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C l a r a B a r d e r i
G l i i n q u i l i n i d e l p i a n o d i s o p r a
Era passato molto tempo da quando qualcuno era andato ad
abitare nell’appartamento sopra il nostro. Ormai ci eravamo
abituati al silenzio, alla tranquillità del palazzo. La polvere
bluastra che filtrava dalle assi avvolgeva la nostra piccola
tana in un abbraccio nebbioso. Scendevamo le scale, logore
solo dei nostri passi, baldanzosamente, con quella vivace
arroganza propria dei padroni. Ci sentivamo liberi di
aggirarci per gli ambienti vuoti, ma mantenendo sempre un
senso di rispetto e pulizia. Eravamo consapevoli che la villa
non ci apparteneva e facevamo del nostro meglio per
tenerla in ordine e in armonia. Ero io ad occuparmi delle
faccende e del nostro figlioletto, mentre mio marito portava
a casa il pane. Ero lieta nella solitudine silenziosa della casa,
quando il piccolo dormiva. Troppe volte ero stata vittima
del rumore della vita altrui, troppe volte necessità e piaceri
stranieri avevano oppresso i miei. Aver finalmente
abbracciato questa abbacinante pace, lontana da ritmi
caotici, significava tutto per me. Le uniche grida venivano
dal cucciolo, ma ero capace di fermarle o trasformarle in
risate. Sembrava che quel pulviscolo lattiginoso formasse
una calda coperta sopra le nostre teste, quasi a proteggerle.
Grande fu il mio stupore quando, una mattina, mi svegliò
un battere di scarpe. Un tramestio, un girar di chiavi, tocchi
cupi sopra di noi. Mi voltai verso il mio compagno e, con un
sussurro che era quasi uno squittio, - sono arrivati degli
inquilini - dissi. Un gran vociare, parole sconosciute, uno
sbattere di porte. Mio marito mi abbracciò, conoscendo le
mie paure. Rise dei miei timori, assicurandomi che sarebbe
stato tutto come sempre, soltanto un po’ più vivace.
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