collocarla
a circa 10.000 anni fa.
In quel periodo l’homo
primitivo cominciò la domesticazione
delle piante
utili al proprio sostentamento,
modificando
prima il suo stile di vita e
poi la sua alimentazione.
La dieta infatti, cambiò
radicalmente integrando
nuove sostanze nutritive;
il genere umano migliorò
notevolmente il proprio
stato di salute vivendo
addirittura più a lungo
(considerando una speranza
di vita all’epoca di
non più di 25/30 anni).
Le coltivazioni aumentarono
la quantità di cibo
disponibile e contribuirono
dunque alla crescita
del numero della popolazione
mondiale (in quel
periodo era di circa
5.000.000 di abitanti).
Fra le piante addomesticate,
il frumento è
quella che condizionò ed
influenzò enormemente
l’evoluzione della nostra
specie; il coltivatore
civilizzato, con il passare
del tempo, poté così
contraddistinguersi con la
presenza di veri e propri
campi di grano.
Alcune credenze popolari,
ritenevano che il
frumento fosse un dono
degli dei: Iside ed Osiride
per gli Egizi, Cerere
(da cui deriva il termine
“cereale”) per i Siciliani,
Demetra per i Greci.
Con il passare del tempo
fu consuetudine da parte
dei popoli attribuire alle
loro terre la nascita spontanea
di questo magnifico
cereale. Questa contesa
può essere confermata da
alcune citazioni: Strabone
(storico greco) attribuì
la paternità alle rive
dell’Indo, Linneo (botanico
svedese) al Caucaso
e Bertoloni (botanico
italiano) alla Sicilia.
Le sementi del frumento
atte alla coltivazione
ormai “intensiva”, 8.000
anni fa intrapresero un
lungo viaggio: partirono
dalla Mesopotamia e dalla
Mezza Luna Fertile
(zone a cui molto probabilmente
è attribuibile
la reale paternità), attraversarono
la Turchia, la
Grecia, i Balcani, l’Italia
ed infine, 3.000 anni fa,
arrivarono a conquistare
l’Europa centrale/occidentale
e la Gran Bretagna.
“Tutta la materia di cui
siamo fatti noi l’hanno
costruita le stelle, tutti gli
elementi,
dall’idrogeno all’uranio,
sono stati fatti nelle reazioni
nucleari che avvengono
nelle
supernove, cioé queste
stelle molto più grosse del
Sole, che alla fine della
loro vita
esplodono e sparpagliano
nello spazio il risultato di
tutte le reazioni nucleari
avvenute al
loro interno. Per cui noi
siamo veramente figli
delle stelle...”
Margherita Hack
...e del Grano.”
...aggiungerei io!
[continua]
19#OI

24#OI

laDiffidate dai tarocchi, affidatevi al marchio igp
e soprattutto ricordate che al taglio la nostra
dolcissima,
rossa
non fa lacrimare!
Tropea
di Anna Aloi
di
La cipolla di Tropea igp è tra i prodotti agroalimentari calabresi più
identificativi grazie alle sue peculiarità: l’ambiente pedoclimatico in
cui viene prodotta e le specifiche componenti genetiche, interagiscono,
garantendo da secoli una bulbosa unica nel suo genere. E’
importante specificare, che essa viene prodotta nelle province di
Vibo Valentia, Catanzaro e Cosenza lungo la fascia tirrenica. Le
proprietà organolettiche di questa bulbosa sono inconfutabilmente
la dolcezza (dovuta in particolare alla consistente presenza di zuccheri
quali: saccarosio, fruttosio, etc.) e la leggerezza (grazie all’alta
digeribilità). Tali caratteristiche sono riconosciute in tutto il mondo
da chef, gourmet, critici enogastronomici e dalla popolazione intera.
Incontestato il suo eccellente profilo organolettico dovuto alle caratteristiche
del terreno, alla vicinanza al mare e quindi alla temperatura e
all’umidità .Prediligere e quindi fare incetta di cipolla rossa di Tropea
è un gesto virtuoso soprattutto per il nostro organismo: antisettica,
diuretica, antibatterica, emolliente, antiasmatica, antinevralgica
e afrodisiaca, contrasta il diabete e l’invecchiamento precoce! La
nostra straordinaria cipolla è presente sul mercato tutto l’anno ma
nelle sue diverse tipologie: in primavera come prodotto fresco ( cipollotto)
o disidratato al sole e dall’inizio dell’estate fino all’inverno,
intrecciato o sfuso!
25#OI

icette
Sformatino tipico con patate
della sila IGP, nduja di suino
e cipolla rossa di tropea igp
INGREDIENTI:
patate a pasta gialla: 600 gr
cipolla rossa di tropea: 2
ricotta fresca affumicata : q.b
nduja di suino: 50 gr
pangrattato: q.b
pomodorini pachino: 8
prezzemolo: q.b
olio evo: q.b
sale & pepe: q.b
preparazione:
Pelate e affettate sottili le cipolle,
poi le patate; prendete una padella
antiaderente cospargete il fondo
di olio evo e soffriggete la cipolla,
aggiungete le patate e portatele
a cottura saltandole spesso fino a
che risulteranno dorate; ungete
i pirottini di olio, cospargeteli di
pangrattato e create all’interno diversi
strati di patate e
cipolle alternati a fette
sottili di ricotta affumicata
e una puntina di
nduja fino a riempire
completamente con
l’ultimo strato di patate;
preriscaldate il forno
a 180° e infornate
gli sformatini per 5/6
minuti nella parte alta
del forno. Sformate i
pirottini direttamente
nel piatto di portata
contornando con spicchi
di pachino e una
spolverata di prezzemolo
fresco.
26#OI

Anna Aloi
presentatrice televisiva
Quì accanto,
Tropea località
S. Irene,
in alto un
carretto tipico
per la vendita di
cipolle, in basso
Santa Maria
dell’Isola, Tropea
Insalatina di tonno rosso al pepe
rosa con cipolla rossa di tropea
igp, marinata al limone di rocca
imperiale igp e profumata al
lime
INGREDIENTI:
preparazione:
filetto di tonno: 600 gr
lime: 1
pepe rosa: q.b
limone: 2
menta fresca: q.b
iceberg: ½
radicchio: 200 gr
1 cipolla rossa di tropea igp
olio evo: q.b
sale & pepe: q.b
Tagliate il filetto di tonno a strisce e
poi a cubetti di un paio di cm; prendete
una terrina , mettete la polpa
di tonno, irrorate con il succo di
due limoni, menta spezzettata (con
le mani), sale, pepe rosa in grani;
amalgamate bene e lasciate marinare
per almeno un paio di ore in
frigo. Prendete la cipolla di Tropea,
l’iceberg e il radicchio e tagliateli a
julienne; condite la cipolla a parte
con olio evo, sale e pepe ( se lo avete,
aggiungete anche qualche goccia
di condimento balsamico).Disponete
sul fondo di un piatto piano un
letto di iceberg e radicchio , adagiate
sopra la cipolla condita e il tonno
marinato. Decorate con qualche
granello di pepe rosa e fogliolina di
menta fresca.
27#OI

CHEF
mese
di Silvia Ruffolo
Erica Liverani
Romagnola dalla nascita,
fisioterapista di professione.
Ha intrapreso il
percorso di MasterChef
Italia quasi per gioco, presentandosi
alle selezioni
del programma con una
ricetta semplice ma “piena
di amore”. Con questi
ingredienti, Erica Liverani
ha convinto i giudici
a spalancarle le porte di
un sogno in cui ha creduto,
piatto dopo piatto, e
per cui si è battuta fino a
trionfare come vincitrice
della quinta edizione del
più ambito talent show di
cucina al mondo.
La tua “storia d’amore”
con la cucina è
iniziata molto prima
della partecipazione
a MasterChef, nonostante
il tuo percorso
personale e gli studi
compiuti siano stati
ben lontani dall’habitat
culinario.
Cosa ti ha spinto a
metterti in gioco tra i
fornelli ed a sfidare la
sorte a colpi di mestoli
e padelle?
“Ho sempre studiato
altro, ma cucinavo con
piacere fin da bambina.
A Masterchef Italia sono
Quinta MasterChef d’Italia, il suo percorso ha
avuto alti e bassi, ma Erica ha dimostrato agli
esigentissimi giudici come sia riuscita a evolvere
la sua idea di cucina tradizionale e di territorio
stata iscritta da due amici,
un po’ per gioco, e una
volta superate le selezioni
ho deciso di impegnarmi
al massimo per dare un
senso a tutti i sacrifici che
stavo facendo. E’ stato
durante le registrazioni
che mi sono davvero appassionata
alla cucina”
La cucina, oggi, sta
cambiando tantissimo.
Il merito, in
parte, è da attribuirsi
agli innumerevoli
talent show sul food
che spostano l’interesse
dei consumatori
verso piatti più salutari.
Nella cucina di
Erica c’è posto per
le contaminazioni
e il fusion,
oppure continuerai
a
prediligere
ricette
legate
alla tradizione ed
ai prodotti tipici
della tua terra e del
Made in Italy?
“Credo che le due cose
possano coesistere infatti
la mia idea di cucina è
proprio questa, una tradizione
rivisitata!
Anche i cappelletti
possono diventare gourmet!
Amo i contrasti che
caratterizzano la cucina
moderna, ma allo stesso
tempo amo portare avanti
le tradizioni che non
devono affatto scomparire”!
Cucinare è innanzitutto
passione.
Eppure risulta sempre
più difficile ottenere
i consensi
di coloro ai quali
è destinato un
piatto. Questo
perché il cibo
non solo deve
soddisfare un
bisogno, ma
anche perché
dovrebbe riuscire
a regalare
emozioni a chi lo
assapora. Quali
sono gli ingredienti
“morali” che Erica
mette in tavola?
“La risposta è nella tua
domanda: la passione!
29#OI

sotto i giudici della 5 stagione di Masterchef Italia,
Bruno Barbieri, Carlo Cracco, Antonino Cannavacciulo
e Joe Bastianich
Quì accanto, Erica insieme
agli altri due finalisti del
programma, Lorenzo De
Guio e Alida Gotta
Non cambierò il mio
modo di cucinare per
accontentare gli altri,
mancherei di rispetto a
me stessa e non riuscirei
a trasmettere emozioni
se sono la prima a non
provarle. Preferisco avere
pochi consensi ma veri e
sinceri”
Il sogno nel cassetto
di ogni chef è quello
di avviare un ristorante
che porti il
personale “marchio
di fabbrica”, rappresentato
proprio
dallo stile culinario
che contraddistingue
ciascun cuoco. Cosa
dobbiamo aspettarci
dai menu di Erica nel
suo futuro ristorante?
“Molto futuro ristorante…
la strada è lunghissima
e la passione non
è sufficiente. Il mestiere
va prima imparato e, da
cuoca amatoriale, sono
consapevole che dovrò
studiare tantissimo. Se
posso permettermi di
fantasticare però il mio
menù sarebbe contraddistinto
dalla tradizione
rivisitata, tutto seguendo
la stagionalità dei prodotti
rispettando il ciclo della
natura”
Di cosa ha paura uno
chef ?
“Non lo so perché non
sono una chef, ma credo
che la paura più grande
sia perdere la passione”
Riguardando il piatto
con cui sei entrata
nella competizione di
MasterChef Italia, è
difficile credere che
quelli presentati in
finale, siano stati eseguiti
dalla stessa persona.
E’ corretto dire
che sia uscita una
Erica diversa ma con
la stessa ambizione e
la stessa determinazione
di quando sei
entrata nel programma?
“Correttissimo! Sono
sempre stata molto
testarda e determinata
e questo si è dimostrato
nella mia crescita durante
il programma. Ho studiato
tutte le notti e a conti
fatti ho fatto bene”!
Di recente hai pubblicato
il tuo primo
libro di cucina “A
piccoli passi – La mia
cucina stagionale”
in cui racconti il tuo
percorso culinario,
partendo da una cucina
semplice e popolare,
proiettata verso
creatività e rielaborazione
delle ricette tipiche
della tradizione
romagnola. Ma come
avviene la ricerca dei
prodotti che utilizzi
nelle tue ricette?
“Dall’orto di casa mia,
quello che raccolgo lo
cucino. Quello che la
natura non mi dà in una
stagione non lo cerco
perché sarebbe comunque
molto più costoso e
privo di sapore. Peccato
che il lavoro dei contadini
sia sconosciuto a tutti…
vorrei poter spiegare ai
nostri bambini cosa avviene
oltre gli scaffali dei
supermercati”
30#OI

icette
Erica Liverani
Cappelletti romagnoli
con asparagi, tartufo
e uovo marinato
TEMPO 45 MINUTI
DIFFICOLTÀ ***
INGREDIENTI:
Per la sfoglia
3 uova
200 gr di farina 00
100 gr di semola rimacinata
Per il ripieno
Un uovo
200 gr di grana padano
50 gr di parmigiano
Una grattugiata di noce moscata
La scorza grattugiata di un limone
Per il condimento
20 gr di burro
300 gr di asparagi
Olio EVO
Sale e pepe
Tartufo bianco
Un tuorlo d’uovo marinato 12 giorni
32#OI
preparazione:
Impastate la sfoglia e lasciatela
riposare per almeno 15 minuti.
Nell’attesa preparate il ripieno
amalgamando i formaggi con l’uovo
e la noce moscata grattugiata.
Lavate gli asparagi ed eliminate la
parte fibrosa, tagliateli, e tenete da
parte le punte. Lessate i gambi in
acqua bollente e, una volta scolati,
frullateli con olio, sale e pepe fino a
ottenere una crema omogenea.
Ora sbollentate le punte tagliate
a metà nel senso della lunghezza,
scolatele e immergetele immediatamente
in acqua e ghiaccio per
fermarne la cottura e conservare il
loro colore acceso.
A questo punto dovrete
formare i cappelletti.
So che non è
un’impresa facile, ci
vuole pazienza, ma
il risultato sarà
proporzionale
all’impegno.
Una volta pronti,
lessateli in acqua
salata, scolateli
e saltateli in padella con burro
fuso, punte di asparagi, parmigiano
grattugiato e tartufo a scaglie.
Salate e impiattate, disponendo
i cappelletti sopra alla crema di
asparagi.
Guarnite il tutto con una generosa
grattugiata di uovo marinato.
Per l’uovo marinato:
prendete una ciotola e fate uno
starto di sale e di zucchero, disponete
i tuorli e coprite bene con la
mistura. Fate riposare coperto con
la pellicola. Dopo 3-4 ore avrete un
tuorlo duro fuori, ma all’interno
cremoso, buonissimo nelle insalate.
Se invece volete lasciarlo
indurire, riponete tutto in
un barattolo di latta o in un
contenitore non ermetico,
lasciatelo riposare
in luogo asciutto e
fresco e dopo due
settimane avrete il
vostro tuorlo marinato
da grattugiare.

Tortino
di cioccolato amaro
e zabaione al caffè
TEMPO 60 MINUTI
DIFFICOLTÀ **
INGREDIENTI:
Per il tortino
125 gr di cioccolato fondente
125 gr di zucchero a velo
125 gr di burro
2 uova
Un cucchiaio di cacao amaro
Per lo zabaione
6 tuorli
140 gr di zucchero
Un bicchierino di rum
Una tazzina di caffè forte
Le ricette e le foto di Erica Liverani,
vincitrice della quinta edizione di
MasterChef Italia, sono tratte dal
suo libro “A piccoli passi – La mia
cucina stagionale”.
preparazione:
Per prima cosa preparate il tortino
che andrà servito freddo. In una
casseruola fate sciogliere il cioccolato
con il burro (meglio se a
bagnomaria o, in alternativa, nel
microonde) e amalgamateli.
In una bacinella sbattete le uova
intere con lo zucchero a velo,
quindi incorporate il composto di
burro e cioccolato e continuate a
montare.
Una volta che il composto avrà
preso volume distribuitelo negli
stampini monodose (in carta o in
silicone) e cuoceteli a bagnomaria
nel forno a 200°C per 15/20
minuti. Sfornateli, lasciate raffreddare
quindi estraete i tortini dagli
stampi. Spolverateli con il cacao
amaro.
Al momento di servire preparate lo
zabaione unendo i tuorli e lo zucchero
in una terrina; montateli fino
a ottenere un composto omogeneo,
poi unitevi il caffè e il rum, senza
smettere di mescolare.
Trasferite il tutto in una casseruola.
Cuocete a bagnomaria sbattendo
continuamente il composto, facendo
attenzione che nella casseruola
sottostante l’acqua non raggiunga
mai il bollore. Quando lo zabaione
diventerà gonfio e spumoso, spegnete
la fiamma.
Servitelo ancora caldo accompagnato
dal tortino al cioccolato.
33#OI

storie
pane
di Adamo Sacco
La farina macinata
a pietra: proprietà e pregi.
di
La tecnica di macinazione a pietra è il metodo più antico e ancora
insuperato nella produzione di farine di alta qualità.
In breve: il mulino a pietra odierno si presenta come un cilindro,
rivestito esternamente in legno, ma in acciaio nella parte interna, che
avvolge le due ruote in pietra: il grano entra da un’apertura nella
parte superiore attraverso una sorta di grosso imbuto ( tramoggia)
posta sopra il cilindro che funge anche da contenitore per chicchi.
Le macine sono due ruote in pietra speciale sovrapposte che triturano
il grano e lo sfarinato passa in un setaccio detto buratto che
separa la crusca dal cruschello.
Perché preferire farine macinate a pietra?
La scarsa velocità della ruota mobile mantiene bassa la temperatura
durante la molitura e fa si che la farina non corra alcun rischio di
“cottura”, preservandone al meglio le qualità organolettiche.
Il germe e gli oli essenziali del chicco di grano s’impastano con la
parte amidacea dando alla farina una colorazione sul bianco avorio
con punteggiature beige scuro: si garantiscono profumi più complessi,
maggior gusto e conservazione di molte proprietà benefiche presenti
nel grano. Questa è la mia idea di un pane antico e pieno di profumi.
Pane rustico
con farina integrale
macinata a pietra;
metodo diretto
Pagnotta o Filone
Tempo di cottura 40 minuti
a 10 minuti da fine cottura
aprire le valvole.
INGREDIENTI:
kg. 10 Farina integrale a pietra
l. 7 Acqua
g. 200 Sale
g. 220 Lievito compresso
preparazione:
Impastare tutti gli ingredienti per
5 minuti in prima velocita’ e 8/10
minuti in seconda velocità fino ad
ottenere una pasta liscia ed omogenea.
Lasciare riposare per 60 minuti
circa.
Dividere l’impasto in pezzi da
350/400 g circa.
Arrotondare e lasciare riposare per
10 minuti.
Formare un filoncino allungando
con le mani assottigliando le punte.
Mettere nei telai e successivamente
far lievitare in cella di lievitazione
per 50/60 minuti alla temperatura
di 35° gradi C con umidita’ R. del
70/80% circa.
Infornare a temperatura moderata
con molto vapore.
extravergine
di Laura Bellisario
Oliva
la Dolce
di Rossano
In questo numero di Originale
Italiano, vi presentiamo una cultivar
dalle caratteristiche eccezionali:
la Dolce di Rossano.
Ritroviamo prevalentemente
questa varietà nella denominazione
di origine protetta DOP
Bruzio- Menzione geografica
“Colline Joniche Presilane” (minimo
70%), nelle menzioni “Sibaritide”(massimo
30%) e “Valle
Crati” (massimo 20%), nonché
nella denominazione di origine
protetta DOP “Alto Crotonese”
dove la presenza massima
consentita è del 30 %. Varietà
presente in quasi tutta la provincia
Cosentina con maggiore
diffusione nel versante Jonico,
da Rossano a Cirò, è presente e
caratterizza circa 20.000 Ha di
superficie olivetata regionale.
Pianta di elevata vigorìa e portamento
assurgente, con foglia ellittico-lanceolatadi
media grandezza
e di colore verde intenso.
Il frutto, a maturazione tardiva,
è di forma sferoidale, medio/
piccolo (2 g), a maturazione è
di colore nero vinoso, destinato
principalmente alla produzione
di olio. La produttività è
alternante con una resa in olio
superiore al 20 %. E’ una varietà
auto compatibile, sensibile alla
mosca e all’occhio di pavone.
Il profilo sensoriale dell’olio
extravergine ricavato da queste
cultivar è caratterizzato, da un
livello medio di fruttato di olive
colte al giusto memento di maturazione.
Leggere sensazioni di
erba-foglia di olivo, carciofo e
pomodoro ne completano il profilo
aromatico. In bocca subito
dolce, con un livello leggero di
amaro e piccante, con sentore
prevalente di mandorla fresca e
pinolo.
35#OI

testimonianze
Federico Rotella
corsisti
Federico Rotella
Catanzaro
Nel luglio
del 2015 ho
frequentato
un corso per
pizzaiolo con
la Scuola
Italiana
Pizza, con
gli istruttori
Davanzo e
Intrieri, è
stata una
bellissima esperienza che mi ha
permesso addirittura di trovare
subito impiego come aiuto
pizzaiolo. Ora invece dopo un
anno di “gavetta” sono il pizzaiolo
ufficiale di un locale nella
mia città, amo questo mestiere
e sono felice di aver fatto questa
scelta che consiglio a tutti. Grazie
a tutti e grazie alla Scuola
Italiana Pizza!!
ESperto
Salve Maestro, sono Chiara
da Ancona, faccio di professione
l’infermiera e sovente
mi diletto a fare qualche pizza
insieme al mio compagno,
vorrei chiederle un consiglio
poichè ho da sempre problemi
con la stesura dell’impasto,
ovvero quando inizio a
stendere, la pasta nella teglia
si ritira, come posso evitare
che ciò accada? Dove sbaglio?
Ciao Chiara, ti ringrazio per la
fiducia che hai in me, e spero che
il mio consiglio possa esserti utile il
più possibile.
Ora vediamo nello specifico di
cosa si potrebbe trattare: L’errore
che comunemente si commette in
questi casi è l’acquisto della farina
sbagliata, magari con troppe proteine,
infatti se leggi bene sul lato
Michele Intrieri
istruttore professionista
del pacchetto di farina che acquisti,
noterai che c’è uno specchietto con
i valori nutrizionali, e su una di
queste righe c’è scritta la quantità
di proteine che contiene su 100 gr
di prodotto, di fatti noi sappiamo
che circa l’84 % delle proteine
contenute dalla farina sono proteine
insolubili, ovvero quelle che
mescolate all’acqua si uniscono e
formano la maglia glutinica, quindi
più proteine ci sono nella farina,
più il nostro impasto sarà ( per
semplificare il concetto) elastico e
tenace. La cosa da fare in questi
casi è allungare i tempi di lievitazione
e magari la quantità di acqua
e di olio nell’impasto. Io ti consiglio
di utilizzare farine con poche
proteine, da 10 a 11,5 , avrai meno
difficoltà nell’impastare a mano e si
stenderà molto meglio. In bocca al
lupo e divertiti a sperimentare!!
36#OI

vostre
chef
i biscottini
di Chanel e Lorenzo
INGREDIENTI
per 50/60 biscotti:
Farina 300 g
Burro 100 g
Zucchero 100 g
Lievito in polvere 1/2 bustina
Limoni la buccia grattugiata di 1/2
Uova 2
Zucchero al velo q.b.
preparazione:
La passione per la cucina non
risparmia proprio nessuno. Originale
Italiano vuole
dare spazio anche alla
creatività dei piccini
che, alle prime armi
con impasti e fornelli,
mettono alla prova
le loro doti culinarie
avvalendosi della guida
delle loro mamme e
maestre. Ve li presentiamo.
In questo numero
Chanel e Lorenzo, 9
anni, di Cosenza.
Abbiamo versato tutti gli ingredienti in un contenitore e amalgamato
fino ad ottenere un impasto omogeneo. L’abbiamo lasciato riposare,
avvolto nella pellicola trasparente, per almeno 1 ora in frigorifero.
Successivamente abbiamo steso l’impasto in una sfoglia dello spessore
di ½ cm e, con degli stampini di diverse forme, abbiamo ricavato
delle sagome e disposto le stesse su una teglia ricoperta da carta
forno.
Abbiamo infornato le sagome a 180° per circa 20 minuti. Una volta
sfornati i biscotti li abbiamo fatti raffreddare e per ultimo li abbiamo
decorati con zucchero a velo.
amatoriali
Mi chiamo Marcello Surace, ho 47 anni e vivo a Palmi (rc).
Sono appassionato di cucina in genere ma in particolar modo di pizza e
di pane.
E’ da circa 6 anni che mi diletto divertendomi parecchio nel realizzare
i vari prodotti. Devo dire che non mi sono mai stancato di migliorarmi
sempre più studiando, approfondendo e provando le varie tecniche. Dico
questo perché vedo molti pizzaioli e panettieri professionisti che ignorano
moltissime cose del loro mestiere.
La pizza che vi presento è una pizza tonda classica al piatto, fatta a casa
ma in un forno semi professionale che raggiunge alte temperature..
preparazione: setacciare la farina di farro; sciogliere il lievito in
600 gr di acqua insieme al malto; fare girare in prima velocità l’impa-
38#OI

statrice con il gancio a spirale per 3 minuti circa unendo acqua, lievito,
malto e farro. Poi aggiungere un poco per volta tutta la farina tipo 1 e
continuare ad impastare per circa 5 minuti fino al completo assorbimento.
Dopo sciogliere il sale in 50 gr di acqua e aggiungerla a filo all’impasto
portando l’impastatrice in seconda velocità. per circa 5/7 minuti inserendo
la rimanete parte di acqua (50 gr) . Alla fine aggiungere l’olio per
farlo assorbire totalmente. L’impasto si dovrà staccare dalle pareti della
vasca dell’impastatrice, sarà aggrappato al gancio formando una specie di
trottola (incordatura), si presenterà liscio, elastico e non appiccicoso.
E’ di fondamentale importanza sapere che la seconda parte di acqua (100
gr) va inserita lentamente per permettere all’impasto di assorbirla senza
che perda l’incordatura o il nervo. La durata dell’impastamento non deve
essere superiore ai 20 minuti per non correre il rischio di strappare la maglia
glutinica con la conseguenza del collassamento dell’impasto. Finita la
fase di impastamento, si fa riposare per circa 60/90 minuti (puntata) per
fare partire i lieviti, chiuso in un contenitore per non farlo seccare; poi
si pone in frigo a t.c. di 4 gradi per 48/72 ore; 3/5 ore prima di infornare
(estate/inverno) si fanno le palline di 250 grammi circa (staglio) e si
rimettono a lievitare chiusi nel contenitore apposito (apretto). Dopo una
corretta stesura va cotta in 2/3 minuti nel forno elettrico professionale
a 320/350 gradi distribuendo il calore 8/9 cielo e 1/0 platea per non
rischiare di bruciarla.
Metodo Diretto
INGREDIENTI
Per l’impasto
800 gr di farina tipo 1 w 320/330
200 g di farro bianco
700 gr di acqua a temperatura
ambiente
3 gr di l.b.f.
10 gr di malto d’orzo semiliquido
10 gr di olio evo
Per la farcitura
mozzarella fior di latte; in uscita
melanzane cotti al forno,
scaglie di parmigiano reggiano
basilico
olio evo
casalinghi
Calamari
ripieni al pistacchio
con patate
Ciao a tutti,
il mio nome è Franca e vivo nella provincia di Reggio
Calabria. Vissuta in Piemonte fin da bambina,
dopo molti anni ho deciso di tornare nella terra
dei miei genitori, portando con me conoscenze e tradizioni culinarie
differenti da quelle calabresi. La mia passione per la cucina, il mio
amore per le terre meridionali e per i suoi sapori intensi, mi ha così
permesso di sperimentare negli anni diverse ricette alla ricerca di un
punto di contatto tra due tradizioni spesso molto differenti, ottenendo
spesso risultati più che soddisfacenti.La ricetta che ho scelto per voi
si ispira ai sapori della vicina Sicilia poichè ho scelto di esaltare un
ingrediente gustoso e ricco come il calamaro, attraverso il gusto elegante
e dolce del pistacchio di Bronte!
INGREDIENTI
4 Calamari
2 cucchiai di pistacchi tritati
3 manciate di mollica di pane
3 manciate di formaggio grattugiato
un cucchiaio di capperi
Prezzemolo
Patate
Sale
Olio
preparazione:
Per il ripieno: tritate prezzemolo,
capperi e pistacchi,
uniteli alla mollica di pane
e al formaggio grattugiato.
Tagliate i tentacoli più teneri
dei calamari in piccoli pezzetti
e uniteli al preparato.
Riempite i calamari con ¾
del ripieno e chiudeteli con
uno stuzzicadenti.
Tagliate le patate a rondelle
di 1 cm di spessore, prendete
una teglia e fate una base di
patate.
Adagiate i calamari sulle
patate e i restanti tentacoli
tagliati in pezzi grossi. Coprite
il tutto con il restante ripieno
dei calamari.
Insaporite con sale e olio e
informate a temperatura media(
180°-200° ) per 30 minuti
circa.
39#OI

di Silvia Ruffolo
Kitchen l’Intervista
Maurizio Rosazza Prin
Lo scorso 3 maggio è
partito il nuovo programma
TV in onda su Gambero
Rosso Channel:“Football’s
Kitchen”. Calcio
e cucina insieme per raccontare,
in ogni puntata,
le passioni culinarie dei
campioni del pallone. La
conduzione del programma
affidata al giornalista
sportivo Massimo Ugolini
di Sky vede la collaborazione
dello Chef Maurizio
Rosazza Prin, finalista
dell’edizione 2012/2013
di MasterChef Italia. A
lui abbiamo rivolto qualche
domanda…
L’alimentazione di
un atleta influisce
sulle sue prestazioni
sportive?
“Certo, l’alimentazione
di un atleta costituisce
il suo 70%. Io non sono
un calciatore ma cerco
di tenermi in forma con
uno sport impegnativo.
Purtroppo però mi piace
mangiare. I mie “sgarri”
e le giornate in cui mi vizio
sono molte. Quelle di
un sportivo professionista
meno. Ma nei loro giorni
liberi, credetemi, sono
esseri umani. Si concedono
un buon pasto e un
buon vino. Come tutto
nella vita basta sapersi
regolare”
La dieta di uno sportivo
può condizionare
il suo stile di vita?
“Assolutamente si. Bisogna
però alternare
godimento e sacrificio.
Viziarsi aiuta a star bene,
anche psicologicamente.
Alcuni atleti fanno del
loro stile di vita un punto
in più, come dire…non
basta solo il talento. Un
campione è anche molto
disciplinato. Non credo
che gli atleti che si ammazzano
in discoteca o
fanno tardi alla sera o
mangiano senza freni
durino molto nel mondo
dello sport attuale. Certo
non devono neanche
essere dei monaci di
clausura dediti al culto
del no carb. L’equilibrio è
il segreto”
il giornalista sportivo Massimo Ugolini
di Sky e lo Chef Maurizio Rosazza Prin,
conduttori del nuovo programma in
onda sul canale 414 di SKY
Quali sono i cibi a cui
uno sportivo deve rinunciare
per “mantenere”
la forma fisica?
“Fritto. Super alcolici.
Troppi carboidrati o
grassi saturi. Mangiare
invece pesce, frutta secca,
verdure.
Vi dò una lista dei super
alimenti che dovrebbero
essere nel frigo di uno
sportivo:
quinoa, avocado, e un
buon mix per una centrifuga.
E’ importante
imparare ad assumere
carboidrati anche dalla
frutta e dalla verdura. In
Football’s Kitchen, tanto
pesce e verdura. Piatti
piccoli e sfiziosi. Senza
troppe restrizioni. Noi li
viziamo nel giorno libero.
Per rimanere in forma
mangiate le verdure
prima di cena o pranzo,
vi sazieranno. Non
siate ossessionati dalla
colazione e dai 5 pasti
per forza. Ascoltate
il vostro corpo, e
quando vi chiede del
cioccolato dateglielo,
magari è un modo
per chiedervi del
magnesio.
Vi dò un consiglio,
provate a togliere
degli alimenti e a
metterne degli altri.
Fate degli esperimenti
insomma e
vedete come reagisce
il vostro corpo e la
vostra performance”
Qual è il menu ideale
per un campione, dal
punto di vista nutrizionale?
41#OI

“Secondo me pochi carbo
nella prima parte della
giornata. Iniziare con
frutta, verdura, frutta secca.
Integrare con qualche
centrifuga. E soprattutto
cucinare a casa. Anche lo
sgarro diventa più salutare
e controllato. Dare
spazio al mondo vegetale,
alle alternative. Pasta integrale,
di segala, di riso,
quinoa, avena.
Pollo, pesce. Carne rossa
poca ma buona. Formaggi
stagionati non troppo
grassi. E frutta, anche in
abbinamento al secondo.
Provate le fragole col
basilico, con un pizzico
di sale, olio pepe e aceto
balsamico. O tagliate la
seppia con la forma di
troffia, spadellatela a fuoco
vivo, poi conditela con
un po’ di pesto leggero
fatto in casa. Servitela su
un letto di rucola. Sarà
una cenetta perfetta e
sfiziosa. Questa ricetta
la trovate anche sul mio
blog “ChisseneFood”…
Un bicchiere di buon
vino fa bene all’umore,
basta non esagerare. Poi
dipende da voi.
Io qualche sgarro lo
faccio. E non rinuncio
ad un bel piatto di pasta.
Quindi corro e mi alleno
di più!
E se siete un atleta datevi
una regolata, vedrete
risultati. Ultima cosa non
demonizzate gli integratori,
un buon multivitaminico
o gli omega 3 vi
aiuteranno a colmare le
lacune di un cibo che sta
diventando sempre più
povero…sotto il profilo
vitaminico. Quindi non
spaventatevi”!
In alto ChisseneFood,
il blog di Maurizio
Rosazza
42#OI

Michele Intrieri
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Cosenza
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Belgio - Seraing
43#OI

carne
di
lussodi A.
Libero
il manzo di Kobe
Mangiare è una necessità
e al tempo stesso un
piacere.
Esistono due concetti fondamentali
legati all’atto
del nutrirsi. Il primo ha
un ambito salutistico ed
estremamente contemporaneo:
il cibo influisce, e
a volte determina, salute
o malattia. Il secondo è
legato al piacere. Il cibo è
senza dubbio uno dei più
importanti piaceri della
vita.
Intorno al cibo ruota
tutta la nostra vita: ogni
passo della nostra vita
è sancito da una “bella
mangiata”. Non c’è festa
se non c’è cibo, non si
può chiacchierare se non
seduti a un tavolo, non si
può far visita a qualcuno
che non ti offra cibo.
La carne Kobe è sinonimo
di “manzo di alta
qualità”.
Qualcuno dice sia la
migliore al mondo, altri
raccontano di allevamenti
in cui le mucche sono
nutrite con cereali e birra,
massaggiate con sake
mentre ascoltano musica
classica…insomma un
vero mito alimentare.
Nel 1869 Kobe è stato
il primo porto ad aprire
agli stranieri che hanno
così potuto assaggiare
questa prelibatezza
diffondendone
poi la fama nel mondo.
Ma da dove salta
fuori questo alimento?
Per scoprirne le origini
dobbiamo dare un’occhiata
all’altro lato del
mondo, precisamente
in Giappone.
Nel paese del Sol Levante,
infatti, esistono
diverse razze bovine
genericamente denominate
Wagyu. Tra
queste è compresa appunto
la nota Kobe beef,
allevata nella regione di
Hyogo, circa 500 km a
sud di Tokio.
Sul fatto che sia la carne
più buona del mondo,
se ne potrebbe parlare
per mesi, certo è che si
tratta di una carne molto
diversa da quella irlandese,
italiana, scozzese o
argentina.
La particolarità di avere
una gran quantità di
grasso infiltrato nelle
masse muscolari “marmorizzate”
le conferisce
un sapore vellutato.
Il filetto cotto alla piastra
è delizioso: le sottili venature
di grasso si sciolgono
rendendo la carne burrosa
e impreziosendola.
Un risultato insomma,
davvero speciale, un
gusto diverso da quello a
cui normalmente siamo
abituati.
Sotto l’aspetto nutrizionale,
i grassi, sebbene
presenti in quantità
notevoli - anche oltre il
20% - hanno una elevata
componente di polinsaturi
che non concorrono
all’aumento del colesterolo.
Se comunque non è la
gola a frenare il consumo,
lo farà certamente il portafoglio,
perché la carne
originale Wagyu di Kobe
beef è rarissima e può
costare oltre 1.000 euro
al chilo!
Il prezzo è giustificato
dalla rarità, ma anche
dal particolare metodo
di allevamento, basato
sull’alimentazione dei
bovini con preziosi cereali
(frumento, orzo, riso),
fieno, e su cure continue,
con massaggi e crescita
senza stress, allietati da
un sottofondo musicale.
Se è vero che la gastronomia
è una scienza che
studia la felicità e il cibo
è il suo fattore principale,
allora possiamo dire
che assaporare un buon
manzo di Kobe diventa
un atto di conoscenza
che non si esaurisce nella
consumazione del pasto.
Gustare questa carne è
un’esperienza a cui nessuno
dovrebbe rinunciare!
44#OI

ITALIA
Ciao a tutti
il mio nome
è Anna sono
Siberiana di
Barnau dove
gestisco dei
Market con
prodotti di
eccellenza
italiane, precisamente
mi occupo del reparto
panetteria e pasticceria, amo
l’Italia da impazzire e con la mia
professione cerco di stabilire un
ponte enogastronomico tra Russia
e Italia. Forse pochi sanno
che anche da noi la cucina italiana
è molto apprezzata e amata,
oggi vi presento una ricetta che
piace tantissimo alla gente del
luogo, ovvero i Rotoli di Zucca
con crema di Parmigiano,
io la preparo così:
Molino Grassi è un’azienda italiana presente sul territorio da oltre 80
anni. La sua peculiarità è quella di ricercare e utilizzare solo le migliori
materie prime, italiane ed estere, al fine di offrire prodotti realmente
superiori, sia in termini di qualità che di valori nutrizionali.
Le tecniche di produzione - artigianali e tecnologiche al tempo stesso -
la rendono azienda leader europea del biologico e punto di riferimento
per la sperimentazione di nuove varietà di grano e tipologie di prodotti:
la linea biologica e il baby food, i grani antichi, il Kronos, il Kamut, il
farro e la linea QB.
Semole e farine specificatamente create per trasformare i valori del
Made in Italy in prodotti finiti di qualità: dolci, pane, pasta e pizza.
La specialità dei prodotti Molino Grassi è l’ incessante ricerca delle
eccellenze alimentari in un processo che va dalla coltivazione alla lavorazione:
“se il cuore dei prodotti migliori è una buona farina, allora il
cuore di una buona farina è l’impegno di chi la crea”.
Tagliare
la zucca a
pezzi piccoli e
asciugarla nel
forno. Dopo
soffriggere
la cipolla e
aggiungere
la zucca,
fare cuocere
aggiungendo
poco latte e noce moscata.
Quando è cotta e fredda aggiustare
con un poco di panna e
grana padano macinato.
Preparare l’impasto dei cannoncini
fare delle piccole palline e
dalle palline fare dei bastoncini
da sistemare nello stampo. Friggere
e sformare.
Riempire i cannoncini ottenuti
con il nostro ripieno di zucca e
ricoprirli con la crema di panna
che abbiamo preparato facendo
sciogliere il grana padano nella
panna.
Per guarnirli useremo della glassa
di aceto balsamico.
Buon appetito dalla Siberia.
Art. P51
Pala per pizza al metro
in legno di faggio
Dim. 120x30
Art. P52 Dim. 120x35
Art. P53 Dim. 120x40
Prodotto Italiano
Prodotto Italiano
45#OI

scegli il meglio, mangia sano
#OriginaleItaliano