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A n n a D i M a r t i n o
L e s t a g i o n i d i n o i
Mi ci vuole la luce della notte per interpretare le linee incise
dai tuoi sogni, leggerle tenendo il segno con la punta delle
dita e cercare di non lasciarmi sfiorare dai margini della tua
lingua tagliente. Intingimi nell’inchiostro indelebile e fai di
me un segreto scritto sul muro di un sottopassaggio
qualsiasi, così che tutti possano leggermi, ed io resterò una
vita intera ad aspettare che tu mi vada a raccontare.
Tu ed io siamo sempre stati inclini a strappare via dalle
pareti del cielo i manifesti più colorati dei tramonti grigi,
per conservarli nei fascicoli dei nostri sogni più stropicciati,
dentro ai mobili castano chiaro che si stiracchiano verso le
tue gote azzurre e violente, come un temporale dopo la
lavatrice. Guarda come ti illumina adesso la solitudine
quando sei con gli altri, asciugati con i pezzi di carta
ritrovati nelle tasche; sempre lo stesso errore.
Adesso ti devo tutti i giorni di pioggia, le oscillazioni delle
pozzanghere e i lacci sporchi, i capelli asciutti e la schiena
bagnata. Mi devi i petali calpestati e gli alberi spogli, le
docce calde e i flaconi di shampoo vuoti, i caffè amari e le
fette di torta a metà, gli ultimi due tiri e la malinconia delle
cose belle. Diamocele quando non c’è il sole, nel buio del
pomeriggio, tra i punti ciechi dei parcheggi; ti aspetto come
il primo autobus per tornare subito a casa, perché hai
lasciato lo stendino al sole ma ha iniziato a piovere.
Di tutti questi attimi che mi scorrono tra le dita non riesco
ad afferrarne nemmeno la metà che ti spetta per poterti fare
spazio.
Dodicimila modi su come dimenticarti, ne avessi azzeccato
almeno uno avrei risolto la metà dei miei problemi.
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