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Usanze venatorie

contrastanti della protezione della natura e degli animali, dell’agricoltura, della selvicoltura

e della popolazione con le sue esigenze ricreative nel tempo libero.

I cacciatori, in una Svizzera densamente popolata, necessitano di conoscenze serie, di un

alto senso di responsabilità e di molta esperienza. Essi svolgono un compito multifunzionale

che consiste:

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nella tutela e nella valorizzazione dei biotopi, così come nella protezione delle loro

biocenosi (salvaguardia dei biotopi e delle specie);

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nello sfruttamento sostenibile degli effettivi della selvaggina come risorsa naturale;

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nel trattamento rispettoso di ogni singolo, animale (protezione degli animali);

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nella limitazione dei danni della selvaggina a una dimensione sopportabile (prevenzione

dei danni della selvaggina).

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Una caccia rispettosa, sostenibile e pianificata a regola d’arte, che percepisce questi compiti

e comunica apertamente con l’insieme del pubblico, troverà anche in futuro l’approvazione e

il sostegno di una larga cerchia della popolazione svizzera.

Usanze venatorie

La caccia è una delle tecniche culturali più antiche. La differenza tra l’uomo cacciatore e

l’animale predatore consiste nel fatto che l’uomo mette in discussione il suo modo di fare e

di agire, riflette su se stesso e sul suo ambiente e, a partire da ciò, regola le sue azioni. Già

gli uomini preistorici durante la caccia si attenevano a delle regole comportamentali

prestabilite.

Un’usanza che è stata mantenuta fino ad oggi è per esempio il trattamento rispettoso dei

capi abbattuti. Secondo la visione dei popoli primitivi si deve placare l’anima immortale di

un animale selvatico già prima e, in modo e particolare, anche dopo il suo abbattimento.

Alcuni popoli di cacciatori sotterravano tutti gli ossi degli animali che avevano ucciso con

l’idea che questi, più tardi, potessero risuscitare. Questo trattamento rispettoso degli animali

abbattuti serviva a rendere clementi le divinità e a proteggere così la tribù dalle disgrazie.

La nostra percezione della selvaggina e in genere degli animali è mutata nel corso degli

ultimi secoli. Tuttavia il rispetto dell’uomo cacciatore nei confronti della creatura catturata

continua a essere una componente permanente nelle usanze venatorie. In talune regioni,

soprattutto nordalpine, il cacciatore esprime il suo rispetto con un breve momento di

«raccoglimento» accanto al capo abbattuto, inserendogli nella bocca un ramoscello o un

piccolo mazzo di fiori come «ultimo pasto». Inoltre, adagiando l’animale ucciso sul suo lato

destro, manifesta la sua gratitudine per l’esperienza vissuta e il successo avuto nella caccia.

Il cacciatore è sempre stato cosciente che la sua attività non è priva di contraddizioni. Da

un lato protegge, cura e ammira la selvaggina, dall’altro lato la insegue e la uccide. Si rallegra

per il successo della caccia, ma contemporaneamente è cosciente di avere spento una vita.

Queste contraddizioni sono visibili e percepibili nei rituali delle usanze venatorie.

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