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<strong>Repubblica</strong> Nazionale 42 24/09/2006<br />

42 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 24 SETTEMBRE 2006<br />

Il jihadista non è l’ultimo dei nichilisti<br />

anche se può polverizzare il mondo<br />

vive trasfigurato dalla luce dell’aldilà<br />

(segue dalle pagine precedenti)<br />

Dopo il fallimento di Oslo e il concomitante rafforzamento<br />

di Hamas, nel 2001 è cominciata la seconda<br />

Intifada, non con lancio di sassi e accoltellamenti,<br />

come nella prima, ma con una costante campagna<br />

di attacchi suicidi tra la folla. Scrive Berman: «In tutto<br />

il mondo, la popolarità della causa palestinese<br />

non è crollata. È andata aumentando». Il processo parallelo è stato<br />

quello di una sempre maggiore demonizzazione di Israele (ostracismo<br />

accademico e così via); ogni azione di attacco suicida attestava<br />

la durezza dell’oppressione così che «il terrore palestinese, in<br />

questa ottica, era la misura delle colpe israeliane». E quando Sharon<br />

ha preso il posto di Barak, e ha avuto inizio il previsto giro di vite,<br />

e l’esercito israeliano ha ucciso cinquantadue palestinesi, perdendo<br />

23 soldati, nella città di Jenin in Cisgiordania, l’attacco è stato<br />

visto come un vero e proprio Olocausto, una Auschwitz o, con<br />

un’immagine alternativa, come l’equivalente mediorientale dell’assalto<br />

della Wehrmacht contro il ghetto di Varsavia. Questo tropo<br />

è stato ampiamente accettato nel mondo. Digitando insieme le<br />

parole «Jenin» e «Auschwitz» ho trovato 2.890 risultati; e digitando<br />

«Jenin» e «Nazista» ne ho trovati 8.100. Ci sono 63.100 risultati se si<br />

digitano insieme i nomi di «Sharon» e «Hitler». Una volta che la<br />

maggiore repressione si fu assestata, il numero di attentati kamikaze<br />

diminuì e l’opinione pubblica mondiale si acquietò. A quel<br />

punto i palestinesi stavano peggio che mai, i miglioramenti ottenuti<br />

negli anni Novanta «erano stati spianati dai carri armati israeliani».<br />

Ma le proteste «aumentavano e diminuivano in tandem con<br />

gli attacchi suicidi, e non in tandem con le sofferenze del popolo<br />

palestinese».<br />

Ciò avveniva perché l’attentato suicida proponeva all’Occidente<br />

una crisi filosofica. Il modo più rapido per venirne fuori era di fingere<br />

che la tattica fosse ragionevole, addirittura logica e persino<br />

ammirevole: un caso estremo di «naivetérazionalista» nell’espressione<br />

usata da Berman. <strong>La</strong> “naiveté razionalista” era più facile dell’assimilazione<br />

dell’alternativa: vale a dire, l’esistenza di un culto<br />

patologico. Berman mette insieme molte voci. E se dobbiamo<br />

ascoltare la retorica dell’illusione e dell’autoipnosi, allora tanto vale<br />

ascoltarla dal premio Nobel José Saramago, romanziere portoghese.<br />

Sbagliando ancora una volta per eccesso di indulgenza, Berman<br />

è inutilmente intimidito dal pedigree della prosa di Saramago<br />

che è, in effetti, il più puro e spocchioso esempio di ampollosità<br />

(quello che si potrebbe chiamare “nobelese”). Qui punta il suo<br />

sguardo altezzoso sul fenomeno degli attacchi suicidi: «Ah certo,<br />

gli orrendi massacri di civili causati dai cosiddetti terroristi suicidi…<br />

Orrendi, sì, non c’è dubbio; da condannare, certo, senza dubbio,<br />

ma Israele ha ancora tanto da imparare se non è capace di comprendere<br />

le ragioni che possono portare un essere umano a trasformarsi<br />

in una bomba».<br />

<strong>La</strong> società palestinese ha incanalato molto pensiero ed energia<br />

nella celebrazione solenne degli attacchi suicidi, un processo che<br />

comincia all’asilo. Naturalmente, si è riluttanti a mettere in dubbio<br />

la serena devozione della madre palestinese che, avendo cresciuto<br />

un kamikaze, esprime il desiderio che il fratello più giovane diventi<br />

un kamikaze a sua volta. Ma è arrivato il momento di smetterla<br />

di rispettare la qualità della sua “ira” — di smettere di meravigliarsi<br />

davanti al dirompente rigore dell’oppressione israeliana, e<br />

di cominciare a meravigliarsi del potere di una ideologia radicata<br />

ed emulatrice e del culto della morte. E se è l’oppressione ciò che ci<br />

interessa, allora dovremmo pensare all’oppressione del fratello<br />

più giovane, per non parlare della sua aspettativa di vita (e, mio Dio,<br />

che vita!). Bisognerà fermarsi e ripartire molte volte. È doloroso<br />

smettere di credere nella purezza e nella salute mentale dei derelitti.<br />

È doloroso cominciare a credere nel culto della morte e in un<br />

nemico che vuole che la guerra duri in eterno.<br />

Gli attacchi suicidi sono qualcosa di più che terrorismo: sono orrorismo.<br />

Sono il massimo della malevolenza. Il kamikaze chiede alle<br />

sue potenziali vittime di guardare i propri simili con un tipo di<br />

esecrazione completamente nuovo. Non è come guardare nella<br />

canna di un fucile. Possiamo dire che è così perché vediamo ciò che<br />

accade, a volte, quando il kamikaze addirittura non c’è — come è<br />

accaduto con l’ingiustizia incredibilmente sommaria toccata al<br />

brasiliano Jean Charles de Menenez, a Londra. Un esempio ancora<br />

più sorprendente è stata la fuga tumultuosa sul ponte a Bagdad,<br />

scatenata da voci infondate, il 31 agosto 2005. Questo è il superterrore<br />

ispirato dall’attentatore suicida: basta sussurrare le parole giuste<br />

e calpesti a morte migliaia di persone. E resta come misura accurata<br />

della contorsione degli islamisti: ritengono che l’azione letale<br />

di spargere dappertutto i resti del proprio corpo dilaniato, nel<br />

nome di una causa irraggiungibile, porti con sé le chiavi del paradiso.<br />

Nel libro <strong>La</strong> fine della fede. Religione, terrore e il futuro della ragione,<br />

Sam Harris sottolinea il modo completo e sollecito con cui<br />

l’attentatore suicida viene “salvato”. Cosa preferireste voi, supposto<br />

che ci crediate? «… Il martirio è l’unico modo col quale un musulmano<br />

può aggirare la dolorosa vertenza che ci aspetta tutti nel<br />

giorno del Giudizio Universale e procedere direttamente verso il<br />

paradiso. Invece di trascorrere secoli marcendo nella terra in attesa<br />

della resurrezione e del successivo interrogatorio da parte di angeli<br />

adirati, il martire viene immediatamente trasportato nel giardino<br />

di Allah…».<br />

Le conversazioni familiari di Osama Bin <strong>La</strong>den, a Tarnak Farms<br />

in Afghanistan dove istruiva i suoi agenti prima del settembre 2001,<br />

dovevano includere molti passaggi roboanti sui vizi degli occidentali,<br />

sulla loro corruzione, perversione, prostituzione e tutto il resto.<br />

E nel 1998, mentre stagione dopo stagione si susseguivano centrate<br />

sulla debolezza del presidente per la fellatio, sembrava avere<br />

solide ragioni per il più serio dei suoi errori di calcolo: la certezza<br />

che l’America fosse un antagonista più morbido dell’Unione Sovietica<br />

(nella cui sconfitta, sia detto per inciso, gli “arabi afgani” ebbero<br />

un ruolo trascurabile). Eppure un simpatizzante come il notoriamente<br />

ottuso “Taliban americano” John Walker Lindh, avrebbe<br />

potuto elaborare la tesi seguente se solo si fosse trovato lì e fosse<br />

stato un po’ più intelligente.<br />

Questo sarebbe un buon momento per colpire, avrebbe potuto<br />

dire a Osama, perché l’Occidente è indebolito, non soltanto dal sesso<br />

e dall’alcol, ma anche da trent’anni di relativismo multiculturale.<br />

Crederanno che l’attentato suicida sia solo un altro genere di<br />

mania esotica come il delitto d’onore o la circoncisione femminile.<br />

Inoltre è di matrice religiosa e loro sono sempre lenti nel mettere<br />

in discussione qualcosa che si autodefinisce tale. Entro pochi<br />

giorni dalla nostra prima atrocità, i dragoni della regina prenderanno<br />

la strada per l’Islam e ci resteranno. E resterai stupito per<br />

quanto tempo la parola islamofobia, nel senso di accusa incontestabile,<br />

starà a significare anche la parola islamismo. Ci vorranno<br />

anni perché trovino la parola che vogliono, e islamismofobia naturalmente<br />

non va bene. Anche se l’“operazione aeroplani” riesce,<br />

e migliaia di persone muoiono, la sinistra farà uno sbadiglio e si<br />

chiederà perché abbiamo aspettato così a lungo. Colpisci adesso.<br />

Qualunque cosa facciamo, tutti i liberali diranno che l’Occidente<br />

se l’era voluta. <strong>La</strong> loro ideologia li renderà riluttanti a vedere ciò che<br />

hanno davanti. E questo li renderà degli studenti lenti.<br />

Entro l’estate del 2005, gli attacchi suicidi si erano evoluti. In Iraq,<br />

i jihadisti(combattenti per la guerra santa) di origine straniera, pellegrini<br />

della guerra, attraversavano numerosi le frontiere per farsi<br />

fissare addosso esplosivi, chiodi, viti e bulloni, spesso dalle mani di<br />

senza dio del partito Baath con scopi esclusivamente secolari, per<br />

essere innescati come pezzi di artiglieria e poi spediti, lo stesso giorno,<br />

a massacrare i loro compagni musulmani. Gli attacchi suicidi,<br />

in altre parole, erano passati attraverso una fase di decadenza ed<br />

erano sull’orlo della débauche. Nel solo mese di maggio ci furono<br />

più attentati kamikaze in Iraq che in tutto il periodo dell’Intifada. E<br />

il 25 luglio, questa fu la ponderata risposta del sindaco di Londra<br />

agli eventi del 7 luglio: «Considerato che non hanno aeroplani, che<br />

non hanno carri armati, gli rimangono solo i corpi da usare come<br />

armi. Quando la differenza è sleale, la gente usa quello che ha».<br />

Ricordo una orribile, insensata poesiola, circa 2002, che sosteneva<br />

esattamente la stessa tesi. No, non hanno gli F-16. Domanda:<br />

al sindaco farebbe piacere che avessero gli F-16? E no, la “gente”<br />

non usa i propri corpi. Quelli li usano gli islamisti. E bisognerebbe<br />

soppesare anche la miseria morale di questi martìri. “Martire”<br />

significa testimone. L’attentatore suicida non testimonia<br />

nulla e nulla sacrifica. Muore per una vittoria volgare e illusoria. E<br />

su un altro piano, la logica delle “operazioni di martirio” è una sofisticheria<br />

teologica del più nero cinismo. Il<br />

suo scopo è solo quello di procurarsi dei<br />

mezzi di salvezza.<br />

<strong>La</strong> nostra ideologia che a volte viene chiamata<br />

occidentalismo ci indebolisce in due<br />

modi. Indebolisce le nostre capacità di percezione<br />

e indebolisce la nostra compattezza<br />

morale e la nostra volontà. Come dice<br />

Harris: «Sayyid Qutb, il filosofo preferito da<br />

Osama Bin <strong>La</strong>den, sentiva che il pragmatismo<br />

avrebbe significato la morte della civiltà<br />

americana… Quando le civiltà si scontrano,<br />

il pragmatismo non sembra avere la<br />

possibilità di essere molto pragmatico. Perdere<br />

la convinzione di poter essere davvero nel giusto — su qualunque<br />

cosa — sembra una ricetta per il caos della fine del mondo<br />

così come lo immagina Yeats, quando “manca ai migliori ogni convincimento/E<br />

ai malvagi più intensa è la passione”».<br />

Il primo argomento che adesso prendiamo, per spiegare un qualunque<br />

conflitto, è quello dell’equivalenza morale. Non si può permettere<br />

che un valore rimanga fissato nella pietra; così cominciamo<br />

a mettere in dubbio la nostra capacità di identificare anche ciò<br />

che è malum per sé. Anche le percosse in prigione sono male in sé<br />

e lo sono pure la delega a torturare, l’omicidio, per menti meno elevate<br />

e (bisogna dirlo) per regimi meno ipocriti. Nel tipo di guerra in<br />

cui siamo adesso impegnati, un episodio come quello di Abu Ghraib<br />

è ben più di una vergognosa perversione — è l’equivalente di<br />

una battaglia persa. Il nostro vantaggio morale, ancora grande ed<br />

evidente, non è un impedimento e noi dovremmo rafforzarlo e ampliarlo.<br />

È una forza strategica, come il nostro fare affidamento sulla<br />

ragione, e puntella la nostra legittimità.<br />

C’è un’altra sovrapposizione simbiotica tra la prassi islamista e<br />

la nostra ed è strana e spregevole. Sto parlando dell’eccessiva importanza<br />

data alla nullità. Nella nostra cultura da concorso di popolarità,<br />

con le sue nullità vip e mediocrità in rapida ascesa, comprendiamo<br />

l’attrazione di una fama infondata — anzi dell’immortalità<br />

immediata e immeritata. Sentire di essere un attore nella storia<br />

del mondo è una lusinga straordinaria per coloro che sono condannati,<br />

dal loro punto di vista, all’esclusione e all’anonimato. In<br />

un modo più sommesso, questa forse è stata la componente chiave<br />

dell’attrazione degli intellettuali occidentali per il comunismo<br />

sovietico: entrate a farne parte e contribuirete immediatamente<br />

agli eventi planetari. Mentre Muhammad Atta pilotava il 767 verso<br />

la propria destinazione, era almeno sicuro che i suoi colleghi urbanisti<br />

di Aleppo si sarebbero ricordati del suo nome, insieme a tutto<br />

il resto del mondo. Allo stesso modo, il fantasma di Shehzad<br />

Tanwee poteva essere certo di essersi definitivamente librato al di<br />

sopra del negozio di fish-and-chipslaggiù a Leeds, mentre guardava<br />

le squadre di soccorso raschiare resti umani nella fornace infestata<br />

di topi sotto le strade di Londra. E quell’altra grande nullità,<br />

Osama Bin <strong>La</strong>den, è sempre viva.<br />

Nel luglio 2005 dovevo prendere l’aereo<br />

da Montevideo a New York, e dall’inverno<br />

all’estate, con le mie figlie, di sei e otto anni.<br />

Ho bevuto una birra mentre facevo la fila al<br />

check-in, una prassi che a Carasco nessuno<br />

disapprova (ma che farebbe certamente alzare<br />

le sopracciglia a qualcuno nel terminal<br />

destinato a passeggeri haji a Teheran); poi<br />

ci siamo spostati verso la Sicurezza. Ora, capisco<br />

che alcune bambine di sei anni possono<br />

sembrare piuttosto sospette, ma mia<br />

figlia più piccola no. È una biondina magrolina<br />

con grandi occhi castani e una vocina<br />

tremula. Ciononostante, sono rimasto per<br />

mezz’ora in piedi davanti a un funzionario che perquisiva solennemente<br />

e metodicamente il suo zainetto — scrutando con sguardo<br />

perspicace ogni cassetta di favole e matita colorata e palpando<br />

in lungo e in largo la sua papera di peluche.<br />

Ci dovrebbe essere una parola migliore di noia per lo stato di catalessi<br />

dovuto all’indebolimento fisico e morale che si fece strada<br />

dentro di me. Volevo dire qualcosa tipo: «Neppure gli islamisti hanno<br />

cominciato a far saltare per aria gli aerei su cui viaggiano le loro<br />

famiglie. Perciò, vi prego, desistete finché non cominciano loro. Sì,<br />

e limitatevi alle persone dall’aspetto decisamente mediorientale».<br />

Mancavano ancora tredici mesi alle rivelazioni del 12 agosto 2006.<br />

E nonostante il bagno di sangue innocente (la maggioranza sarebbero<br />

stati donne e bambini) davvero ambizioso che avevano progettato<br />

sia stato smascherato e bloccato sul nascere, i jihadisti di<br />

Wlathamstow non hanno lottato invano. Non sono riusciti a provocare<br />

terrore ma hanno vinto una grande battaglia simbolica a favore<br />

della noia: i libri sono stati banditi da tutti i voli della durata di<br />

sette ore tra l’Inghilterra e l’America.<br />

Le mie figlie e io siamo arrivati sani e salvi a New York. Qui, in certe<br />

stazioni della metropolitana, la polizia perquisiva tutti i passeggeri<br />

per sventare atti di terrorismo — obbligando in questo modo<br />

un qualunque terrorista a farsi a piedi un paio di isolati fino a una<br />

stazione della metropolitana dove i poliziotti non stessero perquisendo<br />

tutti i passeggeri. E io non ho potuto proteggermi da una visione<br />

del futuro. In quel futuro, salire su un autobus in città era come<br />

volare El Al.<br />

Nella colpevole sicurezza di Long Island, ho guardato la diretta<br />

televisiva dalla mia città natale, dove vivono gli altri miei tre figli e<br />

dove presto tornerò a vivere anche io con tutti e cinque. L’otto luglio<br />

c’erano i londinesi che andavano al lavoro a piedi, con un aspetto<br />

rigido e guardingo, senza provare piacere in nulla di ciò che vedevano.<br />

A metà degli anni Novanta, Eric Hobsbawn aveva capito<br />

Nell’universo musulmano<br />

nulla è più doloroso<br />

del sospetto che qualcosa<br />

abbia snaturato<br />

l’alleanza con Dio<br />

tutto quando disse che il terrorismo faceva parte dell’inquinamento<br />

atmosferico delle città occidentali. È un programma efficiente<br />

in termini di costo. Fate scoppiare una bomba a New York e<br />

inquinate Madrid; fate scoppiare una bomba a Madrid e inquinate<br />

Londra; fate scoppiare una bomba a Londra e inquinate Parigi e<br />

Roma e poi inquinate di nuovo New York. Ma c’era il conforto che<br />

ci ha dato il sindaco. No, non ci dovremmo sorprendere per l’uso<br />

di questa sempiterna ruse de guerre (tattica). Quello che fa la gente<br />

è usare il proprio corpo.<br />

Ho il sospetto che l’età del terrore sarà anche ricordata come l’età<br />

della noia. Non il genere di noia che affligge i blasée i decadenti, ma<br />

una supernoia che integra e perfeziona il superterrore degli attacchi<br />

suicidi. E anche se finiremo col vincere la guerra contro il terrore,<br />

o lo ricondurremo, come dice Mailer, a «un livello tollerabile»<br />

(questa frase farà presa e i politici la useranno con orgoglio discreto),<br />

non abbiamo la benché minima possibilità di vincere contro la<br />

noia. Perché la noia è una cosa che il nemico non prova. Tanto per<br />

chiarire: il contrario della fede religiosa non è l’ateismo, né il laicismo<br />

né l’umanitarismo. Non è un “ismo”. È l’indipendenza della<br />

mente, tutto qua. Quando mi riferisco all’età della noia non penso<br />

alle file in aeroporto o alle perquisizioni nella metropolitana. Sto<br />

parlando dello scontro globale con una mentalità dipendente.<br />

Un modo per mettere fine alla guerra al terrore sarebbe quello di<br />

capitolare e convertirsi. Il periodo di tran-<br />

sizione sarebbe un periodo senza sorriso<br />

certamente, con molto duro e serio lavoro<br />

da portare a termine nelle piazze, nei centri<br />

delle città e nei prati pubblici dei villaggi.<br />

Ciononostante, mentre viene reintrodotto<br />

il Califfato a Bagdad, per la gioia di<br />

tutti, i neofiti sopravvissuti si abitueranno<br />

presto al voluminoso codice penale imposto<br />

dal Ministero per la promozione<br />

della virtù e la soppressione del vizio. Sarebbe<br />

un mondo di perfetto terrore e di<br />

perfetta noia, e niente altro, un mondo<br />

senza giochi, senza arte e senza donne, un<br />

mondo in cui l’unico divertimento è una pubblica esecuzione. <strong>La</strong><br />

mia figlia di mezzo, che adesso ha nove anni, ancora crede a esseri<br />

immaginari (Babbo Natale e il topino dei denti); avrebbe almeno<br />

questo in comune con il suo nuovo marito.<br />

***<br />

Islam, al pari del giudaismo fondamentalista e del cristianesimo<br />

medievale, è totalizzante. In altri termini, pretende<br />

tutto dall’individuo — anzi di fatto lo nega, riconoscendo<br />

solo la umma — la comunità dei fedeli. L’ayatollah Khomeini<br />

torna spesso su questo tema nei suoi copiosi scritti,<br />

L’ notando senz’ombra di indulgenza come i credenti di molte<br />

religioni ritengano sufficiente osservare le devozioni formali, e fare<br />

poi più o meno ciò che vogliono per tutto il tempo restante. E ci ricorda<br />

spesso che «l’Islam non è così». L’Islam ti insegue dovunque,<br />

in cucina, in camera da letto, in bagno, e al di là della morte nell’eternità.<br />

L’Islam vuol dire sottomissione e rinuncia all’indipendenza<br />

mentale. Una resa, su cui grava il peso di molto più di cinquanta<br />

generazioni, o di quattordici secoli.<br />

L’inamovibile autosufficienza, o se si preferisce, l’assenza estrema<br />

di curiosità della cultura islamica è stata più volte posta in rilievo.<br />

Nella Spagna di oggi il numero dei libri tradotti in spagnolo è pari<br />

a quello delle traduzioni in arabo fatte nel corso di undici secoli.<br />

Il potere islamico del tardo Medioevo quasi non prese atto dell’esistenza<br />

dell’Occidente, finché non incominciò a subire la sua supremazia<br />

sui campi di battaglia. <strong>La</strong> tradizione dell’autarchia intellettuale<br />

era tale che l’Islam restò indifferente anche nei confronti<br />

delle innovazioni più utili e di più facile applicazione, ivi compresa<br />

— incredibilmente — persino la ruota! Come sappiamo, grazie<br />

alla ruota le cose sono più facili da spostare. In Il suicidio dell’Islam.<br />

In che cosa ha sbagliato la civiltà mediorientale Bernard Lewis nota<br />

acutamente che sono anche più facili da rubare.<br />

All’inizio del XX secolo, l’intero mondo musulmano — tranne<br />

qualche parziale eccezione — fu soggiogato dagli imperi europei.<br />

A questo punto, le porte della percezione si aprirono all’influenza<br />

straniera, in particolare tedesca. Un rapporto preferenziale che costò<br />

all’Islam il suo ultimo impero — quello ottomano — sopravvissuto<br />

per decenni come un’«inservibile carcassa» (Hobsbawm), infine<br />

debitamente smantellata e spartita<br />

dopo la Prima guerra mondiale — una<br />

guerra made in Berlin. Eppure l’Islam ha<br />

continuato imperterrito a cercare ispiratori<br />

e sponsor in Germania. Persino dopo<br />

la fine dell’esperimento nazista, dal 1945<br />

in poi, il suo filonazismo si è protratto per<br />

anni, anche se ormai l’Islam era costretto<br />

a guardare altrove. Non aveva scelta. Visto<br />

che geopoliticamente non c’erano altri a<br />

cui rivolgersi, la fiaccola è passata dalla<br />

Germania all’Urss. Così, in definitiva l’Islam<br />

si è dimostrato sensibile all’influenza<br />

europea: quella di Hitler e di Stalin. Sarebbe<br />

superfluo insistere sulle analogie tra i culti totalitari dell’islamismo<br />

e quelli dei totalitarismi del secolo scorso: l’antisemitismo,<br />

l’anti-liberalismo, l’anti-individualismo, il rifiuto della democrazia<br />

e soprattutto della razionalità. Tutti culti di morte, mossi e alimentati<br />

da pulsioni di morte. <strong>La</strong> distinzione principale è che i paradisi<br />

inseguiti dai nazisti (pagano) e dai bolscevichi (ateo) erano<br />

paradisi terreni, costruiti sul concime di milioni di cadaveri. Per loro<br />

la morte era creativa — con qualche ragione, ma sempre di morte<br />

trattava. Per gli islamisti la morte è consunzione e sacramento: è<br />

un inizio. Ha ragione Sam Harris: l’islamismo non è solo l’ultima<br />

forma di nichilismo totalitario. C’è differenza tra nichilismo e aspirazione<br />

a un premio soprannaturale. Gli islamisti possono polverizzare<br />

il mondo senza mai peccare di nichilismo, dato che tutto nel<br />

loro mondo è trasfigurato dalla luce del paradiso.<br />

I movimenti patologici di massa sono sostenuti da «sogni di potenza<br />

e sadismo», per usare l’espressione di Robert Jay Lifton. Che<br />

in genere bastano e avanzano. Ma a questi incentivi se ne aggiunge<br />

un terzo per i guerrieri dell’Islam: un’immortalità celeste, che incomincia<br />

già prima della morte.<br />

Per quasi un millennio l’Islam ha potuto permettersi l’autarchia.<br />

<strong>La</strong> sua ascesa è uno dei miracoli della storia mondiale: una serie di<br />

reazioni a catena tra conquiste e conversioni, che non ha solo accumulato<br />

territori ma conquistato milioni di menti e cuori. Il vigore<br />

del suo ideale di giustizia ha consentito livelli di tolleranza significativamente<br />

più elevati di quelli occidentali. Più evoluto anche<br />

culturalmente, l’Islam ha potenziato al massimo l’assimilazione e<br />

l’apprendimento durante il Rinascimento, al quale però purtroppo<br />

non ha preso parte. In tutto il periodo della sua ascesa ha avuto<br />

il sostegno di quello che Malise Ruthven, in A fury for God, chiama<br />

«l’argomento di un manifesto successo». Il mandato divino era<br />

avallato dalla realtà stessa della sua espansione. Mentre ai giorni<br />

nostri — da tre o quattro secoli — la realtà osservabile ribalta quel-<br />

Ho il sospetto che l’età<br />

del terrore sarà ricordata<br />

come l’età della noia<br />

Una supenoia che integra<br />

e perfeziona il superterrore

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