18.01.2013 Views

intervista - La Repubblica

intervista - La Repubblica

intervista - La Repubblica

SHOW MORE
SHOW LESS

Create successful ePaper yourself

Turn your PDF publications into a flip-book with our unique Google optimized e-Paper software.

<strong>Repubblica</strong> Nazionale 44 24/09/2006<br />

44 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 24 SETTEMBRE 2006<br />

Era il 1956, esattamente<br />

cinquant’anni fa<br />

Sposò la Monroe<br />

e rifiutò di collaborare con il Comitato<br />

per le attività antiamericane. Fu un periodo<br />

di gioia e unità per due miti americani. Come<br />

racconta la prima biografia in uscita in Italia<br />

Arthur<br />

NATALIA ASPESI<br />

ArthurMiller e Marilyn Monroe si sposarono<br />

civilmente il 29 giugno 1956<br />

davanti a un giudice della contea di<br />

Westchester e due giorni dopo ripeterono<br />

la cerimonia celebrata da un<br />

rabbino (lei, si era velocemente convertita<br />

dalla Christian Science alla religione ebraica),<br />

in una casa di New York presa in affitto dall’agente<br />

del drammaturgo. Miller era così radioso da<br />

sembrare persino bello, con la sua elegante giacca<br />

nera e gli occhialoni neri, da divo, Marilyn era una<br />

visione stordente, nell’abito aderente di chiffon color<br />

champagne, un filo di perle imprestato da un’amica,<br />

in mano un mazzo di orchidee rare color beige.<br />

Lui avrebbe compiuto in ottobre 41 anni, ed era<br />

al secondo matrimonio, lei ne aveva compiuti 30<br />

poche settimane prima, ed era al terzo. Sulle loro fedi<br />

era inciso «Ora e per sempre»: il divorzio arrivò<br />

quattro anni e sette mesi dopo, tutto l’amore, e la<br />

passione, e la felicità, e le speranze, si erano sgretolati<br />

nel dolore, nella rabbia, nell’insofferenza, nella<br />

depressione. Quella sconfitta fu un dramma a lieto<br />

fine per il più celebre autore teatrale d’America, che<br />

risalì in fretta dal precipizio sposando solo un anno<br />

dopo, contentissimo, la bella e geniale fotografa austriaca<br />

Inge Morath; fu uno degli ultimi capitoli di<br />

una precipitosa tragedia senza scampo per la donna<br />

più desiderata al mondo, che morì nel sonno funebre<br />

dei barbiturici il 5 agosto del 1962: diciotto<br />

mesi dopo il divorzio, meno di sei mesi dopo il nuovo<br />

matrimonio di Miller.<br />

Ma quell’anno, il 1956, fu una specie di luce tenebrosa<br />

nella vita di tutti e due: una pausa di estrema<br />

gioia fisica, un tempo carico di promesse per una<br />

meravigliosa futura vita familiare e domestica, il<br />

culmine di un successo professionale per tutti e<br />

due, un momento di resistenza vittoriosa di entrambi<br />

all’implacabile violenza di un paese, di una<br />

società, che bollavano lui di comunismo antiamericano<br />

e irridevano lei per un doloroso passato inquinato<br />

dal vagabondaggio sessuale, emarginandola<br />

per una bellezza unica che la rendeva pericolosa<br />

e quindi colpevole come ai tempi delle streghe,<br />

e disprezzandola perché questa bellezza, secondo<br />

la banalità più maschilista, doveva necessariamente<br />

essere associata alla stupidità. Esce in questi giorni<br />

in Italia la biografia di Arthur Miller, scritta dal critico<br />

teatrale americano Martin Gottfried (Cooper,<br />

487 pagine, 20 euro, in libreria dal 28 settembre),<br />

pubblicata negli Stati Uniti nel 1993, quando il<br />

drammaturgo sebbene in cattiva salute, era ancora<br />

vivo e vivace (è morto il 10 febbraio 2005 pochi mesi<br />

prima di compiere 90 anni), tanto da prepararsi a<br />

nuove nozze con l’artista Agnes Barley, 34 anni (dopo<br />

un matrimonio durato 40 anni, Inge era morta di<br />

tumore nel 2002) e da riuscire a terminare un ultimo<br />

dramma Finishing the pictureandato in scena a<br />

Chicago nel 2004.<br />

Aveva vissuto per decenni nella pace di un ultimo<br />

matrimonio senza angoscia né scandalo, aveva<br />

continuato ad avere successo coi suoi drammi, non<br />

era riuscito a scalfire l’irremovibile diffidenza dell’America<br />

verso il suo impegno intellettuale e liberal,<br />

aveva cancellato l’ombra di una nuova sofferenza<br />

allontanando dalla sua vita il figlio David, nato<br />

dal matrimonio con Inge, e affetto dalla sindrome<br />

di Dawn (nella sua autobiografia, Svolte, Mondadori,<br />

non ne fa neppure cenno), aveva amato l’ultima,<br />

intelligente figlia Rebecca, diventata poi la<br />

moglie di Daniel Day Lewis. Ma per tutta quella lunga<br />

seconda parte della sua vita, come l’avesse percorsa<br />

al buio, era rimasto uno spiraglio di fiamma<br />

sull’inferno del passato, da cui era uscito vivo ma<br />

forse mutilato per sempre da una perdita irrevocabile:<br />

quella dell’estasi carnale, della cieca passione,<br />

della mano che aveva rinunciato, troppo in fretta, a<br />

tendere a una luminosa tenera persona che stava<br />

affondando.<br />

Già quarant’anni prima, con Dopo la caduta,<br />

Miller<br />

L’anno più lucente e amaro<br />

tra Marilyn e McCarthy<br />

“Lei indossava<br />

una gonna beige<br />

e una camicetta di seta<br />

bianca e guardarla<br />

dava una specie<br />

di dolore. Allora capii<br />

che dovevo fuggire<br />

o affrontare un destino<br />

inconoscibile. Malgrado<br />

la sua bellezza, era<br />

circondata da una tenebra<br />

che mi turbava. Non potevo<br />

sapere che nella mia<br />

timidezza vedeva<br />

un appiglio, un’uscita<br />

dalla vita sradicata<br />

che le era toccata in sorte”<br />

aveva rievocato dilemmi morali tra colpa e innocenza,<br />

negando furibondo, contro ogni evidenza,<br />

che la protagonista, Maggie che alla fine muore, fosse<br />

Marilyn. Adesso, ma con quel titolo, Finishing the<br />

picture che evoca, finalmente, una conclusione,<br />

un’ultima pennellata, Miller vecchio ritornava agli<br />

incubi finali del legame con quella sofferente crea-<br />

tura dorata che era stata sua moglie, incubi così lontani<br />

eppure mai sepolti: per raccontare di una star<br />

tossicomane che con le sue disperazioni e deliqui e<br />

assenze impedisce che il film di cui è protagonista<br />

si concluda (l’ultimo di Marilyn, Something’s got to<br />

givenon fu mai terminato) e attorno a lei, intrappolati<br />

nel suo destino suicida ci sono il marito scrittore,<br />

il regista che l’ha lanciata, il direttore della fotografia<br />

che stravede per lo splendore della sua carnagione<br />

e per l’imperio del suo sedere, i suoi maestri<br />

di recitazione (nella realtà Lee e Paula Strasberg,<br />

detestati da Miller) rapaci e ficcanaso. Dice il marito<br />

del dramma: «Non l’ho salvata. Non mi ha salvato<br />

come ci eravamo promessi. Basta, basta, per la<br />

nostra salvezza».<br />

Ma intanto in quel lucente e appassionato 1956,<br />

pochi giorni prima del matrimonio, l’autore di<br />

drammi importanti come Morte di un commesso<br />

viaggiatore e Il crogiolo, diventati film e sceneggiati<br />

televisivi, dovette presentarsi a Washington davanti<br />

al Comitato per le attività antiamericane. Il terribile<br />

senatore repubblicano Joseph McCarthy, quello<br />

del bel film di George Clooney Good night and<br />

good luck, era stato allontanato ma il maccartismo<br />

non era finito. Il pretesto per convocarlo era stato la<br />

sua richiesta di passaporto per andare a Londra dove<br />

stavano allestendo il suo ultimo dramma, Uno<br />

sguardo dal ponte, e Marilyn doveva iniziare le riprese<br />

di Il principe e la ballerina con il massimo attore<br />

inglese, <strong>La</strong>urence Olivier. <strong>La</strong> commissione, come<br />

faceva sempre, voleva solo fargli ammettere di<br />

essere stato comunista e quindi traditore degli<br />

ideali americani, e obbligarlo a confessare i nomi di<br />

altri presunti comunisti. Il suo ex amico Elia Kazan,<br />

(regista di Un tram che si chiama desiderio, di Fronte<br />

del porto), colui che gli aveva presentato l’attricetta<br />

Monroe che si portava saltuariamente a letto,<br />

quei nomi li aveva fatti, diventando un delatore.<br />

Miller rifiutò di collaborare: «Voglio che comprendiate<br />

che non sto proteggendo i comunisti. Sto cer-

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!