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"Inedito, di sera" 16/06/2022

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C l a r a B a r d e r i

G l i i n q u i l i n i d e l p i a n o d i s o p r a

Era passato molto tempo da quando qualcuno era andato ad

abitare nell’appartamento sopra il nostro. Ormai ci eravamo

abituati al silenzio, alla tranquillità del palazzo. La polvere

bluastra che filtrava dalle assi avvolgeva la nostra piccola

tana in un abbraccio nebbioso. Scendevamo le scale, logore

solo dei nostri passi, baldanzosamente, con quella vivace

arroganza propria dei padroni. Ci sentivamo liberi di

aggirarci per gli ambienti vuoti, ma mantenendo sempre un

senso di rispetto e pulizia. Eravamo consapevoli che la villa

non ci apparteneva e facevamo del nostro meglio per

tenerla in ordine e in armonia. Ero io ad occuparmi delle

faccende e del nostro figlioletto, mentre mio marito portava

a casa il pane. Ero lieta nella solitudine silenziosa della casa,

quando il piccolo dormiva. Troppe volte ero stata vittima

del rumore della vita altrui, troppe volte necessità e piaceri

stranieri avevano oppresso i miei. Aver finalmente

abbracciato questa abbacinante pace, lontana da ritmi

caotici, significava tutto per me. Le uniche grida venivano

dal cucciolo, ma ero capace di fermarle o trasformarle in

risate. Sembrava che quel pulviscolo lattiginoso formasse

una calda coperta sopra le nostre teste, quasi a proteggerle.

Grande fu il mio stupore quando, una mattina, mi svegliò

un battere di scarpe. Un tramestio, un girar di chiavi, tocchi

cupi sopra di noi. Mi voltai verso il mio compagno e, con un

sussurro che era quasi uno squittio, - sono arrivati degli

inquilini - dissi. Un gran vociare, parole sconosciute, uno

sbattere di porte. Mio marito mi abbracciò, conoscendo le

mie paure. Rise dei miei timori, assicurandomi che sarebbe

stato tutto come sempre, soltanto un po’ più vivace.

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