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nuovo spazio, reale e simbolico insieme. Sono velature che interpretano il valore<br />
del tempo, velature che, unite al taglio, alla scelta della misura, all’apparente<br />
mistificazione del giallo acceso e del blu artificiale sfumano il confine tra realtà e<br />
astrazione. Alle statue già mutile l’artista aggiunge poi tagli inconsueti, spezza<br />
nuovamente con la pittura i frammenti delle sue sculture, interrompe le architetture<br />
e ne avvicina o ne allontana i particolari, sfuocandoli.<br />
I paesaggi sembrano le piccoli visioni dei carnet dei viaggiatori antichi, irreali<br />
nel giallo ocra che li accoglie come fossero attraversati da un lampo improvviso,<br />
o nel blu da notte nordica che appena rischiara i riflessi bianchi dei marmi.<br />
Le rapide colonne minute si raggruppano sulle tele a due, a tre, come i bronzetti<br />
che reinterpretano le architetture antiche inventando in forma classica una classicità<br />
mai esistita: piccole colonne erose e piegate come se fossero anch’esse<br />
uscite dalla terra, avanzi di un’antica fucina, reperti di scavi immaginari. Così<br />
scultura e architettura si compenetrano e si confondono, concorrono l’una verso<br />
l’altra.<br />
Anche le fotografie dipinte le combinano insieme, mentre la pittura stende la<br />
sua patina irreale, gialla e blu, come fosse un’imitazione forzata del colore di<br />
giorni e notti artificiali.<br />
Meyer attraversa il classicismo di Palladio con il complesso sentimento che<br />
da Palladio conduce al mondo antico e da questo al suo: incontra intatto lo spirito<br />
di una classicità già rinata in forme perfette senza dimenticare l’origine.<br />
E’ una bellezza due volte cercata e due volte trovata, addirittura accolta sotto le<br />
forme dei soffitti incompiuti di Palazzo Barbaran da Porto: luogo dove l’idea<br />
della fine – il frammento di una statua antica – riesce a congiungersi all’idea di<br />
un principio – una decorazione cominciata e improvvisamente interrotta.<br />
A maggior ragione, quindi, anche rispetto alle parole indimenticabili della<br />
Yourcenar, il Tempo traccia il suo destino all’arte, fine e principio si congiungono<br />
e il ritorno alla natura del frammento logorato si affianca al muro biaccato e<br />
mai dipinto. Forme della terra e della natura che competono con una bellezza<br />
bifronte, risuscitata da una parte, non ancor nata dall’altra. Una bellezza assente,<br />
perduta e rimpianta.<br />
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