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intervista - La Repubblica

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DOMENICA 24 SETTEMBRE 2006<br />

il nazismo alla sbarra<br />

battaglia delle Ardenne e fui poi assegnato<br />

a un nuovo reparto per i crimini<br />

di guerra nel quartier generale del generale<br />

Patton. Cominciai a girare con<br />

una jeep per le città tedesche appena liberate<br />

per scovare chi aveva trucidato i<br />

nostri avieri lanciatisi con il paracadute.<br />

Andai nei campi di concentramento<br />

per mettere le mani sui registri con i nomi<br />

dei carnefici e delle vittime».<br />

Fu dunque tra i primi americani a<br />

entrare nell’inferno di Buchenwald,<br />

Dachau e degli altri campi?<br />

«Sì. Lì vidi corpi affastellati come legna<br />

da bruciare e donne scheletriche<br />

che non pesavano più di 30 chili. In una<br />

DAVANTI AL MONDO<br />

In alto, il banco degli imputati<br />

Qui sopra, alcuni gerarchi visti<br />

da vicino: tra loro Göring, Hess,<br />

Fritzsche, Schacht, von Papen<br />

Qui sotto: una delle vittime mostra<br />

le sue piaghe al processo. In basso<br />

a sinistra, Misha Wolf oggi<br />

In copertina, Hermann Göring<br />

con il suo avvocato<br />

lettera a mia moglie, ora conservata nel<br />

museo dell’Olocausto di Washington,<br />

raccontai della disperazione di una<br />

bambina ebrea che aveva perso tutto<br />

ed era in fin di vita. Quella immagine è<br />

ancora inchiodata nella memoria ed è<br />

la ragione del mio impegno contro la<br />

guerra e a favore del Tribunale penale<br />

internazionale, le cui promesse sono<br />

ora ostacolate dagli Stati Uniti. Proprio<br />

a Dachau cominciammo a processare i<br />

primi nazisti. Io tornai negli Stati Uniti<br />

alla fine del 1945...».<br />

… E fu subito reclutato per i processi<br />

di Norimberga.<br />

«Sì, e rispedito in Germania.<br />

Telford Taylor, un laureato di Harvard<br />

che era diventato generale, e<br />

con cui feci amicizia dopo che ci lanciammo<br />

entrambi con il paracadute<br />

da un aereo in fiamme, mi chiese<br />

di raccogliere prove contro i nazisti.<br />

Andai a Berlino alla testa di un<br />

team di 50 americani. Avevo poco<br />

tempo e pochi mezzi. Cercai testimoni.<br />

Frugai negli archivi alla ricerca<br />

dei nomi dei medici che<br />

avevano usato cavie umane, dei<br />

giudici venduti al nazismo, degli<br />

industriali collaborazionisti, dei<br />

dirigenti del partito. E poi, quasi<br />

per caso, scoprii una copia dei<br />

rapporti segreti degli Einsatzgruppen».<br />

Esistono foto terribili di<br />

quelle squadre speciali. Seguivano<br />

l’avanzata della<br />

Wehrmacht nell’Europa dell’Est<br />

e avevano il compito di far fuori<br />

ebrei e oppositori del nazismo. Scavavano<br />

una fossa, adunavano le vittime<br />

e le uccidevano con un colpo alla nuca.<br />

«Nei tabulati trovati a Berlino c’erano<br />

le statistiche dello sterminio redatte<br />

con pignoleria tedesca. In un paio<br />

d’anni avevano macellato un milioni<br />

di uomini, donne e bambini. Tornai a<br />

Norimberga per consegnare il materiale<br />

a Taylor, che decise di avviare un<br />

processo ad hoc contro i responsabili<br />

degli Einsatzgruppen e mi affidò il ruolo<br />

dell’accusa. Per me, che ero nato in<br />

un villaggio della Transilvania nel<br />

1920, emigrato da bambino a New York<br />

e fresco di laurea, era un onore e una<br />

sfida. Mi chiamavano “il procuratore<br />

con l’accetta”. Purtroppo in aula c’era<br />

posto solo per 22 imputati e dovetti<br />

scegliere i più rappresentativi, a cominciare<br />

da sei generali delle SS. Furono<br />

tutti condannati, tredici di loro alla<br />

pena capitale».<br />

Era stato lei a chiedere l’impiccagione?<br />

«Non ne avevo fatto cenno, ero convinto<br />

che nessuna punizione fosse sufficiente<br />

di fronte alla strage di un milione<br />

di vittime innocenti. L’importante<br />

per me era riaffermare, in quell’aula di<br />

Norimberga, i principi del diritto internazionale<br />

in modo che non si ripetessero<br />

crimini contro l’umanità. Nelle requisitoria<br />

ricordai che per gli imputati<br />

“la morte era stato uno strumento e la<br />

vita un giocattolo”. E sono stato felice<br />

quando, mezzo secolo dopo, Antonio<br />

Cassese ha citato quelle mie parole nel<br />

rapporto all’Onu sul Tribunale internazionale<br />

per l’ex-Jugoslavia».<br />

(segue dalla copertina)<br />

LE DATE<br />

LA SCONFITTA<br />

Il 20 aprile del 1945<br />

l’Armata Rossa entra<br />

a Berlino, il 30 Hitler<br />

si suicida. Il 2 maggio<br />

la città è degli Alleati<br />

Altri sei giorni e arriva<br />

la resa incondizionata<br />

del Terzo Reich<br />

Miracoloso 20 luglio, santifica i due chierici.<br />

L’indomani Jodl rinnega esprit de corps nonché<br />

confrères consigliando d’abolire lo Stato<br />

maggiore, infestato dai traditori. Ai collaboratori<br />

spiega che fortuna sia l’«inconditional<br />

surrender» preteso dagli Alleati: non esistono<br />

vie d’uscita politiche; tutti col Führer, sorti inscindibili; e avendo<br />

testa fine, sa benissimo dove stiano andando. Spigolo le notizie<br />

da Walter Warlimont, suo sostituto, un cui memorandum,<br />

autunno 1941, illumina lo spirito dell’Operazione Barbarossa:<br />

come liquidare milioni d’abitanti appena Leningrado cada;<br />

muoiano d’inedia nella metropoli ermeticamente chiusa con<br />

reticolati, corrente elettrica, fuoco d’artiglieria contro i tentativi<br />

d’evasione; e i conti morali tornano, perché sarebbe in ogni caso<br />

distrutta dai bolscevichi, senza contare il pericolo d’epidemie,<br />

argomento igienico ricorrente nel lessico dei massacri; sta<br />

bene, conclude Jodl. Ovvio che narrando gl’interni dell’Hauptquartier<br />

(Frankfurt am Main, 1962), l’autore dimentichi l’aneddoto.<br />

Glielo rammenta Alan Clark.<br />

Sul complotto indaga Ernst Kaltenbrunner, temutissimo capo<br />

delle polizie, un ancora giovane austriaco alto due metri, mento<br />

quadro, viso lungo le cui cicatrici attestano duelli studenteschi,<br />

sorriso mite. Hitler esige vendetta esemplare e ha l’uomo adatto,<br />

Roland Freisler: prigioniero in Russia nella Prima guerra mondiale,<br />

commissario bolscevico, indi nazista (percorso allora frequente),<br />

campione d’un nuovo diritto penale, sottosegretario alla<br />

Giustizia, infine presidente del Volksgerichthof (Tribunale del<br />

popolo), dove recita laide pantomime: Otto Thierack, Justizminister<br />

dai gusti nient’affatto delicati, lo ritiene malato mentale; i<br />

gesti confermano la diagnosi. Lunedì 7 agosto, in toga amaranto,<br />

inaugura i dibattimenti contro otto imputati: «lurido vecchietto»,<br />

urla al farfugliante feldmaresciallo Erwin von Witzleben che presentandosi<br />

aveva tentato un saluto nazista, «perché tieni i pantaloni<br />

con le mani?» (i metteurs en scène gli avevano tolto bretelle e<br />

dentiera); la farsa séguita l’indomani. Difensori d’ufficio tirano in<br />

ballo Iddio: salvando l’augusta persona, ha giudicato i rei; al capestro,<br />

ma non è la solita impiccagione banale. Anima d’artista,<br />

Kniébolo (così Ernst Jünger chiama Hitler, dimenticando d’avere<br />

contribuito all’epifania diabolica, come l’amico Carl Schmitt)<br />

escogita varianti: appesi al gancio, nudi, strangolati da corde sottili;<br />

e nessun cappellano tra i piedi. Sarà fatto. Macchine da presa<br />

colgono ogni particolare. <strong>La</strong> sera stessa il film arriva in volo alla<br />

Tana del Lupo: spettacolo edificante; Speer diserta adducendo la<br />

scusa del lavoro urgente. Sei mesi dopo, Freisler rende l’anima sul<br />

palco: gli americani bombardano Berlino; cade una trave nell’aula<br />

e resta secco; incolumi i presenti. In dodici mesi aveva<br />

emesso 2097 condanne capitali.<br />

Fino all’ultimo Keitel e Jodl elaborano, formulano, trasmettono<br />

ordini folli o criminali quali i Vernichtungsbefehle intesi alla<br />

terra desolata: Kniébolo vuol sradicare i fondamenti d’ogni futuro<br />

nella Germania sconfitta; il popolo tedesco «non mi merita».<br />

Lunedì 23 aprile portano a nord lo scheletro d’un quartier generale,<br />

mentre lui resta nel bunker: sette giorni dopo, come Dio<br />

finalmente comanda, apre la catena dei suicidi designando erede<br />

l’ammiraglio Dönitz. Mercoledì capitola Berlino: lunedì 7<br />

Jodl firma la resa agli Alleati; l’indomani Keitel ripete l’atto con i<br />

russi, così bestione da non capire quanto poco decoroso sia bere<br />

champagne al loro tavolo; tornano da Reims e Berlino tranquilli<br />

come chi abbia chiuso una partita tra gentiluomini. Mercoledì<br />

23 maggio, ore 9.45, Lowell Rooks, capo della Commissione<br />

alleata, scioglie governo d’affari e Oberkommando. Un<br />

corrispondente americano studia i pazienti: Jodl siede a schie-<br />

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 33<br />

In undici sul patibolo<br />

così sfila l’orrore<br />

FRANCO CORDERO<br />

IL DIBATTIMENTO<br />

Si apre il 18 novembre<br />

del 1945 e termina<br />

il primo ottobre<br />

del 1946. A giudizio,<br />

24 capi nazisti (catturati<br />

o contumaci), imputati<br />

di crimini di guerra<br />

e contro l’umanità<br />

LE SENTENZE<br />

Dodici le condanne<br />

alla pena capitale,<br />

quattro gli ergastoli,<br />

due le condanne a 20<br />

anni e una a dieci,<br />

quattro gli assolti<br />

Un imputato, suicida,<br />

non viene giudicato<br />

na diritta; gli affiorano macchie rosse sul viso. Ormai è detenuto,<br />

idem Dönitz, Keitel, Speer. A Mondorf, dove tiene corte Göring,<br />

nascono dissensi sul rispettivo rango e precedenze. Seguiamo<br />

le memorie d’Albert Speer, attore dal passato singolare:<br />

giovane architetto, scenografo delle adunate che la regista Leni<br />

Riefenstahl tramanda nei famosi documentari, enfant gâtéd’Hitler,<br />

edifica la Nuova Cancelleria; l’urbanistica che progetta, ispirato<br />

dal cliente, è un incubo ciclopico-faraonico; poi manager<br />

dell’industria bellica, avendo addosso gl’invidiosi Göring,<br />

Himmler, Bormann, opera meraviglie senza le quali la guerra finirebbe<br />

almeno un anno prima. A Norimberga allestiva i congressi:<br />

il tribunale appare intatto tra le rovine; aspettava i rei;<br />

quante volte era passato lì a fianco del monarca, senza presentimenti.<br />

Graduati secondo l’età, i test d’intelligenza incoronano<br />

Hjalmahr Schacht, vecchio mago finanziere, molto teutonico.<br />

L’attuale primo è Arthur Seyss-Inquart, Reichskommissar d’Olanda.<br />

Eccelle anche Göring, già crapulone morfinomane, ora<br />

sano. Chiusa la fase istruttoria, ognuno riceve l’accusa: è uno<br />

scherzo, esclama l’ammiraglio, testa minuscola; Rudolf Hess<br />

s’arrocca nell’amnesia; non sono colpe sue, sostiene l’insopportabile<br />

Joachim von Ribbentrop, che agli Esteri suonava tamburo,<br />

tromba, flauto hitleriani (parole d’un cospiratore, Carl<br />

Heinrich von Stülpnagel, Generaloberstimpiccato nello stile che<br />

sappiamo, cieco a causa dell’imperfetta pallottola suicida); piagnucola<br />

Hans Frank, protogiurista del Reich, poi governatore in<br />

Polonia, dove vantava tali stermini che alla carta dei manifesti<br />

obituari non sarebbero bastate le foreste locali, frase sua; pari innocenza<br />

professa Keitel, soldato esecutore d’ordini.<br />

Il dibattimento è rito anglosassone, molto diverso dagli spettacoli<br />

nel Volksgerichtshof, ivi rivisto in film. Bene difesi, dispongono<br />

del più largo contraddittorio: Göring giostra con l’aggressiva<br />

lucidità gangsteristica dei bei tempi; Speer guasta il coro dichiarandosi<br />

ex ministro, quindi corresponsabile dell’intero accaduto.<br />

Otto mesi, sfilano testimoni, s’accumulano documenti.<br />

Kaltenbrunner séguita a chiamarsi fuori: gli esibiscono ordini<br />

autografi; non è la sua firma, risponde sorridendo. Frank,<br />

psiche volatile, scopre la religione cattolica: sentiva le risate del<br />

Signore in collera, confida allo psicologo; non bastano mille anni<br />

a dissipare la colpa tedesca, declama uno dei suoi labili Io (li<br />

disegna Joachim Fest). Le dichiarazioni finali suonano contrite<br />

e deploranti, senza ammissioni. Voce anomala anche stavolta,<br />

Speer segnala i pericoli dello Stato industriale autoritario le cui<br />

tecnologie moralmente amorfe diluiscono l’apporto individuale.<br />

Nell’attesa gli tiene compagnia Dickens. L’ultima udienza, lunedì<br />

30 settembre, porta lunghe letture. Sono i motivi della decisione,<br />

omesso il dispositivo; ogni imputato l’ascolta da solo<br />

l’indomani, primo Göring: undici capestri, sette pene detentive,<br />

tre assolti. Jodl rimane senza fiato (testimone lo psicologo Gustav<br />

Gilbert) e forse gli ripassa in mente l’orrendo film visto nella<br />

Tana del Lupo. Restano due settimane: Frank, i cui diari riempiono<br />

trentotto volumi, le spende scrivendo In vista del patibolocon<br />

un asciugamano bagnato intorno alla testa. Fritz Sauckel,<br />

fornitore degli schiavi, non capisce perché lui vada sulla forca<br />

mentre Speer, che li adoperava, incassa solo vent’anni. Vero,<br />

erano complementari, ma nella Götterdämmerung del tredicesimo<br />

anno (dal 30 gennaio 1933) l’architetto rischia molto sabotando<br />

ordini infernali: era anche più presentabile; infine s’è difeso<br />

meglio; qualcosa contano sentimento morale e intelligenza.<br />

Esegue le impiccagioni, a presumibile regola d’arte, un sergente<br />

texano dal viso serio, John C. Woods, nella notte 15-16 ottobre:<br />

Göring possedeva del cianuro ed elude “la vedova”; in ossequio<br />

alla privacy i dieci correi vanno sulla botola uno a uno,<br />

finendo allineati nella palestra. Apre la sequela Ribbentrop, ore<br />

1.14. L’ultimo è Seyss-Inquart, ore 2.45.

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