62 31 Profil Aphrodite (Profilo Aphrodite), 1999, 165 x 75 cm Öl auf Leinwand (Olio su tavola) Sammlung Anstoetz (Collezione Anstoetz)
Nostalgia complessa Beatrice Buscaroli Fabbri Era un alto funzionario dell’impero, che fu anche prefetto di Roma, figlio di un altro funzionario di aristocratica famiglia gallica. Rutilio Namaziano compì il suo viaggio di ritorno da Roma alla Gallia quando già l’Italia era ostaggio dei barbari. Roma è finita. Il diario di viaggio dell’ultimo poeta della Roma antica è un poemetto in distici elegiaci, composto forse per un gruppo di amici, recitato in Gallia, al ritorno. E’ quanto resta dell’estremo cantore della bellezza di Roma classica, che, nell’inverno del 415 o del 417, traversò le strade abbandonate e i ponti spezzati, le campagne desolate dalle orde degli invasori fino al mare. E’ una Roma grande, quella che resta, pur nelle rovine. Vinta nei fatti, nelle erbacce che invadono i templi e muschiano le statue, che diventa però la Roma invitta dei poeti e degli storici, mito dei secoli e delle nazioni. La poesia di Namaziano descrive rovine e abbandoni. Ma dalle rovine risorge una sorta di retrospettivo orgoglio che quasi soffoca la certezza ineluttabile della fine presente. E’ esistita, comunque. Exaudi, regina tui pulcherrima mundi, inter sidereos, Roma, recepta polos! Exaudi, genitrix hominum genitrixque deorum; non procul a caelo per tua templa sumus. Te canimus semperque, sinent dum fata, canemus: sospes nemo potest immemor esse tui. Obruerint citius scelerata oblivia solem Quam tuus ex nostro corde recedat honos … 1 I visigoti hanno invaso la Gallia, le province sono state inondate dalle torme di barbari, vandali, svevi, alani. Namaziano passa e traccia rapido i suoi versi, schizzi di desolazione incorniciati nel corso regolare dei suoi distici che compongono un primo libro, e sessanta versi del secondo, De Reditu Suo. Il mondo antico cominciava a oscurarsi, a scendere dentro quella terra che l’aveva innalzato. L’ultimo poeta di Roma vide il principio di un processo destinato a durare per secoli: vide i primi crolli, le prime rovine, quei marmi che ritornavano ad assumere le forme della pietra e i disegni del caso. Passarono i secoli. Roma e la Grecia, rilavorate e molate dal tempo e dalla storia, cominciarono a tornare nelle raccolte e nei musei. Volti, torsi di statue, frammenti, schegge di bellezza perduta che furono nuovamente alzate sopra i piedistalli, nelle dimore dei re e dei principi d’Europa. La bellezza frantumata che si apriva nelle viscere della terra avvinceva i mecenati e gli storici, i collezionisti e gli »antiquari«. Gli architetti misuravano i templi, i pittori li osservavano, e li ritraevano, enormi nella loro mole infinita. Winckelmann, nelle sue lettere dall’Italia, racconta entusiasta: »Ho esaminato tutto con esatezzo e son giunto a’ più intimi recessi di Roma. Ma non mi riuscito fin’ora di vedere il Museo di pietre intagliate del Duca Piombino. Mi giunse notizia di certe cosette in una Cantina nella Villa Borghesa serrata gelosamente: 63