Pi 30 agosto 2017
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editoriale<br />
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ni agricole le quali, a causa della mancata diversificazione delle colture,<br />
imposta dai Paesi importatori, cioè quelli più ricchi, hanno<br />
finito col rovinare i terreni riducendone le capacità produttive, in<br />
molti casi desertificandole. Tutti questi enormi problemi, che ci<br />
stanno investendo direttamente, non si risolvono con il protezionismo.<br />
Anzi, le cose stanno esattamente all’incontrario: si tratta di<br />
questioni gravissime, causate proprio dal protezionismo e da politiche<br />
valutarie di cambio ‘ineguale’, attuate sin dai tempi della<br />
Conferenza di Berlino del 1884/’85. La politica degli Stati più avanzati<br />
è sempre stata funzionale a limitare, attraverso l’imposizione<br />
dei dazi doganali, ogni importazione dall'estero. Ovvero, ciò che oggi<br />
costringe molte popolazioni a migrare. La libera circolazione dei<br />
prodotti agricoli risolverebbe molti dei problemi legati alla malnutrizione<br />
nei Paesi arretrati. E l'abbandono di ogni politica protezionista<br />
favorirebbe lo sviluppo dell'agricoltura anche nel Terzo<br />
Mondo, la cui economia viene strangolata dalle oscillazioni dei prezzi<br />
e dall'altissimo indebitamento degli Stati in via di sviluppo. A tal<br />
fine, i vari negoziati internazionali di questi ultimi 25 anni si sono<br />
sempre e regolarmente ‘arenati’ proprio sul delicato punto dell'abbandono<br />
delle politiche protezionistiche e sui sussidi all'agricoltura<br />
interna. In pratica, i Paesi ricchi prendono tutti dei soldi, attraverso<br />
appositi fondi, per mantenere ‘in piedi’ le loro economie interne.<br />
Con i soldi degli altri! L’abbattimento di ogni tariffa doganale<br />
nell’Unione europea ha consentito il ‘calmieramento’ dei prezzi di<br />
numerosi prodotti, non soltanto di quelli agricoli, bensì anche di<br />
quelli tecnologici, aprendo quelle ‘barriere’ di mercato che stavano<br />
favorendo un oligopolio di ‘strozzini’ e ‘rapinatori’. In pratica, alcune<br />
potenti aziende avevano fatto ‘cartello’ per poterci ‘ricattare’<br />
sulle ricariche telefoniche, giusto per fare un esempio. Nell'ambito<br />
della tanto vituperata Unione europea sono stati presi, negli ultimi<br />
anni, tutta una serie di accordi per incrementare la produttività<br />
agricola attraverso lo sviluppo tecnologico, assicurare gli approvvigionamenti<br />
dei prodotti e mantenere sotto controllo i prezzi delle<br />
merci. Ciò ha significato: 1) prezzi comuni e fissi; 2) l’armonizzazione<br />
delle norme dei singoli Stati membri. Il protezionismo, invece: a)<br />
non impedisce affatto le oscillazioni di mercato; b) favorisce assai<br />
poco la produzione interna, poiché ne riduce la domanda; c) limita,<br />
infine, le esportazioni verso i mercati esteri, perché se cominciamo a<br />
mettere dei dazi in ‘entrata’, la risposta naturale di ogni singolo<br />
Paese sarà quella di imporli, a sua volta, contro il nostro export. Per<br />
riavviare una robusta produzione interna non serve imporre tributi<br />
doganali: servono sostegni economici, che rendano le aziende più competitive<br />
sui mercati. E servono investimenti: un’ipotesi che i nostri<br />
‘grandi manager’ e i nostri imprenditori non vogliono neanche sentir<br />
nominare, perché sperano di poter spendere i soldi degli ‘altri’: i nostri,<br />
in particolare. Tutto chiaro? È preferibile acquistare una banana a<br />
basso costo da un coltivatore somalo, oppure si vuole che il coltivatore<br />
di banane venga a vivere qui da noi, con tutta la famiglia al seguito?<br />
Se un’intera famiglia somala è giunta in Italia sopra a un barcone, di<br />
chi è la colpa? Qui qualcuno mente, sapendo di mentire.<br />
VITTORIO LUSSANA<br />
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