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Ed è da lì, da dentro il suo petto, che cresce la voglia di
urlare: “Eccomi! Ci sono!”. Ma non lo fa. Questa volta
sopprime le parole aspirando la polvere.
Una volta le finestre erano sempre aperte e il vento giocava
con le tende bianche. Tende ora abbandonate sul
pavimento, grigie e sporche. Ma come scordarsi sua madre
che tutti gli anni ad inizio stagione le stendeva sotto il sole.
Le staccava usando una scala, sotto braccio le portava in
lavanderia e le immergeva in una grande tinozza. Era
magico guardarla mentre posizionava le tende bagnate su
lunghi fili davanti all’ingresso. Il vento spostava il tessuto,
nascondeva il suo volto e poi, quando meno te lo aspettavi,
rivelava i suoi occhi neri.
Edoardo sentiva ancora quello sguardo stuzzicargli il cuore,
era come un sospiro di sollevazione. Ma adesso le tende
sono a terra.
Fermo, di spalle alla porta Edoardo si porta una mano sugli
occhi : sono umidi. Perché? Perché ha voglia di piangere?
No, non esistono i fantasmi, ma se esistessero forse adesso si
sentirebbe meno solo.
Edoardo si scuote tutto d’un tratto. Alla sua destra c’è un
tavolo dalle grosse gambe panciute. Quasi non lo riconosce
ricoperto come è di cianfrusaglie. Lampade, libri, vasi sono
accumulati sopra e tutto attorno. Edoardo si avvicina e
divertito comincia ad osservarli uno ad uno. Ripercorre
nella memoria il loro vero luogo di appartenenza. Questo
vaso era in cucina, sulla destra, l’ultimo scaffale. Questa
lampada era nella camera dei miei, sì sul comodino di
mamma...
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