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Forse è solo un gufo di palude, che bagna le ali nell’acqua.
Però poi, quando il rumore esterno smette, non smette
davvero, perché continua nella mia testa, picchia picchia,
con insistenza, con nostalgia, come un ricordo. E allora
sembra uno strangisso, uno strisciullo o un fucullo e mi
chiedo se sto sentendo bene, perché potrebbe essere anche
una scazzola o l’olurnario, ma no, sono abbastanza sicurǝ: è
la santuccia e poi il coccicone, la dimattera, il confuorto, il
ramaccino, e da lontano sento anche la martazia, la
verdacciola, mi sembra il Galileo e tanti, tanti palmirelli. Ci
sono sicuramente un digenovasso e il paolella, sempre
insieme, infine eccolo lì, il romanoccolo, così vicino da
poter essere facilmente catturabile con una jetball.
Attenti se li incontrate. Non è facile approcciarli.
Alla fine, non è molto diverso da prima, quando sentivamo i
vecchi, gli antichi, gli estinti: il Dromornitide di Stirton, il
Pelagornis chilensis, l’Asteriornis, l’Uccello elefante, il Moa.
I grandi dinosauri volanti della nostra infanzia che
pensavamo fossero rettili e invece avevano le piume.
Di giorno il rumore cessa, si spegne, scompare. Per fortuna
qui è ancora notte.
Speriamo di non finire come Dodo.
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