intervista - La Repubblica
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<strong>Repubblica</strong> Nazionale 46 24/09/2006<br />
46 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 24 SETTEMBRE 2006<br />
i sapori<br />
Cibo e tradizione<br />
Diffusa in una quindicina di valli piemontesi più un paio<br />
di zone tra Liguria e Calabria, la cucina occitana d’Italia<br />
si celebra da ora a novembre tra Torino e Cuneo. A base<br />
di patate, segale, castagne, formaggi ed erbe selvatiche montane<br />
fu conosciuta nell’antichità come la dieta del “malnutrì”,<br />
ma è diventata adesso sinonimo di “alimentazione sana e golosa”<br />
Occitana<br />
cucina<br />
Gusto, sapienza e creatività attraversano le valli<br />
LICIA GRANELLO<br />
<strong>La</strong> fam es’na bono cuziniro, la fame è una buona cuoca. Un proverbio<br />
antico, diffuso in Valle Stura, racconta benissimo radici e ispirazione<br />
della cucina occitana — povera, creativa e saporita — in<br />
passerella nel prossimo fine settimana — e ripetuta negli ultimi<br />
weekend di ottobre e novembre — in una ventina di ristoranti delle<br />
valli che da Torino e Cuneo corrono incontro alla Francia (elenco<br />
sul sito www. chambradoc. it).<br />
Ma cos’è, e soprattutto dov’è l’Occitania? Il geografo medievale Dominici<br />
scriveva: «Occitania è una regione amplissima che già nel Jus Romanum i popoli<br />
conoscono e che, per una ragione semplice, viene così chiamata, perché invece<br />
di dire oui, dicono oc».<br />
Una parola, Occitania, coniata nel 1290 per delimitare i territori di la lingua<br />
d’oc, idioma alternativo alla lingua d’oïl e a quella del sì. Lo stesso criterio usato<br />
da Dante, che distingueva le lingue occitana, francese e italiana in base alle particelle<br />
affermative: òc — dall’hoc latino, questo è — oïl (antenato del moderno<br />
oui) e sì. Uno sguardo interessato, se è vero che la nascente cultura italiana del<br />
XIII secolo, con Alighieri e la Scuola del Dolce Stil Novo molto deve a lirica e poetica<br />
dei Trovatori occitani.<br />
In termini geografici, l’Occitania si traduce in sette regioni francesi, quindici<br />
valli piemontesi, più un paio di enclaves tra Liguria e Calabria, terre di emigrazione<br />
valdese a metà dell’anno mille. In buona parte del versante italiano, infatti,<br />
tradizione occitana e valdese si sovrappongono, in nome della cucina di<br />
montagna: cucina di sopravvivenza («Il mangiare più diffuso nelle valli occitane<br />
era la cinghia» dicono gli storici), legatissima al territorio e alle sue stagioni.<br />
PROVENZA & PAESI BASCHI<br />
Ben oltre il Piemonte, si allarga<br />
l’Occitania. Al di là delle quindici valli<br />
che si spingono a ovest<br />
dalle province di Cuneo e Torino<br />
(cui aggiungere Olivetta S. Michele,<br />
Imperia, e Guardia Piemontese,<br />
Cosenza, di tradizione valdese), essa<br />
si estende dall’Alta Provenza ai Paesi<br />
Baschi. L’Occitania, infatti<br />
non uno stato vero e proprio,<br />
ma un’area identificata da criteri<br />
socio-linguistici, forte<br />
di una popolazione<br />
di circa 12 milioni di persone<br />
(di cui 200.000 italiani). I confini<br />
comprendono, oltre alle zone<br />
piemontesi, sette regioni francesi –<br />
Delfinat, Prouvenso, Auvernho,<br />
Guiano, Lemousin, Gasconho<br />
e Lengadoc – e la catalana<br />
Val d’Aran, nei Pirenei<br />
Eppure la dieta dei malnutrì— pane di segale o di grano saraceno, patate, castagne,<br />
polenta, latte, uova, formaggi, erbe selvatiche e pochissimo altro — riletta<br />
oggi, in tempi di alimentazione eccessiva e sbagliata — appare sana e gustosa<br />
come poche altre.<br />
Dagli studi appassionati di ricercatrici come Enza Cavallero e Grazia Monge<br />
alla raffinata arte culinaria di Walter Eynard, torna alla ribalta una gastronomia<br />
povera, eppure magica e sontuosa. Le ricette raccontano di manualità sapienti,<br />
di cotture spesso lunghe, lente, mai forzate, di accostamenti dove si fa di necessità<br />
virtù.<br />
Ampio e articolato è l’elenco dei piatti del ricettario occitano: gnocchetti di<br />
segale, oca arrosto (piatto della festa, a patto di conservare il grasso), minestra<br />
di riso e castagne, torta dei tetti di Dronero (con pere Madernassa), cipolle ripiene,<br />
frittate d’erbe selvatiche…<br />
In nessun luogo come nelle vallate occitane, infatti, il territorio impone confini<br />
culinari ineludibili, fondanti e caratteristici. Così, se dai Pirenei alla Provenza,<br />
sono protagoniste le conserve di pesce (acciughe e altri pesci poveri), le salse<br />
d’erbe e spezie, il maiale e le lumache, le valli piemontesi parlano di miele, farine<br />
e tome. Ben lo testimonia una golosa confessione di Mario Soldati: «Leggo<br />
e rileggo le ricette e ancora più i nomi delle ricette: mangio con gli occhi, sogno<br />
il Castelmagno». È il formaggio dell’alta Valgrana, mal difeso dal consorzio di<br />
tutela e oggi scisso in due tipologie praticamente sconosciute ai consumatori<br />
— di montagna e di pascolo, pretendere sempre la seconda! — il vero campione<br />
dei latticini occitani.<br />
Andate a cercarlo in zona senza temere le sottili rughe azzurre che ne ricamano<br />
la pasta — segno di buona stagionatura — sbocconcellatelo con un po’ di miele<br />
figlio degli stessi prati. Il vino, portatelo su dalle <strong>La</strong>nghe: nessuno vi biasimerà.