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64 non mi diedi ni pace ni reposo sino a entrarci. Da me si sa che ci sono le gambe<br />
antiche dell’Ercole Farnesio: v’è un Ermafrodito gia restaurato, e un Altare bellissimo<br />
con un Giove che cavalca sopra un Centauro: favola misteriosa«. 2<br />
Il grande storico dell’arte tedesco vide l’epilogo del dramma incominciato<br />
sotto lo sguardo del poeta del V secolo. Roma, e con lei la Grecia, rinasceva. Lo<br />
strazio di Rutilio è l’entusiasmo di Winckelmann: il primo vide coi suoi occhi<br />
morire quel che l’altro vedrà risorgere. Dopo queste immagini, la Roma antica<br />
rinacque nella memoria e nell’archeologia. Per secoli volti mutilati e corpi di<br />
statue, disegni di mosaici e bronzi, anfore e lucerne, riaffioreranno dalla terra,<br />
dal mare, dai fiumi, dalla lava. Da secoli la Roma che riaffiora vive accanto alla<br />
Roma sopravvissuta. La cercavano i giovani pittori del primo Cinquecento, che<br />
scendevano con le lucerne nelle grotte, la cercavano i collezionisti e gli antiquari,<br />
gli studiosi, gli archeologi.<br />
La Roma – o la Grecia – di Heiner Meyer è questa. Volti di statue che riconquistano<br />
tempo e memoria e si riappropriano di ogni grandezza; volti mutilati e<br />
feriti che ricompongono la bellezza perduta attraversando un sentimento eterno,<br />
un invincibile stupore. La classicità di Meyer è figlia della virile nostalgia che<br />
Roma ha dato, in eterno, ai suoi posteri. La sua architettura, come la sua scultura,<br />
rivive intera, anche mutila. Rivive da quella vicenda di trasformazioni lente<br />
che cominciarono nei primi secoli dell’era moderna e attraversarono i tempi.<br />
»Dal giorno in cui una statua è terminata, comincia, in un certo senso, la sua<br />
vita. E’ superata la prima fase, che, per l’opera dello scultore, l’ha condotta dal<br />
blocco alla forma umana; ora una seconda fase, nel corso dei secoli, attraverso<br />
un alternarsi di adorazione, di ammirazione, di amore, di spregio o di indifferenza,<br />
per gradi successivi di erosione e di usura, la ricondurrà a poco a poco allo<br />
stadio di minerale informe a cui l’aveva sottratta lo scultore (…) Questi materiali<br />
duri modellati a imitazione delle forme della vita organica hanno subito, a loro<br />
modo, l’equivalente della fatica, dell’invecchiamento, della sventura. Sono mutati<br />
come il tempo ci muta. Gli scempi dei cristiani o dei barbari, le condizioni in<br />
cui hanno trascorso sotto terra i secoli di abbandono sino alla scoperta che ce li<br />
ha restituiti, i restauri sapienti o insensati di cui si avvantaggiarono o soffersero,<br />
le incrostazioni o la patina autentica o falsa, tutto, fino all’atmosfera dei musei<br />
ove nei nostri tempi sono rinchiusi, ne segna per sempre il corpo di metallo o di<br />
pietra. Talune di queste modificazioni sono sublimi. Alla bellezza come l’ha<br />
voluta un cervello umano, un’epoca, una particolare forma di società, aggiungono<br />
una bellezza involontaria, associata ai casi della Storia, dovuta agli effetti<br />
delle cause naturali e del tempo«, scriveva Marguerite Yourcenar. 3<br />
Alle sue teste, le Afroditi e i Diadumeni, le Vittorie, Meyer riesce a dare una<br />
solennità sospesa. Ferme nell’attimo che riproduce lo sguardo negato, circonfuse<br />
di aria, terra e atmosfera a tutto tondo oppure ritagliate come moderne icone<br />
sopra fondi indistinti e irreali, incombono sul primo piano, grandi sopra le<br />
dimensioni ridotte della tela. Sono attraversate da strisce trasversali di colori che<br />
sembrano alludere alle stratificazioni della terra da cui provengono, in una sorta<br />
di geologia della memoria: una distanza nuova le separa ora dall’osservatore, un