IL GIOCATORE Fedor Dostoevskij
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il mio abatino che si profondeva in inchini. Allora mi sono rivolto a lui
ripetendo la mia richiesta, e di nuovo lui mi ha pregato seccamente di
aspettare. Poco dopo è entrato un altro sconosciuto, evidentemente per
qualche faccenda, un austriaco: è stato ascoltato e subito è stato
accompagnato di sopra. Allora mi sono seccato sul serio; mi sono alzato,
sono andato dall'abate e gli ho detto con decisione che dal momento che
monsignore riceveva, poteva sbrigare anche la mia faccenda. L'abate allora
si è scostato da me guardandomi con straordinaria meraviglia;
evidentemente per lui era assolutamente incomprensibile che un qualsiasi
russo da quattro soldi osasse paragonarsi agli ospiti di monsignore. Col
tono più insolente, quasi si rallegrasse di potermi offendere, mi ha
misurato con un'occhiata dalla testa ai piedi e ha gridato: ‹E così lei
s'immagina che monsignore lascerà per lei il suo caffè?› Allora io mi son
messo a gridare più forte di lui: ‹Allora sappia che io ci sputo dentro al
caffè del vostro monsignore! E se lei non mi vista immediatamente il
passaporto, andrò io stesso da lui.›
«Come! Proprio nel momento in cui c'è da lui un cardinale!» ha
gridato l'abatino scostandosi da me inorridito; quindi si è precipitato sulla
porta allargando le braccia a formare una croce, esprimendo con tutto il
suo aspetto la risoluzione di morire piuttosto che lasciarmi passare.
Allora gli ho risposto che io sono un eretico e un barbaro, «que je
suis hérétique et barbare», e che per me tutti quegli arcivescovi, cardinali,
monsignori, eccetera, eccetera, non valevano un fico secco. Insomma gli
ho fatto capire che non avrei desistito. Allora l'abate mi ha fissato con una
rabbia indescrivibile, poi mi ha strappato il passaporto di mano e se l'è
portato di sopra. Un minuto più tardi il passaporto era già vistato. «Eccolo
qui, non volete darci un'occhiata?» E così dicendo ho tirato fuori il
passaporto e ho mostrato il visto papale.
«Lei, comunque...» cominciava a dire il generale.
«Lei è stato salvato dal fatto di dichiararsi un barbaro e un eretico,»
ha osservato sogghignando il francesino. «Cela n'était pas si bête.»
«Dovrei forse fare come questi nostri russi? Loro se ne stanno seduti
lì senza osar di fiatare e magari sono pronti a negare di essere russi. Per
conto mio ho notato che a Parigi nel mio albergo hanno cominciato a
trattarmi con molto più riguardo quando ho raccontato a tutti del mio
scontro con l'abate. Un grasso «pan» polacco, che mi era più ostile di tutti
alla table d'hôte, ha cominciato da allora a scendere in secondo piano. I
francesi dell'albergo sono addirittura arrivati a tollerarmi quando ho