Altiero Spinelli fonds - European University Institute
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De Pasquale<br />
o a modificare - soltanto l'orientamento generale,<br />
gli indirizzi di fondo esposti nella risoluzione e a<br />
cui dovranno conformarsi le scelte future. Noi,<br />
come ho già detto, li approviamo, avendo contribuito<br />
ad elaborarli.<br />
A questo punto, signor Presidente, potrei concludere<br />
il mio intervento, ma, dato che ne ho il<br />
tempo, vorrei aggiungere qualche altra sommaria<br />
considerazione.<br />
Il nostro primo e fondamentale apprezzamento<br />
riguarda la concezione del passaggio dall'attuale<br />
Comunità alla futura Unione, quale emerge dai<br />
lavori della commissione istituzionale. Nella<br />
risoluzione viene affermata con chiarezza la<br />
necessità che il processo di integrazione progredisca<br />
congiuntamente su tutti i campi, da quello<br />
politico a quello economico e sociale, a quello<br />
culturale. L'idea-forza della risoluzione si distacca,<br />
dunque, nettamente e positivamente da tante altre<br />
proposte, tutte parziali e unilaterali, venute in<br />
questi ultimi tempi da varie parti, si tratti dell'Atto<br />
europeo Genscher-Colombo, o del Memorandum<br />
del governo francese. In una crisi così profonda e<br />
generale com'è quella attuale, è assurdo pensare<br />
che si possa sviluppare l'integrazione economica e<br />
monetaria senza una forte cooperazione politica, e<br />
viceversa. Ed è altresì evidente l'estrema difficoltà<br />
di aprire nuovi spazi sociali per i lavoratori, per i<br />
disoccupati, per i giovani, per le donne, senza<br />
politiche e strumenti che spingano verso la convergenza<br />
dei sistemi economici europei. Si è anche<br />
visto quanto siano ardui e di esito incerto tentativi,<br />
pur generosi, di rilancio economico-sociale su scala<br />
nazionale, ma non concertati nell'ambito europeo.<br />
Queste diverse proposte, sia pur deboli e<br />
insufficienti, dimostrano tuttavia che l'esigenza di<br />
fare qualcosa per uscire dalla paralisi viene avvertita<br />
anche nelle sedi più restie al cambiamento. Si<br />
tratta, quindi, di un'esigenza oggettiva, storicamente<br />
matura. Siamo arrivati - come hanno detto<br />
il relatore e molti altri colleghi - a un punto<br />
limite» L 'esperienza comunitaria del passato,<br />
giunta da tempo a maturazione, rischia ormai di<br />
marcire e ha bisogno d'essere rinnovata, non a<br />
pezzi e bocconi, ma nel suo complesso. Aggiustamenti<br />
e rimedi parziali o settoriali non solo servono<br />
a poco, ma si rivelano addirittura inattuabili,<br />
come dimostra anche- per citare solo l'ultimo caso<br />
- il fallimento del mandato.<br />
È utopia, dunque, proporre una riforma dei trattati<br />
che rimetta in moto il processo di integrazione<br />
che si è inceppato e che, anzi, è entrato in una fase<br />
regressiva? Noi non lo crediamo. Certo, sarebbe<br />
velleità se la risoluzione ci proponesse - come è<br />
stato detto - un « superstato >>. Ma non è così. E qui<br />
73-<br />
interviene un secondo apprezzamento positivo che<br />
ci sentiamo di fare. La risoluzione non ci chiede di<br />
sconfinare nella sovrannazionalità, non ci chiede<br />
di stravolgere l'attuale impianto della Comunità,<br />
ma, al contrario, ci chiede di rafforzarlo, migliorando<br />
l'equilibrio delle istituzioni e il loro<br />
reciproco ruolo, per assolvere ai compiti previsti<br />
dai trattati e a quelli che, con il passare del tempo,<br />
sono venuti alla ribalta. Viene affermata senza<br />
equivoci una continuità con il passato- una continuità<br />
critica, beninteso- non per restare fermi al<br />
passato, ma per andare avanti. Questo è realismo,<br />
se realismo non significa, come io credo, rassegnazione<br />
e rinuncia, ma dinamismo consapevole e<br />
responsabile.<br />
Si avanzano, tuttavia, anche obiezioni di segno<br />
opposto. Qualcuno, a sinistra, lamenta una certa<br />
indeterminatezza nell'indicazione di quelle che<br />
dovrebbero essere le basi sociali dell'Unione, di<br />
quella che dovrebbe essere la società europea del<br />
2000. Ma a che varrebbe, onorevoli colleghi,<br />
ammesso che fosse possibile, mettere sulla carta i<br />
connocati di una società nuova ? Il rinnovamento<br />
della società non potrà che essere il frutto di<br />
grandi movimenti di lotta e di opinione, di un<br />
sostanziale cambiamento dei rapporti di forza, di<br />
un successo delle lotte politiche e sociali su scala<br />
europea. Il nostro obiettivo immediato, che può<br />
essere condiviso da un vastissimo schieramento di<br />
forze sociali e politiche, deve essere quello di<br />
raggiungere, nella democrazia e nella pace, una<br />
autentica « dimensione Europa >>, per poter<br />
costruire all'interno di essa l'unità di tutte le. forze<br />
progressiste e democratiche capaci di rinnovare la<br />
società.<br />
L'azione che il Parlamento sta portando avanti per<br />
la riforma dei trattati va in questa direzione, va<br />
nella direzione di un allargamento e di un consolidamento<br />
della democrazia in Europa. Questo è<br />
l'essenziale, che non dobbiamo perdere di vista in<br />
un momento in cui l'uso della forza prevale su<br />
quello della ragione e mentre avanzano fenomeni<br />
gravi di imbarbarimento, spinte repressive<br />
incontrollabili, pericoli di guerra.<br />
HAEU AHUE HAEU AHUE<br />
C'è ancora chi non comprende questo legame<br />
nuovo tra la costruzione europea e la crisi mondiale,<br />
ed è portato, in conseguenza, a sottovalutare<br />
quel che stiamo tentando di fare, considerandolo<br />
non molto di più di un mero eserctzw<br />
intellettualistico. A tutti costoro noi voremmo dire<br />
che quel che si sta facendo qui è qualcosa di qualitativamente<br />
diverso rispetto al passato. Sì, è vero,<br />
ci sono stati tanti rapporti sull'Unione europea -<br />
tutti pregevoli ed utili. Stavolta, però, non si tratta<br />
dell'ennesimo rapporto, non si tratta di tranquille<br />
elaborazioni destinate agli archivi e alle bibliote-<br />
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