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La rivista istituzionale del Soccorso Alpino e Speleologico - n. 75, aprile 2020

Esce con una nuova grafica e nuovi contenuti la rivista del Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico. In questo numero un focus su tecniche e normative per gli interventi di ricerca di persone disperse in montagna e in ambiente impervio. Gli esperti del Soccorso Alpino e Speleologico raccontano anche interventi di soccorso ed esercitazioni coinvolgenti. Dal Monte Bianco alla Sardegna, un tuffo fra i "segreti" del CNSAS.

Esce con una nuova grafica e nuovi contenuti la rivista del Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico. In questo numero un focus su tecniche e normative per gli interventi di ricerca di persone disperse in montagna e in ambiente impervio. Gli esperti del Soccorso Alpino e Speleologico raccontano anche interventi di soccorso ed esercitazioni coinvolgenti. Dal Monte Bianco alla Sardegna, un tuffo fra i "segreti" del CNSAS.

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Ovvio, come detto, l’intervento sanitario al momento del ritrovamento, come, nel

caso malaugurato di morte del disperso, l’atto medico della constatazione e i passi

successivi come il rapportarsi alla AG ma soprattutto come la comunicazione

della “cattiva notizia”” ai famigliari e amici, che vede in genere medico e infermiere

fra i più preparati ad affrontare questa situazione e dove l’intervento di psicologi

dell’emergenza hanno il loro importante ruolo, su cui si dovrebbe fare maggiore

affidamento e chiamarli in campo con maggior frequenza.

Dicevamo che il tempo è il fattore critico nella ricerca: infatti, le possibilità di sopravvivenza

diminuiscono con il passar del tempo. Diverse esperienze hanno mostrato

che le probabilità di trovare vive le persone disperse sono maggiori entro

le prime ore, a meno che l’incidente fosse mortale sin dall’inizio, e diminuiscono

oltre le 96 ore, soprattutto se bambini tra i 4 e i 6 anni: ferite, fratture, disidratazione,

freddo sfinimento tra le cause di morte. (E.Sava e al Evaluating lost person

behavior model; 2015) Non mancano certo le eccezioni e questo pone appunto il

problema di quando terminare le ricerche.

È in questa fase che solitamente, anche nella mia esperienza, si domanda al medico

quali possibilità vi sono, considerando i vari fattori compreso lo stato di salute

iniziale, di ritrovare viva una persona, proprio quella, con quelle caratteristiche

fisiche, patologiche e psicologiche.

È una fase delicata, soggetta a molte influenze da parte dei parenti, dell’opinione

pubblica a volte, delle autorità, dalle speranze e dalla fatica dei soccorritori e altro

ancora: dare una risposta è molto difficile, anche perché non sono mancati casi

aneddotici che hanno mostrato sopravvivenze al di là di ogni previsione.

Uno studio americano si è proposto di validare un modello per valutare quando

una ricerca diventa inutile: il dato si sovrappone a quello dell’articolo di Sava citato

sopra, con limite delle 100 ore ed escludendo i “remains missing”, cioè non ritrovati,

e mostra una buona percentuale di persone recuperate vive nelle prime ore

che va a scemare con il passare del tempo, con solo l’1% di sopravvissuti dopo le

51 ore (Adams e al, Search Is a Time-Critical Event: When Search and Rescue Missions

May Become Futile; WEMJ 2007). Gli autori stessi dicono di valutare il modello fra

le altre variabili che i direttori di ricerca devono considerare: nei miracoli si spera

sempre, ma ad un certo punto una decisione deve essere presa, meglio se condivisa,

e sarà sempre una decisione difficile.

MARZO 2020 | SOCCORSO ALPINO SPELEOLOGICO

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