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BoneHealth N°1 pagina singola 04 marzo 21

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MakingLife Srl

Piazza della Repubblica 10 - 20121

Milano

Supplemento a Makinglife PharmaFuture&Health

- numero 1 -

marzo 2021

Il giornale del metabolismo osseo

EDITORIALE

La multidisciplinarietà al servizio

della fragilità ossea

Gregorio Guabello

Siamo soliti pensare all’osteoporosi come a una patologia che colpisce

elettivamente le donne nel periodo menopausale della vita in quanto

è noto che il calo estrogenico che si verifica dopo i 50 anni determina

una rapida perdita di massa ossea con aumentato rischio di frattura.

Questo è vero fino a un certo punto in quanto, sebbene l’osteoporosi

post-menopausale sia la forma più frequente nella pratica clinica,

è altresì importante ricordare che l’età senile è essa stessa causa di

depauperamento osseo e questo rende conto del fatto che anche il sesso

maschile in età avanzata può essere colpito da fragilità dello scheletro.

Continua a pagina 2

Microbiota intestinale

e metabolismo osseo

PRIMO PIANO

Serena Zani

La review “Microbial

osteoporosis: The

interplay between the

gut microbiota and bones

via host metabolism and

immunity” ha esaminato

i dati di alcuni rilevanti

studi che hanno ricercato

la relazione tra microbiota

intestinale e salute

dell’osso e potrebbe aprire

le porte a nuove ricerche in

tale ambito.

GESTIONE DEL PAZIENTE

BONE SPECIALIST PER UN

CORRETTO APPROCCIO

ALL’OSTEOPOROSI

Paolo Pegoraro

L’osteoporosi è una malattia sistemica dello scheletro

caratterizzata da una massa ossea ridotta e da alterazioni

qualitative che si accompagnano a un aumento del rischio di

frattura.

Per un corretto approccio alla malattia, è necessario che in Italia,

come all’estero, ci siano medici con il profilo del Bone Specialist.

Pagina 2 Pagina 4

PERCORSI TERAPEUTICI COMORNIDITÀ MALATTIE RARE ODONTOIATRIA NUTRIZIONE

Impatto del Covid-19

sulla gestione del paziente

Patologie della tiroide

e rischio di fratture

Algodistrofia importanza

di diagnosi precoce

Osteonecrosi dei

mascellari farmaco-relata

Ossa forti e sane

a tavola

La pandemia ha fortemente

impattato sul sistema

sanitario di molti Paesi,

andando a riscrivere le

regole di approccio alle

terapie e le modalità di

interazione medicopaziente.

Un sondaggio

internazionale - che ha

coinvolto reumatologi,

endocrinologi e ortopedici -

mostra come siano cambiate

queste dinamiche.

I disturbi della tiroide hanno

un impatto importante

sul metabolismo osseo:

osteoporosi e fratture da

fragilità sono complicanze

importanti. I ricercatori

concordano sull’impatto

negativo dell’ipertiroidismo

sul metabolismo osseo,

meno su quello di

ipotiroidismo, ipotiroidismo

subclinico o ipertiroidismo

subclinico.

La Sindrome algodistrofica

è una patologia invalidante,

che deve essere diagnosticata

nelle sue fasi precoci con

un’anamnesi completa e

precisa. Ad oggi, la classe di

farmaci con una maggiore

efficacia nel trattamento

di questa patologia è quella

dei bisfosfonati. Tra le varie

molecole il neridronato

sembra essere il candidato

ideale.

È necessario che l'odontoiatra

prenda in carico il paziente,

interagendo con altri

specialisti per individuare la

terapia migliore.

Tiziano Testori

Calcio, proteine, vitamina

D sono essenziali per il

benessere dello scheletro. In

caso di carenze, si consiglia

l’uso di integratori.

Hellas Cena

Pagina 8 Pagina 12 Pagina 14 Pagina 16 Pagina 18


pagina 2

PRIMO PIANO

Fragilità ossea

un approccio integrato

Gregorio Guabello

Segue dalla prima

Detto ciò, va ricordato

come moltissime patologie

extra-scheletriche possono

determinare, con meccanismi

complessi e diversificati,

un indebolimento dello

scheletro con osteoporosi

e fragilità ossea. Pensiamo

ad alterazioni endocrine

come l’iperparatiroidismo e

l’ipercortisolismo così come

patologie epatiche e renali che

nel tempo compromettono

la resistenza del tessuto

osseo. Malattie neurologiche

e neuro-muscolari, con

meccanismi diretti e indiretti,

possono determinare

osteoporosi e fragilità ossea.

Le patologie infiammatorie

delle articolazioni si

accompagnano spesso a

riassorbimento osseo. I

pazienti oncologici, sia per

la malattia stessa sia per i

trattamenti eseguiti (radio e

chemioterapia, terapie antiormonali)

presentano spesso

una precaria situazione ossea.

Infine moltissimi farmaci,

in primis i glucocorticoidi,

possono determinare

gravi forme di osteoporosi

iatrogena. Ecco perché la

gestione del paziente con

patologia fragilizzante dello

scheletro necessita nella

medicina moderna di un

approccio multidisciplinare

e di un approccio integrato

attraverso un confronto fra le

varie figure professionali che

gravitano attorno alla patologia

endocrino-metabolica dello

scheletro (endocrinologo,

reumatologo, ortopedico,

fisiatra, internista, oncologo,

dietologo, nefrologo, geriatra,

neurologo, gastro-enterologo,

odontoiatra). Se un paziente

con frattura di femore da

fragilità arriva in prima battuta

al chirurgo ortopedico per

la protesizzazione o per la

osteosintesi, è fondamentale che

lo stesso paziente, nel percorso

di riabilitazione, sia avviato

ad una valutazione osteometabolica

che ne permetta

un attento inquadramento

e una corretta impostazione

terapeutica. Ma ancora di

più dovremmo pensare alla

prevenzione primaria della

frattura, attraverso una

adeguata supplementazione con

vitamina D in età menopausale

e geriatrica e la gestione

di tutte le comorbilità che

possono concorrere alla

fragilità ossea del paziente.

Pazienti candidati a terapia

steroidea cronica devono

iniziare da subito una

copertura farmacologica

anti-riassorbitiva per non

incorrere nelle temibili

fratture vertebrali indotte

dai glucocorticoidi. E’ quindi

chiaro che i vari specialisti che

si occupano di malattie extrascheletriche

che possono

avere una ripercussione

sul rimodellamento osseo,

siano consapevoli di avviare

il paziente al Bone Specialist

nell’ottica di una prevenzione

primaria e secondaria delle

frattura da fragilità, con ovvie

ripercussioni in termini di

risparmio di costi sanitari.

Microbiota intestinale

e metabolismo osseo

Serena Zani

Recentemente è stato scoperto che il

microbiota intestinale, influenzando il

metabolismo dell’ospite, le sue funzioni

immunitarie e la secrezione di ormoni,

impatta sul metabolismo osseo

PER APPROFONDIRE

Un gruppo di ricercatori cinesi ha condotto un’ampia

analisi della letteratura per valutare gli effetti del

microbiota intestinale sul metabolismo osseo, al

fine di trarne nuove idee e target per il trattamento

clinico dell’osteoporosi.

Oltre a calcio e vitamina D, il cui assorbimento è

particolarmente importante per il mantenimento di

ossa sane, sono stati scoperti altri nutrienti utili per

la salute delle ossa.

Ad esempio, i probiotici possono ridurre il pH

intestinale e migliorare l’assorbimento del calcio.

Assunti durante la crescita, fruttoligosaccaridi,

galattosio, fibra di mais solubile (SCF) e altri

probiotici possono aumentare l’assorbimento del

calcio nell’uomo.

Rispetto a topi ovariectomizzati cui non sono stati

somministrati probiotici, nel modello murino

carente di estrogeni ma con alimentazione integrata

con Lactobacillus reuteri è stato osservato un

significativo aumento di massa ossea corticale.

Il microbiota intestinale modula il metabolismo

dell’ospite e lo sviluppo dello stato immunitario.

Grazie a questa relazione potrebbe intervenire anche

nella regolazione della massa ossea.

I probiotici possono inibire l’attività degli

osteoclasti e ridurre l’infiammazione. Inoltre,

possono favorire l’assorbimento del calcio e

aumentare significativamente l’espressione dei

marker osteogenici.

Il microbiota intestinale incide in modo significativo

sul metabolismo osseo attraverso molti ormoni, tra

cui il più noto, anche se non unico, è il GLP-1, che

svolge un ruolo importante nel ricambio osseo.

Le evidenze scientifiche sono molto forti, tuttavia, la

maggior parte dei risultati deve essere ulteriormente

convalidata attraverso studi sull’uomo, dato che

i risultati finora a disposizione sono stati ricavati

principalmente da studi su animali.

Fonte: Lishan Li et al. Microbiologyopen. 2019 Aug; 8(8): e00810.

Supplemento al numero 1 di MakingLife

Casa Editrice

Makinglife Srl

Sede Legale: Piazza della Repubblica 10

20121 Milano

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Milano | Tel. 0236525293

Direttore responsabile: Caterina Lazzarini

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Coordinamento redazionale: Caterina Lucchini

caterina.lucchini@makinglife.it

Direttore scientifico: Gregorio Guabello

Comitato scientifico:

Giorgio Castellazzi

Hellas Cena

Sabrina Corbetta

Matteo Longhi

Maurizio Rondinelli

Riccardo Scaini

Giovanna Testa

Tiziano Testori

Federico Valli

Art director: Simone Abbatini

Hanno collaborato:

Paola Arosio, Lorenzo Custode, Lorenzo Giusti,

Letizia Leali, Gaia Leonardi, Caterina Lucchini,

Simone Montonati, Paolo Pegoraro, Monica

Torriani, Gloria Visconti, Serena Zeni.

Commerciale: Alessia Fellegara

alessia.fellegara@makinglife.it

Stampa: Starprint Srl - via A. Ponchielli 51 | 24125 BG

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e articoli pubblicati dalla rivista e la loro

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rivista.


VITAMINA K2 MK-7 –

L'INGREDIENTE VITALE

PER LA SALUTE DELLE OSSA

pagina 3

La cura del nostro scheletro non dovrebbe

essere limitata alla vecchiaia. Infatti,

è fondamentale mantenere una

massa ossea sana per tutta la vita.

Il calcio è l'elemento costitutivo delle

nostre ossa. Tuttavia, il nostro corpo ha

bisogno di più per incorporare il prezioso

minerale nel nostro scheletro. Insieme, le

vitamine D e K2 lavorano in sinergia per

assicurare che il calcio sia assorbito e portato

nei posti giusti del corpo.

La vitamina D3 è un aiuto essenziale perché

il calcio sia assorbito dalla nostra

dieta. La D3 supporta anche la produzione

di diverse proteine coinvolte nel

metabolismo del calcio. La produzione

di osteocalcina da parte degli osteoblasti

è influenzata dai livelli di vitamina

D. Tuttavia, questa proteina cruciale richiede

la vitamina K per la sua attivazione.

LA VITAMINA K2 MK-7 È IL NUTRIENTE VITALE CHE, CON

VITAMINA D, ASSICURA CHE IL CALCIO SIA SICURO ED EFFICACE.

I TRE, INSIEME, SUPPORTANO IN MODO OTTIMALE LA MINE-

RALIZZAZIONE DELLE OSSA.

IL CALCIO SI BASA SULLE VITAMINE D3 E K2 (1)

D

OPTIMAL

Vitamin D

K

OPTIMAL

Vitamin K

LO SAPEVATE?

Al contrario della vitamina K1, la K2

è distribuita a livello extra-epatico.

I menachinoni, o K2, sono la forma

circolante della vitamina K. Tra tutti,

il menachinone-7 (K2 MK-7) ha la migliore

biodisponibilità e la più lunga

emivita.

Dr. Trygve Bergeland, VP Science di

Kappa Bioscience AS: "A causa delle

loro differenze strutturali, le vitamine

K1 e K2 non hanno le stesse attività

biologiche. Con la K2, il ruolo della

vitamina K si estende oltre la coagulazione

del sangue, poiché regola

anche altri importanti processi

metabolici, come la calcicazione e

l'inammazione. La K1 si trova facilmente

in una dieta equilibrata, come

invece non avviene per la vitamina

K2. La carenza potrebbe essere più

comune di quanto pensiamo".

Proteine dipendenti dalla

vitamina K: Aumento

dell'espressione delle forme

inattive di:

• Matrix Gla-protein (ucMGP)

• Osteocalcin (ucOC)

L'efcacia della combinazione è dimostrata

da studi clinici. Quando gli integratori di

calcio, D o K2 da soli in genere limitano

Attivazione

(carbossilazione) di:

• ucMGP a cMGP

• ucOC a cOC

+

-

-

Densità

minerale

ossea

Rischio di

frattura

Calcificazione

vascolare

solo la perdita ossea, la co-supplementazione

di vitamine D + K2 migliora efcacemente

la densità minerale ossea.

EVOLUZIONE DELLA DENSITÀ MINERALE OSSEA NEL TEMPO (2)

BMD Percent Change (%)

15

14

13

12

11

10

9876543210

-1

-2

-3

-4

-5

-6

-7

-8

6 Months 12 Months 18 Months 24 Months

Vitamin K2 alone

Group 1 (n=30)

Vitamin D3 alone

Group 2 (n=32)

Vitamins K2 + D3

Group 3 (n=31)

Controls

Group 4 (n=33)

L'INGREDIENTE DELLA VITAMINA K2 MK-7 DI KAPPA BIOSCIENCE, K2VITAL ® , È UNA SOLUZIONE COLLAUDATA PER GLI OPERATORI

SANITARI, I MARCHI DI INTEGRATORI E I CONSUMATORI. LA SUA PUREZZA E STABILITÀ SUPERIORI NE FANNO L'INGREDIENTE PREFERITO.

Ulteriori informazioni su

The Perfect Pair:

www.kappabio.com/brochures/the-perfect-pair/

www.kappabio.com/brochures/bone-health/

Per un elenco di riferimento completo e per ulteriori informazioni sulla vitamina K2 MK-7,

K2VITAL ® e sulle opportunità di ricerca di Kappa Bioscience, contattare:

Sales & Finished Product Development

Ofce +49 40 6094087-0 | sales@kappabio.com | www.kappabio.com

(1) van Ballegooijen et al., Int J Endocrinol 2017; 7454376

(2) Ushiroyama, T., Ikeda, A., & Ueki, M. (2002). Effect of continuous combined therapy with vitamin K2 and vitamin D3 on bone mineral density and coagulobrinolysis function in postmenopausal women. Maturitas, 41(3), 211-221.


pagina 4

GESTIONE DEL PAZIENTE

Competenze

trasversali a supporto

dell’osteoporosi

L'osteoporosi

rappresenta una

malattia di rilevanza

sociale per diffusione

e costi, la cui gestione

necessità di un team

multidisciplinare

CHE COS’È IL DEFRA?

Paolo Pegoraro

L’osteoporosi è una malattia

sistemica dello scheletro

caratterizzata da una massa ossea

ridotta e da alterazioni qualitative

(macro e microarchitettura) che

si accompagnano ad aumento del

rischio di frattura. L’osteoporosi

rappresenta una malattia di

rilevanza sociale, per diffusione e per

costi: la sua incidenza aumenta con

l’età sino a interessare la maggior

parte della popolazione oltre l’ottava

decade di vita. Si stima che in Italia

ci siano oggi circa 3,5 milioni di

donne e un milione di uomini affetti

da osteoporosi. Poiché nei prossimi

vent’anni la percentuale della

popolazione italiana al di sopra dei

65 anni d’età aumenterà del 25%, ci

dovremo attendere un proporzionale

incremento dell’incidenza

dell’osteoporosi.

Ne parliamo con Gregorio Guabello,

internista ed endocrinologo,

responsabile dell’ambulatorio di

II livello per il metabolismo osseo

dell’IRCCS Ospedale Ortopedico

Galeazzi di Milano e Direttore

scientifico di Bonehealth.it.

E’ un algoritmo che è stato sviluppato in Italia sulla base di

dati relativi al rischio di frattura della popolazione Italiana

e stratifica in modo più accurato alcune delle variabili già

presenti nel FRAX, allo scopo di migliorare la predittività

del rischio di frattura. Il DeFRA fornisce una stima del

rischio sostanzialmente analoga al FRAX sulla base delle

sole variabili continue (età, BMI, BMD), ma più accurata

quando va a valutare altri fattori di rischio clinici in

maniera più dettagliata (per esempio sede e numero delle

pregresse fratture) e completa (per esempio altri farmaci

osteopenizzanti, altre comorbilità, BMD vertebrale e non

solo femorale).

Dottor Guabello, quali sono

le frontiere della terapie

dell’osteoporosi?

Sono frontiere sempre in

movimento. E comunque il

trattamento dell’osteoporosi deve

essere finalizzato alla riduzione del

rischio di frattura. I provvedimenti

non farmacologici (dieta, attività

fisica) o la eliminazione di fattori

di rischio modificabili (fumo, alcol)

dovrebbero essere raccomandati

a tutti. Al contrario l’utilizzo di

farmaci specifici è condizionato dalla

valutazione del rapporto rischio/

beneficio.

Che cosa si può dire delle metodiche

diagnostiche?

Oggi l’indagine densitometrica

consente di misurare in modo

abbastanza accurato e preciso

la massa ossea e in particolare

la sua densità minerale (bone

mineral density o BMD) in g/cm2 di

superficie ossea proiettata.

La valutazione integrata di BMD e

dei più importanti fattori di rischio

clinici parzialmente o totalmente

indipendenti dalla BMD consente

una stima più accurata del rischio

di fratture da fragilità nel medio

termine (5-10 anni successivi),

e l’identificazione di soggetti in

cui un trattamento farmacologico

è più appropriato. Soprattutto

negli ultimi 10 anni sono stati

sviluppati algoritmi, quali il FRAX

e il DeFRA, che calcolano il rischio

Gli esperti nel

metabolismo dello

scheletro devono

avere competenze

multidisciplinari

per curare

una patologia

trasversale

Il ruolo del medico

di famiglia

Il medico di famiglia

è di grande aiuto

in due fasi: in un

primo momento

d’intercettazione

precoce della patologia,

quando l’età e il sesso

del paziente possono

suggerire di rinviare

al Bone Specialist per

una valutazione e un

primo test di densità

ossea, che può dire

molto sull’attuale

salute delle ossa. Se

non c’è osteoporosi,

il medico di famiglia

può dare consigli su

come prevenirla, oltre

a informazioni su come

mantenere una buona

salute delle ossa.

delle principali fratture da fragilità

(vertebre, femore, omero, polso)

nei successivi 10 anni integrando

le informazioni derivanti dalla

misurazione della BMD con quelle

derivanti dalla presenza dei fattori di

rischio clinici.

Oggi si parla di Bone Specialist. Che

cosa ci può dire in proposito?

Credo fortemente che In Italia ci

sia bisogno di medici che abbiano

il profilo del Bone Specialist, come

avviene all’estero.

Dottor Guabello, quale

specializzazione si richiede al Bone

Specialist?

Questa è una domanda delicata. Vi

do una risposta da endocrinologo,


pagina 5

GESTIONE DEL PAZIENTE

assumendomi la

responsabilità di

sembrare di parte… Lo

specialista più indicato ad

approfondire le tematiche

del metabolismo dell’osso

è proprio l’endocrinologo,

che può e deve seguire il

paziente per tutto il corso

della patologia (cioè per

la vita) monitorando e

valutando le indagini

sierologiche, gli esami

diagnostici strumentali e

poi impostando la terapia

che andrà di volta in volta

rivalutata, confermata o

modificata. Un compito

non semplice, che occorre

svolgere con precisione per

la massima efficacia.

Quali altri profili medici

possono qualificarsi come

Bone Specialist?

Sicuramente il reumatologo,

che ha le competenze

per valutare la corretta

applicazione di terapie

innovative. Un po’ meno

adatti i chirurghi, e mi

riferisco agli ortopedici,

che sono impegnati su

un fronte differente e

con diverse tempistiche

d’intervento. Teniamo

presente che gli esperti nel

metabolismo dello scheletro

devono avere competenze

multidisciplinari per curare

una patologia trasversale.

Tuttavia se un medico – un

fisiatra, un internista, un

geriatra per esempio - si

appassiona alla materia e

vi dedica molto studio, può

certamente diventare una

figura a tutto tondo adatta a

seguire i pazienti con questi

problemi.

E se invece l’osteoporosi

viene rilevata?

E’ questa la seconda fase

d’intervento del medico di

medicina generale, che sarà

un eccellente counselor

nell’accompagnare il

paziente alla scelta del

medico o del centro

specializzato più indicato,

dove riceverà dal Bone

Specialist un piano di

trattamento personalizzato

basato sulle sue esigenze

specifiche. Il medico di

famiglia poi, che di norma

conosce il paziente e le

sue comorbidità, potrà

seguirne la storia clinica

con un’azione di rinforzo

alla compliance (molte volte

il paziente si scoraggia o

si demotiva), trovando le

parole giuste per rinforzarne

l’adesione alla terapia e

per ricordargli di seguire il

proprio programma di visite

con scrupolo.

E per quanto riguarda

la rimborsabilità delle

terapie?

La grande importanza dei

fattori di rischio clinici

indipendenti dalla BMD

ha determinato anche un

loro maggiore peso nella

definizione dei criteri

per la rimborsabilità dei

farmaci per l’osteoporosi

in Italia (nota 79, AIFA). La

revisione della Nota 79 ha

anche evidenziato come gli

Lo specialista

più indicato ad

approfondire le

tematiche del

metabolismo

dell'osso è

l'endocrinologo

strumenti per la definizione

del rischio di frattura

debbano continuamente

e frequentemente essere

aggiornati con i dati

derivanti dagli studi clinici

che nel tempo possono

identificare nuovi fattori di

rischio clinici, come nel caso

del diabete e degli inibitori

dell’aromatasi, o permettere

una migliore interpretazione

del rischio derivante da

fattori già noti. L’utilizzo

del DeFRA consente di

garantire un razionale

e omogeneo approccio

diagnostico e terapeutico

dell’osteoporosi, adattato

in particolare alla realtà

italiana e ai criteri definiti

dall’AIFA per giudicare

l’opportunità o meno di un

intervento farmacologico.

Consente inoltre una

stratificazione del rischio

di frattura che può essere

utilizzata nella scelta del

trattamento farmacologico

più opportuno, insieme ad

altri criteri quali la safety, il

rapporto costo/efficacia, le

prospettive di aderenza ed il

razionale fisiopatologico.

NEI CONGRESSI

ODONTOIATRICI

SI PARLA SPESSO

DI ONJ MA

NON SEMPRE

IN MANIERA

ADEGUATA

OSTEONESCROSI DEI MASCELLARI

UN PROBLEMA PER GLI ODONTOIATRI

La terapia con

bisfosfonati per malattie

maligne a dosi decine

di volte superiori a

quelle utilizzate per la

terapia dell’osteoporosi,

si associa a un

aumentato rischio (sino

al 10%) di sviluppo

dell'osteonecrosi delle

ossa del cavo orale

(osteonecrosis of the jaw:

ONJ).

Questo effetto collaterale

dei bisfosfonati si verifica

molto più raramente in

pazienti in trattamento

per l’osteoporosi con

un rischio aumentato

in concomitanza a

interventi sul cavo orale

con esposizione del

tessuto osseo.

Dott Guabello,

l’osteonecrosi dei

mascellari è un problema

per l’odontoiatra?

Il problema

indubbiamente c’è.

Tuttavia, in base ai

dati epidemiologici

non pare giustificato il

rifiuto dell’odontoiatra

di sottoporre il

paziente in terapia con

bisfosfonati a trattamenti

odontoiatrici anche

invasivi (estrazioni),

oppure di considerarlo

quale alternativa

all’assunzione dei

bisfosfonati, in assenza

di altre condizioni di

rischio documentate. In

qualche caso il mancato

trattamento potrebbe

essere esso stesso fattore

di rischio per ONJ. Per

soggetti che sono in

trattamento prolungato

con bisfosfonati da oltre

3 anni (con compliance

>80%) si suggerisce

di mantenere una

regolare igiene orale

professionale, con le

modalità consigliate per

la popolazione generale.

Se è necessario un

intervento chirurgico

a livello del cavo orale

(estrazione) molte linee

guida suggeriscono

Paolo Pegoraro

La migliore

misura per

gestire l'ONJ è

la prevenzione e

il controllo dei

fattori di rischio

la sospensione del

bisfosfonati per un

periodo di tre mesi e la

ripresa del farmaco alla

guarigione della ferita

chirurgica. Recentemente

alcuni autori propongono

la sospensione del

farmaco successivamente

all’estrazione fino alla

guarigione mucosa

del sito estrattivo.

Sospensioni prolungate

andrebbero concordate

tra odontoiatra e

prescrittore del

bisfosfonato. In caso di

intervento odontoiatrico

invasivo (estrazione),

soprattutto se sono

presenti fattori di

rischio (diabete,

immunosopressione,

steroidi, fumo, alcol) si

potrà eventualmente

procrastinare l’inizio

della terapia alla

risoluzione del problema

odontoiatrico o, in

alternativa, gli opportuni

interventi si potranno

eseguire entro i primi

sei mesi dall’inizio della

terapia.

In definitiva, che cosa

consiglia ai dentisti?

È diffusamente accettato

che la miglior misura

per gestire l’ONJ è la sua

prevenzione, che si basa

fondamentalmente sul

controllo dei fattori di

rischio.

Nei pazienti che iniziano

terapia con bisfosfonati

per l’osteoporosi non

è necessaria una visita

odontoiatrica con

eventuale bonifica prima

dell’inizio.

Si dovrà sollecitare a

mantenere la normale

routine di igiene orale,

comune alla popolazione

generale, soprattutto

se l’igiene orale non

è soddisfacente. In

caso di necessità di

interventi odontoiatrici

invasivi è consigliata

un’adeguata profilassi

antibiotica (amoxicillina

eventualmente

combinata a

metronidazolo) da

iniziarsi il giorno prima e

da protrarsi per 6 giorni

dopo l’intervento, fino

alla guarigione della

mucosa gengivale. La

profilassi antibiotica

andrebbe abbinata a

chirurgia estrattiva che

preveda la chiusura

primaria del sito dove

l’estrazione è avvenuta

con la mobilizzazione

di lembi mucoperiostei.

Va richiesta al paziente

un’indispensabile

adesione a uno stretto

programma di igiene.


pagina 6

GESTIONE DEL PAZIENTE

Osteoporosi ai tempi

della pandemia

La letteratura riporta che nel

caso di fratture dell’anca oggi

si assiste a dimissioni rapide,

spesso senza trattamento

antiosteoporotico, senza

riabilitazione postchirurgica

adeguata e senza

ulteriori raccomandazioni

per il follow-up. A causa

di ciò, il trattamento

farmacologico dei pazienti

che hanno subito una frattura

probabilmente è sceso a

livelli quasi impercettibili. Ce

lo spiega Sabrina Corbetta,

responsabile del servizio di

Endocrinologia e Diabetologia

e del laboratorio di

Endocrinologia sperimentale

presso l’IRCCS Istituto

Ortopedico Galeazzi di Milano

e professoressa associata di

Endocrinologia all’Università

degli Studi di Milano.

VALUTAZIONE DEL RISCHIO

OSTEOPOROTICO NEL RICOVERO

ACUTO

«Nella condizione di

emergenza e pandemia

tante Unità di ortopedia del

territorio sono state chiuse o

riconvertite e si è verificata

una concentrazione dei

pazienti nelle strutture che

sono state identificate come

Hub, tra cui il Galeazzi e il

Caterina Lucchini

Il Covid-19 ha messo alla prova la capacità di

sostenere la tempestiva cura delle fratture da fragilità

nell’acuzia e a lungo termine

Pini. Questo ha garantito la

cura chirurgica della frattura

da fragilità ma ha reso più

difficile la valutazione per il

trattamento medico – indica

Corbetta. Ciò significa non

poter neanche pianificare

una corretta gestione

dell’osteoporosi e questo,

si sa, predispone a una

seconda frattura». Come

spiega Fabrizio Pregliasco,

Direttore Sanitario dell’IRCCS

Istituto Ortopedico Galeazzi

di Milano, oltre che

ricercatore confermato in

Igiene Generale ed applicata

all’Università degli Studi di

Milano, «la nostra struttura

ha deciso di comprendere

nel momento del ricovero

acuto anche la valutazione

del rischio osteoporotico,

proprio per evitare di perdere

il paziente che con meno

probabilità attualmente

sarebbe poi tornato dopo le

dimissioni in ambulatorio

per una visita. Questo

percorso include quindi

la visita endocrinologica,

gli esami ematochimici

ed eventualmente la MOC

contestuali al ricovero. Si

tratta di un metodo virtuoso

che abbiamo messo in atto per

supplire alla carenza di visite

ambulatoriali post frattura,

ma che manterremo a

prescindere perché ottimizza

i tempi e migliora il servizio al

paziente».

LE FRATTURE SONO IN AUMENTO

Durante la pandemia le

fratture da fragilità non sono

affatto diminuite, anzi. «La

sedentarietà dei pazienti

anziani – spiega Corbetta -

ha sicuramente peggiorato

lo stato di salute generale,

e in particolare del sistema

muscolo-scheletrico». Si

osservano pazienti con minori

abilità motorie, ridotta massa

muscolare e aumentata massa

grassa. Tutto ciò predispone

il paziente anziano a un

aumento del rischio di

fratture.

IL FOLLOW-UP

Il problema del calo delle

visite in ambulatorio non

riguarda tuttavia solo le

acuzie, ma coinvolge anche

i pazienti in follow-up.

«La pandemia – sottolinea

Corbetta - ha fatto registrare

una riduzione delle visite

ambulatoriali dei pazienti

fragili: abbiamo degli assistiti

che non vediamo da ormai

anche 18 mesi e questo è

estremamente grave perché

sarebbero necessarie almeno

una o due visite nel corso

dell’anno. Nonostante i nostri

ambulatori siano aperti,

i pazienti hanno paura e

spesso saltano le visite di

controllo. Purtroppo si è

creduto che estendendo la

validità del piano terapeutico

per la rimborsabilità dei

farmaci antiosteoporotici di

seconda linea la situazione

potesse essere controllata

a distanza ma non è così. E

non è così in particolare in

questa popolazione fragile».

I pazienti dovrebbero

essere rassicurati secondo

Pregliasco a riprendere le

visite di controllo in Ospedale,

«perché ormai il personale

è vaccinato e la struttura

sanitaria non rappresenta un

luogo di pericolo».

In conclusione, per rispondere

alla minaccia posta ai sistemi

sanitari, agli individui e alle

loro famiglie dalla pandemia

di Covid-19, è importante

dare la priorità alla salute

generale degli anziani e

sostenere la tempestiva cura

delle fratture da fragilità

sia nella fase acuta che a

lungo termine per evitare la

significativa perdita di salute

e di autonomia.

L’emergenza sanitaria

legata al coronavirus

ha provocato grandi

cambiamenti nella gestione

del paziente con fragilità

ossea, dalla gestione

dell’acuzia, al follow-up, fino

all’aderenza ai trattamenti.

TELEMEDICINA SÌ

MA NON PER TUTTI

Gaia Leonardi

Fragilità ossea

Caterina Lucchini

I pazienti che maggiormente ricoverati per

Covid-19 hanno un’età media superiore a

60 anni, mostrano almeno una comorbidità

e presentano un aumento dei livelli di

citochine pro-infiammatorie. Tutti fattori

di rischio per frattura ossea, cui si aggiunge

anche l’immobilizzazione prolungata e il

trattamento con glucocorticoidi a lungo

termine. La fragilità ossea compromette

e Covid-19

ulteriormente lo stato di salute di questi

pazienti, rallentando il completo recupero

fisico e delle attività di vita quotidiane. Nelle

persone di età pari o superiore a 65 anni,

inoltre, l’immobilizzazione determina anche

una rapida perdita di massa muscolare e di

forza muscolare che, insieme alla coesistenza

di altre comorbidità correlate a Covid-19, come

l’infiammazione cronica e la fragilità ossea,

contribuisce ad aumentare la probabilità di

cadute.

Sabrina Corbetta si dice dubbiosa sul valore attuale dei teleconsulti:

«La popolazione a cui ci riferiamo è anziana e dobbiamo essere

realmente sicuri che possa svolgere correttamente le mansioni

di monitoraggio e di reportistica richieste coi teleconsulti». Serve

un’educazione dei pazienti, dei caregiver e del medico affinché

il progetto possa realmente funzionare, così come serve una

reale comunicazione e condivisione con il medico di medicina

generale e una piattaforma pubblica che supporti tutto ciò. «Il

rischio, altrimenti, è quello di procrastinare la visita in presenza

basandosi su delle valutazioni errate registrate a distanza. La

telemedicina può andare bene per il monitoraggio di un particolare

aspetto, ma almeno una volta all’anno la visita di persona resta

necessaria. Si rischia anche, altrimenti, di prolungare una terapia

senza sapere se effettivamente quel farmaco sta funzionando

con efficacia e l’efficacia del trattamento non può essere valutata

solo con gli esami di laboratorio». Anche per Fabrizio Pregliasco

la telemedicina non può sostituire le visite, tuttavia può avere

un valore «per rafforzare e pianificare al meglio i momenti in

presenza».


COVID-19

pagina 7

Ambulatori

Paola Arosio

Nel corso della pandemia si

è verificato un incremento

della telemedicina

nell’ambito delle patologie

ossee. Un sistema che

garantisce dei vantaggi,

a patto di essere erogato

tramite piattaforme idonee

A lungo termine la telemedicina

può essere vantaggiosa per quanto

riguarda sia i risparmi economici e

l’efficienza dei sistemi sanitari, sia la

maggiore soddisfazione dei pazienti.

Quest’ultima, in particolare, è stata

indagata da una ricerca pubblicata nel

2019 su Osteoporosis International e

2.0

svolta da ricercatori dell’Università

di Toronto, in Canada, che hanno

evidenziato rilevanti benefici

soprattutto per gli assistiti che

risiedono in aree remote.

PIÙ ADERENZA ALLA TERAPIA

Sull’importanza della medicina 2.0

concorda anche Marco Manzoni,

endocrinologo e co-fondatore

dell’azienda informatica WelMed, che

ribadisce: «La telemedicina, soprattutto

durante la pandemia, ha semplificato

il processo di gestione delle malattie

croniche, incluse le patologie ossee.

A patto, però, di non limitarsi a una

videocall, ma di disporre di tecnologie

idonee, in grado di consentire il

trasferimento di informazioni

mediche, indagini strumentali, referti

e prescrizioni firmati digitalmente,

rendendo così possibili diagnosi,

terapia, monitoraggio in remoto e,

in caso di necessità, prescrizioni».

Non soluzioni estemporanee, quindi,

ma piattaforme ideate ad hoc, dotate

dei tool necessari per offrire una

comunicazione tecnologicamente

adeguata e strutturalmente dedicata.

L’ambulatorio 2.0 favorisce anche

l’aderenza terapeutica. Alcune

malattie dell’osso, come per esempio

l’osteoporosi o l’osteopenia, in fase

precoce non presentano sintomi, il che

induce talvolta i pazienti a sottovalutare

l’importanza del trattamento, non

rispettando il piano terapeutico o

sospendendo autonomamente la

terapia prescritta. Ciò ha ripercussioni

negative sull’efficacia della terapia

stessa con conseguente progressione

dell’osteoporosi e peggioramento

del rischio fratturativo. Per ovviare

a ciò è fondamentale favorire un

percorso di continuità assistenziale,

garantendo una vera presa in carico

del paziente. Una rivoluzione,

quella della telemedicina, che porta

l’ospedale al domicilio dei cittadini,

facilitando l’accesso di questi ultimi e

concretizzando quello che oggi viene

definito «ospedale diffuso».

RISPETTO DELLA PRIVACY GARANTITO

Ma permangono barriere d’accesso

alla telemedicina? Secondo Manzoni,

«le difficoltà riguardano non

tanto i pazienti, ma soprattutto i

clinici, spesso ritrosi ad adeguarsi

al cambiamento e all’innovazione.

In proposito, serve un’apposita

formazione, alla quale molti ospedali

stanno già provvedendo». Per quanto

riguarda poi i dati sanitari, «solo le

piattaforme ideate nello specifico per

tale attività garantiscono la privacy.

Il sistema deve avere requisiti bydesign

per essere conforme alle

norme del General data protection

regulation (Gdpr), le televisite

devono essere criptate, così come i

dati, compresi quelli dei referti e delle

analisi».

Priorità sanitarie

secondo il CDC

Durante l'emergenza, i pazienti con osteoporosi

Con lo scoppio

dell’emergenza legata alla

pandemia di Covid-19, il

Centro statunitense per il

controllo e la prevenzione

delle malattie (CDC) ha

raccomandato di dare

priorità alle visite urgenti e

di evitare, ove possibile, di

recarsi presso le strutture

sanitarie. Cosa ha significato

questo per i pazienti affetti da

osteoporosi?

La pandemia ha avuto un

effetto considerevole su

diversi fronti:

Nella prima metà

dello scorso anno si è

verificato un afflusso

molto ridotto di pazienti

negli ambulatori e nelle

cliniche dedicate alla cura

dell’osteoporosi;

In molti ospedali i reparti

di ortopedia sono stati

ridotti per agevolare la

realizzazione di reparti

“Covid”.

non sono stati tutelati

Tuttavia, il ritardo delle

visite dei pazienti non Covid

ha provocato dei danni

importanti alla popolazione

e il CDC si è dunque nel

corso dell’anno nuovamente

espresso con delle linee guida

aggiuntive per “dare priorità

ai servizi che, se differiti,

con maggiore probabilità si

tradurrebbero in un danno

importante”. Anche in questo

caso, però, i pazienti con

problemi di osteoporosi

non sono stati tutelati: le

probabilità di danno per

problemi muscoloscheletrici

intercettati con ritardo,

infatti, secondo le

raccomandazioni del CDC,

sono state considerate “lievi”.

La raccomandazione del CDC

per la gestione di tutti questi

pazienti è quindi, secondo le

linee guida, di “organizzare

un percorso di assistenza non

appena possibile”.

Le raccomandazioni

delle società scientifiche

Gaia Leonardi

Considerando le attuali barriere

imposte dal momento storico nel

visitare i pazienti con osteoporosi,

l’importanza di garantire

l’aderenza al trattamento dovrebbe

essere enfatizzata

1

2

3

Durante la pandemia

sono state rilasciate delle

linee guida specifiche sul

trattamento dell’osteoporosi

e sull’assunzione di Vitamina

D dall’American Society for

Bone and Mineral Research

(ASBMR), dalla American

Association of Clinical

Endocrinologists, dalla

Endocrine Society, dalla

European Calcified Tissue

Society e dalla National

Osteoporosis Foundation

Society.

PER I PAZIENTI CHE SUBISCONO FRATTURE DA FRAGILITÀ, IL

TRATTAMENTO FARMACOLOGICO DOVREBBE ESSERE INIZIATO SUBITO DOPO

LA FRATTURA E L’ASSISTENZA MULTIDISCIPLINARE È FONDAMENTALE.

SONO URGENTEMENTE NECESSARI MODELLI DI ASSISTENZA ALTERNATIVI,

CON GRUPPI MULTIDISCIPLINARI DI SUPPORTO CHE POSSANO ARRIVARE

AL PAZIENTE E AL CAREGIVER ANCHE CON LA TELEMEDICINA.

ANCHE IL TRATTAMENTO CON LA VITAMINA D DOVREBBE ESSERE

RACCOMANDATO, ALLO SCOPO DI ESERCITARE BENEFICI NON SOLO

SULL’OSSO MA ANCHE SUL MUSCOLO E SUL SISTEMA IMMUNITARIO.


pagina 8

PROFESSIONE

L’impatto del Covid-19

sugli specialisti

Caterina Lucchini

Un recente sondaggio che ha incluso la voce di reumatologi, endocrinologi e ortopedici ha mostrato come la pandemia

ha cambiato il percorso terapeutico e le modalità di approccio ai pazienti affetti da osteoporosi

Il Covid-19 ha sconvolto il

sistema sanitario di molti

Paesi, andando a riscrivere

le regole di approccio alle

terapie (inclusa quelle

per l’osteoporosi) e le

modalità con cui i pazienti

interagiscono con i loro

medici curanti. Uno studio

ha provato a mettere in luce

questi cambiamenti.

UN SONDAGGIO

INTERNAZIONALE

Lo studio prevedeva

l’invio di un sondaggio ai

membri della International

Osteoporosis Foundation

(IOF) e della National

Osteoporosis Foundation

(NOF) il cui scopo era quello

di verificare le modalità

di trattamento e gestione

dei pazienti affetti da

osteoporosi. Sono stati

coinvolti 209 partecipanti,

per la maggior parte

specialisti provenienti

da 53 Paesi diversi, per il

40% reumatologi, mentre

il resto era composto da

endocrinologi, ortopedici e

in minor parte da altre figure

coinvolte nelle terapie dei

pazienti con osteoporosi.

UN IMPATTO CHE

HA CAMBIATO

PROFONDAMENTE LE

DINAMICHE DI APPROCCIO

AL PAZIENTE

In base ai risultati ottenuti

dal sondaggio, quasi 1/3

degli intervistati ha fatto

ricorso ad un consulto

tramite telefonata e circa

1/5 ha preferito utilizzare

una videochiamata per

portarlo a termine,

affermando di aver avuto

più di 20 appuntamenti di

telemedicina alla settimana.

Da notare come la maggior

parte degli intervistati

ha riportato un ritardo

nell’esecuzione della DXA

e di come circa l’11% sia

stato costretto ad utilizzare

strumenti di valutazione

del rischio di fratture

senza potersi avvalere di

tecniche di misurazione

della densità minerale ossea

(Bone Mineral Density,

BMD). Inoltre, si è visto

come in molti paesi c’è stato

un impatto considerevole

sulle dinamiche di rimborso

delle prestazioni mediche,

dovute principalmente al

cambiamento nel numero e

nella tipologia delle visite

ai pazienti. Tuttavia, non

è ancora chiaro se e come

questo potrà influenzare

l’offerta dei servizi

disposti per i pazienti

con osteoporosi e la loro

sostenibilità per i vari servizi

sanitari nazionali.

Un quinto circa

degli specialisti

è stato costretto

a ritardate la

somministrazione

delle cure

UN AIUTO DALLA TECNOLOGIA

CHE NON È SEMPRE EFFICACE

È sorprendente notare

come la maggior parte dei

partecipanti abbia affermato

come l’ausilio delle cartelle

cliniche elettroniche abbia

giovato poco alla capacità

di gestione del tempo degli

specialisti rispetto a quanto

visto nel periodo prepandemico.

Alcuni di loro

affermano che i tempi di

gestione si siano addirittura

allungati, indicando tra le

cause di questo cambiamento

alcuni problemi tecnici

legati alla rete internet, la

difficoltà nel compilare la

nuova documentazione e

l’aumentata complessità del

flusso di lavoro.

PROBLEMATICHE IMPORTANTI

NELLA SOMMINISTRAZIONE

DELLE TERAPIE

È emerso anche come, nel

corso della pandemia da

Covid-19, la disponibilità

delle scorte mediche

all’interno delle strutture

fosse compromessa a causa

dei ben noti problemi

logistici, inficiando la

capacità di garantire la

periodicità dei trattamenti

terapeutici per i pazienti

con osteoporosi. Circa un

quinto degli intervistati

dichiara infatti di essere

stato costretto a ritardare

la somministrazione delle

cure ai suoi pazienti,

mentre il 13% ha dovuto

indirizzare il proprio

paziente verso farmaci

orali (facili da assumere

in maniera autonoma)

pur di poter continuare il

trattamento della patologia.

Lo scenario mostrato dallo

studio suggerisce come la

pandemia da Covid-19 abbia

sconvolto le dinamiche

tradizionali non solo della

vita quotidiana di molte

persone ma anche di quella

degli specialisti, alle prese

con problematiche del tutto

nuove che coinvolgono

direttamente i loro pazienti

affetti da osteoporosi.

È probabile che, se la

situazione non verrà gestita

in maniera adeguata, si

assisterà ad un aumento del

tasso di fratture nei prossimi

anni, con un conseguente

aumento delle difficoltà nel

gestire questa tipologia di

pazienti.

Fonte: Fuggle NR, et al. Osteoporos

Int. 2021 Feb 8:1–7.

COME IL COVID-19 HA CAMBIATO

IL PERCORSO TERAPEUTICO

DELL’OSTEOPOROSI

Sondaggio che ha coinvolto 209 reumatologi e

ortopedici di 53 Paesi diversi appartenenti alla

International Osteoporosis Foundation (IOF) e alla

National Osteoporosis Foundation (NOF)

TELEMEDICINA

Il 33% dei partecipanti ha

dichiarato di aver fatto un

consulto telefonico e il 21%

lo ha effettuato mediante

videochiamata

RIMBORSI

Il rimborso della prestazione è

stato possibile nel 48% dei casi.

Il 14% dei gestori dei servizi

non era sicura dello stato del

rimborso o delle politiche a esso

connesse

ESAMI

Solo nel 29% dei casi la BDM è

stata verificata mediante DXA

quando richiesta

DIFFICOLTÀ NEL

PROSEGUIRE LA TERAPIA

• il 43% degli specialisti ha riportato un

ritardo nelle cure durante la pandemia,

per scorte, mancanti e ritardi nella

somministrazione dei farmaci per via

parenterale.

• In circa il 50% dei casi gli specialisti

hanno dovuto prescrivere farmaci

appartenenti alla classe dei bisfosfonati

orali per poter garantire una continuità

terapeutica ai loro pazienti


PROFESSIONE

pagina 9

In periodo di lockdown,

l’aderenza al

trattamento si è dovuta

scontrare con i limiti

di interazione medicopaziente.

Per alcuni

trattamenti di secondo

livello, l’eventuale

sospensione senza un

piano determinato dallo

specialista potrebbe non

solo portare a perdere

i vantaggi acquisiti in

Scelte

terapeutiche

nell’emergenza

Il punto di vista di Sabrina Corbetta e

Lorenzo Custode

Fabrizio Pregliasco

termini di massa ossea e

di riduzione del rischio

di rifrattura, ma espone

anche a un aumento del

rischio di frattura ossea.

In questo particolare

momento storico,

potrebbe avere un senso

optare per alcune terapie

piuttosto che altre? Per

i pazienti, poter contare

su un trattamento a loro

familiare di comprovata

efficacia e facile da

maneggiare potrebbe

essere importante per

limitare gli accessi

agli ambulatori

e massimizzare

l’aderenza? «Per

quanto riguarda la

maneggevolezza

certamente la categoria

migliore è quella dei

bisfosfonati, indica

Sabrina Corbetta,

responsabile del servizio

di Endocrinologia

e Diabetologia e

del laboratorio di

Endocrinologia

sperimentale

presso l’IRCCS

Istituto Ortopedico

Galeazzi di Milano e

professoressa associata

di Endocrinologia

all’Università degli

Studi di Milano. Nei casi

più severi si potrebbe

optare per la terapia

infusionale con acido

zoledronico che deve

essere effettuata ogni

12 mesi ma, se ritardata

fino a 18 mesi, non porta

alla perdita di quanto

acquisito». La terapia

infusionale, però, può

essere proposta solo dai

centri in cui è presente un

servizio ad hoc. «Ci tengo

a precisare, conclude

Corbetta, che dover

scegliere per una terapia

rispetto ad un’altra

Dover scegliere

per una terapia

rispetto ad

un’altra sulla

base di criteri

non puramente

medici è

comunque una

sconfitta per il

progresso della

scienza

sulla base di criteri non

puramente medici è

comunque una sconfitta

per il progresso della

scienza

perché il paziente non

ha potuto ottenere il

trattamento che sarebbe

più indicato per lui».

VITAMINA D E COVID-19

Recenti studi

epidemiologici

osservazionali

avrebbero ipotizzato

una associazione tra

basse concentrazioni

di vitamina D e tassi

più elevati di infezione

da Covid-19. Questa

associazione, tuttavia, è

probabilmente correlata

all’etnia, all’età e

alla salute generale

piuttosto che a una

relazione causale. «Le

prime indicazioni che

suggerivano l’elemento

di opportunità della

supplementazione di

vitamina D per migliorare

la risposta immunitaria

e prevenire il Covid-19

- aggiunge Fabrizio

Pregliasco, Direttore

Sanitario dell’IRCCS

Istituto Ortopedico

Galeazzi di Milano,

oltre che ricercatore

confermato in Igiene

Generale ed applicata

all’Università degli Studi

di Milano - ad oggi non

sono state confermate.

Molti la utilizzano ma il

messaggio da lanciare

è legato all’importanza

della supplementazione

per le forme specifiche

di fragilità ossea». La

vitamina D è molto

sicura se assunta a

dosaggi ragionevoli ed è

importante per la salute

muscolo-scheletrica.

È probabile che i livelli

diminuiscano man mano

che gli individui riducono

l’attività esterna (e

quindi l’esposizione

al sole) durante la

pandemia.

CURE DENTALI NELLA PANDEMIA

stati

Durante l’emergenza sanitaria gli studi odontoiatrici devono rispettare in modo

rigoroso i protocolli di sicurezza prima, durante e dopo l’accesso del paziente

Sull’agenda di Federica, 37 anni, si legge:

«Appuntamento dal dentista». Il luogo è il Centro

Civitali di Milano, la data mercoledì 10 febbraio

2021. In piena era Covid. Un’emergenza che ha

travolto anche l’odontoiatria, che si è dovuta

adeguare, modificare, attrezzare per fare fronte ai

contagi. Non a caso, il giorno precedente la visita,

la donna riceve dalla segreteria dello studio una

telefonata durante la quale viene effettuato il triage

in remoto, una procedura mirata ad accertare lo

stato di salute del paziente rispetto all’infezione

da Sars-Cov-2, in modo da evitare un eventuale

ingresso non appropriato nella struttura. Federica,

ritenuta idonea, può presentarsi all’appuntamento.

Per lei, come per qualsiasi altro utente, inizia

la procedura di sicurezza. «Innanzitutto viene

verificato che la mascherina indossata sia

priva di valvola, quindi idonea a proteggere il

paziente e gli altri, e sia in buone condizioni. Tale

dispositivo dovrà essere mantenuto per tutto il

tempo trascorso in studio, fatta eccezione per

il periodo riservato alla terapia», spiega Danilo

Di Stefano, odontoiatra e direttore sanitario del

Centro, oltre che docente a contratto di Chirurgia

orale all’Università Vita Salute San Raffaele di

Milano. «Poi si prosegue con il rilevamento della

temperatura attraverso un termoscanner, con

la disinfezione delle mani tramite lavaggio con

acqua e sapone o tramite soluzione idroalcolica,

con l’impiego di appositi copriscarpe». Si procede,

Paola Arosio

inoltre, a effettuare un’attenta anamnesi e a fare

firmare l’autocertificazione per il Covid, oltre a

valutare eventuali esami di cui il paziente deve

essere in possesso, ove ricorrano le esigenze di

legge, per accedere alle cure.

Una valida strategia per

contenere l'incremento dei costi

può essere quella di eseguire più

terapie in un’unica seduta

DISPOSITIVI MONOUSO E VENTILAZIONE

Un rigoroso protocollo che non riguarda solo i

pazienti, ma anche tutti gli operatori dello studio.

«Odontoiatri, igienisti, assistenti alla poltrona

utilizzano schermi facciali, mascherine, camici

idrorepellenti a manica lunga, guanti, copricapi»,

continua Di Stefano. «Grande attenzione viene

riservata all’impiego di dispositivi monouso;

alle modalità di vestizione e svestizione; alla

ventilazione degli ambienti, che vengono aerati

con frequenza per disperdere l’aerosol prodotto

dai vari strumenti». Norme fondamentali, tanto

più che, all’inizio della pandemia, i dentisti sono

considerati ad alto rischio di contrarre il

Covid in ambito occupazionale, a causa della

potenziale esposizione diretta e indiretta a

infettanti. Nonostante ciò, a oggi le più recenti

evidenze scientifiche confermano che lo studio

odontoiatrico costituisce un luogo sicuro e

protetto, sia per l’odontoiatra e il suo team, sia

per i pazienti.

LIEVITANO I COSTI

«Mantenere un elevato livello di sicurezza

comporta, tuttavia, un incremento delle

tempistiche e anche dei costi. Questi ultimi,

che si aggirano sui 10-15 euro in più a paziente,

impattano soprattutto sulle prestazioni con

prezzi limitati, come per esempio l’igiene

dentale, erodendone la marginalità», evidenzia

l’odontoiatra.

Una valida strategia per contenere l’esborso

aggiuntivo può essere quella di eseguire più

terapie in un’unica seduta.

Certo, in questo periodo di emergenza sanitaria

non tutti i pazienti sono diligenti nell’effettuare

con regolarità i controlli e i trattamenti

programmati. «Alcuni, soprattutto quelli in età più

avanzata, sono molto ansiosi e vengono in studio

solo in caso di estrema necessità», conferma

l’esperto. «Ciò comporta dei ritardi nelle attività

di prevenzione, di igiene e manutenzione degli

impianti, di diagnosi di patologie anche gravi della

bocca, come le lesioni precancerose e i tumori,

con particolare riferimento al carcinoma del cavo

orale, che interessa frequentemente la lingua,

il pavimento orale, le labbra e comunque tutti

gli epiteli di rivestimento». Un comportamento

stigmatizzato, già lo scorso ottobre, dall’European

Federation of Periodontology, che aveva lanciato

un monito: rinunciare alle cure dentali per

prevenire possibili infezioni da Covid può, in

realtà, esporre al grave rischio di sviluppare

malattie correlate a una scarsa salute del cavo

orale, come diabete, patologie cardiovascolari,

demenze.


pagina 10

Scenario della

patologia

osteometabolica

Gloria Visconti

Le malattie osteometaboliche sono oggetto

di intenso studio per le implicazioni

trasversali e la necessità di un approccio

multidisciplinare coordinato

COMORBIDITÀ

GESTIONE

DELL’OSTEOPOROSI

SECONDARIA A

COMORBIDITÀ

Monica Torriani

L’approccio integrato alla malattia è indispensabile per intercettare i

pazienti, arrivare a una diagnosi tempestiva, istituire precocemente la

terapia e migliorare l’aderenza al trattamento

La patologia più nota e diffusa nell’ambito delle malattie

osteometaboliche è l’osteoporosi, che interessa in Italia

una donna su tre oltre i 50 anni (il 75% delle quali in postmenopausa)

e un uomo su otto oltre i 60 anni. Si tratta di

un disordine scheletrico causato da uno squilibrio fra il

riassorbimento e la deposizione di osso, a favore del primo,

che ne compromette la resistenza: si stima che i casi di

fratture da fragilità siano poco meno di nove milioni l’anno

nel mondo, un terzo dei quali si verifica in Europa (465.000 in

Italia).

La rilevanza sociale della malattia è legata anche alla spesa

ospedaliera associata, pari a circa quattro milioni di euro

l’anno, con proiezioni in aumento a causa dell’invecchiamento

della popolazione.

PATOLOGIE POTENZIALMENTE OSTEOPENIZZANTI

Le patologie e condizioni potenzialmente osteopenizzanti

sono numerose e spaziano dalle mutazioni genetiche

(come nel caso dell’osteogenesi imperfetta), ai disturbi

proliferativi delle cellule del sangue (per esempio il mieloma),

alle alterazioni ormonali (malattie della tiroide o delle

paratiroidi). Nella sua forma iatrogena, l’osteoporosi è

correlata all’assunzione di farmaci quali corticosteroidi,

immunosoppressori (ciclosporina), diuretici, anticoagulanti e

anticonvulsivanti.

Anche condizioni di inattività fisica prolungata, ipovitaminosi

D, disturbi da malassorbimento intestinale (per esempio

provocati da malattie infiammatorie croniche) e abitudini

quali il fumo e l’abuso di alcol possono determinare un

impoverimento della densità ossea.

Una percentuale significativa

di casi di patologia

fragilizzante dell’osso è

secondaria a comorbidità.

Questo aspetto legittima la

necessità di un approccio

integrato nella gestione della

patologia osteometabolica.

Ne parliamo con Gherardo

Mazziotti, professore

associato di Endocrinologia

Humanitas University e capo

sezione del Centro di ricerca,

diagnosi e cura delle malattie

osteo-metaboliche dell’IRCCS

Humanitas.

Professor Mazziotti, qual è

lo scenario epidemiologico

dell’osteoporosi?

Per quanto riguarda

l’osteoporosi, possiamo

evidenziare due fattori

principali. Il primo è che

colpisce, almeno nel nostro

Paese, il 23% delle donne

oltre i 40 anni e il 14%

degli uomini con più di

60 anni; il secondo è che

circa la metà dei soggetti

ad alto rischio accede alle

cure. Si tratta quindi di una

malattia a elevato impatto

socio-epidemiologico

non accompagnata da

un’adeguata attenzione e

consapevolezza. Si tratta di un

problema culturale oltre che

di opportunità o di accesso

alla diagnostica e alle cure.

Qual è mediamente

l’aderenza al trattamento per

questa patologia?

Uno dei talloni d’Achille della

terapia anti-osteoporotica è

che non esistono parametri

immediati di efficacia che

consentano un monitoraggio

real time dell’andamento

della malattia.

Gli effetti dei farmaci sono

visibili solo a distanza di

un anno/un anno e mezzo,

quando il paziente viene

sottoposto a un esame

Moc-Dexa di controllo

per la valutazione del

miglioramento oggettivo dei

valori densitometrici. Questo

penalizza la motivazione

psicologica del paziente a

seguire correttamente la

terapia.

Pur essendo l’osteoporosi

una malattia silente, spesso

il dolore è presente per altre

ragioni: il paziente, che lo

vede correlato alla malattia,

si aspetta che migliori con i

farmaci e tende a trascurare la

terapia quando questo non si

Uno dei talloni

d’Achille della

terapia antiosteoporotica

è

che non esistono

parametri

immediati di

efficacia che

consentano un

monitoraggio

real time

dell’andamento

della malattia

STIMA DELLE FRATTURE DA FRAGILITÀ NEL 2030 IN EUROPA (fonte Archives of Asteoporosis 2020;15: 59)

NUMERO (000) 2017 2030

700

600

500

∆ 19%

∆ 22%

∆ 26%

400

300

∆ 24%

∆ 29%

200

100

∆ 23%

0

FRANCIA

GERMANIA ITALIA SPAGNA UK SVEZIA


pagina 11

COMORBIDITÀ

verifica.

Possiamo dire che il 40% dei

pazienti (che in certi casi può

raggiungere il 50-60%) non è

aderente al trattamento.

Quali sono i principali fattori

di rischio?

L’osteoporosi ha

un’incidenza maggiore dopo i

50 anni, ma parte da lontano.

Il patrimonio scheletrico

che abbiamo a 50-60 anni è

frutto di eventi che occorrono

nelle prime decadi di vita.

L’osso subisce fisiologici

processi di rimodellamento e

acquisizione di massa durante

le prime due-tre decadi:

se in questa epoca c’è una

predisposizione genetica alla

fragilità o intercorrono fattori

secondari specifici, gli effetti

diventano visibili a distanza

di anni.

In generale, il 50% dei casi

dipende da cause genetiche.

L’altro 50% è correlato allo

stile di vita (sedentarietà,

abuso di alcol, fumo di

sigaretta, diete ricche in sale

e povere di calcio, scarsa

esposizione alla radiazione

solare), ad alterazioni della

composizione corporea (sia

la magrezza che l’obesità

predispongono a una fragilità

scheletrica) o alla presenza di

comorbidità. L’osteoporosi

può anche essere causata

dall’assunzione di

farmaci potenzialmente

osteopenizzanti, come i

corticosteroidi, gli inibitori

di pompa protonica,

gli antidepressivi, gli

immunosoppressori e le

terapie di deprivazione

ormonale.

Quali sono le caratteristiche

dell’osteoporosi secondaria?

In primo luogo, mentre per

l’osteoporosi primitiva la

fragilità scheletrica è un

evento tardivo nella storia

naturale della malattia,

in quella secondaria a

trattamenti farmacologici

le fratture possono

verificarsi anche in soggetti

giovani. Inoltre, mentre

nell’osteoporosi postmenopausale

l’evento giunge

dopo una lunga storia di

riscontri di bassi valori di

massa ossea e di fragilità

scheletrica, nella malattia

secondaria a utilizzo di

farmaci le fratture possono

avvenire anche nelle prime

fasi della terapia. Infine,

mentre nell’osteoporosi

post-menopausale la Moc-

Dexa consente di identificare i

soggetti a rischio fratturativo,

nelle forme secondarie l’osso

diventa fragile ancora prima

di perdere massa: predomina

la compromissione della

“qualità dell’osso”. Il danno

scheletrico, in questi casi, è

rapido e la Dexa non lo rileva:

nelle osteoporosi secondarie

esiste un’oggettiva difficoltà

del clinico a identificare i

soggetti a maggior rischio

e pertanto può diventare

importante il più delle volte

intercettare i pazienti e

istituire precocemente un

trattamento.

Ha un senso pensare a uno

screening nella popolazione,

potrebbe essere cost

effective?

Sicuramente sarebbe cost

effective nella donna in postmenopausa

con associati

fattori di rischio, come la

familiarità o pregressi eventi

fratturativi, che assume

farmaci potenzialmente

osteopenizzanti, fuma o fa

abuso di alcol. Non sarebbe

così nella popolazione

generale e neppure in tutte le

donne in post-menopausa.

Per quanto riguarda il

maschio, potremmo ritenere

a rischio maggiore i soggetti

che presentano due o più

fattori di rischio. Sarebbe

importante almeno sottoporli

a esame densitometrico e a

una valutazione specialistica

per inquadrare l’eventuale

rischio fratturativo.

Le molecole oggi disponibili

per il trattamento

farmacologico della

patologia osteometabolica

soddisfano il bisogno

terapeutico dei pazienti?

I farmaci disponibili sono

numerosi ed efficaci in

termini di riduzione del

rischio fratturativo. La

maggior parte di essi agisce

con un meccanismo antiriassorbitivo

di inibizione

dell’attività osteoclastica,

mentre ad oggi abbiamo

un solo attivatore degli

osteoblasti (teriparatide),

per il quale peraltro sono

disponibili anche due

bioequivalenti a ridotto

costo per il sistema

sanitario. Inoltre, la ricerca

farmacologica in ambito

osteometabolico fa passi da

gigante e a breve avremo a

disposizione anche in Italia

un nuovo farmaco ad azione

cosiddetta “anabolica”, il

romosozumab, già approvato

dall’Ema.

A non essere soddisfacente è,

piuttosto, l’accesso alle cure:

il 50% dei soggetti a rischio,

che rientrerebbe nei criteri

di rimborsabilità previsti

dalla nota Aifa 79, non accede

alla terapia. La nostra sfida

è quella di ridurre il gap

terapeutico attraverso una

maggiore sensibilizzazione a

vari livelli della popolazione

generale e delle istituzioni.

ENDOCRINOLOGICHE

Acromegalia, deficit GH, iperprolattinemia,

ipercortisolismo, ipo/ipertiroidismo,

iperparatiroidismo, diabete, ipogonadismo,

iperaldosteronismo, osteoporosi gravidica

NUTRIZIONALI

Anoressia, bulimia, obesità, eccesso vitamina A,

chirurgia bariatrica, inadeguato apporto calcio,

inadeguato apporto vit D, malassorbimento,

malnutrizione, nutrizione parenterale prolungata

CONNETTIVOPATIE

Sindrome di marfan, sindrome di ehlers danlos

AUTOIMMUNI

Artrite reumatoide, spondilite anchilosante, lupus

eritematoso sistemico, colangite biliare primitiva

RENALI

Ipercalciuria, insufficienza renale cronica

EMATOLOGICHE

Discrasie plasmacellulari, mastocitosi,

beta-talassemie, emocromatosi

GASTROENTEROLOGICHE

Malattia celiaca, malattie infettive, croniche

intestinali, epatopatie croniche

FARMACI

OSTEOPOROSI

SECONDARIA

LE CAUSE

Glucocorticoidi, ormoni tiroidei, induttori di

ipogonadismo, diuretici, anticonvulsivanti,

antiretrovirali, eparina,

inibitori di pompa protonica

Ipertensione

e metabolismo osseo

Caterina Lucchini

Nei pazienti con osteoporosi,

l’ipertensione potrebbe giocare un

ruolo importante nell’alterazione del

metabolismo osseo nel suo complesso

In un recente studio sono stati arruolati 518 pazienti

con età media pari a 75 anni, affetti o esclusivamente

da osteoporosi primaria, o con osteoporosi e

ipertensione.

I livelli di 25-idrossi-vitamina D (25-OHD) sono

risultati più bassi nei maschi con ipertensione

rispetto a quelli che presentavano solo osteoporosi.

Da notare che, sebbene sia stata ipotizzata

un’alterazione della sintesi e della secrezione del

PTH a causa di questa condizione, non è stato

possibile verificare i livelli di PTH durante lo

svolgimento dello studio. Inoltre, nonostante non

siano state riscontrate anomalie significative nelle

correlazioni tra B-ALP e ipertensione nei due gruppi,

c’è da dire che i livelli di osteocalcina (OC) nelle

donne in post-menopausa affette sia da osteoporosi

che da ipertensione erano considerevolmente

più bassi se rapportati a quelli delle donne con

osteoporosi.

IL RAPPORTO TRA IPERTENSIONE E METABOLISMO OSSEO

Sebbene la relazione tra i livelli ematici di OC e

ipertensione sia ancora oggetto di diversi studi e

dibattiti, nello studio di Hu et al. appare chiaro

che l’ipertensione sia strettamente correlata

Appare chiaro che l’ipertensione

sia strettamente correlata

all’alterazione dei livelli dei

marcatori del metabolismo osseo

all’alterazione dei livelli dei marcatori del

metabolismo osseo.

Nonostante sia stato quindi constatato un ruolo

dell’ipertensione nella perdita di tessuto osseo, non

è altrettanto chiaro invece come essa influisca sul

riassorbimento osseo.

Fonte: Hu Z et al. Research Square; 2020.


pagina 12

COMORBIDITÀ

PATOLOGIE DELLA TIROIDE

E RISCHIO DI FRATTURE

DA OSTEOPOROSI

I disturbi della

tiroide hanno

un impatto

importante sul

metabolismo osseo

e sul rischio di

fratture

di Lorenzo Giusti

Influenza delle patologie

della tiroide sul

rischio di fratture da

osteoporosi

I disturbi della tiroide

hanno un impatto

importante sul

metabolismo osseo e sul

rischio di fratture

Gli ormoni tiroidei sono

fattori importanti che

regolano il metabolismo

e la differenziazione

cellulare in tutto il

corpo umano. Sebbene

vi sia un consenso

sull’impatto negativo

dell’ipertiroidismo sul

metabolismo osseo,

quando ci si riferisce

a ipotiroidismo,

ipotiroidismo subclinico

o ipertiroidismo

subclinico, non c’è

accordo generale.

IPOTIROIDISMO

L’ipotiroidismo è

rappresentato dal deficit

di ormone tiroideo ed

è una patologia diffusa

in tutto il mondo, con

una prevalenza fino al

7% nella popolazione

generale. Le cause

dell’ipotiroidismo

possono essere

suddivise in primarie,

centrali e periferiche.

L’ipotiroidismo

primario è rappresentato

dalla carenza di ormone

tiroideo e comprende

tiroidite autoimmune

cronica, carenza di

iodio o trattamento

con radioiodio.

L’ipotiroidismo centrale

è rappresentato da

deficit di ormone

tireostimolante

(TSH) o da deficit di

ormone di rilascio della

tireotropina (TRH) e

include tumori ipofisari,

disfunzione ipofisaria o

disfunzione ipotalamica.

L’ipotiroidismo

periferico è

rappresentato dalla

resistenza periferica

agli ormoni tiroidei

e comprende una

ridotta sensibilità agli

ormoni tiroidei e la

sindrome da consumo.

La maggior parte degli

studi dimostra che

l’ipotiroidismo riduce

la BMD e che valori di

TSH sia al di sopra che

al di sotto dei valori di

riferimento riducono

la BMD. Per quanto

riguarda l’incidenza

del rischio di frattura

nei pazienti con

ipotiroidismo, due studi

condotti su 92.341 e

16.249 pazienti hanno

mostrato una maggiore

incidenza di fratture

in questi pazienti. Di

conseguenza, secondo

quanto riportato in

una revisione sul

tema, sembra che

l’ipotiroidismo debba

essere considerato un

fattore di rischio per le

fratture osteoporotiche.

Gli studi hanno

dimostrato che il

trattamento eccessivo

dell’ipotiroidismo

con levotiroxina

è il principale

fattore negativo sul

metabolismo osseo e

sul rischio di frattura.

I ricercatori non

hanno trovato dati

relativi alla possibilità

che un trattamento

dell’ipotiroidismo

correttamente bilanciato

possa invertire gli effetti

negativi sull’osso.

MALATTIA AUTOIMMUNE

DELLA TIROIDE

La malattia di

Hashimoto può

influenzare

l’osteoprotegerina/

attivatore del recettore

del sistema ligando

del fattore nucleare

kappa-B (OPG/

RANKL) e, a parte

l’ipotiroidismo, portare

potenzialmente a

ulteriore perdita

ossea. La presenza di

anticorpi contro la

perossidasi tiroidea

(TPOAb) può essere un

marker di aumento del

rischio di fratture nelle

donne eutiroidee in

postmenopausa.

IPOTIROIDISMO

SUBCLINICO

Sebbene studi

precedenti abbiano

dimostrato che

l’ipotiroidismo

subclinico abbia una

ridotta influenza

sulla perdita BMD e

sull’aumento del rischio

di frattura, i dati più

recenti contraddicono

questi risultati: dal

2014, tutti gli studi,

sia prospettici che

retrospettivi, non

hanno mostrato

alcuna influenza

dell’ipotiroidismo

subclinico né sulla BMD

né sul rischio di frattura.

I dati recenti non

indicano alcun impatto

dell’ipotiroidismo

subclinico

sull’osteoporosi o sulle

fratture da fragilità.

Gli stessi risultati

sono stati ottenuti nel

caso di trattamento di

ipotiroidismo subclinico

con levotiroxina. I dati

prospettici più recenti

contraddicono studi

precedenti e concludono

che il trattamento

dell’ipotiroidismo

subclinico con

levotiroxina non

influisce sulla salute

delle ossa.

IPERTIROIDISMO

SUBCLINICO

È considerato dalla

maggior parte degli

studi associato a una

BMD inferiore e a un

aumentato rischio di

frattura. Solo pochi

studi hanno dimostrato

che l’ipertiroidismo

subclinico non è

predittivo di fratture

accidentali dell’anca.

Pazienti affetti

da ipertiroidismo

subclinico possono

presentare rischio

più elevato di fratture

rispetto ai pazienti

eutiroidei. Nel caso di

terapia con radioionio

un solo studio riporta

effetti benefici sulla

QUALITÀ

DELL’OSSO

E CHIRURGIA

ORTOPEDICA

Una corretta

valutazione

osteometabolica

del paziente

candidato a

chirurgia protesica

passa per diversi

fattori, tra cui la

valutazione delle

comorbidità

BMD, ma sono necessari

ulteriori indagini in tal

senso.

Fonte:

Apostu D et al, Diagnostics

2020, 10(3), 149.

DISTURBI DELLA TIROIDE,

OSTEOPOROSI E RISCHIO DI FRATTURE

L’osteoporosi e le fratture da fragilità sono

complicanze importanti dei disturbi della

tiroide, associate a un aumento della

mortalità. I disturbi della tiroide hanno

un impatto importante sul metabolismo

osseo: ipertiroidismo e ipertiroidismo

subclinico sono associati a una

diminuzione della BMD e a un aumento

del rischio di fratture. Il trattamento

dell’ipotiroidismo con levotiroxina ha

un’influenza sulla salute delle ossa

simile all’ipertiroidismo. L’ipotiroidismo

subclinico, d’altra parte, non è associato

a osteoporosi o fratture da fragilità e il

trattamento dell’ipertiroidismo subclinico

con iodio radioattivo potrebbe migliorare

la salute delle ossa.

Monica Torriani

L’osteoporosi è correlata a un aumento del rischio

di eventi avversi associati alla chirurgia ortopedica.

Ne consegue che la valutazione osteometabolica

dei pazienti candidati all’impianto di protesi

acquisisca una certa importanza. Ne parliamo con

Federico Valli, chirurgo ortopedico responsabile

della Medicina rigenerativa dell’Unità Casco all’Irccs

Galeazzi di Milano.

Dottor Valli, la qualità dell’osso dovrebbe essere

uno dei parametri decisionali in preparazione a un

intervento per l’impianto di protesi ortopedica:

perché solo una percentuale limitata di chirurghi ne


COMORBIDITÀ

pagina 13

tiene effettivamente conto?

La ricerca scientifica ci dice che questo è un

parametro importante ai fini del decision making

per il chirurgo. Viene considerato meno di quanto

dovrebbe a causa di retaggi culturali, abitudini

scorrette. Difficilmente un paziente, prima di un

intervento di impianto di protesi, si sottopone a un

controllo specialistico o a una Moc. Allo stesso modo

è raro che, se non è già in cura per l’osteoporosi,

venga sottoposto a una cura anti-osteoporotica. Si

tende piuttosto a concentrarsi sul gesto chirurgico e

sulla componente riabilitativa.

Quali sono i rischi a cui è esposto il paziente con

osteoporosi?

I rischi sono fondamentalmente due. Il primo è

intra-operatorio e legato al gesto chirurgico: è

il rischio di frattura in fase di posizionamento

della protesi. Se l’osso è fragile questo rischio è

aumentato. Il secondo è associato al decorso postoperatorio

ed è rappresentato dalla minor tenuta

della protesi all’osso. Se l’osso del ricevente ha

una qualità bassa, la mobilizzazione dell’impianto,

dovuta alla scarsa tenuta della protesi, è più

probabile.

Quotidianamente si eseguono migliaia di interventi

per impianto di protesi in tutta Italia e l’incidenza

di fratture intra-operatorie o mobilizzazioni dovute

a osteoporosi è relativamente bassa. Ma è chiaro

che, per la loro valenza, anche numeri limitati

devono essere considerati.

Pensiamo all’astronauta che, tornato sulla Terra

dopo un lungo periodo trascorso in assenza di

gravità, sviluppa un processo di sofferenza ossea

importante. O ai soggetti nei quali l’immobilità

prolungata dovuta a una frattura o al dolore

artrosico determina un’osteoporosi secondaria.

L’appoggio, il carico rappresentano stimoli al

nutrimento dell’osso. Al movimento si aggiungono

le terapie farmacologiche, anche di prevenzione,

che hanno un ruolo principe. Il terzo elemento è

rappresentato dalle terapie strumentali, come la

magnetoterapia, che possono, coordinate con il

movimento e la profilassi farmacologica, stimolare

l’osso.

Quali farmaci vengono usati?

Si impiegano la vitamina D e il calcio per la terapia

supplementativa. L’approccio farmacologico vero

e proprio, invece, si basa sull’utilizzo di composti

che riducono la perdita di osso e ne stimolano la

deposizione.

Nella valutazione del rischio fratturativo entrano

in gioco anche altri fattori?

Sì, dobbiamo considerare anche altri tipi di

dismetabolismo, come le osteoporosi secondarie

a comorbidità, assunzione di farmaci o ad altre

condizioni. Un’ulteriore patologia di cui tenere

conto è l’osteonecrosi, causata da una carenza

di vascolarizzazione dell’osso che si verifica

prevalentemente a livello del femore e del

ginocchio, due siti comuni per impianti di protesi,

e che deve essere gestita molto scrupolosamente.

La prevenzione del rischio fratturativo e di

mobilizzazione dell’impianto è, in questo caso,

analoga a quella dell’osteoporosi.

Quali sono i trattamenti peri operatori che

possono ottimizzare la salute dell’osso?

Il primo è quello, che definirei universale, della

mobilità. Il tono muscolare è fondamentale,

nella tenuta sia articolare che dell’osso stesso.

Osteoporosi

e psoriasi

La psoriasi è una malattia

infiammatoria cutanea caratterizzata

da placche squamose eritematose

croniche e ricorrenti.

Tra i fattori di rischio per fragilità

ossea identificati nella psoriasi

La psoriasi colpisce

dallo 0,1 al 2,9%

della popolazione

mondiale.

si sottolinea la correlazione con

durata, attività ed estensione

della malattia cutanea e inoltre la

presenza di artrite psoriasica e/o di

spondilite anchilosante, in cui oltre

al ruolo succitato delle citochine

proinfiammatorie si può associare

la ridotta mobilità articolare con

conseguente ridotta attività fisica e

perdita di contenuto minerale osseo.

Nella psoriasi entrambi i sessi hanno

Letizia Leali

In pazienti affetti

da psoriasi,

è indicata una

valutazione della

densità ossea

una più alta prevalenza di osteoporosi

e fratture rispetto alla popolazione di

riferimento per età e sesso, e in alcuni

report in particolare l’osteoporosi è

risultata più frequente negli uomini.

FARMACI PER PSORIASI E METABOLISMO

OSSEO

Il meccanismo di azione di alcuni

farmaci utilizzati per la psoriasi può

significativamente modificare il

metabolismo osseo. Noto è il ruolo dei

corticosteroidi che per via sistemica

sono sempre meno utilizzati se non in

forme particolari di psoriasi. I rapporti

tra OP, fratture e prodotti steroidei

topici è oggetto tuttora di dibattito e

non esiste una posizione conclusiva.

Gli inibitori della calcineurina

(ciclosporina, tacrolimus) esplicano

una interferenza sul metabolismo

osseo come documentato da studi

in vitro e sull’animale, aumentando

osteoformazione e riassorbimento

(ciclosporina) e riassorbimento

in particolare (tacrolimus). Esiste

un’ampia letteratura sulla osteoporosi

e sulle fratture nei pazienti sottoposti

a trapianti in trattamento con inibitori

della calcineurina, ma ovviamente tali

risultati non sono automaticamente

trasferibili ai pazienti psoriasici.

Con il trattamento della psoriasi con

derivati dell’acido fumarico sono stati

descritti alcuni casi di osteomalacia

con iperfosfaturia dovuta a

disfunzione del tubulo prossimale

renale (s. di Fanconi), soprattutto in

donne lungamente trattate, con OP

densitometrica e fratture patologiche

per lo più atipiche. L’ipovitaminosi

D è un altro fattore di rischio per

osteoporosi e nei pazienti psoriasici

ed è un dato consolidato, come

documentato anche da una recente

Le citochine

maggiormente

interessate nella

psoriasi e bersaglio

anche di specifici

farmaci biotecnologici

sono TNF-α ed IL-

17; il trattamento

con questi farmaci

potrebbe avere effetti

positivi anche sul

rimodellamento osseo

nei pazienti psoriasici.

metanalisi. I livelli di vitamina D

correlano inversamente con la gravità

della malattia cutanea.

La letteratura, dunque, valuta

in maniera più che indicata la

misurazione della massa ossea e del

rischio di frattura nei pazienti affetti

da psoriasi, sebbene manchino ancora

in tal senso linee guida condivise.

PRINCIPALI COMORBIDITÀ DELLA PSORIASI

L’artrite psoriasica si manifesta dal 7

al 42% della popolazione psoriasica

nelle differenti casistiche, potendosi

presentare anche in pazienti in

cui la psoriasi non sia evidente ma

presente in un parente di primo

grado. La psoriasi è frequentemente

associata a comorbidità quali malattie

cardiovascolari, ipertensione arteriosa,

obesità, diabete mellito e quindi da un

aumento della mortalità.

Più recentemente sono state

considerate tra le possibili comorbidità

anche l’osteoporosi e le fratture da

fragilità che possono essere riferite:

1. A un effetto diretto di alcune

citochine proinfiammatorie nella

induzione di un riassorbimento

osseo accelerato.

2. All’effetto di farmaci utilizzati

nel trattamento della patologia di

base.

3. Alla scarsa mobilità.

Muñoz-Torres M. et al. Osteoporosis and

Psoriasis. Actas Dermosifiliogr. 2019 Oct


pagina 14

MALATTIE RARE

GESTIONE DIAGNOSTICA

E TERAPEUTICA

DELL'ALGODISTROFIA

La rapidità e la

correttezza della

diagnosi per i pazienti

con algodistrofia

potrebbero

determinare il successo

o l’insuccesso del

percorso terapeutico

intrapreso

Nella pratica clinica attuale,

la Sindrome Algodistrofica

(SA), identificata a livello

internazionale come Complex

Regional Pain Syndrome type

1 (CRPS-1) è definita come

un disturbo caratterizzato

da una sintomatologia

dolorosa, da alterazioni

sensitive e vasomotorie,

edema e deficit funzionale.

La sindrome ha un esordio

con manifestazioni acute

in cui un ruolo importante

sembra essere rappresentato

dal danno al tessuto osseo.

Questi eventi diventano

sempre più frequenti, fino a

cronicizzarsi e rendere spesso

questa sindrome una malattia

invalidante a causa di disturbi

del microcircolo e di flogosi.

VARIABILI ASSOCIATE A UN

RITARDO DIAGNOSTICO

I risultati pubblicati da uno studio di

Varenna e colleghi su 180 pazienti con SA

hanno messo in luce i fattori associati a un

ritardo diagnostico.

Localizzazione del dolore nel piede

piuttosto che nella mano

Referti medici generici

Precedenti trattamenti di fisioterapia

non legati alla diagnosi di SA

Fonte: Varenna M. JCR 2020.

Caterina Lucchini

FATTORI SCATENANTI

Recentemente è

divenuto chiaro come

la predisposizione alla

manifestazione della

sindrome sia collegata ad

un evento traumatico che

sembra essere indipendente

dalla gravità. Esso, infatti,

può essere rappresentato

da una dislocazione, una

frattura, o addirittura da

un intervento chirurgico. È

inoltre importante far notare

come la sindrome possa

avere sia delle manifestazioni

"calde" (fase iniziale), in

cui è presente flogosi, e

"fredde" (fase tardiva),

nelle quali si assiste prima

all’insorgenza di distrofia e

successivamente ad atrofia

e danno sia anatomico che

funzionale.

L’anamnesi risulta essere

quindi fondamentale per

comprendere la causa

scatenante e portare ad

una diagnosi corretta. Ad

oggi, i criteri IASP sono

i più affidabili ed efficaci

nella pratica clinica,

nonché i più utilizzati.

Sebbene questi criteri

permettano di effettuare

un’attenta anamnesi

ed evitino al paziente di

sottoporsi a un’indagine

mediante Risonanza

Magnetica Nucleare (RMN),

è sempre più evidente

come la tempistica della

diagnosi della patologia sia

fondamentale per il successo

della terapia scelta.

È sempre più

evidente come la

tempistica della

diagnosi della

patologia sia

fondamentale per

il successo della

terapia scelta

L'IMPORTANZA DI UNA

DIAGNOSI PRECOCE

La diagnosi precoce della SA

è essenziale per indirizzare

correttamente il percorso

terapeutico del paziente.

Esiste infatti una finestra

diagnostica, corrispondente

al tempo che intercorre

tra l’evento traumatico

e il presentarsi della SA,

durante la quale un giusto

approccio alla sindrome

permette di prevenire il suo

cronicizzarsi, migliorando

così la qualità della vita del

paziente.

NERIDRONATO, UNICA TERAPIA

APPROVATA

La scelta della giusta terapia

da far intraprendere ai

pazienti affetti da SA è da

sempre un tema piuttosto

problematico. Diverse sono

le ragioni alla base di queste

difficoltà, tra cui la non

completa conoscenza delle

dinamiche patogenetiche

della sindrome o la variegata

estrazione specialistica del

personale medico. Anche

le manifestazioni cliniche,

altamente variabili durante

il decorso della sindrome,

insieme alla presenza di

studi molto eterogenei

tra loro, contribuiscono a

creare confusione e non

permettono di avere un

protocollo univoco.

Ad oggi, la classe di farmaci

con una maggiore efficacia

nel trattamento della SA

è quella dei bisfosfonati.

bisfosfonati, la cui azione

in questo contesto è

indipendente dalla loro

nota attività di inibitori del

riassorbimento osseo.

Si ipotizza che il reale

beneficio da parte di queste

molecole derivi dalla

loro capacità di inibire le

citochine proflogistiche,

interrompendo così il

processo infiammatorio.

Tra le varie molecole che

costituiscono la classe dei

bisfosfonati, il neridronato,

somministrato ad alte dosi

e in tempi brevi, sembra

essere un candidato ideale al

trattamento della SA.

La SA è dunque una

patologia invalidante che va

diagnosticata nelle sue fasi

precoci con un’anamnesi

completa e precisa.

Fonte: Varenna M, Randelli P.

GIOT 2020;46:299-306.

POSOLOGIA DEL

NERIDRONATO

100 mg/die

per via

endovenosa per

4 volte

nell’arco di

10 giorni

Criteri diagnostici

IASP

I criteri IASP del 2012, un

aggiornamento dei “criteri di

Budapest”, raccolgono i parametri più

utili per diagnosticare la Sindrome

Algodistrofica. Essi permettono di

effettuare un’indagine efficace della

patologia considerando sia il dolore

provato dal paziente che il punto di

vista strettamente legato alle sue

capacità motorie.

Il dolore sproporzionato del paziente

in risposta ad un evento scatenante

minimo è il primo elemento che deve

far pensare ad un possibile caso di

SA. Successivamente, il paziente deve

manifestare almeno un sintomo tra i

seguenti:

iperestesia e/o allodinia

asimmetria di temperatura

e/o alterazione e/o asimmetria

del colorito cutaneo

edema e/o anomalie e/o

asimmetria della sudorazione

alterazioni motorie/trofiche.

Inoltre, almeno un segno deve

essere obiettivabile in due delle

categorie sopracitate. Ovviamente,

non deve essere possibile spiegare la

sintomatologia del paziente in altro

modo rispetto alla SA.

Un’alternativa alla somministrazione endovenosa

Un’alternativa alla somministrazione endovenosa

In un recente studio clinico è stato analizzato il profilo di

sicurezza ed efficacia del neridronato quando somministrato

per via intramuscolare, al fine di capire se fosse possibile optare

per questa via di somministrazione (facilmente da iniettare

anche presso l’abitazione del paziente). I risultati provenienti

dalla prima fase (che prevede l’iniezione di 25mg di farmaco

per 16 giorni) sono promettenti. È stata infatti riscontrata una

perfetta sovrapponibilità dell’efficacia, valutata in base alla

misurazione del dolore e di tutti i consueti parametri clinici e

funzionali. Stessa cosa vale anche per la sua sicurezza, valutata

in basi ai dati di tolleranza della reazione di fase acuta.



pagina 16

Praticare una

“moderna odontoiatria”

L’odontoiatra attraverso domande specifiche effettua uno screening iniziale del

paziente e in presenza di campanelli d’allarme lo indirizza a uno specialista per

una valutazione più approfondita

Simone Montonati

Tiziano Testori è medico chirurgo al

Centro odontoiatrico universitario

dell’IRCCS Istituto ortopedico Galeazzi

presso il quale è anche responsabile

del Reparto di implantologia e

riabilitazione orale della Clinica

odontoiatrica. Inoltre, è professore

a contratto in “Tecniche chirurgiche

implantari” presso l’Università degli

studi di Milano e Adjunct clinical

associate professor, Department of

periodontics and oral medicine della

University of Michigan. È stato allievo

di Robert Marx – presso l’Università

di Miami – il primo a descrivere

la RONJ nel 2003. «Da allora – ci

spiega in questa intervista – le nostre

conoscenze sono cambiate moltissimo

e ora esiste un percorso diagnostico

con criteri ben definiti».

Quali sono i meccanismi che

conducono all’osteonecrosi?

Il meccanismo che porta

all’osteonecrosi deriva dall’azione dei

farmaci antiriassorbitivi che riducono

il turn-over osseo o impediscono –

come i farmaci anti-angiogenetici – la

formazione dei nuovi vasi, fattore

alla base di tutti i meccanismi di

guarigione. Bisogna inoltre ricordare

che tutti questi farmaci agiscono anche

sui normali meccanismi fisiologici di

guarigione rendendoli meno efficienti.

Tuttavia, lo scatenamento

dell’osteonecrosi è multifattoriale,

avviene soprattutto a livello

dell’osso mascellare che ha un turnover

più elevato rispetto al resto

dello scheletro. Inoltre, affligge

maggiormente la mandibola che ha una

vascolarizzazione terminale.

La presenza della microflora orale

e della peculiare interfaccia dento/

impianto con i tessuti molli sono

fattori predisponenti alle infezioni

ossee. Questa è la ragione per cui è

imperativo curare bene i nostri pazienti

da un punto di vista parodontale e

inserirli in un programma di richiami

professionali, soprattutto se hanno

eseguito impianti endoossei.

Qual è l’incidenza epidemiologica?

A questa domanda bisogna rispondere

in modo filosofico, ricordando

ai colleghi che sottovalutano

questo problema perché la reale

incidenza dell’osteonecrosi per la

cura dell’osteoporosi è bassa: dai

lavori scientifici pubblicati, emerge

un’incidenza che va dallo 0,02%

all’1%. Per questo motivo i colleghi

possono erroneamente pensare

che non sia un problema reale e

tendono a sottovalutarlo. Tuttavia,

vorrei ricordare che l’1% può essere

considerato un’incidenza bassa per

noi, ma per il paziente che sviluppa

osteonecrosi la sua incidenza è del

100% e la sua qualità di vita può

all’improvviso crollare drasticamente.

Inoltre, la reale incidenza

dell’osteonecrosi in determinate

sottopopolazioni a rischio presenta

una grande variabilità e in letteratura

mancano ancora dati prospettici

definitivi. Ad esempio, il “Progetto

bifosfonati” della Clinica di chirurgia

maxillofacciale e odontostomatologia

del Policlinico di Milano, diretta dal

Prof. Aldo Bruno Giannì, ha trovato

un’incidenza del 3,69% di pazienti

affetti da osteoporosi e del 25,32%

in pazienti oncologici contro il 12%

che si riscontra nella letteratura

internazionale.

Qual è il suo parere sulla terapia?

Il mio parere spassionato è

che, al momento di delineare la

L’insidiosa gestione dell’osteonecrosi

dei mascellari farmaco-relata

I criteri diagnostici,

clinici e radiologici sono

alquanto complessi e a

volte non specifici, motivo

per cui possono verificarsi

mancate diagnosi

per certezze errate o

conoscenze non aggiornate

terapia o il trattamento chirurgico

dell’osteonecrosi delle ossa mascellari,

ci si deve avvalere di chi ha esperienza

sul campo e possiede un elevato livello

di competenze in quest’ambito. Anche

perché non esiste al momento un

consenso unanime su come trattare i

pazienti.

Noi, però, abbiamo il dovere di curarli

al meglio praticando una “moderna

odontoiatria” con indirizzo medico,

cioè conoscendo lo stato di salute

del paziente e interagendo con

gli specialisti che di volta in volta

possono esserci di aiuto (in campo

otorinolaringoiatrico, maxillofacciale,

del metabolismo osseo ecc.). I casi che

gli odontoiatri incontrano nel proprio

studio, se il paziente è curato a dovere,

sono veramente pochi. Tuttavia, i casi a

cui assistiamo in ospedale hanno tutti

un minimo comune denominatore:

il paziente viene trattato senza

un’accurata anamnesi o viene operato

senza una scrupolosa preparazione del

cavo orale.

Che ruolo può avere l'impiego

della clorexidina nel contesto di

prevenzione?

La clorexidina è indispensabile,

insieme agli antibiotici, per il

trattamento dell’osteonecrosi. È un

fattore fondamentale per il controllo

Simone Montonati

L’osteonecrosi delle

ossa mascellari relata

all’uso di farmaci

(medication-related

ostenonecrosis of the

jaws, MRONJ) è una

rara e grave condizione

debilitante – le cui

dinamiche non sono

ancora completamente

conosciute –

associata all’utilizzo

di alcune molecole

farmacologiche

(bisfofonati, anticorpi

monoclonali, inibitori

delle tirosin-kinasi

e inibitori mTOR) in

presenza di alcuni

fattori di rischio

specifici.

DIAGNOSI ARTICOLATA

L’esposizione di

osso rappresenta al

momento il più sicuro

indicatore di questa

patologia sebbene

alcuni studi abbiano

dimostrato che questo

della contaminazione dovuta al

microbiota orale.

Cosa intende per collaborazione con

gli specialisti?

Su questo specifico argomento

abbiamo dato il nostro contributo

attraverso lavori scientifici scritti

a quattro mani con specialisti del

metabolismo osseo, come il Dott.

Gregorio Guabello.

Abbiamo ideato un percorso razionale

per la valutazione osteometabolica del

paziente che deve essere sottoposto

a terapie odontoiatriche. In queste

pubblicazioni abbiamo illustrato in

dettaglio il percorso che deve essere

seguito dall’odontoiatra, il limite a

cui può giungere, quando è opportuno

che si arresti e indirizzi il paziente

allo specialista per una diagnosi più

approfondita e per la definizione della

terapia. Ritengo questi lavori scientifici

fondamentali per curare in modo

professionale ed etico un paziente:

l’odontoiatra attraverso domande

specifiche effettua uno screening

iniziale del paziente e quando ravvede

la presenza di comorbilità o di

terapie prolungate nel tempo o con

farmaci di cui non conosce appieno

la farmacodinamica, è opportuno che

invii il paziente a uno specialista per

una valutazione più approfondita.

fenomeno è presente

solo nel 54% dei

pazienti (secondo altre

ricerche si fermerebbe

addirittura al 30%).

Altri segni clinici

indicativi sono la

persistenza di fistole

oltre le otto settimane

(possono anche essere

extra-orali, cioè a

livello cutaneo), la

mancata riparazione

ossea dopo estrazione,

la mobilità dentale

in rapida insorgenza,


pagina 17

parestesie e disestesie

al labbro.

Il paziente può ad

esempio presentarsi

con ascessi e secrezioni

sieropurulente

che sembrano

di derivazione

odontogena ma

possono essere casi

di osteonecrosi non

trattata. Il dolore

è un sintomo di

più complessa

interpretazione,

innanzitutto perché

sembra che sia spesso

assente agli esordi

della malattia. Inoltre,

il dolore può sembrare

causato da patologie

di derivazione dentale

o muscolare oppure

scambiato per dolori

di tipo sinusitico

o trigeminale.

Talvolta può essere

di tipo gravativo,

più frequentemente

localizzato a livello

mandibolare.

In ogni caso, il sintomo

dolore in presenza

di osso esposto è

considerato elemento

discriminante nella

classificazione

e stadiazione

proposta dall’AAOMS

(Associazione

americana di chirurgia

maxillo-facciale).

CONFERMA

STRUMENTALE

L’accertamento

radiologico è

considerato

fondamentale per la

conferma diagnostica.

In caso di sospetta

osteonecrosi, una

CBCT o una TC spirale

sono gli esami più

appropriati per

valutarne l’estensione.

Anche se le linee

guida affermano

che possono essere

sufficienti gli esami

di primo livello, come

l’ortopantomografia,

bisogna ricordare che

prima che si evidenzi

una zona di osteolisi su

una ortopantomografia

Esiste ancora

radicata la falsa

convinzione che

l’osteoradionecrosi

sia causata solo da

invasive procedure

di chirurgia orale

deve verificarsi una

significativa perdita

minerale (superiore al

30%-55%).

«Molti colleghi –

racconta Tiziano

Testori, tra i massimi

esperti della patologia

– considerano ancora

la presenza di osso

esposto la condizione

indispensabile

per diagnosticare

una osteonecrosi e

giudicano la presenza

di dolore un sintomo

essenziale per fare

diagnosi. Esiste

ancora radicata la

falsa convinzione che

l’osteoradionecrosi

sia causata solo da

invasive procedure di

chirurgia orale tipo

estrazioni dentali

o posizionamento

di impianti.

L’osteonecrosi, invece,

si può verificare

spontaneamente,

può essere dovuta

al traumatismo di

protesi mobili eseguite

in modo incongruo.

Conoscere queste

informazioni è molto

importante per

evitare di fallire una

diagnosi o effettuarla

tardivamente».

Diagnosi precoce

trattamento predicibile

PREVENZIONE PRIMARIA

Mantenere la salute del cavo orale attraverso l’eliminazione

di tutti i foci infettivi. Prevenire la malattia parodontale e le

patologie di tipo endodontico attraverso un programma di

mantenimento parodontale/implantare, se il paziente ha

impianti, mucositi e perimplantiti,

PREVENZIONE SECONDARIA

Seguire un work up diagnostico in cui i capisaldi sono

l’anamnesi, l’esame obiettivo, e l’imaging radiologico.

Individuare un professionista esperto che possieda

competenze più specifiche, ove compaiano patologie rare o

complesse.

Informativa per il paziente

Nella pratica clinica, i pazienti in terapia con farmaci antiriassorbitivi

per l’osteoporosi spesso riferiscono il rifiuto da

parte dell’odontoiatra di sottoporli a interventi di chirurgia

orale come estrazioni dentali e posizionamento di impianti,

per il timore di incorrere in complicanze come fallimento

implantare e osteonecrosi della mandibola.

È dunque utile che il medico prescrittore di farmaci

anti-riassorbitivi fornisca al paziente un’informativa da

consegnare all’odontoiatra, allo scopo di fornire quelle che

sono le attuali raccomandazioni in termini di prevenzione

delle suddette complicanze.

SCARICA L’INFORMATIVA

www.bonehealth.it/informativa-per-il-paziente

ACCORGIMENTI

PER PREVENIRE

L’OSTEONECROSI

1

2

3

4

non credere che l’osteonecrosi

sia solo dovuta all’utilizzo dei

bifosfonati

non ritenere che l’osteonecrosi sia

esclusivamente dovuta a procedure

invasive nel cavo orale

curare in modo professionale ed

etico il paziente attraverso una

“moderna odontoiatria” con indirizzo

medico

fare azione di counseling non

solo nei confronti dei pazienti ma

anche di medici di base e oncologi

richiedendo loro di avvalersi di un

parere odontoiatrico che valuti

la salute del cavo orale prima di

prescrivere certi tipi di farmaci

L’IMPORTANZA

DI UN’ADEGUATA ANAMNESI

Per il controllo della osteonecrosi è

fondamentale verificare non solo i

fattori di rischio specifici ma anche

tutti gli elementi medici generali che

possono facilitare l’insorgere della

patologia

Simone Montonati

Il controllo degli elementi di rischio della patologia

parte da lontano, e non riguarda solo l’impiego di

alcuni farmaci. L’odontoiatra deve farsi carico di

svolgere un’accurata anamnesi per intercettare

tutti i fattori di rischio presenti: generali, locali,

farmacologici. Sapere ad esempio che un paziente

è affetto da artrite reumatoide, insufficienza

renale cronica, diabete o patologie oncologiche è

determinante per stilare una diagnosi accurata.

FATTORI DI RISCHIO

Vi sono poi i fattori di rischio specifici, primo

tra tutti la presenza di alcune terapie, come i

trattamenti con farmaci anti-riassorbitivi o ad

attività anti angiogenetica oppure con steroidi per

lungo tempo.

È comunque fondamentale tener sempre

presente che l’osteonecrosi non è causata solo

dall’assunzione di bifosfonati. Oltre ai farmaci con

attività anti angiogenetica, anche alcuni carcinomi

trattati con anticorpi monoclonali (carcinoma renale

trattato con inibitori delle tirosina kinasi, carcinoma

del colon, polmonare o mammario) rappresentano

un elemento di rischio.

Nel caso dei bifosfonati, inoltre, devono essere

valutati in dettaglio anche il tipo di bifosfonati, la

via di assunzione e la durata del trattamento.

Pazienti affetti da patologia osteometabolica, al

contrario, hanno un rischio minore di sviluppare

la MRONJ. Un altro elemento che influisce

significativamente sull’insorgenza dell’osteonecrosi

è rappresentato dagli stili di vita: il fumo è un

fattore di rischio non solo in implantologia e nel

trattamento della malattia parodontale, ma anche

per l’insorgenza di osteonecrosi.


pagina 18

OSSA

FORTI

E

SANE

A

Calcio

NUTRIZIONE

«Una carenza cronica di calcio alimentare

nella fase della crescita di bambini e

adolescenti può determinare una ridotta

densità minerale dell’osso, che non consente

di raggiungere il picco di massa ossea»,

spiega Hellas Cena, prorettore alla Terza

missione e responsabile del laboratorio di

Dietetica e nutrizione clinica dell’Università di

Pavia, oltre che responsabile del servizio di

Nutrizione clinica e dietetica degli Istituti clinici

scientifici Maugeri. «Successivamente, con il

trascorrere degli anni, avviene nell’organismo

una graduale fisiologica riduzione della

densità ossea, che può essere influenzata

da vari fattori, come stile di vita, assetto

ormonale, stato generale di salute, microbiota

intestinale, assunzione di farmaci».

Secondo la Società italiana di nutrizione

umana (Sinu), la quantità media di calcio

necessaria varia da 700-800 a 1.200

milligrammi al giorno, a seconda dell’età. Il

fabbisogno è più alto nei giovani, nelle donne

in gravidanza o durante l’allattamento e

dopo la menopausa. Un bicchiere di latte

apporta circa 250 milligrammi di calcio, una

porzione di formaggio stagionato circa 350

milligrammi, un bicchiere di acqua minerale

ricca di calcio circa 70. «Un’alimentazione

varia ed equilibrata dovrebbe essere

sufficiente a fornire un adeguato apporto di

questo nutriente», sostiene la professoressa.

«Tuttavia, in presenza di particolari

carenze, determinate per esempio da

malassorbimento intestinale o disturbi

alimentari, è possibile consigliare ai pazienti

l’assunzione di integratori, in forma di calcio

carbonato, citrato, lattato, gluconato».

Vitamina D

Si tratta di una vitamina liposolubile che agisce

sull’intestino determinando un aumento

dell’assorbimento di calcio e che favorisce

il suo successivo deposito nelle ossa. «Per

raggiungere la dose giornaliera raccomandata

(almeno 600 unità internazionali, pari a 15

microgrammi), basterebbe esporsi al sole

ogni giorno per circa 20-30 minuti, con viso,

braccia e gambe scoperti», chiarisce Cena.

«Una prescrizione semplice in teoria, ma più

difficile in pratica, soprattutto durante i mesi

invernali e per le persone che trascorrono poco

tempo all’aria aperta». Alla scarsa esposizione

solare si possono poi aggiungere altre cause di

carenza. Per esempio, uno scarso assorbimento

determinato da alcune patologie, come

celiachia, alvo alterno, morbo di Crohn, fibrosi

cistica, disbiosi intestinale, assunzione di alcuni

farmaci, come cortisone, antiepilettici, antiretrovirali,

anti-micotici, colestiramina. O ancora,

una difficoltà nel convertire il precursore nella

forma attiva di vitamina D, a causa di disturbi

renali o epatici, oppure di alcune rare malattie

genetiche. Inoltre, alcune recenti ricerche

hanno mostrato che i livelli di questa vitamina

sono più bassi nelle persone con sovrappeso e

obesità, il che potrebbe spiegare, vista l’elevata

prevalenza di questi ultimi disturbi, la diffusa

carenza (meno di 20 nanogrammi per millilitro

di sangue) di vitamina D nella popolazione

mondiale. Nelle persone con lieve insufficienza

si può ricorrere agli integratori, che possono

contenere al massimo 50 microgrammi (pari a

2mila unità internazionali) di vitamina D, mentre

nel caso di deficit più consistenti è, invece,

necessario prescrivere il medicinale, che può

essere assunto per via orale o somministrato

per via intramuscolare.

TAVOLA

ALIMENTI RICCHI DI CALCIO

Un menù ricco di calcio,

proteine, vitamina D è

essenziale per il benessere

dell’apparato scheletrico.

In caso di particolari

carenze, si possono

consigliare ai pazienti gli

integratori

LATTE E YOGURT

(ANCHE SCREMATI)

FORMAGGI, SIA

FRESCHI CHE

STAGIONATI

ALCUNI PESCI, SOPRATTUTTO

ALICI, SARDINE, POLPI,

CALAMARI, GAMBERI

Paola Arosio

FRUTTA SECCA

(MANDORLE, ARACHIDI,

PISTACCHI, NOCI, NOCCIOLE)

LEGUMI, IN

PARTICOLARE CECI,

LENTICCHIE, FAGIOLI

ACQUA

MINERALE


NUTRIZIONE

pagina 19

COME L'ORGANISMO PUÒ ASSUMERE VITAMINA D

20

%

I CIBI

PIÙ RICCHI

SONO:

OLIO DI FEGATO DI

MERLUZZO

SALMONE

SGOMBRO

80

%

PESCE SPADA

TONNO

SARDINE

TUORLO D'UOVO

Proteine

Meno sale e alcol

Contenute soprattutto in carne, pesce,

legumi, sono le componenti fondamentali

della massa muscolare, senza la quale le

ossa si indeboliscono, come dimostrato

anche da uno studio pubblicato nel 2005

su The Journal of Clinical Endocrinology

and Metabolism, condotto da un gruppo

di ricercatori statunitensi, che ha messo in

luce il meccanismo attraverso il quale gli

aminoacidi promuovono l’assorbimento di

calcio a livello dell’intestino.

«Oltre a consigliare ai pazienti gli alimenti benefici per le ossa, sarebbe

bene anche suggerire loro di stare il più possibile alla larga da alcuni

“nemici” dello scheletro, come il sale e i cibi che ne sono ricchi (dadi da

brodo, alimenti in scatola e in salamoia) e il caffè, perché aumentano la

escrezione di calcio urinario», sottolinea Cena. Anche l’uso eccessivo di

alcolici potrebbe contribuire a danneggiare l’apparato scheletrico. L’alcol,

infatti, inibisce gli osteoblasti, stimola gli osteoclasti, riduce l’assorbimento

di calcio nell’intestino e diminuisce gli ormoni come il testosterone e gli

estrogeni, che favoriscono la produzione di tessuto osseo. Infine, è utile

ricordare ai pazienti di non abusare di bevande vegetali, come il latte

di mandorla, di riso, di soia, che, se non arricchite di calcio, non sono

sostitutive del latte tradizionale e non apportano alcun vantaggio all’osso.

Altri nutrienti

I NEMICI

1

sale

Anche magnesio, potassio, vitamine C, K, E,

del gruppo B sono utili al benessere delle

ossa. Per questo nel menù non devono mai

mancare la verdura e la frutta (tre porzioni al

giorno della prima e due della seconda), che

sono ricche di questi nutrienti. «I più recenti

studi scientifici hanno, inoltre, evidenziato

che alcune fibre, i cosiddetti prebiotici, che

giungono indigerite nell’ultimo tratto del colon,

sono in grado di attivare la flora batterica,

facilitando l’assorbimento dei micronutrienti,

incluso il calcio», aggiunge la docente.

DELLO

SCHELETRO

2

3

4

caffè

alcolici

bevande vegetali


pagina 20

NUTRIZIONE

Vitamina K

e salute delle ossa

Effetti della carenza di vitamina K, della supplementazione di

vitamina K e dell’assunzione di anticoagulanti orali antagonisti

Letizia Leali

della vitamina K su diversi parametri ossei

Sebbene sia nota per la sua importanza nella cascata

della coagulazione, la vitamina K ha anche altre

funzioni. Poiché prende parte alla carbossilazione

di molte proteine correlate alle ossa, regola la

trascrizione genetica dei marker osteoblastici e regola

il riassorbimento osseo, la vitamina K è essenziale

alla salute delle ossa. La carenza di vitamina K non è

rara, poiché l’organismo non è in grado di produrne

in quantità sufficienti e deve essere assunta con la

dieta. Inoltre anche l’assunzione di anticoagulanti

orali dell’antagonista della vitamina K induce

carenza di vitamina K. La maggior parte degli studi

rileva che basse concentrazioni sieriche di K1, alti

livelli di osteocalcina carbossilata (ucOC) e un basso

apporto dietetico di K1 e K2 sono associati a un rischio

maggiore di fratture e a una densità di massa ossea

(BMD) inferiore. Gli studi relativi alla relazione tra la

supplementazione di vitamina K e il rischio di frattura

rilevano che assumendo integratori si potrebbe

ridurre il rischio di fratture, ma sono necessari

studi appositamente progettati che prevedano come

endpoint primario la frattura. Anche la riduzione del

rischio di frattura con l’uso di anticoagulanti orali

non antagonisti della vitamina K (NOAC) al posto

del warfarin è interessante, ma ancora una volta le

prove disponibili offrono risultati difformi. Le prove

scarse e limitate, inclusi studi di bassa qualità che

hanno raggiunto conclusioni discordanti, rendono

impossibile trarre solide conclusioni su questo

argomento, in particolare per quanto riguarda l’uso

di integratori di vitamina K.

EFFETTO DELLA SUPPLEMENTAZIONE DI VITAMINA K SU

SOGGETTI SANI O CON OSTEOPOROSI

Gli effetti della supplementazione di vitamina

K sulla BMD sono riassunti nella meta-analisi

eseguita da Fang et al., che comprendeva sia soggetti

sani che pazienti affetti da osteoporosi primaria/

secondaria. In totale, sono stati inclusi 17 studi,

dieci dei quali includevano integratori di vitamina

K2 (otto con MK-4 alla dose di 15–45 mg/die e

due con MK-7 alla dose di 0,2-3,6 mg/die) e sette

studi con supplementazione di vitamina K1 (0,2-

10 mg/die). Nell’analisi generale, inclusi tutti gli

studi selezionati, gli autori hanno scoperto che

l’integrazione di vitamina K non ha influenzato

significativamente la BMD (misurata in base alla

differenza media ponderata) al collo del femore,

ma ha aumentato significativamente la BMD della

colonna lombare dell’1,27% (IC 95%: 0,47– 2,06)

dopo 6–36 mesi di trattamento. Tuttavia, quando

le analisi dei sottogruppi sono state eseguite in base

al tipo di vitamina K somministrata, gli effetti non

erano significativi per K1 e rimanevano comunque

significativi per K2 (aumento medio dell’1,8% della

BMD della colonna lombare, CI 95%: 0,87–2,75). Gli

autori sono cauti su questi risultati; molti degli studi

inclusi erano di bassa qualità ed è stata riscontrata

una significativa eterogeneità tra questi studi.

VITAMINA K E BMD

Un’altra meta-analisi ha esplorato specificamente

il ruolo degli integratori di vitamina K2 sia nella

BMD che nella frattura. Attraverso 19 studi (11 dei

quali non sono stati inclusi nella meta-analisi

sopra menzionata) con 6759 partecipanti, gli autori

hanno scoperto che i supplementi di K2 hanno

migliorato significativamente la BMD vertebrale a

medio e lungo termine e la BMD dell’avambraccio

a lungo termine in donne in postmenopausa con

osteoporosi.

EFFETTO IN POSTMENOPAUSA

Uno studio condotto su 115 donne in postmenopausa

ha dimostrato che tutti e tre i gruppi che avevano

assunto rispettivamente integratori contenenti

calcio e vitamina D; calcio, vitamina D e vitamina

K1; calcio, vitamina D e vitamina K2 per un anno

avevano mostrato un aumento significativo della

BMD totale rispetto ai controlli, con ulteriori

vantaggi per la BMD lombare nei gruppi che hanno

assunto K1 o K2. In generale, la maggior parte degli

studi riporta una correlazione positiva, almeno in

alcuni sottogruppi, tra l’assunzione di integratori di

vitamina K e aumento della BMD. Inoltre, sebbene

alcuni studi non abbiano dimostrato cambiamenti

significativi nella BMD, sono riusciti a ottenere

risultati significativi in altri parametri ossei.

La vitamina K svolge

un ruolo importante

nella salute delle ossa

Negli studi osservazionali, una bassa assunzione di

vitamina K, bassi valori sierici di vitamina K e alti

livelli di osteocalcina non carbossilata circolatoria

(ucOC) sono associati al rischio di frattura (in

particolare frattura dell’anca). Tuttavia, gli studi

clinici non ottengono risultati conclusivi e, pertanto,

sussistono ancora controversie sull’uso degli

integratori di vitamina K1 e K2.

Fonte: Rodríguez-Olleros Rodríguez C et al. J Osteopor, 2019.

Utilità dell’integrazione

con vitamina D

Uno studio dimostra

che l’integrazione con

vitamina D3 per due

anni in adulti sani

non selezionati per

insufficienza di vitamina

D non ha migliorato la

densità minerale ossea

o la struttura del tessuto

osseo

Lorenzo Giusti

Un gruppo di ricercatori

della Division of

Endocrinology, Diabetes and

Hypertension, Department

of Medicine, Brigham and

Women’s Hospital Boston

(Massachusetts) ha condotto

uno studio per verificare se la

supplementazione di vitamina

D possa essere effettivamente

utile per migliorare la densità

minerale ossea (BMD) e/o la

struttura del tessuto osseo.

Infatti, sebbene l’integrazione

di vitamina D sia utilizzata

per promuovere la salute

delle ossa nella popolazione

generale, i dati ricavati da studi

randomizzati controllati non

sono stati coerenti.

La supplementazione con

vitamina D3 rispetto al placebo

non ha avuto alcun effetto sulle

variazioni a due anni di aBMD a

livello della colonna vertebrale

(0,33% vs. 0,17%; p=0,55),

collo del femore (-0,27% vs.

-0,68%; p=0,16), totale anca

(-0,76% vs. -0,95%; p=0,23),

o tutto il corpo (-0,22% vs.

-0,15%; p=0,60), o su misure

della struttura ossea.

Gli effetti non variavano per

sesso, etnia, indice di massa

corporea o livelli di 25(OH)

D. L’integrazione giornaliera

con vitamina D3 effettuata

per due anni in adulti sani non

selezionati per insufficienza di

vitamina D non ha migliorato,

rispetto al placebo, la BMD o

la struttura del tessuto osseo.

Con supplementazione di

vitamina D3, i partecipanti

con livelli di FVD al basale al

di sotto della mediana (<14,2

pmol/L) hanno mostrato un

lieve aumento della aBMD della

colonna vertebrale (0,75% vs.

0%; p=0,043) e attenuazione

della perdita di aBMD totale

dell’anca (-0,42% vs -0,98%;

p=0,044). Quindi merita di

essere ulteriormente studiato

se la valutazione dei livelli di

FVD al basale possano aiutare

a identificare i soggetti che

hanno maggiori probabilità di

beneficiare dell’integrazione

con vitamina D3.

Fonte: Meryl S et al. J Bone Miner Res.

2020 May;35(5):883-893.

STUDIO VITAL

VITamin D e

OmegA-3 TriaL

Randomizzato

in doppio cieco,

controllato con

placebo

771 partecipanti

Uomini di età ≥50

anni e donne di età

≥55 che non stavano

assumendo farmaci

per il trattamento di

patologie ossee


NUTRIZIONE

pagina 21

Fratture protette

dal β-carotene

Il β-carotene, essendo un antiossidante, può avere un

effetto benefico contro lo stress ossidativo correlato

Letizia Leali

all’osteoporosi

Un gruppo di ricercatori

cinesi ha condotto

una metanalisi per

studiare l’associazione

tra l’assunzione di

β-carotene e il rischio

di fratture utilizzando

nove studi peerreviewed

composti

da 190.545 uomini e

donne, scoprendo che

l‘assunzione alimentare

di β-carotene (1,76-

14,30 mg/giorno)

era associata a

una riduzione del

12% del rischio di

fratture. Inoltre, una

maggiore assunzione

di β-carotene è stata

associata a un minor

rischio di fratture

dell’anca. I risultati

della metanalisi

suggeriscono che un

maggiore apporto

alimentare di

β-carotene può avere un

ruolo favorevole nella

protezione del rischio di

frattura.

La solidità dei risultati è

rafforzata dal riscontro

di un’associazione

inversa tra l’assunzione

di β-carotene e il rischio

di frattura sia in studi

prospettici di coorte che

caso-controllo.

L’effetto protettivo

del β-carotene è più

marcato nelle donne

Per quanto riguarda

il sesso, i ricercatori

hanno rilevato che, al

crescere delle quantità

di β-carotene assunto,

le femmine sviluppano

un minor rischio di

frattura rispetto ai

maschi. Questo può

essere un risultato

plausibile, date le

differenze ormonali

tra i sessi, anche se

altri studi condotti su

popolazioni diverse e

con differenti abitudini

alimentari avevano

portato a conclusioni

differenti

β-carotene e rischio di

fatture

La metanalisi ha

generato un pooled-

RR usando un nuovo

approccio bayesiano per

valutare l’associazione

tra l’assunzione

di β-carotene e il

rischio di frattura

utilizzando nove studi

osservazionali peerreviewed.

Sia negli

studi caso-controllo

sia in quelli di coorte

è stata costantemente

osservata l’associazione

inversa tra β-carotene

e il rischio di fratture.

I risultati osservati

supportano il ruolo

del β-carotene come

potenziale fattore

protettivo per le

fratture. Un elevato

apporto di frutta e

verdura ricche di

antiossidanti può essere

benefico per la salute

delle ossa e può ridurre

il rischio di fratture.

I ricercatori

raccomandano

di condurre studi

randomizzati controllati

per confermare la

potenziale relazione

protettiva osservata

tra l’assunzione di

β-carotene e le fratture.

Fonte: Charkos, T.G. et al.

BMC Musculoskelet Disord

21, 711 (2020).

β-CAROTENE, UN MECCANISMO ANCORA POCO CHIARO

Un apporto sufficiente di vitamina A,

compreso il β-carotene, è essenziale per le

normali attività fisiologiche, influenzando

l’asse dell’ormone della crescita. Il

β-carotene, antiossidante, contribuisce alla

difesa del corpo contro lo stress ossidativo,

coinvolto anche nell’osteoporosi.

Il β-carotene migliora

l’osteoclastogenesi e riduce l’apoptosi

degli osteoblasti stabilizzando la via

di segnalazione della β-catenina,

che porta a una diminuzione del

riassorbimento osseo.

I carotenoidi possono interferire con la

segnalazione del recettore del fattore di

crescita regolando IGF-1 / IGFBP3, che è

associato alla funzione cognitiva. La funzione

cognitiva compromessa è un noto fattore di

rischio per cadute e fratture dell’anca.

In uno studio americano

vengono riportati i possibili

effetti del consumo di latticini

sullo stato di salute generale in

popolazioni adulta e pediatrica

Lorenzo Giusti

LATTE E SALUTE

Un gruppo di ricercatori di Boston

ha condotto un’ampia analisi della

letteratura, pubblicata su The England

Journal of Medicine, per indagare i

benefici e i possibili rischi correlati

all’assunzione di latte. In particolare,

gli autori hanno analizzato l’impatto

su crescita e sviluppo, salute delle ossa

e rischi di fratture, obesità, malattie

cardiovascolari, diabete, allergie e vari

tipi di cancro.

Consumo di latte

ed effetti sulla salute

CONSUMO DI LATTICINI: PRO E CONTRO

I ricercatori affermano che, negli

adulti, le evidenze scientifiche non

supportano, nel complesso, l’ipotesi che

un elevato consumo di prodotti lattierocaseari

riduca il rischio di fratture,

motivazione principale che ha indotto a

promuovere il consumo di tali alimenti

negli Stati Uniti. Inoltre, il consumo di

prodotti lattiero-caseari non è stato

chiaramente correlato al controllo del

peso e al rischio sviluppare diabete

o malattie cardiovascolari. L’elevato

consumo di latticini è associato a

un leggero aumento del rischio di

cancro alla prostata e di carcinoma

dell’endometrio, ma riduce il rischio di

cancro del colon-retto. È importante

notare che l’effetto del consumo di

latticini sulla salute è da mettere in

relazione all’effetto del consumo di

altri alimenti e bevande: per molti versi,

consumare latticini è meno dannoso che

consumare carne rosso o suoi derivati

o bevande zuccherate, ma il confronto

è sfavorevole se effettuato con fonti

di proteine vegetali, come le noci.

Inoltre consumare latticini con ridotto

contenuto di grassi non sembra offrire

vantaggi rispetto al consumo di prodotti

lattiero-caseari interi.

Nella prima infanzia, in mancanza

di latte materno, il latte vaccino può

fornire un prezioso sostituto. Il latte

promuove la velocità di crescita e

permette di raggiungere una maggior

altezza, il che comporta sia rischi sia

benefici. L’elevato potere nutritivo del

latte può essere particolarmente utile

per le popolazioni di regioni in cui la

qualità generale della dieta è scarsa e

l’apporto calorico è deficitario.

Tuttavia, in caso di alimentazione

adeguata, l’eccessivo consumo di latte

può aumentare il rischio di fratture

in età avanzata e resta preoccupante

l’associazione tra una maggiore altezza

e il rischio di cancro.

Fonte: Walter C et al. NEJM 13 feb

2020;382:644-54.

LATTE, CALCIO E VITAMINA D

CONSIGLI PRATICI

LATTE

1. 0-2 porzioni di latte o

latticini al giorno

2. Preferire il latte a

basso contenuto di

grassi al latte intero

3. Evitare il consumo

di latticini zuccherati

nei Paesi sviluppati

CALCIO

Fonti alimentari alternative

includono cavoli, broccoli,

tofu, noci, fagioli e succo

d’arancia fortificato.

VITAMINA D

Un livello adeguato può

essere raggiunto attraverso

l’assunzione di integratori,

che hanno un costo molto

inferiore rispetto al latte

fortificato.


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3. Varenna M et al. Rheumatology 2013;52:534-542. - Abiogen Pharma S.p.A. - Materiale promozionale depositato presso AIFA in data 28/10/2020 - MP 136.20

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