TRAKS MAGAZINE #20
Ecco la nuova edizione di TRAKS MAGAZINE: in copertina Miza Mayi, e poi interviste a ThePrice, Sque, Luca Burgio, Lo-Fi Poetry, Nero Kane, Roberto My, A Red Idea, I miei migliori complimenti, Medicamentosa, Nevica, Ground Control, Andrea Andrillo
Ecco la nuova edizione di TRAKS MAGAZINE: in copertina Miza Mayi, e poi interviste a ThePrice, Sque, Luca Burgio, Lo-Fi Poetry, Nero Kane, Roberto My, A Red Idea, I miei migliori complimenti, Medicamentosa, Nevica, Ground Control, Andrea Andrillo
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<strong>MAGAZINE</strong><br />
Numero 20 - Gennaio 2019<br />
MIZA MAYI<br />
ho smesso di nascondere<br />
le emozioni<br />
LUCA BURGIO<br />
THE PRICE<br />
NERO KANE<br />
SQUE
sommario<br />
4<br />
8<br />
12<br />
16<br />
18<br />
20<br />
24<br />
28<br />
32<br />
36<br />
40<br />
44<br />
48<br />
52<br />
Miza Mayi<br />
ThePrice<br />
Sque<br />
Luca Burgio<br />
Lo-Fi Poetry<br />
Nero Kane<br />
Roberto My<br />
A Red Idea<br />
I miei migliori complimenti<br />
Medicamentosa<br />
Nevica<br />
Ground Control<br />
Andrillo<br />
Quellochesentivo<br />
Questa non è una testata giornalistica poiché viene aggiornata<br />
senza alcuna periodicità. Non può pertanto<br />
considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge<br />
n. 62/2001. Qualora l’uso di un’immagine violasse<br />
diritti d’autore, lo si comunichi a info@musictraks.com<br />
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MIZA MAYI<br />
ho smesso<br />
di nascondere<br />
le mie emozioni<br />
Un esordio ricco di anima: dopo esperienze in band ecco il primo<br />
disco “Stages of a Growing Flower”, tra influenze nu soul,<br />
electro pop, electric jazz, lounge, funky<br />
Stages of a Growing Flower è il<br />
tuo esordio: perché hai deciso<br />
ora di tentare questa avventura<br />
solista? Come hai capito di essere<br />
pronta?<br />
Ero molto gelosa delle mie composizioni<br />
soprattutto dopo aver<br />
avuto delle esperienze negative in<br />
questo ambito. Ho capito di essere<br />
pronta per l’avventura da solista<br />
dopo l’uscita della compilation<br />
Pinkpolkadots vol. 1. Si tratta di<br />
un progetto nato insieme a Jessica<br />
Cochis ed Eros Cristiani, lavorare<br />
con loro è davvero stimolante,<br />
sono dei grandi professionisti,<br />
mettono il cuore in tutto ciò che<br />
fanno. Si è creata una bella sinergia,<br />
loro mi hanno compresa in<br />
quanto artista e io mi sono affidata<br />
a loro, niente di più semplice.<br />
Presenti il disco come un concept<br />
album autobiografico: è stato<br />
complicato “aprirti” nelle canzoni<br />
che scrivi e canti?<br />
C’è molto della mia vita in questo<br />
disco, è tutto reale, ogni immagine<br />
è stata vista, ogni sensazione è<br />
stata sentita da me in prima persona.<br />
Ho semplicemente smesso<br />
di nascondere le mie emozioni,<br />
non è stato facile ma è un percorso<br />
che prima o poi un artista deve<br />
fare, quando pubblichi qualcosa<br />
la tua esperienza diventa a portata<br />
di tutti, è un concetto che inizialmente<br />
può spaventare.<br />
Europa, Africa e (almeno a livello<br />
di ispirazione) America:<br />
quanto pesano nella tua cultura<br />
e nella tua musica i continenti?<br />
Non mi sono mai posta limiti geografici,<br />
mi definisco afro-eclettica,<br />
mi piace selezionare tutto ciò che<br />
mi ispira a livello ritmico e sonoro.<br />
Sono cresciuta ascoltando Paolo<br />
Conte, Dave Brubeck, Lokua<br />
Kanza perciò ho un infinito mondo<br />
di suoni dal quale attingere. Ri-
cordiamoci che la race music, oggi<br />
nota come black music, contiene<br />
una varietà di generi incredibile,<br />
parliamo di spiritual, gospel,<br />
blues, jazz, swing, R&B, rock&roll,<br />
fino ad arrivare al soul, funk, hip<br />
hop, tutta questa musica si è generata<br />
e si è evoluta solamente<br />
grazie al bagaglio culturale che<br />
gli schiavi africani hanno portato<br />
con sé. L’Africa è una madre<br />
musicale generosa, molto generosa.<br />
Inoltre avvalendomi delle<br />
conoscenze musicali di Eros e<br />
Jessica Cochis che sono co-autori<br />
arrangiatori e produttori del cd,<br />
abbiamo esplorato alcune nuove<br />
tendenze di questo millennio.<br />
Difficile “evadere” da una domanda<br />
che ti chieda un giudizio<br />
sulla gestione del fenomeno migrazione<br />
in questi anni...<br />
Siamo figli di questa Terra, siamo<br />
tutti fratelli, fosse per me non esisterebbero<br />
né nazioni, né religioni<br />
proprio come cantava John Lennon.<br />
Il problema è che chi è al potere<br />
ha la capacità di annebbiarci<br />
la mente, ha la capacità di dividerci,<br />
creare un nemico da combattere,<br />
divide et impera: la storia insegna.<br />
Per me i nemici non esistono,<br />
esiste solo l’intelligenza e la stupidità.<br />
Vorrei sapere qualcosa sulla genesi<br />
di Kundalini Love<br />
Kundalini Love è un brano scritto<br />
e composto insieme ad Eros<br />
Cristiani, la musica è sensuale e<br />
mistica. Il piano di Eros è conduttore,<br />
dopodichè ci servivano dei<br />
suoni un po’ magici. Quindi abbiamo<br />
fatto suonare il dobro e le<br />
chitarre acustiche a Nicola Oliva<br />
(Pausini, Vanoni), e il dobro con-<br />
cede appunto al brano una connotazione<br />
mistica e morbida. Le<br />
ritmiche sono state studiate intorno<br />
alla musica e Roberto Gualdi<br />
(PFM-Vecchioni ) con la batteria<br />
ha creato un ottimo flow, che si<br />
sposa perfettamente con le nostre<br />
intenzioni. Testualmente qui<br />
ho voluto raccontare di un amore<br />
bellissimo, che profuma di olio di<br />
cocco e vaniglia, un’intensità carnale<br />
e spirituale, qualcosa di cui<br />
non possiamo fare a meno. E’ un<br />
amore che ci fa perdere la testa,<br />
una passione terrena che mette in<br />
connessione il nostro io profondo<br />
con tutto ciò che ci circonda. E’<br />
un tipo di amore che ognuno di<br />
noi vorrebbe di vivere.<br />
6<br />
7
THE PRICE<br />
Il nuovo progetto del chitarrista Marco Barusso si dipana tra le esperienze<br />
del passato, film noir e collaboratori eccellenti<br />
Vuoi raccontare come sei approdato<br />
al tuo nuovo progetto, The<br />
Price?<br />
Nel corso degli anni, oltre a occuparmi<br />
di musica come “addetto<br />
ai lavori”, ho anche fatto parte<br />
di due band, prima degli Heavy<br />
Metal Kids e successivamente dei<br />
Cayne, con i quali ho scoperto di<br />
essere in grado di scrivere anche<br />
brani miei. Quando si è interrotta<br />
la mia collaborazione con i<br />
Cayne, per un certo periodo non<br />
ho più voluto saperne di fondare<br />
un’altra band. Però il lupo perde il<br />
pelo ma non il vizio, quindi piano<br />
piano nella mia mente ha preso<br />
forma l’idea di raccogliere i brani<br />
che avevo scritto negli ultimi dieci<br />
anni, fino ad allora rimasti in un<br />
cassetto, e di registrare un album<br />
coinvolgendo un po’ di amici con<br />
cui da sempre avrei voluto collaborare.<br />
In seguito questo progetto<br />
si è anche sviluppato in una vera e<br />
propria band, con cui ho già fatto<br />
diversi concerti.<br />
Oltre che chitarrista e autore, sei<br />
ingegnere del suono, produttore<br />
e arrangiatore: che idee sonore<br />
volevi portare nell’album?<br />
L’album, essendo costituito da<br />
brani scritti in diversi periodi<br />
della mia vita e in collaborazione<br />
con cantanti diversi, ha per sua<br />
natura molte influenze stilistiche<br />
e attinge di volta in volta dal metal,<br />
dal grunge degli anni ’90, dal<br />
nu-metal, dalla new wave anni ’80<br />
e dal rock alternativo moderno.<br />
Per me è stato importante fissare<br />
quelli che io chiamo “paletti” per<br />
delineare la strada del progetto; è<br />
un procedimento che adotto ogni<br />
volta che affronto una produzione<br />
e che mi permette di stabilire<br />
le caratteristiche stilistiche dentro<br />
cui muovermi, per dare al lavoro<br />
un suono coerente, mantenendo<br />
però una certa eterogeneità. I brani<br />
dovevano essere riproducibili<br />
dal vivo, potenti ma non troppo<br />
pesanti, e con un forte impatto<br />
melodico; volevo che fossero divertenti<br />
da suonare ma non cervellotici<br />
o troppo intricati. Non<br />
amo l’autoreferenzialità di chi “si<br />
suona addosso”. Infatti, malgrado<br />
io sia un chitarrista, molti dei miei<br />
pezzi non hanno nemmeno un<br />
solo di chitarra e non se ne sente<br />
la mancanza.<br />
Come nasce la collaborazione<br />
con Enrico Ruggeri?<br />
La collaborazione con Ruggeri è<br />
nata prima di The Price, quando<br />
ho avuto il piacere di produrre<br />
alcuni suoi brani, tra cui Il primo<br />
amore non si scorda mai, che gli<br />
è valso il 4° posto in classifica al<br />
Festival di Sanremo 2016. Proprio<br />
mentre stavamo lavorando al pezzo,<br />
chiacchierando, Enrico mi ha<br />
svelato che è da sempre un fan del<br />
8<br />
9
ock più pesante. Mi ha parlato<br />
del suo amore per Alice Cooper e<br />
del fatto che negli anni ’80, malgrado<br />
facesse dei concerti quasi<br />
metal, tutti gli dicevano che la sua<br />
voce bassa e profonda non era<br />
adatta per quel genere, che secondo<br />
l’immaginario comune richiede<br />
un cantato su registri molto<br />
alti, tipicamente femminili (come<br />
Robert Plant e i Motley Cure per<br />
intenderci). A quel punto ho deciso<br />
di fargli ascoltare un po’ di<br />
brani di band che, mantenendo<br />
una musica comunque oscura e<br />
pesante, avevano dei cantati molto<br />
efficaci ed espressivi, ma perfettamente<br />
in registro maschile e senza<br />
spingersi in acuti<br />
lancinanti. Gli ho<br />
fatto ascoltare Jonas<br />
Renske dei Katatonia,<br />
Peter Steele dei<br />
Type O Negative,<br />
gli HIM, i 69 Eyes,<br />
gli Amorphis, i Paradise<br />
lost, etc…<br />
Mentre stavo preparando<br />
il mio album<br />
ho contattato<br />
Giordano Adornato,<br />
il cantante dei Cayne, che<br />
avrebbe dovuto interpretare il<br />
brano On the Edge of Madness,<br />
scritto insieme alcuni anni prima.<br />
Giordano mi disse che non era più<br />
disposto a cantarla e che avrebbe<br />
voluto farne una sua versione con<br />
l’attuale formazione dei Cayne,<br />
(la canzone che nel loro disco è<br />
diventata A new day in the sun).<br />
Dato che lui non voleva prestare<br />
la sua voce a due versioni diverse<br />
dello stesso brano, ho pensato a<br />
chi altro avrebbe potuto interpretare<br />
efficacemente la canzone. In<br />
quel momento mi sono ricordato<br />
della chiacchierata con Ruggeri e<br />
ho deciso di proporlo a lui. Enri-<br />
co ha immediatamente accettato e<br />
dopo averla cantata si è anche detto<br />
disponibile a partecipare al video.<br />
Devo dire che mi ha fatto un<br />
bel regalo!<br />
All’album è legata anche una serie<br />
di cortometraggi a tema noir:<br />
ce ne vuoi parlare?<br />
Volevo dare al progetto anche una<br />
connotazione visiva che si distaccasse<br />
dai soliti cliché delle band<br />
rock, fatte di tatuaggi, smorfie di<br />
sofferenza, capelli al vento e mossette<br />
da atteggiati eccetera, e che<br />
conferisse un’omogeneità stilistica<br />
al lavoro. A tale scopo ho contattato<br />
diversi registi e tra le varie<br />
proposte sono stato colpito dalla<br />
creatività di Francesco Collinelli,<br />
Vincenzo Ricchiuto e Davide Debenedetti<br />
(Framers). Con loro abbiamo<br />
pensato di ingaggiare due<br />
attori principali ai quali affiancare<br />
come comparse, di volta in volta,<br />
chi aveva preso parte alle registrazioni<br />
dei brani. L’idea era quella di<br />
creare dei video interconnessi tra<br />
loro ma che potessero avere anche<br />
una vita a sé, come dei piccoli<br />
telefilm, dentro ai quali raccontare<br />
delle storie noir incentrate sui<br />
rapporti patologici tra le persone<br />
e sulle vicende umane “estreme”<br />
che possono portarci sul bordo<br />
della follia. Non nascondo che<br />
l’idea di arrivare a un film vero e<br />
proprio ci sta “solleticando” molto,<br />
anche se è un progetto davvero<br />
impegnativo, sia a livello di<br />
lavoro che a livello economico.<br />
Come nasce l’idea di inserire<br />
una cover di Strange World di<br />
Ke?<br />
Quel brano mi è sempre piaciuto<br />
molto; ha una tristezza intrinseca<br />
notevole ed è spiccatamente<br />
introspettivo, ma ha anche una<br />
proiezione positiva verso il futuro.<br />
Volevo da tempo darne una<br />
mia personale lettura, diversa<br />
dall’originale ma anche diversa<br />
dalla versione fatta qualche anno<br />
fa dagli HIM, che a mio avviso<br />
non gli ha realmente reso giustizia.<br />
Secondo me è un buon<br />
brano per chiudere l’album. È un<br />
po’ come dire: “Vabbè, al mondo<br />
ci sono tanti pazzi e tante ingiustizie,<br />
ma cerchiamo di tenere i<br />
piedi per terra, di credere in noi<br />
stessi e andare avanti cercando<br />
di dare il meglio”.<br />
10<br />
11
SQUE<br />
Luca Squeglia è un cantautore romano, ma trevigiano<br />
d’adozione, che ha concentrato le sue esperienze<br />
nel nuovo ep “Something’s Happening”<br />
Sque (A.K.A. Luca Squeglia) pubblica<br />
Something’s Happening, un<br />
ep da cinque canzoni che riunisce<br />
le varie attitudini del cantautore,<br />
romano ma trevigiano d’adozione,<br />
con varie esperienze e vicende interessanti<br />
alle spalle.<br />
Vuoi raccontare la tua storia fin<br />
qui?<br />
Nasco nel 1991 a Roma. Fin<br />
dall’età di 9 anni comincio a prendere<br />
lezioni di canto e chitarra.<br />
A 16 anni, una volta trasferito a<br />
Treviso, sono entrato a far parte<br />
dei “Rent Mind”, progressive<br />
rock band. Una volta compiuti<br />
i 20 anni ho fondato assieme ai<br />
miei amici la prima band che mi<br />
ha portato a fare esperienze di<br />
grandi palchi, i Groov A Nation<br />
14<br />
15
eggae band. Dopo che la band si<br />
è sciolta ho ripreso in mano un<br />
vecchio progetto, dedito a riarrangiare<br />
le canzoni che più mi hanno<br />
ispirato in chiave acustica. Con<br />
questo progetto ho cominciato a<br />
suonare per strada in molte piazze<br />
d’Italia: Bologna, Milano, Torino,<br />
la mia città adottiva Treviso... Con<br />
l’inizio dell’attività da busker è<br />
nato anche il primo ep Something’s<br />
happening, primo passo di un<br />
cammino.<br />
Sei partito dalla strada, nel vero<br />
senso della parola. Che cosa ti ha<br />
lasciato questa esperienza?<br />
Questa esperienza (il suonare per<br />
strada) è quella che ogni volta<br />
che si ripete è diversa, magnifica,<br />
e che ogni volta mi fa capire che<br />
sto camminando dalla parte giusta.<br />
Amo vedere la gente felice,<br />
che ascolta ciò che ho da dire e se<br />
addirittura riesco a mandargli un<br />
messaggio sono ancora più felice.<br />
Questo mi lascia la strada; alle<br />
volte è addirittura più bello che<br />
suonare su palchi enormi.<br />
Puoi spiegare la scelta di cantare<br />
sia in inglese sia in italiano?<br />
Tutto nasce dal fatto che sono<br />
cresciuto ascoltando artisti come<br />
Stevie Wonder, Aretha Francklin,<br />
Etta James, The Police, Jimi Hendrix,<br />
Cream, Otis Redding... Naturalmente<br />
amo anche artisti italiani<br />
quali Ivano Fossati, Fabrizio<br />
De André, Paolo Conte, Celentano,<br />
Dalla... Ma per la maggiore<br />
son cresciuto con artisti stranieri.<br />
Ogni giorno mi sento ripetere:<br />
“Perché non canti in italiano?” E<br />
io rispondo<br />
sempre:<br />
“Bella domanda”.<br />
Come nasce<br />
la title<br />
track, Something’s<br />
Happening?<br />
Something’s<br />
happening<br />
perché<br />
qualcosa<br />
è effettivamente<br />
successo.<br />
Questa collaborazione<br />
con Alter.<br />
(A.K.A.<br />
Giovanni Pezzato), amico e super<br />
produttore, mi ha aiutato a migliorare<br />
l’espressione musicale e<br />
testuale della mia musica (è stato<br />
per me un po’ come Quincy Jones<br />
per Michael Jackson). Se vi capitasse<br />
di scovare qualche mio lavoro<br />
precedente, noterete un abisso<br />
rispetto a quest’ultimo (che è il<br />
primo lavoro del quale vado veramente<br />
fiero).<br />
E invece raccontaci come nasce<br />
l’idea di fare la cover di Attenti al<br />
lupo.<br />
Attenti al lupo? Amo Dalla, l’ho<br />
sempre amato. L’aver poi scoperto<br />
che ha studiato nella stessa scuola<br />
dove ho studiato io qua a Treviso,<br />
mi ha dato la marcia in più per<br />
rendergli omaggio con un mio riarrangiamento<br />
di quella che è forse<br />
la sua canzone più conosciuta.<br />
16<br />
17
LUCA BURGIO<br />
“Versi da bancone” è il nuovo ep del cantautore “giramondo”, come<br />
sempre accompagnato dalla fedele Maison Pigalle<br />
I generi musicali cui fai riferimento<br />
stanno stretti in un ep...<br />
Versi da Bancone si propone come<br />
un lavoro di passaggio, un veloce<br />
momento che unisce la fine di<br />
un periodo e l’inizio di un altro.<br />
Il bancone si consuma in fretta,<br />
è frugale e il formato breve è il<br />
formato dei nostri tempi! La mia<br />
gente è sempre in movimento, vi-<br />
viamo in affitto e cambiamo casa,<br />
città e lavoro sul ritmo frenetico<br />
del tempo. Per questo ho deciso<br />
di fare un breve omaggio alla mia<br />
generazione, anch’essa di passaggio.<br />
Anche la scelta del live in studio,<br />
in cui ampio spazio è lasciato<br />
all’improvvisazione, sta a sottolineare<br />
la frugalità di un momento<br />
irripetibile che passa… in attesa<br />
del prossimo album.<br />
A giudicare da qualche canzone<br />
si direbbe che il rapporto con il<br />
genere femminile non sia sempre<br />
idilliaco...<br />
Au contraire, per fortuna posso<br />
ritenermi soddisfatto sotto quell’aspetto,<br />
ho sempre avuto esperienze<br />
piacevoli, interessanti e divertenti<br />
che nella loro “frugalità” o<br />
longevità mi hanno sempre comunque<br />
arricchito e reso una persona<br />
migliore. Proprio per questo<br />
ne Il terzo incomodo mi sono preso<br />
la libertà di fare ironia su quei<br />
momenti da single che tutti conosciamo<br />
ma che passano in fretta…<br />
qualche volta.<br />
Perché dedicare “La confessione”<br />
alla monaca di Monza?<br />
Marianna de Leyva era una donna<br />
dotata di una mirabile forza,<br />
e la sua sincerità trova risposta<br />
oggi più che mai nella direzione<br />
che stiamo prendendo. E’ come se<br />
stessimo sull’asse dove il tempo si<br />
piega, la fine di un ciclo e l’inizio<br />
di un altro, finiscono le religioni,<br />
i matrimoni, le razze e nascono<br />
convivenze fra coppie miste per lo<br />
più atee o non praticanti che<br />
danno alla luce figli di razza mista<br />
perdendo qualunque traccia di<br />
distinzione. Ma noi siamo ancora<br />
un passo prima di tutto ciò, il<br />
momento di passaggio, quelli che<br />
tutto questo lo stanno iniziando,<br />
mentre le religioni perdono tutto<br />
quello che era sacro in favore di<br />
un più veritiero istinto, come racconta<br />
appunto La Confessione, e<br />
l’intolleranza etnica ha raggiunto<br />
i suoi livelli più estremi vedi In<br />
fondo al mar.<br />
Un tuo punto di riferimento?<br />
Senza alcun dubbio Sono solo canzonette<br />
di Edoardo Bennato. L’ho<br />
conosciuto da piccolo, quando<br />
non avevo la minima idea che un<br />
giorno sarei divenuto un cantautore,<br />
lo amavo perché raccontava<br />
la storia di Peter Pan. Ma crescendo<br />
su quelle note ho cominciato<br />
ad apprezzare il vero significato<br />
e credo di non aver mai ascoltato<br />
un album che raccontasse così<br />
bene la vita dei musicisti. I dubbi<br />
e le scelte di una vita in continuo<br />
contrasto con un’idea del “crescere”<br />
basata su schemi che non<br />
ti appartengono riesce ancora a<br />
strapparmi qualche lacrima.<br />
16<br />
17
LO-FI POETRY<br />
“La mia band” è il nuovo ep del trio Veneto: molte sensazioni alternative,<br />
molta ironia e pensieri molto chiari (?) sull’indie italiano<br />
Qual è la vostra storia fin qui?<br />
Guarda, ti direi: “Niente, assolutamente<br />
niente. Non abbiamo<br />
fatto un cazzo per 10 anni”. Però<br />
poi magari la pubblichi ‘sta roba,<br />
allora meglio inventarsi qualcosa.<br />
No dai, a parte l’aver prodotto un<br />
primo ep, nemmeno andato tanto<br />
male a livello di critica, aver suonato<br />
qua e là -mai su palchi importanti-<br />
ed essere entrati con una<br />
nostra canzone, Omnisessualità,<br />
nella compilation del Vicenza Pride<br />
2013, abbiamo passato la maggior<br />
parte del tempo a cercare bat-<br />
teristi e bassisti (a Vicenza quelli<br />
bravi sono metallari o amanti del<br />
jazz). Be’, anche cantanti. Il batterista<br />
poi l’abbiamo trovato, un<br />
cantante no. E forse meglio così.<br />
Diciamo che è già un miracolo essere<br />
ancora qui e pensare di avere<br />
vent’anni.<br />
Chiamare l’ep La mia band sembra<br />
quasi una dichiarazione<br />
d’intenti...<br />
Ci piace il suono della parola<br />
“band”, anglofono, ironico, un<br />
po’ cazzone. Ci ricorda di essere<br />
nati negli anni ‘80 e aver visto The<br />
Blues Brothers una ventina di volte<br />
e quasi mai sobri. Quando le idee<br />
e i contenuti della tua musica ti rispecchiano,<br />
è facile indentificarsi<br />
con la band. Abbiamo richiamato<br />
la canzone meno rappresentativa<br />
del repertorio, ma ci permetteva<br />
di realizzare l’idea di video che<br />
avevamo in mente: un orsacchiotto<br />
arriva a una festa, si spacca, ci<br />
prova con l’unica orsa presente; gli<br />
va male e uno stronzo un po’ più<br />
sobrio di lui gliela soffia. Ovviamente<br />
non c’è alcun tentativo pedagogico<br />
in tutto questo.<br />
Sembra anche un manifesto anti-indie.<br />
Ne parliamo?<br />
Preferiremmo di no (cit). Sì, sì, ne<br />
parliamo: i musicisti indie sono<br />
tutti un po’ dei coglioni, noi inclusi.<br />
La scena indie degli ultimi<br />
anni è fantastica, ha sfornato fior<br />
di supergruppi e di musica grandiosa,<br />
ha delle peculiarità e dei<br />
tratti originali che all’estero non si<br />
trovano. Ma molti atteggiamenti e<br />
rituali di questi anni sono davvero<br />
ridicoli, basta aprire un profilo<br />
Instagram per accorgersene. Non<br />
siamo certo i primi a fare canzoni<br />
autoironiche sul movimento, ci<br />
sono pezzoni come C’è vita oltre il<br />
Rockit dei Luminal, Sono così indie<br />
degli Stato Sociale, Tropico del<br />
cancro di Appino. E vogliamo parlare<br />
delle parodie delle Coliche?<br />
Le vostre band di riferimento?<br />
Intendi da quali gruppi abbiamo<br />
copiato? Per il secondo brano<br />
il riferimento è ai Giorgieness<br />
(avevamo chiesto alla cantante di<br />
farci un featuring ma senza successo)<br />
e un pochino ai Gomma,<br />
per l’approccio iniziale al cantato<br />
e all’urlato finale; il terzo brano ci<br />
è stato ispirato -diciamo così- dai<br />
Luminal (abbiamo chiesto anche<br />
a loro di mettere la voce venendo<br />
brutalmente ignorati), per la<br />
quarta canzone abbiamo preso in<br />
prestito qualche idea di arrangiamento<br />
da John Frusciante in Before<br />
the beginning e dai Funkadelic<br />
di Maggot Brain, presenti nella<br />
colonna sonora del porno d’autore<br />
Love 3D, mentre l’ultima è un plagio<br />
dei Bachi da Pietra (Enigma,<br />
vi facilitiamo il compito). Per il<br />
resto Afterhours, Marlene Kuntz,<br />
Nirvana, Frah Quintale (per il<br />
prossimo ep), Verdena, Placebo,<br />
Rammstein, Debussy...<br />
18<br />
19
NERO KANE<br />
Con l’aiuto di Joe Cardamone, “Love In A Dying World” è un debutto<br />
ricco di malinconie, decadentismo e influenze americane<br />
In un’intervista di qualche anno<br />
fa ci hai spiegato come i temi<br />
trattati nelle tue canzoni sono<br />
principalmente autobiografici.
Se è vero anche per quest’ultimo<br />
disco, ne esce una fotografia non<br />
troppo allegra dell’ultimo periodo…<br />
Le mie canzoni nascono sempre<br />
da momenti o situazioni difficili.<br />
Ma non è tanto il periodo che influisce<br />
sulla mia scrittura quanto<br />
piuttosto la mia visione delle cose.<br />
Sono tendenzialmente un pessimista<br />
cronico, decadente e che<br />
“ama” perdersi in un certo tipo di<br />
malinconia. Ma è anche vero che<br />
la realtà del mondo che ci circonda<br />
non può che agevolare determinate<br />
sensazioni di straniamento<br />
o di profonda tristezza/insicurezza.<br />
Che cosa ha regalato il lavoro a<br />
Los Angeles con Joe Cardamone<br />
a questo disco?<br />
Oltre all’esperienza umana, unica<br />
e importante che ho vissuto, in<br />
termini tecnici ha regalato una dimensione<br />
precisa e spaziale al disco.<br />
Lavorando con i loops, in una<br />
maniera vicina a quella usata da<br />
Warren Ellis (con il quale Joe ha<br />
anche collaborato) abbiamo creato<br />
un certo tipo di spazialità desertica,<br />
ma anche onirica e malinconica,<br />
che ben si accosta al mio tipo<br />
di songwriting.<br />
Come nasce “I put a spell on<br />
you”, posto che sulle prime pensavo<br />
fosse una cover di Nina<br />
Simone, che tutto sommato sarebbe<br />
stata anche molto adatta<br />
all’atmosfera del disco?<br />
Il brano è nato molto velocemente<br />
dopo una telefonata. In questo<br />
caso riff e parole sono state scritte<br />
assieme subito dopo che ho chiuso<br />
la comunicazione con la persona<br />
alla quale è dedicata la canzone.<br />
Il testo parla di perdita, di fine,<br />
e di quel poco che ne rimane. E’<br />
uno dei brani che caratterizza di<br />
più il disco e che ancora mi coinvolge<br />
molto quando lo suono.<br />
Avete realizzato anche un film<br />
sperimentale per accompagnare<br />
il disco. Che tipo di esperienza è<br />
stata?<br />
Il film è stato un’esperienza magnifica<br />
e a tratti anche divertente.<br />
Magnifica in primis per i luoghi<br />
nei quali ci siamo trovati a girare.<br />
Posti che ti entrano nell’anima<br />
e che ti rimarranno impressi per<br />
la vita. In secondo luogo intensa<br />
per le modalità con il quale è stato<br />
girato. Essendo un film “on the<br />
road” tutto si è svolto in maniera<br />
molto spontanea e libera, ma allo<br />
stesso tempo ricercata e con un<br />
occhio sempre attento, da parte<br />
della regista Samantha Stella, nel<br />
ricercare la cura di certi particolari<br />
e nel dare un certo tipo di narrazione.<br />
Ti va di fare tre nomi di artisti<br />
che ti hanno particolarmente<br />
impressionato o colpito di recente?<br />
Impressionato credo nessuno. Se<br />
devo fare dei nomi ti cito però tre<br />
belle scoperte fatte negli ultimi<br />
tempi: Medicine Boy, Laura Carbone,<br />
Wild Daughter.<br />
22<br />
23
ROBERTO MY<br />
“Flares” è il disco che segna il ritorno sulle scene del cantautore, già attivo<br />
negli anni Novanta e all’inizio del nuovo millennio con la sua vecchia band,<br />
i Volcano Heart<br />
Dieci anni dopo la fine della tua<br />
band, eccoti a pubblicare l’esordio<br />
da solista. Che cosa ti ha<br />
spinto a questa ripartenza?<br />
In realtà Afternoon Pleasures, l’ultimo<br />
disco dei Volcano Heart, la<br />
band da me fondata a metà anni<br />
Novanta, nei miei primi anni di<br />
vita universitaria a Bologna, è<br />
uscito nel 2005. Quindi di anni,<br />
prima di questo mio nuovo album<br />
Flares, ne son passati tredici. Veramente<br />
tanti. Era già da qualche<br />
tempo che avevo provato a ripartire,<br />
perché dopo 5-6 anni di totale<br />
digiuno musicale la mia fame era<br />
enorme. La lontananza dalla musica<br />
suonata è iniziata con il mio<br />
trasferimento per motivi di lavoro<br />
a Roma, dove vivo. Nel 2012 ero<br />
anche riuscito a rimettere su una<br />
band con la quale avevamo iniziato<br />
a scrivere e arrangiare dei nuovi<br />
brani, ma il tentativo è naufragato<br />
quasi sul nascere. Quando non<br />
si hanno più vent’anni, per stare<br />
in un gruppo che vuole scrivere e<br />
suonare la propria musica bisogna<br />
essere davvero motivati, perché c’è<br />
il lavoro, magari per qualcuno i figli,<br />
e quindi ci siamo sciolti prima<br />
ancora di scegliere il nome della<br />
band. Ma ormai io avevo riassaporato<br />
il piacere di tornare a fare<br />
musica e non volevo più smettere.<br />
Ho continuato quindi con l’aiuto<br />
di un pedale che produce loop per<br />
chitarra (il mio “amico immaginario”),<br />
perché per me è fondamentale<br />
tessere trame polifoniche, e<br />
in questa veste ho fatto pure qualche<br />
concerto in dei piccoli club a<br />
Roma, tipo il Klamm o il B-Folk,<br />
posti ai cui gestori non smetterò<br />
mai di essere grato per l’ospitalità<br />
che danno ai musicisti indipendenti.<br />
Nel 2017 ho deciso che i<br />
tempi per un nuovo disco erano<br />
maturi e ho chiesto alla mia amica<br />
Micol Del Pozzo (che nel disco<br />
suona il basso) e a Pasquale Montesano<br />
(il batterista della band<br />
romana Mia Wallace) se avevano<br />
voglia di darmi una mano nell’arrangiare<br />
e incidere i brani che avevo<br />
scritto e per fortuna la risposta<br />
è stata positiva.<br />
Come nascono le canzoni di Flares?<br />
Lavoro distribuito nel tempo<br />
oppure scritte di getto?<br />
I brani di Flares sostanzialmente<br />
appartengono a due periodi. Uno<br />
un po’ più datato, che coincide col<br />
2012, l’anno in cui ho tentato di<br />
rimettere su una band. A questo<br />
periodo appartengono canzoni<br />
quali Last Summer Ruins, My Sign<br />
on You (Part 1) e Black Sky, brani<br />
in cui credo sia forte l’influenza<br />
del grunge e dell’indie rock americano.<br />
Ci sono poi brani scritti<br />
più a ridosso della registrazione<br />
del disco: Motherland, World of<br />
Sound, My Sign on You (Part 2) e<br />
Congo. Credo che in questi brani<br />
si possono cogliere influenze molteplici,<br />
che travalicano i due generi<br />
di riferimento che citavo prima.<br />
Immagino sia cambiato molto<br />
nel modo di lavorare rispetto a<br />
quando eri con la band. C’è qualcosa<br />
che ti ha sorpreso, anche a<br />
livello di sensazioni, nel rimettere<br />
le tue canzoni su disco?<br />
Effettivamente sì. Prima con i<br />
Volcano Heart, gran parte del lavoro<br />
di scrittura veniva fatto in<br />
sala prove, insieme alla band. Flares<br />
invece è un disco che è nato<br />
in solitudine con un lungo lavo-<br />
24<br />
25
o preparatorio, soprattutto per<br />
le canzoni scritte a ridosso della<br />
registrazone. Ovviamente è stato<br />
soltanto andando in sala a suonare<br />
con Micol e Pasquale che i brani<br />
hanno potuto sviluppare appieno<br />
la loro energia. Il loro è stato un<br />
apporto preziosissimo, così come<br />
quello di alcuni ospiti quali Federico<br />
Festino (della band danese<br />
Me after You) al piano elettrico<br />
in due brani e di Gianluca Varone<br />
che suona il sax tenore in un<br />
brano. Entrambi in passato hanno<br />
fatto parte, per un breve periodo,<br />
dei Volcano Heart. Ho provato<br />
vera e propria gioia nel tornare in<br />
studio dopo tanti anni, anche perché<br />
ho registrato il disco con Danilo<br />
Silvestri nel suo GreenMountainAudio<br />
a Roma, ed è stato bello<br />
vedere le canzoni assumere una<br />
forma compiuta. Sono grato a Danilo<br />
per il suo sapiente lavoro sui<br />
suoni e per avermi messo completamente<br />
a mio agio durante la registrazione<br />
dell’album.<br />
Quali sono i dischi che hai ascoltato<br />
di più durante il lavoro sul<br />
disco?<br />
Di musica ne ascolto veramente<br />
tanta, e anche di generi differen-<br />
ti. E’ un vero nutrimento per me.<br />
Giusto per citare un paio di nomi<br />
che ricordo aver messo spesso sul<br />
piatto durante il periodo della registrazione<br />
dell’album direi Here<br />
Be Monsters dei Motorpsycho e<br />
Micah P.Hinson and the Opera<br />
Circuit di Micah P.Hinson.<br />
Flares contiene sei brani: si direbbe<br />
che stai testando un po’<br />
l’acqua ma che magari stai già<br />
pensando più in grande. E’ previsto<br />
un lp all’orizzonte oppure è<br />
una prospettiva ancora lontana?<br />
Per la verità io Flares, che ha una<br />
durata di circa 35 minuti, lo considero<br />
un lp. E’ vero che sono solo<br />
sei brani, ma molti di essi sono<br />
assai lunghi. My Sign on You per<br />
esempio è in due parti, una cantata<br />
e una strumentale, e insieme<br />
fanno quasi dieci minuti di musica.<br />
Molti dei dischi delle band che<br />
ho amato di più, penso ai primi<br />
dei Karate e di Will Oldham/Bonnie<br />
Prince Billy, o a Insignificance<br />
di Jim ‘O Rourke, hanno più o<br />
meno la durata di Flares. Se devo<br />
pensare in grande dovrei rispondere<br />
che il prossimo sarà un doppio<br />
album! E perché no?<br />
http://www.minollorecords.com<br />
http://www.facebook.com/RobertoMyBand<br />
26<br />
27
A RED IDEA<br />
Preceduto dai singoli “Fear” e “My Memories” esce “Bed Sea Walks”,<br />
il disco d’esordio del musicista veneziano, (Beautiful Losers), tra echi anglosassoni<br />
e continua voglia di variare<br />
Bed Sea Walks è il tuo esordio:<br />
vuoi raccontare come sei arrivato<br />
fin qui?<br />
Ci sono arrivato a poco a poco,<br />
tra dubbi, pause, e repentini passi<br />
avanti... Le canzoni le ho compo-
ste negli ultimi anni, poi quando<br />
ho contattato Andrea Liuzza di<br />
Beautiful Losers, le cose si sono<br />
messe in moto e abbiamo lavorato<br />
sugli arrangiamenti e i mix. In<br />
pratica è il risultato di un lungo<br />
processo di maturazione, frutto<br />
degli anni trascorsi a suonare nei<br />
contesti più vari, con altri autori,<br />
in formazioni jazz e così via. Volevo<br />
un disco che si ispirasse al<br />
rock più classico, ma allo stesso<br />
tempo accogliesse e rielaborasse le<br />
sonorità più contemporanee della<br />
scena musicale odierna. In altre<br />
parole, un disco moderno ma con<br />
radici solide!<br />
Mi sembra che a livello sonoro<br />
tu sia andato alla ricerca della<br />
varietà: si va dall’alternative al<br />
blues, dall’acustico all’elettrico,<br />
hai anche affidato le voci a Teresa<br />
Sartore talvolta…<br />
Sì è vero. Credo che ogni volta che<br />
finisco una canzone, poi per quella<br />
dopo vado a cercare qualcosa<br />
di completamente diverso. Come<br />
se avessi voglia di mettermi alla<br />
prova... ‘Ho fatto una canzone con<br />
chitarre elettriche? Allora adesso<br />
una acustica, oppure piena di<br />
sintetizzatori.’ ‘Una lenta? Allora<br />
la prossima sarà molto ritmata’, e<br />
così via.<br />
Proprio a proposito di Teresa:<br />
come nasce la vostra collaborazione?<br />
Direi principalmente dal fatto che<br />
mi piace l’idea di poter collaborare<br />
con qualcuno che abbia delle<br />
caratteristiche vocali completamente<br />
diverse; offre la possibilità<br />
di esplorare nuovi territori. Come<br />
un pittore che avesse accesso a dei<br />
colori nuovi. Teresa ha una voce<br />
da cantante americana di soul o<br />
jazz, che può cantare note che io<br />
non raggiungerei neanche se cantassi<br />
in falsetto. Ovviamente fare<br />
cantare una canzone a qualcun<br />
altro è difficile, non hai più il controllo<br />
che hai sei fai tutto da solo,<br />
hai la sensazione che la canzone ti<br />
possa sfuggire di mano... Ma con<br />
Teresa ne è valsa la pena!<br />
Come nasce “My Memories”?<br />
È la canzone composta più di recente.<br />
È una canzone melodica,<br />
un po’ beatlesiana, forse un po’<br />
triste e con un testo che vorrebbe<br />
trasmettere un senso di nostalgia.<br />
Anche l’uso di Mellotron, di campanelle<br />
e di percussioni da<br />
bambini, contribuiscono a<br />
creare un’atmosfera di altri<br />
tempi. Volevo che fosse<br />
una canzone allo stesso<br />
tempo orecchiabile ma<br />
non scontata, spero ci siamo<br />
riusciti.<br />
Ascoltando il disco mi<br />
sono venute in mente<br />
comparazioni internazionali<br />
con il pop anglosassone,<br />
come Badly<br />
Drawn Boy e Prefab<br />
Sprout. Ma quali sono i<br />
tuoi capisaldi musicali?<br />
Sicuramente i miei riferimento<br />
sono internazionali, e<br />
principalmente anglosassoni. Comunque<br />
negli ultimi anni mi hanno<br />
segnato i dischi di artisti come<br />
Unkown Mortal Orchestra, King<br />
Krule, The Antlers, Fleet Floxes,<br />
Thundercat, Midlake. Tra gli italiani<br />
Giorgio Poi e Andrea Laszlo<br />
de Simone. Ma se ne potrebbero<br />
citare tanti altri…<br />
Ci puoi regalare una playlist dei<br />
brani migliori da “accompagnare”<br />
all’ascolto del tuo disco?<br />
Se guardo a quanti bei dischi e<br />
canzoni escono adesso, credo non<br />
saprei neanche da dove cominciare.<br />
Quindi forse meglio ripescare<br />
qualche classico, ascolti fondamentali,<br />
se qualcuno non li conoscesse.<br />
Per esempio:<br />
- Ballade de Melody Nelson<br />
(Serge Gainsbourg)<br />
- Sad eyed lady of the lowlands<br />
(Bob Dylan)<br />
- Ol 55 (Tom Waits)<br />
- And you and I (YES)<br />
- Harold the Barrel (Genesis)<br />
- Oh my love (John Lennon)<br />
- Next to you (Police)<br />
30 31
I MIEI MIGLIORI<br />
COMPLIMENTI<br />
#cinqueminuticon<br />
E’ partito raccontando le vicende<br />
di un amore fallimentare e ha<br />
continuato così. I Miei Migliori<br />
Complimenti, alias Walter Ferrari,<br />
dopo aver parlato de Le disavventure<br />
amorose di Walter e Carolina,<br />
primo ep uscito nel 2015 che<br />
ha smosso le acque dell’itpop, ha<br />
messo in fila una serie di singoli<br />
ora raccolti in Le cose cambie-<br />
ranno, che ne hanno amplificato<br />
il successo. Ed eccolo qui, a parlare<br />
di sua madre, di Shazam, di<br />
Aladdin e di tette piccole.<br />
In Colazione da Gattullo dici<br />
che tua madre al 93% ha sempre<br />
ragione, e quindi devo chiedertelo…<br />
quel 7% di errore a cosa<br />
si riferisce? Ti sei mai pentito di<br />
non aver dato retta ai suoi consigli?<br />
La verità è che mia madre ha sempre<br />
ragione. Mi sono tenuto quel<br />
7% come margine mio ma è prettamente<br />
simbolico. E’ incredibile<br />
come abbia avuto ragione in tutto:<br />
con la mie ex, sugli amici, sul lavoro.<br />
Non mi pento di non avere<br />
seguito i suoi consigli perché<br />
sono quello che sono sbagliando.<br />
Ogni scelta che faccio devo sempre<br />
tenere conto del fatto che mia<br />
madre avrà ragione e quando e se<br />
avrà torto allora sarà quel 7%.<br />
I tuoi brani sono tutti potenziali<br />
singoli. Li hai raccolti in due ep,<br />
Le avventure amorose di Walter<br />
e Carolina e Le cose cambieranno.<br />
Quali sono i pezzi a cui sei<br />
particolarmente legato?<br />
Shazam e Ricalcolo sono quelli<br />
che prediligo in questo momento.<br />
Però vado a molto a periodi. È<br />
una cosa che mi dicono in molti<br />
tra quelli che si sono affezionati<br />
al progetto. È come se I miei migliori<br />
avesse vari livelli di lettura.<br />
Parliamo di Sabato… Ma poi<br />
hai confermato la teoria “Piccole<br />
tette grande cuore”? Così<br />
regaliamo speranza alle nostre<br />
lettrici non particolarmente<br />
formose! Scherzi a parte, mi ha<br />
molto incuriosita la tua frase<br />
“esprimo un desiderio e poi libero<br />
il genio, meglio libero lui<br />
che un altro desiderio a me”.<br />
Hai bisogno di protezione da<br />
quello che desideri, come dice<br />
Capossela?<br />
Che le tipe con le tette piccole<br />
abbiano un grande cuore è ovvio.<br />
A una data del tour una tipa<br />
mi ha dato del maschilista per<br />
questa frase, diceva che era poco<br />
rispettoso verso le ragazze. Però<br />
sapeva tutte le canzoni a memoria.<br />
Esprimo un desiderio e poi<br />
libero il genio è una citazione al<br />
film della Disney Aladdin. Con<br />
il terzo desiderio Aladdin libera<br />
il genio. E’ una grande dimostra-<br />
32<br />
33
zione di amicizia e di gratitudine.<br />
È chiaramente la parte più bella<br />
del film. Aladdin libera il genio<br />
perché non ha più nulla da desiderare.<br />
Non è così avaro da volere<br />
desiderare qualcosa in più di<br />
inutile e superficiale. E’ felice così<br />
com’è. Secondo me quando una<br />
persona è felice e ha la possibilità<br />
esprimere un desiderio dovrebbe<br />
liberare il genio. Per esempio: soffi<br />
sulle candeline al tuo compleanno,<br />
puoi esprimere un desiderio ma<br />
se sei a posto con te stesso allora<br />
potresti liberare il genio delle candeline<br />
del compleanno. Insegnerò<br />
questa cosa ai miei figli.<br />
Visto che con ironia ti lamenti di<br />
chi utilizza Shazam per scoprire<br />
i mostri sacri della musica, dicci<br />
la verità… quali sono le ultime<br />
shazammate che troviamo nella<br />
tua app?<br />
Bello:<br />
Pino Daniele - Resta quel che resta<br />
Calabi - Le terrazze<br />
Thirty Seconds to Mars - Rescue<br />
Me<br />
Fleetwood Mac - The Cain<br />
Level 42 - Running in the Family<br />
La metà non ho idea di cosa siano.<br />
Chiudiamo con la playlist: qualche<br />
brano che magari non è troppo<br />
conosciuto, o piccoli grandi<br />
capolavori che tutti conoscono e<br />
che ci facciano compagnia finito<br />
di leggere questa intervista!<br />
Mia Martini - Piccolo Uomo<br />
The 1975 - TOOTIMETOOTIME-<br />
TOOTIME<br />
Bad Bunny - Tenemos Que Hablar<br />
Mèsa - Oh Satellity<br />
Ida Maria - Oh My God<br />
Chiara Orsetti<br />
34 35
MEDICAMENTOSA<br />
“Flood” è il terzo ep per il producer Bruno Mari, dopo “Iraglas” (2015)<br />
e “Ubuntu Cola” (2018). Un lavoro diviso marcatamente in due parti<br />
(una più sospesa e meditata, l’altra più psichedelica)<br />
Vorrei sapere da quali presupposti<br />
(soprattutto sonori) hai<br />
iniziato a lavorare su questo tuo<br />
nuovo ep?<br />
I presupposti erano quelli di fare<br />
dei pezzi che sfociassero l’uno<br />
nell’altro e che seguissero un filo,<br />
un sentiero comune. Dal punto<br />
di vista sonoro ho ascoltato molta<br />
musica psichedelica negli ultimi
tempi e volevo che ci fosse quella<br />
componente di fluidità, di morbidezza<br />
ed evocatività. Ma anche<br />
che ci fosse un certo ritmo calzante<br />
e a tratti ballabile. Ho riunito<br />
varie idee e le ho accostate per<br />
creare un discorso, anche sonoro.<br />
Il concept dell’ep fa riferimento<br />
a una possibile vita futura sottomarina.<br />
Come ti è venuta l’idea?<br />
L’idea mi è venuta in parte da<br />
una mia fissa storica riguardo<br />
a Darwin e all’evoluzionismo.<br />
Mi piacerebbe davvero vedere il<br />
frutto del tempo che passa e che<br />
migliora la genetica umana per<br />
renderci diversi, anche capaci di<br />
vivere sott’acqua o in aria. Io poi<br />
sento di stare veramente meglio<br />
quando sono in acqua, è un po’<br />
più facile per me fluttuare che<br />
camminare e sentire il peso della<br />
gravità (o nella gravità). Inoltre ci<br />
sono stampe dell’epoca del futurismo<br />
che immaginandosi il futuro<br />
ritraggono uomini sott’acqua a<br />
cavallo di delfini e di balene. Mi<br />
piaceva molto l’idea e rientrava<br />
nel concept che si stava formando<br />
quando scrivevo il disco.<br />
“Avremo le ali e le branchie” è<br />
pezzo centrale nel disco, forse<br />
non solo per collocazione. Vorrei<br />
sapere come nasce<br />
Il pezzo nasce essenzialmente dal<br />
riff di chitarra. Da lì mi è venuto<br />
tutto molto spontaneo: l’arrangiamento,<br />
i suoni, il testo. Si è trattato<br />
solo di metterla giù. Quel riff<br />
mi dava l’idea di qualcosa in volo<br />
che guarda con malinconica gioia<br />
la terra e si immagina un futuro<br />
diverso, una strana piega degli<br />
eventi. È uscita molto naturalmente.<br />
Tre nomi dell’elettronica contemporanea<br />
di cui consigli l’ascolto<br />
Ci sono tanti artisti validi in questo<br />
campo ma mi sentirei di consigliare<br />
The Blaze, Rival Consoles<br />
e Daniele Sciolla.<br />
39
NEVICA<br />
Torna sulle scene il musicista e produttore Gianluca Lo Presti per dar<br />
vita a un nuovo percorso musicale in cui fondere le anime dei suoi precedenti<br />
progetti Nevica su Quattropuntozero e Nevica Noise<br />
Murakami, Scardovelli, Lo Presti:<br />
mi spieghi in che modo questo<br />
“triangolo” dà fondamento ai<br />
concetti del tuo nuovo album?<br />
Più che un trangolo mi immagino<br />
una linea curva dove Murakami e<br />
Scardovelli sono dei punti “guida”<br />
e io un punto immensamente più<br />
piccolo in movimento. Cronologicamente<br />
ho conosciuto prima<br />
Murakami attraverso la lettura del<br />
romanzo 1Q84, me ne sono innamorato<br />
e ho divorato quasi tutti i<br />
suoi libri nel giro di poco tempo.<br />
Di Scardovelli mi fece vedere un<br />
video su Youtube un caro amico<br />
circa 3 anni fa e anche qui è stata<br />
una folgorazione. Diciamo che<br />
queste due figure sono riuscite a<br />
darmi delle risposte concrete a<br />
cose che cercavo nella mia vita<br />
senza averci avuto contatti reali,<br />
molto più di tante persone che<br />
ho incontrato. Nel loro pensiero<br />
ho trovato una chiave di lettura<br />
del mondo che mi appartiene totalmente<br />
o quasi. Sono i cosidetti<br />
rapporti “animici” cioè quando<br />
entri in risonanza perfetta con<br />
qualcuno o qualcosa. E sono accadimenti<br />
molto rari. L’album<br />
fondamentalmente racconta tutto<br />
questo percorso interiore rivisto<br />
coi miei occhi e anche con immagini<br />
autobiografiche.<br />
Si chiude la tua Trilogia dell’anima:<br />
in te prevale un senso di<br />
“completezza” oppure ti sei reso<br />
conto di aver lasciato fuori qualcosa<br />
di importante?<br />
In realtà Tengo è il secondo capitolo<br />
della trilogia iniziata con<br />
Sputnik, il lavoro precedente di<br />
natura strumentale. Nei miei progetti<br />
dopo ci sarà un terzo album<br />
che completerà il tutto collegato a<br />
essi. Il senso di completezza non<br />
lo avverto<br />
mai, mi<br />
concepisco<br />
come un’anima<br />
in<br />
cammino<br />
sempre alla<br />
ricerca di<br />
qualcosa.<br />
Non ritengo<br />
corretto<br />
fermarsi<br />
nella vita<br />
ma andare<br />
sempre avanti. Magari percepisco<br />
che sono sulla strada giusta allora<br />
più che completezza provo un<br />
senso di soddisfazione e appagamento<br />
che è il carburante indispensabile<br />
per proseguire.<br />
Dal punto di vista sonoro trovo<br />
che il disco sia più eterogeneo<br />
dei precedenti. Scelta progettuale<br />
o spontanea?<br />
E’ stata una scelta spontanea. In<br />
realtà volevo fare un album che<br />
suonasse tutto come Il nostro suono,<br />
il brano di apertura, che ritengo<br />
da un punto di vista di sound<br />
come una perfetta sintesi dei miei<br />
lavori precedenti. Poi man mano<br />
40 41
le cose sono andate diversamente,<br />
ne è uscito un disco molto più<br />
eterogeneo, sono d’accordo. E’ importante<br />
non forzare mai il processo<br />
creativo in quanto non sei tu<br />
che decidi certe cose ma sei solo<br />
“un’antenna” che capta dei segnali<br />
e non puoi far altro che ritrasmetterli<br />
filtrati al massimo dalla tua<br />
personalità. E’ un concetto difficile<br />
da accettare.<br />
Trovo molto curiosa proprio Il<br />
nostro suono, anche per la sua<br />
storia, relativa a un acufene...<br />
L’acufene è un problema comune<br />
di molti musicisti. Tra gli esempi<br />
più famosi c’è Caparezza e il<br />
cantante dei Coldplay, per non<br />
parlare di Beethoven. Ho iniziato<br />
a soffrirne proprio nel periodo<br />
che mi accingevo a comporre<br />
questo disco ed è singolare come<br />
coincidenza. Infatti Il nostro suono<br />
è proprio il primo brano che<br />
ho composto. Ho letto molte cose<br />
sull’argomento e da un punto di<br />
vista energetico-spirituale rappresenta<br />
un richiamo a se stessi,<br />
un monito che viene dalla nostra<br />
anima che ci invita a non farci distrarre<br />
dal mondo esterno spesso<br />
superficiale e mutevole, a mantenere<br />
la concentrazione su noi stessi<br />
sul nostro io. E’una teoria molto<br />
affascinante che ti aiuta ad accettare<br />
meglio una cosa con la quale<br />
sai che dovrai convivere per sempre.<br />
Per fortuna nel mio caso non<br />
mi ha dato problemi particolari<br />
per cui continuo tranquillamente<br />
a fare la mia professione, ma inizialmente<br />
ero preoccupato.<br />
Dall’alto della tua esperienza, chi<br />
ti ha colpito di più negli ultimi<br />
tempi, nella musica italiana?<br />
Avrei sperato di evitare questa<br />
domanda ma risponderò con sincerità:<br />
trovo l’attuale panorama<br />
musicale italiano molto desolante<br />
e povero di idee e contenuti. Ma<br />
è assolutamente al passo con la<br />
società attuale quindi è coerente.<br />
Viviamo un mondo dove abbiamo<br />
dimenticato noi stessi,dove<br />
abbiamo mercificato tutto, anche<br />
le relazioni umane sono diventate<br />
inesistenti. I social ne sono<br />
la testimonianza. Il denaro è la<br />
cosa più importante persino del<br />
nostro tempo. Ci si trova dentro<br />
un vuoto esistenziale senza<br />
precedenti per cui se è vero che<br />
l’arte è lo specchio della società<br />
che rappresenta, non puoi sperare<br />
di questi tempi di incontrare<br />
un nuovo De Andrè o Battiato.<br />
Ci sono però delle eccezioni rare<br />
ma sono nascoste nel sottobosco<br />
della musica, si devono cercare,<br />
non stanno in superficie. Per essere<br />
onesto eviterò di citare artisti<br />
coi quali ho lavorato ma un<br />
paio di musicisti della mia zona<br />
che reputo decisamente sopra la<br />
media: Aldo Becca e Pieralberto<br />
Valli entrambi cantautori “trasversali”,<br />
dei veri e prorpri outsider<br />
fuori dagli schemi, consiglio<br />
di ascoltarli. Qui capisci che per<br />
fortuna c‘è ancora speranza che<br />
il bello esiste e difficilmente morirà.<br />
Al massimo viene tenuto<br />
in ombra perché potrebbe creare<br />
qualche scomodità. Ma qui si<br />
aprirebbe un discorso che allungherebbe<br />
troppo l’intervista!<br />
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GROUND CONTROL<br />
“Untied” è il disco d’esordio della psycho-stoner band emiliana che trae<br />
evidente ispirazione “ideale” da Bowie ma anche dal mondo della cinematografia<br />
Volete raccontare la (non lunghissima)<br />
storia della vostra<br />
band fin qui?<br />
La band nasce casualmente il 10<br />
di gennaio del 2017 a un anno<br />
esatto di distanza dalla morte di<br />
Bowie, quindi da qui l’idea del<br />
nome della band come una sorta<br />
di omaggio. La band è formata<br />
da Marco Camorani alla chitarra,<br />
Pietro Albera alla batteria e Marco<br />
Ravasini alla voce a cui dopo<br />
sole poche settimane si è aggiunto<br />
Jambo Iori al basso, siamo tutti<br />
musicisti da diversi anni in attività<br />
nella scena emiliana. La ricerca di<br />
un sound particolare ci ha portato<br />
sin da subito a sperimentare, metterci<br />
alla prova per cercare una<br />
nostra identità che fosse la perfetta<br />
espressione dell’unione delle<br />
nostre quattro differenti sensibilità<br />
artistiche; dopo poco l’abbiamo<br />
individuata con la musica che<br />
facciamo, un genere che ci piace<br />
chiamare psycho-stoner ma un<br />
genere che forse in realtà nemmeno<br />
esiste ufficialmente... Quello<br />
che potete ascoltare nel nostro disco<br />
Untied uscito a dicembre.<br />
Dal punto di vista sonoro direi<br />
che il vostro disco punta verso<br />
un suono molto compatto e potente.<br />
Avete un metodo di scrittura<br />
delle canzoni o vi affidate<br />
all’ispirazione del momento?<br />
Grazie. Quello che cerchiamo di<br />
fare è non darci limitazioni, cercare<br />
di non seguire cliché e strade<br />
troppo battute. Non seguire a<br />
tutti i costi una struttura precisa<br />
di canzone nella quale debba per<br />
forza esserci una strofa o un ritornello<br />
piuttosto che un assolo di<br />
chitarra nel punto in cui tutti se lo<br />
aspetterebbero... Seguiamo il più<br />
possibile l’ispirazione e ci lasciamo<br />
andare<br />
completamente,<br />
senza<br />
rimorsi.<br />
Una dimensione<br />
fondamentale<br />
dove abbandonare<br />
l’autocontrollo<br />
e<br />
dove sentirsi<br />
davvero liberi, dove trovare<br />
conforto e sentirsi parte di qualcosa,<br />
esprimere sé stessi attraverso<br />
la musica intesa come creazione,<br />
senza la paura di sentirsi assoggettati<br />
a regole e dogma predefiniti.<br />
Come nasce “Kaputt Mundi”?<br />
Kaputt Mundi nasce da una jam<br />
session strumentale di sole batteria<br />
e chitarra, materiale registrato<br />
insieme a tanto altro per un successivo<br />
riascolto a freddo. La cosa<br />
che ci colpiva riascoltando il riff<br />
di chitarra e il groove di batteria<br />
era la ripetitività a ciclo chiuso, il<br />
fatto che potenzialmente poteva<br />
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testo, in parte già scritto in precedenza,<br />
che parla di quanto sia<br />
difficile continuare a confrontarsi<br />
con la società odierna, che osteggia<br />
e disincentiva le diversità in<br />
favore di comportamenti massificati<br />
e omologati. Anche qui c’è<br />
un sample molto interessante recuperato<br />
dagli archivi storici Rai,<br />
un telegiornale andato in onda<br />
nel 1971 che parlava di politica ed<br />
esteri che ci fa capire che in quasi<br />
cinquant’anni di fatto le cose non<br />
sono migliorate poi molto.<br />
Posto che l’ingrediente Bowie<br />
è piuttosto evidente nel vostro<br />
mix, quali sono gli altri capisaldi<br />
della vostra discografia?<br />
Le influenze sono senz’altro innumerevole<br />
e a volte anche molto<br />
diverse tra loro. Altri artisti<br />
che in qualche modo ci ispirano<br />
e ci contaminano sono senz’altro<br />
Nine Inch Nails, Biffy Clyro,<br />
Queen of the Stone Age, Kyuss,<br />
Metallica e Dream Theater ma<br />
anche i nostrani Afterhours e<br />
Ministri.<br />
essere suonato all’infinito. Abbiamo<br />
quindi cercato di sviluppare<br />
questa idea e questa sensazione<br />
attraverso l’utilizzo ripetuto del<br />
sample di Benigni e attraverso un<br />
testo che esprimesse questo tipo<br />
di disagio in modo parossistico e<br />
in modo ossessivo e claustrofobico<br />
esprimesse l’incomunicabilità<br />
del nostro tempo. Il testo di fatto<br />
è ispirato alle tematiche belliche<br />
dell’omonimo libro di Ben Pastor,<br />
attualizzate ai giorni nostri.<br />
Un altro brano che mi ha incuriosito<br />
molto è Italiani brava<br />
gente: potete raccontarne la genesi?<br />
Italiani Brava Gente chiamata tra<br />
di noi anche IBG, è il primo brano<br />
che abbiamo scritto insieme. Nasce<br />
da un’intro strumentale quasi<br />
noise sul quale è stato inserito un<br />
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ANDREA ARDILLO<br />
Tra guerre antiche ed emozioni contemporanee, esce “Uomini, bestie ed<br />
eroi”, primo disco appartenente a una trilogia con protagonista un’umanità<br />
dolente ma capace d’amore<br />
Uomini, bestie ed eroi è il primo<br />
capitolo di una trilogia. Vuoi<br />
raccontarne i concetti base?<br />
Sostanzialmente potrebbero essere<br />
una serie di racconti con protagonista<br />
un’umanità dolente, non<br />
priva di dignità, talvolta affetta<br />
da viltà e cattiveria, talvolta vittima<br />
di sé stessa, eppure in qualche<br />
modo capace di amore, di grande<br />
generosità e di poesia. Un po’<br />
come siamo fatti tutti, no? Forse<br />
questo è il motivo per il quale<br />
UB&E sta arrivando a tanta gente,<br />
pur non essendo un disco facile.<br />
Molte delle canzoni del tuo disco<br />
parlano di guerre lontane<br />
nel tempo e spesso dimenticate,<br />
ma mi sembra che il tuo sforzo<br />
sia quello di mostrare le analo-<br />
gie con le guerre presenti, che<br />
saranno anche più tecnologiche<br />
ma non fanno meno schifo.<br />
Fanno ancora più schifo proprio<br />
perché tecnologiche. Al progresso<br />
materiale non siamo ancora riusciti<br />
ad affiancare un progresso<br />
della mente e dell’anima.<br />
I testi di questo disco sono legati<br />
a filo doppio con la poesia, dalla<br />
citazione shakespeariana del<br />
primo brano in avanti. Che cos’è<br />
per te la poesia, a parte un’evidente<br />
fonte di ispirazione?<br />
Ho chiarissima la distinzione fra<br />
poesia e canzone, seppure credo<br />
siano nate assieme come un’unica<br />
cosa attorno ai fuochi dei nostri<br />
antenati costretti a rifugiarsi nelle<br />
grotte. Se parliamo di poesia in<br />
senso lato, c’è poesia ovunque, soprattutto<br />
nelle piccole cose, nelle<br />
quali più facilmente intravediamo<br />
l’ombra di cose più grandi. Mi<br />
spiego meglio: tu vedi una mela<br />
e puoi fermarti lì. Poi passa un<br />
matto, o un poeta, e vede la stessa<br />
mela. E il miracolo della vita; e<br />
il suo colore che cambia col trascorrere<br />
della giornata, o se una<br />
nuvola oscura il sole. E si interroga<br />
sul suo sapore, sul perché a te<br />
piace e a me no. E tutto questo,<br />
se espresso con i dovuti accorgimenti,<br />
quasi fosse uno sciamano<br />
che sta preparando una pozione<br />
magica, diventa poesia. O, alternativamente,<br />
se non sta lì a tirarsela,<br />
magari diventa canzone.<br />
Cosa ti ha spinto a chiudere il<br />
disco con una canzone così significativa<br />
e controversa come<br />
Gorizia, tu sei maledetta?<br />
Nel 2005, su un giornale trovai<br />
riportata la notizia che a Massa<br />
Carrara, durante una delle manifestazioni<br />
sostanzialmente farlocche<br />
che fingono rispetto per<br />
il Milite Ignoto e per i Caduti di<br />
tutte le Guerre, una signora fra la<br />
folla aveva intonato questa canzone<br />
ed era stata subito identificata<br />
ed espulsa dalla piazza dai<br />
carabinieri. Ancora nel 2005, una<br />
canzone del 1916! In quel momento<br />
ho deciso che un giorno<br />
avrei cantato quel brano. Ed è<br />
successo. Quando ho registrato<br />
Su Patriotu con Marti Jane Robertson,<br />
a fine sessione, negli ultimi<br />
quindici minuti, ho buttato<br />
giù la versione del brano che sta-<br />
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vo provando da un paio di giorni.<br />
Che poi è quella che senti in chiusura<br />
del disco.<br />
Hai rinnovato la tua collaborazione<br />
con Giovanni Coda firmando<br />
la colonna sonora di<br />
Mark’s Diary, che comprende cover<br />
e originali interpretati da te.<br />
Che cosa ha rappresentato per te<br />
questo lavoro?<br />
Ho cominciato a collaborare con<br />
Giovanni Coda quando lui ha realizzato<br />
Xavier, un corto per il<br />
quale ho buttato giù una parte di<br />
chitarra di un paio di minuti. Per<br />
Mark’s Diary, che ha una struttura<br />
narrativa complessa, anche a<br />
causa del tema non proprio facile<br />
- ovvero il rapporto fra disabilità<br />
e sessualità – serviva qualcosa di<br />
incisivo ma semplice. E<br />
qui arrivo io, con le mie<br />
versioni “andrillizzate”,<br />
ovvero riarrangiate<br />
fino al midollo, ma in<br />
qualche modo riconoscibili<br />
e godibili di brani<br />
di Smiths, Blondie,<br />
CCCP, De Andrè… e<br />
con diversi miei brani<br />
inediti. Il film è anche<br />
un omaggio alla danza,<br />
alla poesia, oltre a<br />
essere una fucina di interrogativi,<br />
un pugno<br />
nello stomaco dato con<br />
dolcezza (ma neppure<br />
tanta), quando vai<br />
a curiosare finalmente<br />
dietro alle porte delle<br />
stanze nelle quali vivono<br />
reclusi, carcerati<br />
eterni, tanti disabili che anelano<br />
a una carezza d’amore, o anche a<br />
una sana e salutare scopata. E non<br />
la possono avere. Per me andare<br />
oltre quelle porte è stato entrare<br />
in un mondo che neppure immaginavo<br />
esistesse. Ma è anche stato<br />
collaborare con artisti favolosi,<br />
performer, danzatori, trasformisti,<br />
pittori, cineasti, altri musicisti –<br />
ricordo Cosimo Morleo e Arnaldo<br />
Pontis, che con me firmano la<br />
colonna sonora del film. Ho allacciato<br />
le cinture, come raccomandava<br />
Giovanni, e ho fatto un meraviglioso<br />
balzo nel vuoto. Questa<br />
esperienza diventerà il secondo<br />
capitolo della mia trilogia, un album<br />
che uscirà entro pochi mesi<br />
con sette “andrillizzazioni” e quattro<br />
inediti. Poi per il 2020, sempre<br />
se sarò vivo, romperemo ancora<br />
gli schemi per un ultimo salto nel<br />
vuoto, con le canzoni, si spera, a<br />
fare da cuscinetto fra la dura terra<br />
e il cielo.<br />
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AFTERHOURS<br />
“PADANIA”<br />
#quellochesentivo<br />
Padania è il nono album degli Afterhours, uscito il 17 aprile 2012. La canzone<br />
omonima è il secondo singolo estratto dal disco e vede una doppia versione<br />
del video, la prima con Manuel Agnelli protagonista, la seconda con<br />
Giorgio Prette.<br />
Il confine tra quello che hai e<br />
quello che vuoi è impercettibile.<br />
È disegnato in un campo di una<br />
zona industriale qualsiasi, cancellato<br />
dalla pioggia che ha sostituito<br />
la neve creando un pantano. In<br />
quel pantano ci affondano i piedi,<br />
ci rimangono incollati i pensieri,<br />
si sporcano e si inzuppano.<br />
Ed è proprio quando provi a infilarci<br />
le mani che ti rendi conto di<br />
non saper sbrogliare la matassa di<br />
idee confuse che ti ritrovi davanti.<br />
La sigaretta con il vento non riesce<br />
ad accendersi, il demone che<br />
ti abita con questo freddo si rintana<br />
ancora di più tra le tue pieghe,<br />
cucito addosso come il vestito<br />
delle occasioni mancate, pronto a<br />
ricordare che puoi lasciarti andare,<br />
ma che anche questa volta<br />
cadrai… nel nulla di sempre.<br />
Due ciminiere e un campo di neve<br />
fradicia<br />
Qui è dove sono nato e qui morirò<br />
Se un sogno si attacca come una<br />
colla all’anima<br />
tutto diventa vero tu invece no<br />
Ma puoi quasi averlo sai!<br />
puoi quasi averlo sai!<br />
tu puoi quasi averlo sai!<br />
E non ricordi cos’è che vuoi<br />
Ha ancora un senso battersi contro<br />
un demone<br />
quando la dittatura è dentro te?<br />
lotti, tradisci, uccidi per ciò che<br />
meriti<br />
fino a che non ricordi più che cos’è<br />
puoi quasi averlo sai!<br />
puoi quasi averlo sai!<br />
tu puoi quasi averlo sai<br />
e non ricordi cos’è che vuoi<br />
Fare parte di un amore anche se è<br />
finto male<br />
fare parte della storia anche quella<br />
più crudele<br />
liberarti dalla fede e cadere finalmente<br />
tanto è furbo più di noi<br />
questo nulla questo niente<br />
Chiara Orsetti<br />
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