Tutto il nero del noir - Cineforum del Circolo
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TUTTO<br />
IL NERO<br />
DEL<br />
i quaderni <strong>del</strong> cineforum 27<br />
NOIR<br />
cinque classici <strong>del</strong>la commedia nera americana<br />
DI CLAUDIO CASAZZA E MARCELLO PERUCCA<br />
CIRCOLO FAMILIARE DI DI UNITÀ PROLETARIA<br />
viale Monza 140 140 - - MIlano - - MM1 «Turro»<br />
www.cineforum<strong>del</strong>circolo.it info@cineforum<strong>del</strong>circolo.it
TUTTO<br />
DELNOIR<br />
IL NERO<br />
cinque classici <strong>del</strong> cinema <strong>nero</strong> americano<br />
DI C L A U D I O C A S A Z Z A E M A R C E L L O P E R U C C A<br />
settembre - ottobre 2012<br />
CIRCOLO FAMILIARE DI UNITÀ PROLETARIA<br />
Viale Monza 140, M<strong>il</strong>ano<br />
www.cineforum<strong>del</strong>circolo.it info@cineforum<strong>del</strong>circolo.it
INTRODUZIONE<br />
L’idea di proporre una rassegna dedicata al <strong>noir</strong> americano <strong>del</strong>l’epoca più fert<strong>il</strong>e e classica, nasce dall’interesse<br />
mostrato dal pubblico nell’ultimo ciclo di f<strong>il</strong>m <strong>del</strong>la stagione 2011-2012 <strong>del</strong> <strong>Cineforum</strong><br />
<strong>del</strong> <strong>Circolo</strong>. In quell’occasione, accanto alla visione di alcune pellicole di <strong>noir</strong> moderni sono stati<br />
proposti, in post-proiezione, alcuni brani di classici degli anni Quaranta e Cinquanta che hanno stimolato,<br />
in molti dei presenti, la curiosità e <strong>il</strong> desiderio di poterli vedere nella loro interezza. Pertanto, allo scopo di<br />
venire incontro al desiderio <strong>del</strong> pubblico e a completamento <strong>del</strong>la trattazione <strong>del</strong> cinema <strong>noir</strong> e poliziesco,<br />
presentiamo cinque capolavori <strong>del</strong> cinema americano considerati pietre m<strong>il</strong>iari di questo genere f<strong>il</strong>mico e,<br />
in generale, di tutta la storia <strong>del</strong> cinema.<br />
Come già evidenziato nel quaderno n. 26 “Tutti i colori <strong>del</strong> <strong>noir</strong>”, pubblicato in occasione <strong>del</strong>la precedente<br />
rassegna, <strong>il</strong> <strong>noir</strong> moderno si sv<strong>il</strong>uppa in varie zone <strong>del</strong> mondo (Europa, Stati uniti, Estremo oriente),<br />
spesso ut<strong>il</strong>izzando i f<strong>il</strong>m come strumento per indagare la società contemporanea, analizzandone e descrivendone<br />
le sue contraddizioni e le sue distorsioni. Questo non è una novità, in quanto sin dalla nascita<br />
<strong>del</strong> genere, in America negli anni Quaranta, gli st<strong>il</strong>emi tipici dei f<strong>il</strong>m <strong>noir</strong> e polizieschi venivano ut<strong>il</strong>izzati<br />
per raccontare un mondo corrotto, cupo, che derivava direttamente dalle tensioni e dal senso di insicurezza<br />
che permeava tutta la società americana <strong>del</strong>l’epoca. L’America era appena uscita da una grave crisi<br />
economica e all’orizzonte si stavano <strong>del</strong>ineando le ombre minacciose <strong>del</strong>la guerra. Era quindi comprensib<strong>il</strong>e<br />
che anche <strong>il</strong> cinema risentisse di questa situazione di grande depressione e incertezza e <strong>il</strong> <strong>noir</strong>, per le<br />
sue caratteristiche formali – l’uso prevalente <strong>del</strong> bianco e <strong>nero</strong> con una fotografia che ne esaltava i contrasti,<br />
le ambientazioni spesso notturne, piovose - ben si prestava a descriverla, raccontando storie di criminali,<br />
di vittime, di corruzione, di donne e uomini perduti nei loro incubi.<br />
Come detto l’epoca d’oro <strong>del</strong> <strong>noir</strong> classico va dal 1941, anno di uscita de Il mistero <strong>del</strong> falco (The Maltese<br />
Falcon) primo f<strong>il</strong>m di John Huston, tratto da un romanzo di Dashiell Hammett, alla fine degli anni<br />
Cinquanta quando Orson Welles realizza L’infernale Quinlan (Touch of Ev<strong>il</strong>, 1958) uno dei suoi f<strong>il</strong>m più<br />
estremi e impietosi, con un poliziotto violento e sopra le righe, interpretato dallo stesso Welles, vera impersonificazione<br />
<strong>del</strong> male (come, d’altronde, <strong>il</strong> titolo originale suggerisce).<br />
Nella presente rassegna, quindi, partiremo dalle origini <strong>del</strong> genere e, pur tralasciando Il mistero <strong>del</strong> falco,<br />
presenteremo alcuni dei migliori <strong>noir</strong> <strong>del</strong>l’epoca, iniziando da La fiamma <strong>del</strong> peccato (Double Indemnity)<br />
che B<strong>il</strong>ly W<strong>il</strong>der realizzò nel 1944 traendolo da un romanzo <strong>del</strong>lo scrittore americano James M. Cain, già<br />
autore de Il postino suona sempre due volte, romanzo ampiamente sfruttato con successo al cinema. A rendere<br />
eccezionale La fiamma <strong>del</strong> peccato contribuì in maniera non indifferente Raymond Chandler, scritto-<br />
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e, autore <strong>del</strong> famoso detective Ph<strong>il</strong>ip Marlowe, che contribuì a velare <strong>il</strong> f<strong>il</strong>m di W<strong>il</strong>der di un alone di mistero<br />
avvertib<strong>il</strong>e sin dal prologo iniziale, assente nel libro di Cain. W<strong>il</strong>der e Chandler calano la storia in un’atmosfera<br />
allucinata, punteggiandola di dettagli che contribuiscono a caratterizzare in maniera perfetta i vari<br />
personaggi.<br />
A seguire un’altra pellicola <strong>del</strong> 1944, L’ombra <strong>del</strong> passato (Murder, My Sweet), di Edward Dmytryk, con<br />
Dick Powell nella parte proprio di Ph<strong>il</strong>ip Marlowe, la creatura di Chandler. In questo f<strong>il</strong>m, tratto dal libro<br />
Addio, mia amata, Dmytryk cala <strong>il</strong> detective in un’atmosfera notturna e claustrofobica, palpab<strong>il</strong>e sin dalla<br />
sequenza iniziale dove lo vediamo, bendato, sottostare a un interrogatorio <strong>del</strong>la polizia. La narrazione si<br />
discosta decisamente da quella <strong>del</strong> romanzo che tende a mantenere una forte aderenza alla realtà, virando<br />
verso atmosfere irreali, allucinate a causa <strong>del</strong>le droghe fatte assumere a Marlowe. È lo stesso Marlowe a<br />
rendersene conto quando, in una <strong>del</strong>le prime battute ci dice: “C’è qualcosa di strano nel s<strong>il</strong>enzio di un ufficio,<br />
la notte, qualcosa di irreale… <strong>il</strong> traffico giù in strada sembrava appartenere a un altro mondo, un<br />
mondo di cui io non facevo più parte”.<br />
Humphrey Bogart, memorab<strong>il</strong>e Marlowe nel f<strong>il</strong>m di Howard Hawks Il grande sonno (The Big Sleep,<br />
1946), è <strong>il</strong> protagonista <strong>del</strong> terzo f<strong>il</strong>m <strong>del</strong>la rassegna, La fuga (Dark Passage, 1947), di Delmer Daves. In<br />
quest’opera <strong>il</strong> tema, ricorrente nel cinema <strong>noir</strong>, è quello <strong>del</strong>l’uomo braccato, in fuga, spesso innocente,<br />
com’è infatti Vincent Parry, <strong>il</strong> personaggio principale interpretato da Bogey. Ancora una volta si riforma<br />
sul set, oltre che nella vita reale, la coppia Humphrey Bogart-Lauren Bacall, con l’attrice nella parte di una<br />
donna bella e sensuale che si appassiona al caso di Parry, innocente braccato e alla ricerca <strong>del</strong>la verità.<br />
Verso Giungla d’asfalto (The Asphalt Jungle, 1950), pregevolissima pellicola firmata da John Huston,<br />
quarto titolo <strong>del</strong>la rassegna, la critica <strong>del</strong>l’epoca non fu tenera. Considerato come un B-movie, in realtà<br />
mostra un ritmo perfetto con originali soluzioni registiche. In questo caso, <strong>il</strong> vero protagonista <strong>del</strong> f<strong>il</strong>m è<br />
la metropoli tentacolare, governata dal denaro e abitata da uomini corrotti, criminali e giovani donne senza<br />
scrupoli e arriviste. Come Mar<strong>il</strong>yn Monroe, qui in una <strong>del</strong>le sue prime parti importanti.<br />
Chiude la breve rassegna uno dei f<strong>il</strong>m capolavori di Orson Welles L’infernale Quinlan <strong>del</strong> quale già si è<br />
accennato, considerato da molti critici alla stregua di un vero e proprio epitaffio <strong>del</strong> cinema <strong>noir</strong> classico.<br />
Cinque f<strong>il</strong>m <strong>del</strong> periodo d’oro <strong>del</strong> <strong>noir</strong> americano; cinque capolavori di tutti i tempi per chiudere <strong>il</strong> discorso<br />
iniziato qualche mese fa con <strong>il</strong> <strong>noir</strong> contemporaneo.<br />
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I PERSONAGGI NOIR: detective e gangster<br />
Il detective privato frequenta abitualmente i bassifondi metropolitani. Solitario, difende gli um<strong>il</strong>iati e<br />
gli offesi. Risoluto investigatore, in perenne conflitto con l’ordine costituito, è duro di carattere, a prima<br />
vista egoista e si dedica in maniera indefessa al proprio lavoro, dove si rivela preciso e accurato. Nel<br />
<strong>noir</strong> classico <strong>il</strong> mondo in cui si aggira sono gli States degli anni Trenta, Quaranta, dipinti con estremo realismo<br />
e popolati da squali <strong>del</strong>la finanza, ricchi arroganti, poliziotti corrotti e dark ladies. Elegante, forte<br />
fumatore e bevitore, non si interessa <strong>del</strong> denaro che spende; sensib<strong>il</strong>e al fascino femmin<strong>il</strong>e è, allo stesso<br />
tempo, tendente alla misoginia.<br />
I gangster e i banditi che popolano i f<strong>il</strong>m <strong>del</strong> genere <strong>noir</strong>, sono spesso figure inquietanti e malsane. Coppie<br />
diaboliche, donne di malaffare, spietati k<strong>il</strong>ler, assassini per sete di conquista. Nel <strong>noir</strong> «si lavora» per far<br />
trionfare <strong>il</strong> male che ogni personaggio porta dentro di se.<br />
HUMPHREY BOGART<br />
(New York, 1899 – Hollywood, 1957)<br />
Più che un attore è una leggenda? Una domanda che sembra una frase da lancio cinematografico d’altri<br />
tempi, tempi che riecheggiano lontani nella mente di noi spettatori d’oggi.<br />
Di lui ci rimangono quei momenti di sbalorditiva recitazione, in cui qualcosa di magico c’era e non si concludeva<br />
mai con la fine <strong>del</strong> f<strong>il</strong>m. Bellissimo (a modo suo) e rischioso. Una leggenda che ha vissuto con<br />
disinvolta naturalezza, senza dare la sensazione di esserlo, senza montarsi la testa. Forse per non urtare la<br />
suscettib<strong>il</strong>ità di noi comuni mortali o forse perché si considerava un perdente… come quei perdenti che<br />
interpretava al cinema.<br />
Vir<strong>il</strong>e, nonostante la sua bassa statura, mascolino e fisicamente minaccioso, ma denotato da un’integrità<br />
morale incorruttib<strong>il</strong>e, anche se «sporca» e fumosa, nessuno si sarebbe mai aspettato che, dietro quella faccia<br />
da gangster, si nascondesse un intellettuale, idolatrato dagli stessi (come dimenticare <strong>il</strong> tributo che un<br />
altro newyorkese come lui, Woody Allen, ha fatto alla sua persona in Provaci ancora, Sam). Il regista John<br />
Huston e <strong>il</strong> suo vero e unico grande amore, Lauren Bacall, a loro solo è stato concesso di chiamarlo veramente<br />
Bogie. Per noi, rimane solo Bogart.<br />
Già la sua nascita fu un mito. Si dice sia nato <strong>il</strong> 22 gennaio 1899, anche se successivamente gli uffici stampa<br />
<strong>del</strong>le major modificarono la data in 25 dicembre 1900, per renderlo ancora più leggendario. Quel che è<br />
certo, è che fu un newyorkese doc, figlio di un notissimo chirurgo e di un’<strong>il</strong>lustratrice di riviste.<br />
Educato alla Trinity School, mandato poi alla Ph<strong>il</strong>lips Academy di Andover, Massachusetts, per prepararsi<br />
al mestiere di medico, venne però espulso per indisciplina e, visti i pessimi successi scolastici, si arruolò<br />
in marina e partecipò alla Prima Guerra Mondiale. Nel 1919, durante <strong>il</strong> servizio m<strong>il</strong>itare venne ferito alla<br />
bocca da un detenuto in manette che stava scortando in tribunale. Gli rimase per sempre quella piccola<br />
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A sinistra:Humphrey Bogart in una scena di Una pallottola per Roy (High Sierra, 1941) di Raoul Walsh.<br />
A destra: l’attore newyorkese ne Il falcone maltese (The Maltese Falcon, 1941) primo lungometraggio di John<br />
Huston.<br />
cicatrice sul labbro e quel lievissimo difetto di pronuncia che, in Italia, con <strong>il</strong> doppiaggio, è impossib<strong>il</strong>e<br />
notare.<br />
Al ritorno dalla guerra entrò nella compagnia teatrale di un amico di famiglia e proprio nel ‘20 debuttò sul<br />
grande schermo in una pellicola muta. Entrato sotto contratto con la Fox riuscì per molti anni ad ottenere<br />
solo piccole parti. Dopo qualche ruolo teatrale, la sua carriera subì finalmente una svolta decisiva nel 1934,<br />
quando ottenne un grandissimo successo a Broadway nella piece «La foresta pietrificata».<br />
La Warner visti i presupposti, decise di metterlo sotto contratto a lungo termine. Cominciò così la fortuna<br />
di Bogart. Curtiz, Anatole Litvak e Walsh furono i suoi registi. A suo agio nei gangster movie, come si può<br />
chiaramente notare nel capolavoro Una pallottola per Roy (1941) di Walsh, indossò perfettamente anche i<br />
panni di eroi maledetti come <strong>il</strong> detective Sam Spade, che inaugurò ufficiosamente la grande stagione <strong>del</strong><br />
<strong>noir</strong> americano. Cinico, ma dal cuore te<strong>nero</strong>, eccolo diretto da John Huston ne Il mistero <strong>del</strong> falco (1941).<br />
Huston, diventato <strong>il</strong> suo migliore amico, lo dirigerà in altri titoli come: In questa nostra vita (1942), L’isola<br />
di corallo (1948), Il tesoro <strong>del</strong>la Sierra Madre (1948) e Il tesoro <strong>del</strong>l’Africa (1954). Lasciò però a Curtiz<br />
<strong>il</strong> priv<strong>il</strong>egio di dirigerlo in un capolavoro: Casablanca (1942), dove Bogart scrisse ufficialmente la storia<br />
<strong>del</strong> cinema gestendo <strong>il</strong> Rick’s Bar di Casablanca e, soprattutto, lasciando partire la piangente Ilse (Ingrid<br />
Bergman) con suo marito, capo <strong>del</strong>la Resistenza.<br />
E dopo Sahara (1943) di Zoltan Korda, interpretò, in Acque <strong>del</strong> Sud (1944) di Howard Hawks, <strong>il</strong> rude Steve<br />
che capitola fra le braccia di Slim, una bella newyorkese: Lauren Bacall. Un colpo di fulmine in piena regola<br />
che porta Bogie al divorzio dalla precedente moglie e rapidamente all’altare <strong>il</strong> 21 maggio <strong>del</strong>lo stesso<br />
anno. Con la Bacall darà anche luogo a quei duetti fantastici che renderanno alcune pellicole mitiche. Un<br />
esempio su tutti: Acque <strong>del</strong> sud (1944) di Hawks e la scena <strong>del</strong> fischio. «Se mi vuoi», dice la Bacall «non<br />
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hai che da fare un fischio. Sai fischiare, no? Unisci le labbra… e soffi». Lui non arrivava al mento <strong>del</strong>la<br />
Bacall, ma resse <strong>il</strong> corteggiamento così sfrontato e addomesticò la sua gatta. Insieme fronteggeranno perfino<br />
<strong>il</strong> senatore McCarthy e la sua caccia alle streghe contro i comunisti, rifugiandosi a lavorare alla radio<br />
nel programma «Bold Venture» (1951-52) e fondando una loro casa di produzione, la Santana.<br />
Fu uno dei pochi attori pred<strong>il</strong>etti da scrittori come Chandler, Hemingway e Hammett. Nicholas Ray lo<br />
diresse ne I bassifondi di San Francisco (1949) e Il diritto di uccidere – Paura senza perché (1950), ma<br />
fu John Huston a offrirgli finalmente l’Oscar con <strong>il</strong> ruolo <strong>del</strong>l’alcolizzato Charlie ne La Regina d’Africa<br />
(1952).<br />
Altri registi lo immortaleranno come attore comico e dai sentimenti paterni. Poi nel 1956, questo fumatore<br />
e bevitore accanito (si dice fumasse solo Chesterfield e ben 5 pacchetti al giorno) nello stesso anno si<br />
ammala e muore di tumore alla gola. Huston, <strong>il</strong> suo regista, <strong>il</strong> suo migliore amico, all’orazione funebre<br />
dichiarò: «Non abbiamo nessun motivo per provare dispiacere per lui che è morto, ma solo per noi stessi,<br />
poiché l’abbiamo perso. Bogey era insostituib<strong>il</strong>e. Non ci sarà mai più nessuno come lui».<br />
Muore così l’antieroe per eccellenza, l’immortale perdente che eleva i perdenti al rango di mo<strong>del</strong>li da imitare.<br />
Un uomo che ha avuto la fortuna di incontrare autori che sapevano sfruttare la sua energia, <strong>il</strong> suo<br />
volto, quel suo ghigno quasi infant<strong>il</strong>e e quelle guance mal rasate. Chi come lui ha iniziato a fumare con la<br />
sigaretta a mezza bocca non può restare indifferente di fronte alla sua immagine sul grande schermo. Il<br />
duro che ha schivato colpi bassi e omicidi lascia così nella nostra anima personaggi autosufficienti che non<br />
serve smantellare come giocattoli. Che la magia rimanga fra <strong>il</strong> disincanto naturale e l’eleganza sublime.<br />
Bogie ha ancora un posto nel nostro immaginario collettivo? Sì, forse sì… Lo sentite quell’amaro sapore<br />
di romanticismo quando parla con la Bacall?<br />
JAMES CAGNEY<br />
James Francis Cagney Jr. (Yonkers, 17 luglio 1899 – Stanfordv<strong>il</strong>le, 30 marzo 1986) è stato un attore e regista<br />
statunitense.<br />
Cresciuto in una famiglia economicamente disagiata, lavora in spettacoli di teatro come ballerino, e nei<br />
primi anni Venti riesce a debuttare a Broadway. Quando la società cinematografica Warner Bros. acquista<br />
i diritti per realizzare un f<strong>il</strong>m da una piece a cui aveva partecipato, Cagney firma così <strong>il</strong> suo primo contratto<br />
con una major.<br />
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James Cagney insieme a<br />
Jean Harlow
Di bassa statura, ma dotato di grande talento e ag<strong>il</strong>ità, Cagney sarà protagonista di molte pellicole, specializzandosi<br />
in ruoli di brutto ceffo in una serie di riusciti f<strong>il</strong>m polizieschi, come <strong>il</strong> celeberrimo Nemico pubblico<br />
(1931) di W<strong>il</strong>liam A. Wellman, in cui dimostra un’eccezionale bravura impersonando un giovane<br />
gangster destinato ad una brutta fine. Acclamate saranno le sue interpretazioni ne Gli angeli con la faccia<br />
sporca (1938) di Michael Curtiz, in cui è un gangster pentito che aiuta giovani scapestrati, in Ribalta di<br />
gloria (1942), sempre di Curtiz, e ne La furia umana (1949) di Raoul Walsh, in cui giganteggia nel ruolo<br />
di un gangster psicopatico. Nel 1955 interpreta, a fianco di Doris Day, la parte di un gangster di buon cuore<br />
nel f<strong>il</strong>m Amami o lasciami di Charles Vidor. Proseguirà poi la carriera anche in ruoli spumeggianti e disparati.<br />
EDWARD G. ROBINSON<br />
Nome d’arte di Emmanuel Goldenberg (Bucarest, 12 dicembre 1893 – Hollywood, 26 gennaio 1973), è<br />
stato un attore inconfondib<strong>il</strong>e, figura bassa e tarchiata, con <strong>il</strong> viso schiacciato e gli occhi dal taglio mongolo,<br />
raggiunse la popolarità come interprete di ruoli di gangster nell’era <strong>del</strong> proibizionismo.<br />
Cambiò <strong>il</strong> suo nome in E.G. Robinson («la «G» non vuol dire nulla», come ebbe a dire lui stesso in varie<br />
interviste, «può stare per god (dio in inglese) o per gangster»), ma in realtà E.G. stava per Emmanuel<br />
Goldenberg; solo in un secondo momento decise di dare alla E <strong>il</strong> significato di Edward. Nel 1913 cominciò<br />
a lavorare come attore di teatro, passando da produzioni popolari a esperimenti d’avanguardia. In gene-<br />
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Dall’alto in basso: Edward G.<br />
Robinson, insieme a Humphrey Bogart<br />
ne Il vendicatore (Brother Orchid,<br />
1940), di Lloyd Bacon.<br />
L’attore in una scena de La donna <strong>del</strong><br />
ritratto (The Woman in the Window,<br />
Fritz Lang, 1944)
e gli venivano assegnati ruoli di assassino, di emarginato o di folle, che in ogni caso portava sul palcoscenico<br />
ottenendo personali successi, come in The Racket quando interpretò un gangster, mo<strong>del</strong>lato sul carattere<br />
di Al Capone. Proprio quest’ultima interpretazione attirò l’attenzione dei produttori cinematografici,<br />
che lo spinsero a firmare contratti per diversi f<strong>il</strong>m «di genere». Robinson vi lavorò convinto di non dover<br />
abbandonare <strong>del</strong> tutto gli impegni teatrali.<br />
Gli anni <strong>del</strong> gangster movie sono quelli <strong>del</strong>la ribalta e <strong>del</strong> ruolo che lo rese celebre: quello <strong>del</strong> bandito<br />
Cesare Enrico Ban<strong>del</strong>lo in Piccolo Cesare. Proprio in quegli anni, tra le conseguenze <strong>del</strong>la grande crisi economica<br />
e l’avvento <strong>del</strong> proibizionismo, si <strong>del</strong>ineavano le convenzioni cinematografiche <strong>del</strong> <strong>noir</strong>.<br />
Benché l’interpretazione di Robinson, vista da uno spettatore odierno, appaia caricata ed enfatica, per<br />
l’epoca la storia di questo gangster, la sua ascesa e <strong>il</strong> suo inevitab<strong>il</strong>e declino, rappresentano un’importante<br />
novità che finisce per definire un mo<strong>del</strong>lo canonico imprescindib<strong>il</strong>e, tanto che anche Robert De Niro, molti<br />
anni dopo, dichiarò di essersi ispirato proprio al Rico <strong>del</strong> Piccolo Cesare per la sua interpretazione di Al<br />
Capone in Gli intoccab<strong>il</strong>i (1987).<br />
Il grande successo <strong>del</strong>la pellicola si rivelò tuttavia controproducente per Robinson: per tutto <strong>il</strong> resto <strong>del</strong>la<br />
sua carriera egli fu costretto a lottare con la Warner per poter uscire dal cliché <strong>del</strong> gangster e poter interpretare<br />
parti diverse. L’occasione per recitare in ruoli «onesti» non gli mancherà in seguito, ma <strong>il</strong> personaggio<br />
gli rimase «attaccato» per tutta la vita.<br />
Segnato dall’etichetta <strong>del</strong> «boss», la Warner lo costrinse ad interpretare personaggi che, anche in contesti<br />
diversi, ricalcavano in qualche modo <strong>il</strong> vigore e la carica di Rico. Nel successivo Smart Money (1931) è<br />
un re <strong>del</strong> gioco d’azzardo, in L’uomo dalla scure (1932) un «signore <strong>del</strong>la guerra» cinese, in La costa dei<br />
barbari (1935) di nuovo un boss <strong>del</strong>la malavita, in L’uomo di bronzo (1937) un manager pug<strong>il</strong>istico. In<br />
questi anni non mancarono ruoli più leggeri, come in Tutta la città ne parla (1935) e Un bandito in vacanza<br />
(1938), ma si trattava in ogni caso di personaggi legati in qualche modo al m<strong>il</strong>ieu <strong>del</strong>la malavita.<br />
Gli anni d’oro <strong>del</strong>la carriera saranno i successivi, compreso l fondamentali La fiamma <strong>del</strong> peccato (1944),<br />
dove è <strong>il</strong> tenace investigatore deciso a tutti i costi a smascherare una truffa assicurativa, La donna <strong>del</strong><br />
ritratto (1945) e Strada scarlatta (1946) in cui riveste <strong>il</strong> ruolo di uomo mite che le circostanze trasformano<br />
in un assassino.<br />
BURT LANCASTER<br />
Il nome completo Burton Stephen Lancaster (New York, 2 novembre 1913 – Century City, 20 ottobre<br />
1994), è stato un attore e regista statunitense. Nacque a Harlem; fino al 1945 si barcamenò tra lavoretti e<br />
la passione circense, ma la sua vita cambiò quasi per caso: in ascensore, un agente teatrale lo notò per <strong>il</strong><br />
suo fisico atletico e, scambiandolo per un attore, gli propose<br />
la parte di un sergente tutto d’un pezzo in un lavoro<br />
teatrale di Broadway. Nel 1946 l’approdo a Hollywood<br />
dove Lancaster girò per la Universal <strong>il</strong> suo primo f<strong>il</strong>m, I<br />
gangsters (1946), basato su un racconto di Hemingway,<br />
che lo fece subito notare dalla critica e dagli spettatori, che<br />
apprezzarono la sua recitazione asciutta e controllata, ma<br />
anche la sua prestanza fisica e <strong>il</strong> sorriso perfetto. Il secondo<br />
ruolo importante giunse l’anno dopo con Forza bruta.<br />
Lancaster proseguì la carriera con ruoli da «duro», stereotipati<br />
e poco convincenti, tra i quali Le vie <strong>del</strong>la città<br />
(1948), un altro gangster-movie, in cui recitò con Kirk<br />
Douglas. Desideroso di ampliare la propria immagine e di<br />
Burt Lancaster<br />
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dimostrare le proprie possib<strong>il</strong>ità drammatiche, Lancaster interpreta Il terrore corre sul f<strong>il</strong>o (1948), che lo<br />
vide impegnato in un ruolo tutto giocato sulla psicologia dei personaggi, un thr<strong>il</strong>ler costruito in un unico<br />
ambiente (in origine si trattava di un radiodramma). Da qui iniziò la carriera <strong>del</strong>l’attore che affronterà ruoli<br />
molto diversi tra loro, dimostrando grande dutt<strong>il</strong>ità ed ecletticità.<br />
PHILIP MARLOWE<br />
Il personaggio di Ph<strong>il</strong>ip Marlowe vede la luce negli anni Trenta grazie alla fantasia <strong>del</strong>lo scrittore americano<br />
Raymond Chandler (Chigaco, 1888 - La Jolla, 1959).<br />
Prima di assumere <strong>il</strong> nome definitivo, con <strong>il</strong> quale è diventato famoso in tutto <strong>il</strong> mondo, <strong>il</strong> personaggio creato da<br />
Chandler si era chiamato in vari modi nei diversi racconti pubblicati sulla rivista specializzata Black Mask : Mallory,<br />
Malverne, Carneady.<br />
Stando a quanto trapela dai romanzi nei quali <strong>il</strong> detective è protagonista, Marlowe nacque circa 50 miglia a nord<br />
di san Francisco, nella cittadina californiana di Santa Monica. Pioi trasferitosi a Los Angeles, intraprese la carriera<br />
di detective privato, dapprima per una compagnia di assicurazioni poi, in seguito, alle dipendenze <strong>del</strong> procuratore<br />
distrettuale. Perso quest’ultimo impiego perché, cone afferma Chandler: “Marlowe si dimostrò un po’ troppo<br />
bravo in un momento e in un luogo in cui l’efficienza era l’ultima cosa desiderata dalla persona da cui dipendeva”.<br />
La personalità di Ph<strong>il</strong>ip Marlowe è già ben <strong>del</strong>ineata sin dal primo romanzo, The Big Sleep (Il grande sonno), datato<br />
1939. Colto, apparentemente cinico e sarcastico ma, in realtà, sentimentale. Paladino <strong>del</strong>la giustizia, utopista,<br />
vicino ai loser, i perdenti. Loser egli stesso, fallito agli occhi <strong>del</strong>la società in quanto non possiede denaro, ama <strong>il</strong><br />
fumo e l’alcol ed è affascinato dalle donne e, pur non ricercandole, non le rifiuta se capita l’occasione. Insomma,<br />
è un uomo comune.<br />
Infatti, come ebbe a scrivere lo stesso Chandler: “Sulla strada dei criminali deve camminare un uomo comune<br />
che non è un criminale né un vigliacco. Nel poliziesco realistico quest’uomo è <strong>il</strong> detective. È l’eroe, è tutto. Un<br />
uomo completo, un uomo comune eppure un uomo comese ne incontrano pochi. Dev’essere […] un uomo d’onore.<br />
[…] deve esserlo senza pensarci e senza mai parlarne troppo.<br />
I romanzi con Ph<strong>il</strong>ip Marlowe protagonista<br />
IL GRANDE SONNO (The Big Sleep, 1939)<br />
Marlowe viene ingaggiato dal vecchio e ricco generale in pensione Sternwood per indagare su un biglietto ricattatorio<br />
inviatogli da un certo Geiger, proprietario di una libreria, nel quale viene menzionata una cambiale consegnata<br />
a Geiger da Carmen, la figlia minore di Sternwood. Marlowe apprende, inoltre, che Regan, <strong>il</strong> marito di<br />
Vivian, la figlia maggiore, è scomparso da più di un mese.<br />
Indagando su Geiger, Marlowe verrà coinvolto in un vortice di <strong>del</strong>itti e di traffici di materiale<br />
pornografico nel quale Carmen è invischiata. L’idea che si fa strada nella testa di<br />
Marlowe è che i <strong>del</strong>itti siano, in qualche modo, legati alla scomparsa di Regan e ai traffici<br />
<strong>il</strong>legali di Eddy Mars, proprietario <strong>del</strong> casinò nel quale Vivian sperpera i denari <strong>del</strong>la<br />
famiglia.<br />
F<strong>il</strong>m tratti dal romanzo:<br />
Il grande sonno (The Big Sleep, 1946). Regia di Howard Hawks, con Humphrey Bogart<br />
che interpreta Ph<strong>il</strong>ip Marlowe.<br />
Marlowe indaga (The Big Sleep, 1978). Regia di Michael Winner, con Robert Mitchum<br />
che interpreta Ph<strong>il</strong>ip Marlowe.<br />
ADDIO MIA AMATA (Farewell, My Lovely, 1940)<br />
Marlowe si muove in una California ricca e corrotta, ingaggiato da un ex detenuto che,<br />
uscito di prigione, vuole ritrovare Velma, la sua ex fidanzata misteriosamente scomparsa.<br />
F<strong>il</strong>m tratti dal romanzo:<br />
L’ombra <strong>del</strong> passato (Murder, My Sweet, 1994). Regia di Edward Dmytryk, con Dick<br />
Powell che interpreta Ph<strong>il</strong>ip Marlowe.<br />
Marlowe, <strong>il</strong> poliziotto privato (Farewell, My Lovely, 1975). Regia di Dick Richards, con<br />
Robert Mitchum che interpreta Ph<strong>il</strong>ip Marlowe.<br />
FINESTRA SUL VUOTO (The High Window, 1949)<br />
A Pasadena Elisabeth Murdoch, una vedova autoritaria e cinica, incarica Marlowe di<br />
investigare in merito alla scomparsa di una vecchia moneta dalla collezione <strong>del</strong> suo<br />
Bogart e Bacall in The Big<br />
Sleep<br />
Robert Mirchum in Farewell<br />
My Lovely<br />
defunto marito. L’intervento di Marlowe innescherà una serie di omicidi e <strong>il</strong> detective si troverà a muoversi in una<br />
società corrotta e violenta.<br />
10
F<strong>il</strong>m tratti dal romanzo:<br />
La moneta insanguinata (The Brasher Doubloon, 1947). Regia di John Brahm, con<br />
George Montgomery nella parte di Ph<strong>il</strong>ip Marlowe.<br />
LA SIGNORA NEL LAGO (The Lady In The Lake, 1943)<br />
La moglie di un industriale di cosmetici, che non disdegna la compagnia di insignificanti<br />
playboy, fa perdere le sue tracce durante un soggiorno in montagna, nella v<strong>il</strong>la <strong>del</strong>la coppia.<br />
Marlowe, incaricato di indagare sulla scomparsa <strong>del</strong>la donna, si troverà ad agire in<br />
un ambiente a lui poco fam<strong>il</strong>iare, lontano dalla sua Los Angeles, città <strong>del</strong>la quale conosce<br />
ogni segreto<br />
F<strong>il</strong>m tratti dal romanzo:<br />
Una donna nel lago (Lady in the Lake, 1947). Regia di Robert Montgomery, con Robert<br />
Montgomery che interpreta Ph<strong>il</strong>ip Marlowe.<br />
LA SORELLINA (The Little Sister, 1949)<br />
La sorellina <strong>del</strong> titolo è NOME, che giunge a L.A per ritrovare <strong>il</strong> fratello, scomparso a<br />
Hollywood.<br />
Marlowe indagherà e si scontrerà con una società fatta di sesso, di soldi, di solitudine,<br />
fra gangster, poliziotti e un medico radiato che fornisce droga alla sua clientela esclusiva.<br />
F<strong>il</strong>m tratti dal romanzo:<br />
L’investigatore Marlowe (Marlowe). Regia di Paul Bogart, con James Garner che interpreta<br />
Ph<strong>il</strong>ip Marlowe.<br />
IL LUNGO ADDIO (The Long Goodbye, 1953)<br />
All’uscita di un night-club Marlowe incontra Terry Lennox, sua vecchia conoscenza, ubriaco<br />
fradicio e appena mollato dalla moglie.<br />
I due continueranno a frequentarsi sempre più assiduamente, sino a quando Lennox sparisce. Ricomparirà<br />
armato di pistola e in preda a una crisi di nervi giurando di non aver ucciso nessuno.<br />
Marlowe inizierà a indagare per aiutare l’amico.<br />
F<strong>il</strong>m tratti dal romanzo:<br />
Il lungo addio (The Long Goodbye, 1973). Regia di Robert Altman, con Elliot Gould che<br />
interpreta Ph<strong>il</strong>ip Marlowe.<br />
ANCORA UNA NOTTE (Play Back, 1958)<br />
Marlowe viene incaricato da un famoso avvocato, senza saperne <strong>il</strong> motivo, di pedinare<br />
una certa Betty Mayfield. La segue dapprima a New York, poi in California dove, dopo<br />
un litigio fra la ragazza e un certo Larry, lei gli chiederà aiuto per nasconderne <strong>il</strong> cadavere.<br />
LA MATITA (The Penc<strong>il</strong>, 1960) racconto pubblicato postumo<br />
POODLE SPRING STORY, romanzo incompiuto e terminato da Robert B. Parker e pubblicato<br />
nel 1989)<br />
Marlowe si è sposato con Linda, ma la vita matrimoniale poco si addice al vecchio detective.<br />
È coinvolto in un intrigo di affari sporchi, sesso, bigamia e politica, collegato alla<br />
lussuosa località residenziale di Poodle Springs a pochi km dal Nevada.<br />
F<strong>il</strong>m tratti dal romanzo:<br />
Marlowe - Omicidio a Poodle Springs (Poodle Springs, 1998). Regia di Bob Rafelson,<br />
con James Caan che interpreta Ph<strong>il</strong>ip Marlowe.<br />
Robert Montgomery in The<br />
Lady In The Lake<br />
James Garner in The Little<br />
Sister<br />
Elliott Gould in Then Long<br />
Goodbye<br />
TRISTE, SOLITARIO Y FINAL, di Osvaldo Soriano, 1973<br />
Ph<strong>il</strong>ip Marlowe, che in passato aveva ricevuto l’incarica dall’attore Stan Laurel di indaga-<br />
James Caan in Poodle Spring<br />
re sui motivi <strong>del</strong> declino artistico <strong>del</strong>la coppia Laurel e Hardy decretato dalle major hollywoodiane,<br />
viene contattato dallo scrittore argentino Osvaldo Soriano che sta scrivendo<br />
un libro sull’attore. Il detective, accompagnato da Soriano, attraversa Los Angeles tra risse in st<strong>il</strong>e “Stanlio e<br />
Ollio” e grandi bevute, senza, però, approdare a tangib<strong>il</strong>i risultati investigati.<br />
11
I PERSONAGGI NOIR: la femme fatale<br />
Stereotipo tipico <strong>del</strong>la letteratura e <strong>del</strong> cinema <strong>noir</strong> e hard-bo<strong>il</strong>ed. La femme fatale (o dark lady) è<br />
seduttrice, manipolatrice per interessi propri di uomini che ne cadono preda, a volte realmente, altre<br />
solo nella loro fantasia o nei sogni.<br />
Normalmente, appare misteriosa e bellissima, spesso inarrivab<strong>il</strong>e. Rappresenta l’incarnazione <strong>del</strong> male<br />
assoluto: «Quelle non sono esseri umani, sono scorpioni camuffati da donne: appena le tocchi ti pungono»<br />
(Roberty Montgomery in Fiesta e sangue, Robert Montgomery, 1947).<br />
JOAN BENNETT<br />
Joan Geraldine Bennett (Palisades Park, 27 febbraio 1910 – Scarsdale, 7 dicembre 1990) è stata un’attrice<br />
statunitense attiva in teatro, cinema e televisione ed è apparsa in più di 70 pellicole cinematografiche. Il<br />
lungo percorso artistico di Joan Bennett può essere suddiviso in tre distinte fasi: durante gli anni trenta<br />
interpretò ruoli di accattivante ingenua bionda, mentre nel decennio successivo si rivelò quale bruna e sofisticata<br />
femme fatale; dagli anni cinquanta<br />
affrontò ruoli più maturi.<br />
Terza <strong>del</strong>le tre figlie <strong>del</strong>l’attore Richard<br />
Bennett, Joan apparve per la prima volta in<br />
un f<strong>il</strong>m muto nei panni di una bambina<br />
insieme ai suoi genitori ma <strong>il</strong> suo vero<br />
debutto sulle scene teatrali avvenne all’età<br />
di 18 anni, quando recitò con <strong>il</strong> padre in<br />
Jarnegan (1928). A soli 19 anni, divenne<br />
una star cinematografica e si specializzò in<br />
br<strong>il</strong>lanti ruoli di vivace e bionda (<strong>il</strong> suo<br />
colore di capelli naturale) che avrebbe<br />
affrontato durante l’intero decennio.<br />
Sotto contratto con la Fox F<strong>il</strong>m<br />
Corporation, <strong>il</strong> suo nome fu <strong>il</strong> primo in cartellone<br />
nel f<strong>il</strong>m She Wanted a M<strong>il</strong>lionaire<br />
(1932) e Io e la mia ragazza (1932), sempre<br />
accanto a Spencer Tracy.<br />
La Bennett lasciò la Fox per interpretare<br />
Amy, l’irriverente sorellina minore in competizione<br />
con la Jo March interpretata da<br />
Katherine Hepburn in Piccole donne<br />
(1933), diretto da George Cukor per la<br />
RKO Pictures. Quest’ultimo f<strong>il</strong>m pose la<br />
Bennett all’attenzione <strong>del</strong> produttore indi-<br />
12<br />
Joan Bennett ne La strada scarlatta (Scarlett<br />
Street, Fritz Lang, 1945)
pendente Walter Wanger, che la mise sotto contratto ed iniziò a gestire la sua carriera e la convinse a tingere<br />
i capelli dal biondo al bruno.<br />
A seguito <strong>del</strong> cambio di aspetto, la Bennett avviò una nuova fase <strong>del</strong>la propria carriera, mentre la sua personalità<br />
cinematografica si evolveva in quella di affascinante e seducente femme fatale. Interpretò la principessa<br />
Maria Teresa in La maschera di ferro (1939) e la gran duchessa Zona di Lichtenburg in Il figlio di<br />
Montecristo (1940). Il nuovo look bruno <strong>del</strong>la Bennett, unitamente alla sensualità <strong>del</strong>lo sguardo e alla voce<br />
roca, contribuì a <strong>del</strong>inearne una personalità meno angelica e più accattivante. Fu lodata per la sua interpretazione<br />
nel giallo drammatico L’isola degli uomini perduti (1940) e durante gli anni ‘40 ottenne grande<br />
successo in una serie di f<strong>il</strong>m <strong>noir</strong> acclamati anche dalla critica e diretti dal regista Fritz Lang, con <strong>il</strong> quale<br />
lei e Wanger formarono una propria casa di produzione. Le quattro pellicole girate sotto la direzione di<br />
Lang consacrarono la Bennett tra le maggiori star hollywoodiane <strong>del</strong>l’epoca: fu la prostituta londinese<br />
Jerry Stokes in Duello mortale (1941) con Walter Pidgeon; la misteriosa mo<strong>del</strong>la Alice Reed in La donna<br />
<strong>del</strong> ritratto (1944) con Edward G. Robinson; la volgare ricattatrice Katherine “Kitty” March in Strada<br />
scarlatta (1945) sempre insieme a Robinson. Fu infine Celia Lamphere in Dietro la porta chiusa (1948),<br />
accanto a Michael Redgrave, che secondo molti fu <strong>il</strong> miglior f<strong>il</strong>m hollywoodiano di Lang.<br />
La Bennett venne acclamata anche nei ruoli diversi nel corso <strong>del</strong>la sua lunga carriera. Famosa per non<br />
essersi mai presa troppo sul serio, in un’intervista r<strong>il</strong>asciata nel 1986 la Bennett dichiarò: “Non penso<br />
molto alla gran parte dei f<strong>il</strong>m che ho fatto, ma essere una star cinematografica era qualcosa che mi piaceva<br />
un sacco”.<br />
RITA HAYWORTH<br />
«Tutti gli uomini si innamorano di G<strong>il</strong>da, ma si svegliano la mattina dopo con Rita»<br />
Rita Hayworth, nome d’arte di Margarita Carmen Cansino (New York, 17 ottobre 1918 – New York, 14<br />
maggio 1987), è stata una <strong>del</strong>le attrici tra le più belle e seducenti <strong>del</strong>la storia <strong>del</strong> cinema, Rita Hayworth<br />
Rita Hayworth nel personaggio di G<strong>il</strong>da<br />
13
imane nell’immaginario<br />
collettivo come la prorompente<br />
e tentatrice G<strong>il</strong>da, personaggio<br />
che ha portato con<br />
successo sullo schermo nell’omonimo<br />
f<strong>il</strong>m <strong>del</strong> 1946, ma<br />
che l’ha confinata nel ruolo<br />
stereotipato <strong>del</strong>la pin-up,<br />
offuscando così le sue doti<br />
d’interprete.<br />
Di origini spagnole, la bella e<br />
bruna Margarita Cansino<br />
nacque a Brooklyn, New<br />
York. Notata presto da un<br />
talent-scout <strong>del</strong>la 20th<br />
Century Fox, lavorò in una<br />
serie di f<strong>il</strong>m di poco conto,<br />
fin quando, nel 1935, <strong>il</strong> pro-<br />
Ancora Rita Hayworth nel La signora di Shanghai, di Orson Welles<br />
duttore Harry Cohn restò<br />
colpito dalla sua bellezza<br />
latina e le procurò un vantaggioso contratto con la Columbia Pictures, cambiandole <strong>il</strong> nome in Rita<br />
Hayworth.<br />
Il look di Rita venne rielaborato grazie soprattutto a un drastico intervento di carattere estetico per ovviare<br />
all’attaccatura di capelli molto bassa sulla fronte. La sua folta capigliatura venne poi trasformata dal<br />
bruno al rosso, e questa nuova colorazione, unita al naturale fascino latino e al fisico armonioso <strong>del</strong>l’attrice,<br />
fu subito messa in risalto in una serie di f<strong>il</strong>m di successo. La Hayworth affiancò i maggiori divi <strong>del</strong>l’epoca<br />
in f<strong>il</strong>m di diverso genere, da James Cagney nella commedia Bionda fragola (1941), a Tyrone<br />
Power nel dramma sentimentale Sangue e arena (1941), cimentandosi anche nel musical, come in Non sei<br />
mai stata così bella (1942), accanto a Fred Astaire, e in Fascino (1944), al fianco di Gene Kelly.<br />
Sul fronte privato, dopo un primo matrimonio di convenienza con Edward C. Judson, l’attrice si innamorò<br />
<strong>del</strong> geniale regista Orson Welles, che sposò nel 1943. Il matrimonio durò cinque anni e, nonostante un<br />
f<strong>il</strong>m girato insieme, La signora di Shanghai (1947), in cui l’attrice sorprese <strong>il</strong> pubblico nei panni di una<br />
insolitamente bionda femme fatale, i due divorzieranno nel 1948.<br />
Dopo essere diventata un simbolo per i soldati americani al fronte durante la seconda guerra mondiale, la<br />
fiammeggiante Rita Hayworth ottenne <strong>il</strong> suo più grande trionfo sullo schermo, interpretando la sensuale<br />
protagonista <strong>del</strong> f<strong>il</strong>m <strong>noir</strong> G<strong>il</strong>da (1946) di Charles Vidor, accanto al suo storico partner Glenn Ford, in cui<br />
l’attrice apparve al massimo <strong>del</strong>la sua provocante sensualità, messa in risalto in celebri numeri musicali<br />
come “Put the Blame on Mame” e “Amado mio”. Il boss <strong>del</strong>la Columbia Harry Cohn, era follemente geloso<br />
di lei, tanto da tappezzare <strong>il</strong> suo camerino di microfoni nascosti, nel timore che tra lei e Glenn Ford<br />
potesse nascere una relazione.<br />
Divenuta ormai una star, la Hayworth venne soprannominata la «Dea <strong>del</strong>l’amore» e la sua immagine fu<br />
incollata sulla bomba atomica sperimentale lanciata sull’atollo di Bikini, circostanza che fece guadagnare<br />
all’attrice anche l’appellativo di «atomica».<br />
BARBARA STANWYCK<br />
Nome d’arte di Ruby Catherine Sevens, (New York, 16 luglio 1907 – Santa Monica, 20 gennaio 1990),<br />
considerata una <strong>del</strong>le più grandi attrici di sempre e vincitrice di un premio Oscar alla carriera nel 1982.<br />
Dopo aver intrapreso una carriera da ballerina, arrivando ad esibirsi a Broadway negli spettacoli di Florenz<br />
Ziegfeld, riuscì a farsi notare al cinema, grazie inizialmente ai f<strong>il</strong>m Femmine di lusso (1930), La donna <strong>del</strong><br />
miracolo (1931) e Proibito (1932), tutti diretti da Frank Capra.<br />
Diventò quasi subito famosissima per avere recitato in Amore sublime (1937) di King Vidor e Colpo di fulmine<br />
(1941) di Howard Hawks. Fra i suoi lavori più importanti, si annoverano le commedie Lady Eva<br />
14
Barbara Stanwyck, insieme a Fred McMurray nel f<strong>il</strong>m di B<strong>il</strong>ly W<strong>il</strong>der La fiamma <strong>del</strong> peccato (Double Indemnity,<br />
1944)<br />
(1941) di Preston Sturges e Arriva John Doe (1941), ancora di Capra,<br />
Strepitosa fu l’interpretazione in uno dei <strong>noir</strong> più belli <strong>del</strong>la storia: La fiamma <strong>del</strong> peccato di B<strong>il</strong>ly W<strong>il</strong>der<br />
(1944) e in Il terrore corre sul f<strong>il</strong>o (1948), altri due f<strong>il</strong>m che le valsero la nomination all’Oscar.<br />
LAUREN BACALL<br />
Lauren Bacall, nome d’arte di Betty Joan Perske (New York, 16 settembre 1924), è un’attrice statunitense<br />
nata da padre russo e madre polacca. Un aneddoto caratterizza la storia <strong>del</strong> suo cognome materno, che in<br />
origine era Weinstein Bacal (ossia «Bicchiere di vino»). Un cognome che fu abbreviato quando la famiglia<br />
materna giunse negli USA. Qui, per motivi di praticità, fu abbreviato in un più semplice Bacal. Lei, che<br />
prese <strong>il</strong> cognome <strong>del</strong>la madre, dovette per motivi linguistici anglosassoni aggiungere una «L» in più a quel<br />
Bacal trasformandolo in Bacall. Questo affinché non venisse storpiato o mal trascritto senza un corretto<br />
spelling.<br />
Prima di entrare nel mondo <strong>del</strong> cinema, frequentò per qualche tempo l’Accademia Americana di Arti<br />
Drammatiche ed ebbe alcune esperienze di recitazione a Broadway. Si affermò quindi come fotomo<strong>del</strong>la e<br />
in tale veste fu notata su una copertina <strong>del</strong>la rivista Harper’s Bazaar in cui un suo splendido primo piano<br />
catturò l’attenzione <strong>del</strong> regista Howard Hawks.<br />
Nonostante la sua esperienza come attrice fosse ancora limitata, la Bacall debuttò subito sul grande scher-<br />
15
mo come protagonista accanto a uno fra i massimi<br />
divi di Hollywood, <strong>il</strong> celebre attore Humphrey<br />
Bogart, nel f<strong>il</strong>m Acque <strong>del</strong> Sud (1944), tratto dal<br />
romanzo “Avere e non avere” di Ernest<br />
Hemingway. Fu proprio sul set di questo f<strong>il</strong>m che<br />
tra Bogart e la Bacall, appena diciannovenne, nacque<br />
l’amore e, nonostante l’attore avesse venticinque<br />
anni più di lei, fu un sentimento molto profondo.<br />
Tra <strong>il</strong> 1946 e <strong>il</strong> 1949 la Bacall e Bogart recitarono<br />
insieme in altri tre f<strong>il</strong>m: Il grande sonno<br />
(1946) ancora di Howard Hawks, La fuga (1947)<br />
di Delmer Daves e L’isola di corallo (1949) di<br />
John Huston.<br />
Negli anni cinquanta l’attrice interpretò diversi<br />
f<strong>il</strong>m, eccellendo in particolare nelle commedie<br />
Come sposare un m<strong>il</strong>ionario (1953) accanto a<br />
Mar<strong>il</strong>yn Monroe e Betty Grable, e La donna <strong>del</strong><br />
destino (1957) al fianco di Gregory Peck.<br />
Il 14 gennaio 1957, dopo una lunga malattia, Bogart morì. Anche dopo la scomparsa di Bogart, la Bacall<br />
non lasciò mai <strong>il</strong> cinema, ma continuò la carriera di attrice dedicandosi anche al teatro.<br />
AVA GARDNER<br />
Ava Lavinia Gardner (Grabtown, 24 dicembre 1922 – Londra, 25 gennaio 1990) fu una grande diva che<br />
seppe dosare <strong>il</strong> suo fascino e <strong>il</strong> suo talento d’attrice. Dopo un f<strong>il</strong>metto di poco conto sposò l’attore Mickey<br />
Rooney da cui divorziò l’anno successivo. Attirò l’attenzione <strong>del</strong> pubblico con <strong>il</strong> f<strong>il</strong>m I gangsters (1946)<br />
dove recitava accanto a Burt Lancaster. All’età di 25 anni lavorò con Clark Gable, suo grande amico, ne I<br />
trafficanti (1947). Il f<strong>il</strong>m Il bacio di Venere (1948) si dimostrò un successo e si fidanzò con Frank Sinatra.<br />
Il regista Robert Siodmak la fece lavorare accanto a Gregory Peck in Il grande peccatore (1949) e negli<br />
anni cinquanta interpretò ruoli da femme fatale come nel f<strong>il</strong>m Voglio essere tua (1951) con Robert<br />
Mitchum.<br />
Accanto a Clark Gable e Grace Kelly e diretta da John Ford recitò nel f<strong>il</strong>m Mogambo (1953) per <strong>il</strong> quale<br />
ebbe una candidatura agli Oscar lo stesso anno. La sua migliore interpretazione si rivelò essere La contessa<br />
scalza (1954) dove è corteggiata da Rossano Brazzi e Humphrey Bogart. George Cukor la scritturò per<br />
A sinistra: Lauren Bacall; a destra: Ava Gardner<br />
Lauren Bacall con Humphrey Bogart e Mar<strong>il</strong>yn Monroe<br />
(1953)<br />
16
<strong>il</strong> f<strong>il</strong>m Sangue misto (1956) e, in seguito, si recò in Italia dove s’innamorò di Walter Chiari con cui recitò<br />
nel f<strong>il</strong>m La capannina (1957).<br />
JEAN HARLOW<br />
Jean Harlow, all’anagrafe Harlean Carpenter<br />
(Kansas City, 3 marzo 1911 – Los Angeles, 7 giugno<br />
1937), è stata un’attrice ironica e seducente,<br />
la sex symbol per eccellenza <strong>del</strong> cinema americano<br />
degli anni trenta.<br />
A soli diciotto anni, la prosperosa ragazza si era<br />
già fatta notare come figurante in f<strong>il</strong>m di discreto<br />
livello (nel 1929 fece addirittura da partner a<br />
Stanlio e Ollio in alcune loro comiche) e venne<br />
travolta ben presto dal successo cinematografico.<br />
Nel 1931 <strong>il</strong> produttore e aviatore m<strong>il</strong>ionario<br />
Howard Hughes la scritturò come protagonista<br />
<strong>del</strong>la versione sonora <strong>del</strong> suo colossale f<strong>il</strong>m d’avventura<br />
Gli angeli <strong>del</strong>l’inferno, in cui la bionda<br />
attrice si mise in luce per una bellezza al contempo<br />
solare ed intrigante, e per un fare disinvolto e<br />
seducente. Alla prima <strong>del</strong> f<strong>il</strong>m, <strong>il</strong> pubblico andò<br />
letteralmente in visib<strong>il</strong>io. La prima battuta che la Jean Harlow<br />
giovane Harlow pronunciava, annunciando ad un<br />
aviatore di andare a mettersi «qualcosa di comodo»,<br />
fu quanto di più audace gli spettatori <strong>del</strong> sonoro potessero udire.<br />
In seguito l’attrice lavorò per i più importanti studios hollywoodiani, dalla Warner Bros, che la affiancò a<br />
James Cagney nel gangster-movie Nemico pubblico (1931), alla Columbia, per cui interpretò <strong>il</strong> famoso La<br />
donna di platino (1932), di Frank Capra, in cui <strong>il</strong> soprannome, dovuto al colore dei capelli, divenne sinonimo<br />
<strong>del</strong>la Harlow.<br />
Man mano che <strong>il</strong> tempo passava, Jean Harlow si dimostrava maggiormente seducente e disinvolta davanti<br />
alla macchina da presa, conquistando <strong>il</strong> pubblico per una notevole quanto involontaria carica erotica che<br />
l’attrice emanava con una sorprendente ingenuità. Il pubblico cominciò anche ad imitare lo «st<strong>il</strong>e Harlow»:<br />
molte donne americane corsero a spendere i propri risparmi per ossigenarsi i capelli (la Harlow, bionda<br />
naturale, si affidava ad una parrucchiera solo per ottenere la tonalità «platino»), mentre i produttori di scarpe<br />
con <strong>il</strong> tacco alto e di pellicce fecero affari d’oro grazie alle fotografie in cui l’attrice appariva vestita da<br />
gran sera.<br />
Nel 1932 Jean Harlow venne scritturata dalla Metro Goldwyn Mayer, e lo stesso anno ne sposò uno dei più<br />
importanti produttori, Paul Bern, di ventidue anni più anziano di lei, che morì appena due mesi dopo le<br />
nozze, ucciso da un colpo di pistola alla nuca: la causa più probab<strong>il</strong>e <strong>del</strong>la morte è <strong>il</strong> suicidio. La potenza<br />
degli Studios arginò comunque lo scandalo, ma la stampa scrisse fiumi d’inchiostro, carichi dei più sordidi<br />
dettagli sul matrimonio Bern-Harlow. Pur toccata profondamente dalla morte <strong>del</strong> marito, la giovanissima<br />
vedova si gettò a capofitto nel lavoro recitando in una dozzina di f<strong>il</strong>m per la MGM: <strong>il</strong> primo f<strong>il</strong>m memorab<strong>il</strong>e<br />
fu Lo schiaffo (1932), di Victor Fleming, accanto al divo Clark Gable. Seguirono altri successi come<br />
Pranzo alle otto (1933) di George Cukor e La donna <strong>del</strong> giorno (1936) di Jack Conway.<br />
Durante le riprese di Saratoga (1937) di Conway, Jean Harlow si sentì male, entrò in coma e morì alcuni<br />
giorni dopo, senza mai riprendere conoscenza.<br />
Le testimonianze che tutt’oggi giungono riguardo Jean Harlow, la descrivono come una ragazza ge<strong>nero</strong>sa,<br />
tenera, gioiosa, genuina, dotata di una sofferta frag<strong>il</strong>ità, la Harlow viene solitamente considerata un’antesignana<br />
<strong>del</strong>la celeberrima Mar<strong>il</strong>yn Monroe. La Monroe, che la ammirava moltissimo, volle farsi decolorare<br />
i capelli da Pearl Porterfield, l’ormai anziana parrucchiera di Jean Harlow che, a distanza di decenni,<br />
usava ancora <strong>il</strong> vecchio (e malsano) metodo di far diventare bionde le sue clienti con acqua ossigenata con<br />
un particolare detersivo liquido e candeggina.<br />
17
GLORIA GRAHAME<br />
“Mi sembra di essere una vecchia bambola buttata in soffitta perché nessuno la vuole”.<br />
(dal f<strong>il</strong>m Il grande caldo (1953). Gloria Grahame è Debby Marsh)<br />
Era nata a Los Angeles nel 1928 con <strong>il</strong> nome di Gloria Hallward. Gli insegnamenti <strong>del</strong>la madre, nota attrice<br />
teatrale e insegnante di recitazione, si rivelano ut<strong>il</strong>i ad avviarla a una prestigiosa carriera sui palcoscenici<br />
di Broadway, finché <strong>il</strong> cinema, nella persona di L.B. Mayer <strong>del</strong>la MGM, non la mette sotto contratto<br />
in esclusiva. Bionda, sensuale, si impone quasi subito come tentatrice e donna di malaffare, in grado di far<br />
perdere la bussola morale a qualunque uomo, come accade al mite James Stewart in La vita è meravigliosa<br />
(1946) di Franck Capra. A queste figure, interpretate in numerosi <strong>noir</strong> (come Il diritto di uccidere, 1950,<br />
di Nicholas Ray), resta legata per tutta la carriera, sia pure caratterizzando le sue “bad girls” con drammatici<br />
conflitti interiori: è <strong>il</strong> caso <strong>del</strong>la prostituta di Il grande caldo (1953) di Fritz Lang, <strong>il</strong> cui volto parzialmente<br />
sfigurato rappresenta efficacemente la doppia natura <strong>del</strong> personaggio, donna perduta che muore per<br />
<strong>il</strong> poliziotto Glenn Ford. Nonostante non divenga mai stella di prima grandezza nel firmamento hollywoodiano,<br />
vive <strong>il</strong> suo periodo migliore proprio negli anni ’50: quando ottiene un Oscar come attrice non protagonista<br />
per <strong>il</strong> melodramma Il bruto e la bella (1952) di Vincente Minnelli.<br />
Morì a New York <strong>il</strong> 5 ottobre 1981.<br />
18<br />
A sinistra: Gloria Grahame sfigurata in una<br />
scena de Il grande caldo (The Big Heat, 1953).<br />
Sotto: un intenso ritratto di Marlene Dietrich.
MARLENE DIETRICH<br />
Marie Magdalene «Marlene» Dietrich (Schöneberg - Berlino, 27 dicembre 1901 – Parigi, 6 maggio 1992)<br />
è stata un’attrice e cantante tedesca naturalizzata statunitense.<br />
Fra le più note icone <strong>del</strong> mondo cinematografico <strong>del</strong>la prima metà <strong>del</strong> Novecento, la Dietrich fu un vero e<br />
proprio mito, una diva, lasciando un’impronta duratura attraverso la sua recitazione, le sue immagini e l’interpretazione<br />
<strong>del</strong>le canzoni (arricchite da una ammaliante e sensuale voce). Un mix, raramente ripetuto<br />
dopo di lei, che è sufficiente a farla entrare nella leggenda <strong>del</strong>lo show business quale mo<strong>del</strong>lo di femme<br />
fatale per antonomasia.<br />
Nacque a Schöneberg, oggi quartiere di Berlino, <strong>il</strong> 27 dicembre 1901, da Louis Erich Otto Dietrich (ufficiale<br />
m<strong>il</strong>itare prussiano) e da Elisabeth Josephine Felsing (figlia di un gioielliere). Nel 1922 iniziò a calcare<br />
i palcoscenici dei teatri di Berlino, Nell’ottobre 1929 firmò <strong>il</strong> contratto per interpretare <strong>il</strong> f<strong>il</strong>m che le<br />
diede la fama, L’angelo azzurro, con la regia di Josef von Sternberg, tratto da un romanzo di Heinrich<br />
Mann, fratello <strong>del</strong> più famoso Thomas. In questo f<strong>il</strong>m, che è anche <strong>il</strong> primo f<strong>il</strong>m sonoro <strong>del</strong> cinema tedesco,<br />
la si vede sfoderare un tocco di perversa sensualità ed interpretare la famosa canzone “Lola Lola”. Le<br />
pellicola venne girata in versione multipla, in tedesco e in inglese. Mentre <strong>il</strong> regista stava ancora montando<br />
la versione definitiva la Paramount, che distribuiva <strong>il</strong> f<strong>il</strong>m negli Stati Uniti, telefonò alla nuova stella e<br />
le offrì un contratto. L’attrice accettò, ma riuscì ad inserire nel contratto la clausola di poter scegliere <strong>il</strong><br />
regista dei suoi f<strong>il</strong>m, una condizione maturata per paura di perdere la collaborazione di von Sternberg.<br />
A questo periodo risale la famosa foto di Marlene vestita da yachtman, scattata da Sternberg stesso, che<br />
venne diffusa dalla Paramount con la frase di lancio <strong>del</strong>l’immagine divistica di Marlene: «La donna che<br />
perfino le donne possono adorare». Il glamour di quella immagine spazzò via tutte le remore <strong>del</strong>la<br />
Paramount che invano aveva tentato di proibirle di mostrarsi in pantaloni: a quell’epoca, indossare vestiti<br />
di foggia masch<strong>il</strong>e per una donna era un atto quasi sovversivo.<br />
Marlene Dietrich arrivò così a Hollywood <strong>il</strong> 2 apr<strong>il</strong>e<br />
1930, dove si rifugeranno poi anche alcuni tra i<br />
migliori attori, registi e tecnici <strong>del</strong> cinema tedesco<br />
<strong>del</strong>l’epoca, in fuga dal nazismo.<br />
La Paramount la mise in contrapposizione a Greta<br />
Garbo, la star scandinava <strong>del</strong>la MGM. La Dietrich<br />
iniziò quindi a recitare in una serie di f<strong>il</strong>m memorab<strong>il</strong>i<br />
girati dal suo regista di fiducia, Sternberg, e fotografata<br />
solo e soltanto da Rudolph Maté, che le creò<br />
quell’immagine di graffiante ma raffinata sensualità<br />
che la consegnò alla popolarità mondiale. Il primo<br />
f<strong>il</strong>m americano fu Marocco, nello stesso 1930, nel<br />
f<strong>il</strong>m restò famosa la sua performance canora vestita<br />
da uomo e <strong>il</strong> bacio con una donna <strong>del</strong> pubblico, <strong>il</strong><br />
primo bacio omosessuale <strong>del</strong>la storia <strong>del</strong> cinema. Per<br />
Shanghai Express (1932) venne accuratamente studiato<br />
<strong>il</strong> suo look: vestiti neri che la snellissero e<br />
piume nere di gallo da combattimento. I f<strong>il</strong>m successivi<br />
più celebri sono tutti declinazioni su sfondo fantasiosamente<br />
esotico <strong>del</strong>la sua immagine di diva: la<br />
Russia con L’imperatrice Caterina, la Spagna con<br />
Capriccio spagnolo (1935), che fu l’ultimo f<strong>il</strong>m nel<br />
quale collaborò con Sternberg.<br />
La professionalità e la determinazione <strong>del</strong>la Dietrich<br />
sul set erano proverbiali. Con la disciplina essa pretendeva<br />
da sé stessa un’interpretazione perfetta, che<br />
andasse a coprire qualche pecca sul prof<strong>il</strong>o <strong>del</strong>l’inter-<br />
pretazione drammatica. Dopo sette anni di permanenza<br />
negli USA ottenne la cittadinanza. Con gli Stati<br />
19<br />
Marlene Dietrich è Shanghai L<strong>il</strong>y in Shanghai Express<br />
(1932)
Uniti collaborò durante la seconda guerra mondiale e dal 1944 tenne spettacoli di intrattenimento per le<br />
truppe americane e portando la sua arte in Nord Africa e in Europa negli ospedali da campo: cantava con<br />
testo in inglese - e con indosso un’uniforme di sua creazione - la canzone tedesca L<strong>il</strong>i Marleen, che sarebbe<br />
poi diventata <strong>il</strong> suo inno.<br />
Dal 1954, quando la carriera cinematografica era in declino, si esibì in spettacoli in cui cantava le canzoni<br />
dei suoi f<strong>il</strong>m ed intratteneva <strong>il</strong> pubblico con monologhi estemporanei. Lo show fu portato in giro per<br />
tutto <strong>il</strong> mondo con grande successo e con lauti compensi. Ma alla fine degli anni cinquanta diede ancora<br />
due grandi prove d’attrice nei classici Testimone d’accusa di B<strong>il</strong>ly W<strong>il</strong>der e L’infernale Quinlan di Orson<br />
Welles.<br />
GRETA GARBO<br />
nome d’arte di Greta Lovisa Gustafsson (Stoccolma, 18 settembre 1905 – New York, 15 apr<strong>il</strong>e 1990), è<br />
stata un’attrice svedese, fra le più celebri di tutti i tempi. Sedusse generazioni di appassionati di cinema<br />
con <strong>il</strong> suo carisma e <strong>il</strong> suo fascino misterioso. Per la sua bellezza e per la indiscussa bravura, venne soprannominata<br />
la Divina.<br />
La Garbo negli anni ‘20 decise di cambiare <strong>il</strong> suo nome in Greta Garbo, ispirandosi a quello di Bethlen<br />
Gabor, sovrano ungherese <strong>del</strong> XVII secolo. Anche <strong>il</strong> suo look subì dei progressivi mutamenti: lo ‘st<strong>il</strong>e alla<br />
Garbo’, caratterizzato da un abbigliamento decisamente androgino, con giacche di taglio masch<strong>il</strong>e, pantaloni,<br />
camicia e cravatta, riuscì ad imporre un’immagine innovativa e, nel contempo, sensuale.<br />
Nel marzo <strong>del</strong> 1924 Greta fece conoscenza con <strong>il</strong> regista Georg W<strong>il</strong>helm Pabst, che le offrì una parte nel<br />
f<strong>il</strong>m La via senza gioia (1925), pellicola che si rivelerà un classico <strong>del</strong>la cinematografia e consentirà alla<br />
Garbo <strong>il</strong> lancio verso un futuro hollywoodiano, con un contratto alla MGM.<br />
Alti e bassi (e amarezze) si alternarono a lungo nella storia di donna e d’attrice di Greta Garbo: i ruoli da<br />
“tentatrice” e “Donna fatale” non le piacquero mai fino in fondo ma li interpretò una ventina di f<strong>il</strong>m.<br />
Dovette attendere <strong>il</strong> 1930 prima di venire impiegata in un f<strong>il</strong>m sonoro. E allora, finalmente, in Anna<br />
Christie (1930), la Garbo ‘parla’ per la prima volta in una pellicola e lo fa per chiedere al barista Larry “un<br />
whisky con ginger ale a parte. E non fare l’avaro!”. I rotocalchi <strong>del</strong>l’epoca non mancarono di salutare in<br />
maniera entusiastica l’avvenimento, titolando enfaticamente a caratteri cubitali: “Garbo talks”, ovvero «la<br />
Garbo parla».<br />
Negli ambienti cinematografici sono molte, e non sempre confermate da dati di fatto, le leggende cresciute<br />
insieme e attorno alla figura di Greta Garbo; molto si è detto sulla sua presunta idiosincrasia a girare in<br />
presenza di persone non strettamente qualificate come ‘addetti ai lavori’, così come la stampa rosa d’ogni<br />
tempo ha accanitamente studiato al microscopio tendenze sessuali e rapporti interpersonali <strong>del</strong>la signorina<br />
Greta Garbo, che per i fotoreporter era possib<strong>il</strong>e immortalare<br />
solo di sfuggita, mentre - avvolta in un cappotto<br />
lungo fino ai piedi, grossi occhiali da sole, <strong>il</strong> capo avvolto<br />
in un’ampia sciarpa - usciva di casa per recarsi a fare<br />
la spesa, o per fare solitarie passeggiate.<br />
Sul grande schermo Greta Garbo è stata anche spia, regina<br />
<strong>del</strong> doppio gioco, assassina, aristocratica, moglie infe<strong>del</strong>e,<br />
ammaliatrice e donna irresistib<strong>il</strong>e, cortigiana e prostituta.<br />
Nel 1939 Ernst Lubitsch intravide le sue ulteriori<br />
potenzialità e ne fece la protagonista di un’es<strong>il</strong>arante<br />
commedia, Ninotchka (1939), in cui la diva dimostrò<br />
insospettate doti di attrice br<strong>il</strong>lante e dove, per la prima<br />
volta sullo schermo, la si vide ridere (<strong>il</strong> f<strong>il</strong>m venne infatti<br />
lanciato con lo slogan «Garbo laughs», ovvero «la<br />
Garbo ride»).<br />
Nel 1950 la rivista Variety nominò la Garbo migliore<br />
Greta Garbo<br />
20
ANATOMIA DI UN GENERE: LE INFLUENZE DELL’ESPRESSIONISMO SUL NOIR<br />
Difesa ed <strong>il</strong>lustrazione di uno st<strong>il</strong>e<br />
A volte capita di rivedere un vecchio f<strong>il</strong>m americano in bianco e <strong>nero</strong> degli anni ’40. Per molti è “roba vecchia”,<br />
invece c’è da notare quanto di quel vecchio e glorioso cinema continui a influenzare <strong>il</strong> cinema contemporaneo.<br />
Non è raro r<strong>il</strong>evare come grandi registi attuali siano tentati dal girare un loro f<strong>il</strong>m in bianco e<br />
<strong>nero</strong>. Sarebbe banale credere che si tratti di un innocuo capriccio: è invece un serio e mai scontato esperimento<br />
che richiede, oltre che competenza tecnica, una notevole dose di “empatia” per un cinema che non<br />
è mai veramente morto e che tanto ha dato, in termini di contenuti, ricerche st<strong>il</strong>istiche e visioni anticonformiste<br />
<strong>del</strong> mondo.<br />
Quando parliamo di cinema in bianco e <strong>nero</strong> anni ’40, pensiamo subito al “<strong>noir</strong>”. Ora, se c’è un termine<br />
abusato e mal interpretato, è proprio <strong>il</strong> <strong>noir</strong>. Per una gran parte di pubblico, con questo termine si indica <strong>il</strong><br />
cinema anni 40 nel suo insieme. Per molti altri, ci si riferisce soprattutto al cinema poliziesco di quel decennio.<br />
Per pochi <strong>il</strong> <strong>noir</strong> è essenzialmente uno st<strong>il</strong>e visivo che, combinato con determinate tematiche, crea un<br />
vero e proprio genere che influenza l’intero cinema americano <strong>del</strong> decennio ed oltre.<br />
È necessario soffermarsi, sia pure brevemente, su alcuni elementi essenziali <strong>del</strong> <strong>noir</strong> ed inquadrarli nell’epoca<br />
in cui esso trionfava. Non è anzitutto completamente esatto dire che si tratta di uno st<strong>il</strong>e <strong>del</strong> tutto<br />
americano. In effetti, gran parte <strong>del</strong> peso e <strong>del</strong>la qualità di questo st<strong>il</strong>e va attribuita a quella notevolissima<br />
schiera di registi, attori, operatori, musicisti e sceneggiatori che avevano lasciato l’Europa prima <strong>del</strong>l’inizio<br />
<strong>del</strong>la seconda guerra mondiale e, specialmente, la cosiddetta Mitteleuropa. Quello che stava accadendo,<br />
in effetti, era un graduale, anche se abbastanza veloce quanto chiaro, avvicinamento a uno dei periodi<br />
più bui <strong>del</strong>la nostra civ<strong>il</strong>tà. Negli Anni 20, in Austria, ma soprattutto in Germania, stava fiorendo una generazione<br />
straordinaria di menti, di st<strong>il</strong>i originali, ricerche visive tali da far invidia al panorama culturale di<br />
quel tempo. In quegli anni si stava ormai imponendo una corrente artistico-culturale che denunciava, al<br />
proprio interno, germi inquietanti di una presenza ossessiva, non dichiarata eppure tale da condizionare<br />
pesantemente lo sbocciare di una maniera inaudita di interpretare la realtà.<br />
Espressionismo e cinema<br />
L’Espressionismo nasce nell’Europa centrale negli<br />
anni che vanno dal 1907 al 1927 per alcune arti, mentre<br />
per quelle <strong>del</strong>lo spettacolo, si estende fino al 1933.<br />
È una corrente artistica che ha radici nel<br />
Romanticismo.<br />
Nella felice intuizione di Mario Verdone, padre di<br />
Carlo (cfr. Elementi per una analisi <strong>del</strong> cinema espressionista,<br />
Atti <strong>del</strong> Convegno internazionale di studi su<br />
Carl Mayer, Edizioni bianco e <strong>nero</strong> <strong>del</strong> centro<br />
Sperimentale di Cinematografia, 1969) si caratterizza<br />
per una forte esaltazione <strong>del</strong>l’io e si rivolge contro<br />
tutto ciò che è tradizione, autorità, la rispettab<strong>il</strong>ità borghese<br />
e, in senso lato, la quiete. Per capire meglio,<br />
forse è opportuno pensare al quadro di Munch<br />
(«L’urlo») e a pittori come Kokoshka e Kandinsky. In<br />
esso la tensione, <strong>il</strong> pathos sono stati naturali <strong>del</strong>l’individuo.<br />
Si esprime figurativamente attraverso la distorsione<br />
e i suoi sogni sono incubi. Ciò che in natura è<br />
forma, nell’Espressionismo è deformazione. Si inserisce<br />
di prepotenza nelle correnti culturali e artistiche<br />
che traggono le proprie pulsioni e visioni nell’inconscio.<br />
In effetti, questa corrente sembra d<strong>il</strong>atare, accrescere<br />
in modo quasi grottesco, <strong>il</strong> senso di oscura<br />
minaccia che sembra aleggiare sull’uomo e sul mondo<br />
21<br />
L’urlo, opera pittorica <strong>del</strong> norvegese Edvard<br />
Munch
In alto: Ernst Ludwig Kirchner, I pittori <strong>del</strong>la<br />
Brücke, 1925. Olio su tela. Da sinistra: Müller,<br />
Kirchner, Heckel e Schmidt-Rotluff. Il gruppo<br />
Die Brücke (Il ponte), formatosi a Dresda nel<br />
1905, fu all’origine <strong>del</strong> movimento pittorico detto<br />
«Espressionismo».<br />
Sopra: Blaue Reiter, di Paul Klee.<br />
Il movimento detto Der Blaue Reiter fu un altro<br />
importante gruppo espressionista, nel quale si<br />
annoveravano, fra gli altri, artisti quali Klee e<br />
Kandinskij.<br />
che lo circonda. Collegare questa atmosfera cupa<br />
all’imporsi <strong>del</strong> nazionalsocialismo è scorretto: Il gabinetto<br />
<strong>del</strong> Dr.Caligari di Robert Wiene, uno dei primi<br />
f<strong>il</strong>m espressionisti, è infatti <strong>del</strong> 1919, mentre Hitler<br />
ascende al potere nel 1933.<br />
Secondo Roberto Paolella, in Lo spirito tedesco e<br />
l’espressionismo, l’Espressionismo andrebbe studiato<br />
come costante <strong>del</strong>lo spirito germanico, di ieri, di oggi e<br />
di sempre e nelle sue espressioni più congeniali ed<br />
autentiche, come la concezione tragica <strong>del</strong>l’essere e <strong>del</strong><br />
divenire nell’individuo, nel contesto sociale cui appartiene.<br />
Tuttavia, guardando questi primi f<strong>il</strong>m espressionisti,<br />
viene spontaneo scorgere le avvisaglie di una temperie<br />
buia e gravida di pesanti incognite sul futuro <strong>del</strong>la<br />
democrazia in Germania. Già era possib<strong>il</strong>e scorgerle<br />
dopo la disfatta <strong>del</strong>la prima guerra mondiale, l’avvento<br />
<strong>del</strong>la Repubblica di Weimar (1919), i moti spartachisti,<br />
<strong>il</strong> formarsi dei primi Freikorps e <strong>il</strong> putsch di Kapp<br />
(1920). Col passar <strong>del</strong> tempo, i disordini sempre più<br />
gravi, la terrib<strong>il</strong>e crisi economica e lo sgretolarsi <strong>del</strong>la<br />
frag<strong>il</strong>e democrazia tedesca diventava sempre più chiaro<br />
che la tentazione autoritaria stava prendendo sempre<br />
più piede. La fuga di centinaia di artisti verso<br />
l’Ingh<strong>il</strong>terra, la Francia e poi l’America (di cui buona<br />
parte erano ebrei) era un segno evidente <strong>del</strong>la sfiducia<br />
che ormai si nutriva per <strong>il</strong> futuro <strong>del</strong> Paese. L’America<br />
rappresentava, per la gran parte degli artisti che avevano<br />
lasciato la Germania, una specie di terra promessa,<br />
dove era molto più fac<strong>il</strong>e (almeno così pensavano) ottenere<br />
<strong>del</strong>le opportunità rispetto alla vecchia Europa.<br />
E’ chiaro che non poteva trattarsi di rose e fiori ed è<br />
altrettanto evidente che l’America non avrebbe disteso<br />
tappeti rossi per accogliere quel nutrito gruppo di intellettuali<br />
provenienti dal vecchio continente. Basta r<strong>il</strong>eggersi<br />
le autobiografie e le biografie di tanti mitteleuropei<br />
per rendersi conto <strong>del</strong>le difficoltà, <strong>del</strong>le um<strong>il</strong>iazioni,<br />
dei fallimenti cui essi andarono incontro. Basti pensare<br />
al fallimento di un p<strong>il</strong>astro <strong>del</strong>l’aristocrazia teatrale<br />
mitteleuropea come Max Reinhardt, alle vicissitudini<br />
di Bertolt Brecht, alle um<strong>il</strong>iazioni inflitte a Otto<br />
Preminger dal potentissimo produttore <strong>del</strong>la 20th<br />
Century Fox Darryl Zanuck, a quelle inflitte a Fritz<br />
Lang da Louis B.Mayer <strong>del</strong>la MGM e alle tante carriere<br />
stroncate da un sistema spietato e spesso, troppo<br />
spesso, ignorante. Quelli che riuscirono, malgrado<br />
tutto, ad avere successo, ebbero l’enorme merito di<br />
condizionare in buona parte la cinematografia americana<br />
che va dalla fine degli anni 30 all’inizio degli anni<br />
50.<br />
Prima che arrivasse la corrente mitteleuropea, <strong>il</strong> cinema<br />
americano era dominato dall’ottimismo che si cominciava<br />
a respirare dopo che era finita l’epoca <strong>del</strong>la<br />
22
Scene da Il Gabinetto <strong>del</strong> dr. Caligari, di Robert Wiene e Nosferatu di Frederich Murnau<br />
Grande Depressione(1929-1933) e si stava consolidando <strong>il</strong> raggiungimento degli obiettivi rooseveltiani<br />
<strong>del</strong> New Deal (1933-1937). Lo Star System prendeva sempre più piede e si consolidava l’impero degli studios<br />
<strong>del</strong>le maggiori case di produzione cinematografiche. L’avvento <strong>del</strong>la Seconda Guerra Mondiale (che<br />
negli USA ha luogo alla fine <strong>del</strong> 1941, dopo l’attacco giapponese a Pearl Harbor) pone i grandi potenti di<br />
Hollywood davanti ad alcuni interrogativi capitali: cosa produrre in tempo di guerra? F<strong>il</strong>m di evasione?<br />
F<strong>il</strong>m di sostegno al Paese in guerra? F<strong>il</strong>m di propaganda? Non ci furono risposte univoche, ma indubbiamente<br />
le pressioni esercitate dalle alte cariche governative per richiedere alla Case di Produzione un certo<br />
impegno (anche se non esclusivo) per <strong>il</strong> sostegno morale alle truppe e la politica di “supporto” rivolta al<br />
Fronte Interno ebbero successo. Chi più chi meno diede <strong>il</strong> proprio contributo. E non sono neanche da<br />
disprezzare alcuni di quei f<strong>il</strong>m, chiamati sbrigativamente di propaganda, ma sicuramente di qualità (basti<br />
pensare a f<strong>il</strong>m come Casablanca di Michael Curtiz).<br />
Il nuovo st<strong>il</strong>e va a Hollywood<br />
Uno dei primi tedeschi ad arrivare a Hollywood fu Friedrich Murnau, nel 1926. Era già molto famoso in<br />
patria per aver diretto, nel 1922, Nosferatu. Egli è rappresentante <strong>del</strong>l’altra corrente cinematografica che si<br />
era andata imponendo in Germania e cioè <strong>il</strong> «Kammerspiel», l’opposto <strong>del</strong>l’Espressionismo: in questo,<br />
l’inquadratura fissa, <strong>il</strong> montaggio quasi non esiste e non vi sono movimenti di camera. <strong>Tutto</strong> questo porta<br />
ad una sensazione di oppressione e di claustrofobia che si sarebbe presto trasferito nelle scene in interni,<br />
buie e opprimenti <strong>del</strong> <strong>noir</strong> americano. Il «Kammerspiel» invece vede la realtà attraverso gli occhi <strong>del</strong> personaggio:<br />
è estremamente mob<strong>il</strong>e e segue, quasi pedinando, i vari personaggi per mostrarceli da vicino. Si<br />
tratta di una tecnica rigorosa, quasi fredda, scientifica. Murnau è un po’ <strong>il</strong> «trait d’union» fra le due tecniche,<br />
visto che nei suoi f<strong>il</strong>m troviamo elementi tipici espressionisti.<br />
Quello che ci interessa r<strong>il</strong>evare qui è che nel cinema espressionista e citiamo ancora Verdone, la scena non<br />
è naturale, ma psicografica. Essa non vuole rappresentare le cose ma esprimerle attraverso <strong>il</strong> mezzo stesso,<br />
valendosi <strong>del</strong> chiaroscuro, <strong>del</strong>la geometria, <strong>del</strong>la vibrazione, <strong>del</strong> deformato.<br />
L’importanza di queste tecniche, di questa visione psichica ed innovativa fu enorme. Non sarebbe esagerato<br />
affermare che l’influenza <strong>del</strong>l’immigrazione artistico-culturale germanica è forse <strong>il</strong> fatto più importante<br />
nella storia <strong>del</strong> cinema americano. Presto, la competenza, la professionalità, lo spirito innovativo germanici<br />
conquistarono Hollywood e ne influenzarono tematiche, generi e tecniche. A partire dal 1944 e per<br />
qualche anno ancora, <strong>il</strong> cinema americano cambiò volto. Anche generi americani per antonomasia, come<br />
<strong>il</strong> western, ne furono contagiati (basti pensare a un f<strong>il</strong>m come Notte senza fine (1947) di Raoul Walsh. Pure<br />
registi, artisticamente lontani dalla sensib<strong>il</strong>ità mitteleuropea come Howard Hawks e Delmer Daves, ne<br />
subirono <strong>il</strong> fascino e contribuirono anch’essi a celebrarne i fasti dirigendo opere vicine o vicinissime alle<br />
nuove tecniche, come Il grande sonno (1946) di Hawks e La fuga (1947) di Daves.<br />
23
Uno st<strong>il</strong>e «trasgressivo» e innovativo<br />
Le nuove tecniche, però, non potevano essere separate dall’elemento psicologico e culturale che le aveva<br />
ispirate. Accanto ad opere, come si diceva prima, di chiara propaganda e sostegno allo sforzo bellico o di<br />
pura evasione, cominciava ad affacciarsi, nei f<strong>il</strong>m di genere poliziesco, criminale o, semplicemente, drammatico,<br />
una maniera nuova di interpretare la realtà, che spesso, se studiata attentamente, sembrava sconvolgere<br />
i tipici punti di riferimento <strong>del</strong>la società americana, mettendosi di traverso rispetto alla visione<br />
tradizionale veicolata dai f<strong>il</strong>m che contemporaneamente venivano proiettati in quel periodo (appunto i f<strong>il</strong>m<br />
d’evasione e propagandistici). In effetti, in queste opere, si faceva strada, accanto ad una visione cupa e<br />
pessimistica <strong>del</strong>la vita, una serie di elementi che rompevano i canoni classici <strong>del</strong>la società americana. Mi<br />
riferisco ad esempio al ruolo <strong>del</strong>la donna, ora diventata, da donna fe<strong>del</strong>e, sottomessa e angelo dl focolare,<br />
una donna dominante, capace di sedurre e ridurre alla propria volontà <strong>il</strong> maschio. Una specie di donnaragno<br />
che attira la preda e la porta poi alla distruzione. (cfr. L’ombra <strong>del</strong> passato, Le catene <strong>del</strong>la colpa,<br />
La fiamma <strong>del</strong> peccato ecc.). un altro elemento era poi l’assenza <strong>del</strong>la famiglia. In molti di questi f<strong>il</strong>m,<br />
l’eroe, per così dire, è un detective o un avvocato o un uomo qualunque che vive solo e sembra fare a meno,<br />
tranqu<strong>il</strong>lamente, <strong>del</strong>la donna come compagna di vita e madre di eventuali figli. La famiglia, insomma,<br />
viene vista come impedimento alla piena realizzazione <strong>del</strong>l’uomo. Questi elementi, ed altri ancora, inseriti<br />
in contesti per lo più urbani, in interni quasi claustrofobici, con <strong>il</strong>luminazione di tipo orizzontale e volutamente<br />
inquietante concorrono a creare un vero e proprio st<strong>il</strong>e che verrà chiamato “<strong>noir</strong>” e che segnerà<br />
per diversi anni un modo nuovo di fare cinema, sia dal punto di vista tecnico sia da quello <strong>del</strong>la f<strong>il</strong>osofia<br />
<strong>del</strong>la vita.<br />
Accanto cioè ad un cinema che sosteneva e difendeva i p<strong>il</strong>astri <strong>del</strong>la società americana e cioè Dio, patria,<br />
famiglia e dollaro, si stava affacciando un tipo di cinema che tali p<strong>il</strong>astri negava o, almeno, non considerava<br />
più come tali. Il grande pubblico non si accorse immediatamente di questa dicotomia. Però, <strong>il</strong> successo<br />
che questi f<strong>il</strong>m cominciavano ad ottenere cominciò a far riflettere. Gli Studios fiutarono l’affare e promossero<br />
questi f<strong>il</strong>m da B-Movie a produzioni di budget da serie A. Un f<strong>il</strong>m di successo ritenuto minore<br />
come Detour – deviazione per l’inferno (1945), di Edgar G. Ulmer, prodotto a basso costo e con scenografie<br />
riciclate da altri f<strong>il</strong>m, fece capire che con attori di grido e budget maggiori si sarebbero potuto fare notevoli<br />
guadagni.<br />
Fra <strong>il</strong> 1944 e i primi anni ’50, questo st<strong>il</strong>e visivo, sorretto da una visione <strong>del</strong> mondo pessimista e cupa,<br />
divenne una caratteristica di alcune grandi Case di produzione come la Warner Brothers, la Columbia, la<br />
24<br />
Detour - Deviazione per l’inferno,<br />
di Edgar G. Ulmer, 1945.<br />
Un «B-movie» assurto al rango<br />
di capolavoro <strong>del</strong> cinema.
Universal e la RKO. A qualcuno però queste storie così<br />
negative, questi personaggi femmin<strong>il</strong>i così lontani dai<br />
canoni classici americani cominciavano a dare fastidio. La<br />
presenza di grandi scrittori di cinema, di grandi artisti<br />
europei e di registi progressisti, unita allo scoppio <strong>del</strong>la<br />
Guerra Fredda, cominciò a segnare l’inizio <strong>del</strong>la fine. Per<br />
la verità, l’elemento artistico rivoluzionario, <strong>il</strong> carattere<br />
trasgressivo ed anticonformista, si erano andati d<strong>il</strong>uendo<br />
poco a poco e, spesso, come sempre accade, venivano ut<strong>il</strong>izzati<br />
i segni esterni <strong>del</strong> <strong>noir</strong> e si andava perdendo quella<br />
che aera l’ispirazione autentica ed originale. Registi come<br />
Lang, ma anche sceneggiatori e attori ven<strong>nero</strong> sospesi dai<br />
loro Studios dopo le indagini avviate dalla HUAAC, la<br />
famigerata Commissione che indagava sulla presenza di<br />
comunisti nel mondo <strong>del</strong>lo spettacolo. Alcuni di loro non<br />
tornarono più al lavoro e dovettero vivere di espedienti.<br />
Rivendicazioni<br />
Quella straordinaria stagione artistica pareva ormai <strong>del</strong><br />
tutto finita. Poi, poco a poco, calmatesi le acque, la critica,<br />
gli intellettuali, parte <strong>del</strong> pubblico cominciarono a rimpiangerla<br />
e, non potendola ormai più risuscitare, cercarono,<br />
ciascuno nel loro campo, di riportarla alla memoria <strong>del</strong><br />
pubblico. Alcuni registi, ad esempio, che fino a quel<br />
momento avevano diretti f<strong>il</strong>m di un certo tipo, pensarono<br />
bene di dirigerne uno o più ut<strong>il</strong>izzando (spesso ricorrendo<br />
ai vecchi operatori) le vecchie tecniche, riesumando vecchi<br />
pezzi musicali, scrivendo, con la tecnica di allora, soggetti<br />
ambientati negli anni ’40. Non era un semplice esercizio<br />
di st<strong>il</strong>e, non era un inut<strong>il</strong>e tentativo di pratica <strong>del</strong><br />
ricordo. Quei f<strong>il</strong>m sembrano piuttosto essere una presa di<br />
posizione culturale, ancor più che artistica. Sembra<br />
insomma che questi registi vogliano affermare la loro<br />
appartenenza culturale e profonda a quella stagione così<br />
innovativa e rivoluzionaria. Sembra quasi che vogliano<br />
dire: «Ok, io faccio questi f<strong>il</strong>m che vedete: ma sappiate che<br />
io appartengo in realtà a quella sensib<strong>il</strong>ità artistica, culturale,<br />
sociale che per un certo periodo si è imposta qui a<br />
Hollywood tanti anni fa. Si devono girare, insomma, i f<strong>il</strong>m<br />
per potere campare, ma, diamine, voglio che sappiate che <strong>il</strong><br />
mio cuore e la mia mente sono ancora là e, se vi sembra nei<br />
miei f<strong>il</strong>m di scorgere qualcosa che richiama quella stagione,<br />
beh, sappiate che è tutto voluto e cercato».<br />
Le tecniche narrative e st<strong>il</strong>istiche: <strong>il</strong> flash back, la<br />
voce fuori campo, la soggettiva; la fotografia: i<br />
contrasti luce-ombra<br />
La linearità <strong>del</strong> racconto <strong>noir</strong> è spezzata dall’uso <strong>del</strong> flashback,<br />
che solitamente viene usato ripetutamente nel<br />
corso <strong>del</strong>la vicenda e non in ordine cronologico.<br />
Pensiamo, ad esempio, al celebre Quarto potere di Orson<br />
Welles, in cui <strong>il</strong> regista inserisce una serie infinita di fla-<br />
25<br />
Alcune immagini e la locandina <strong>del</strong> f<strong>il</strong>m di Orson<br />
Welles Citizen Kane, pellicola nella quale viene<br />
fatto ampio uso <strong>del</strong> flashback.
shback per raccontare la vita di Kane: i numerosi flashback che attraversano le dimensioni di spazio e<br />
tempo <strong>del</strong>la trama sono riferiti alla memoria <strong>del</strong>le persone più vicine al grande magnate <strong>del</strong>la stampa e<br />
<strong>del</strong>le comunicazioni, che, una alla volta, narrano episodi <strong>del</strong>la vita di Kane, interpretati dal loro personale<br />
punto di vista.<br />
Il capolavoro di Welles comincia dalla fine <strong>del</strong>la vicenda, evidenziando, quindi, sin dal principio, le caratteristiche<br />
<strong>del</strong>la struttura narrativa <strong>del</strong> f<strong>il</strong>m che non segue un ordine cronologico: infatti, la vicenda si apre<br />
con <strong>il</strong> prologo, che rappresenta la morte <strong>del</strong> protagonista all’età di circa settantacinque anni; egli stringe in<br />
mano una bolla di vetro, che racchiude un paesaggio invernale artificiale, con la neve che cade. La voce di<br />
un uomo, che scopriremo nel corso <strong>del</strong> f<strong>il</strong>m essere Charles Foster, sussurra <strong>il</strong> nome di Rosebud, la sfera di<br />
cristallo cade a terra e si rompe, a simboleggiare che Kane è morto. Successivamente, nel corso <strong>del</strong> f<strong>il</strong>m,<br />
veniamo a conoscenza, un poco alla volta, <strong>del</strong>la personalità complessa di Kane, grazie ai cinque flashback<br />
che Welles inserisce nella storia.<br />
Questa struttura narrativa che rompe la linearità naturale <strong>del</strong> racconto destab<strong>il</strong>izza lo spettatore, che si trova<br />
combattuto tra una sensazione crescente di suspence, poiché vorrebbe da subito conoscere <strong>il</strong> segreto di<br />
Rosebud, citato nella prima scena e la sorpresa di essere costretto a seguire con attenzione una trama tanto<br />
complessa, che non permette distrazioni e non anticipa nulla di preciso sulla vera personalità di Kane e sul<br />
suo enigma, se non nella sequenza conclusiva <strong>del</strong> f<strong>il</strong>m. Ignorato dalla linea maestra <strong>del</strong> cinema classico, <strong>il</strong><br />
flashback d<strong>il</strong>aga e impregna con la sua ingannevole fac<strong>il</strong>ità piena di riflessi e chiaroscuri, la zona più europea<br />
<strong>del</strong> cinema americano degli anni Quaranta, quella costituita dal <strong>noir</strong>, che ci appare oggi anche come <strong>il</strong><br />
cinema <strong>del</strong>la memoria per eccellenza.<br />
Nel cinema poliziesco americano di questo periodo, infatti, <strong>il</strong> tema <strong>del</strong>la memoria è molto importante, sottointeso<br />
forse, ma lo spettatore inconsciamente ne coglie la r<strong>il</strong>evanza, che viene continuamente evidenziata<br />
attraverso i flashback; ne costituisce un esempio la narrazione <strong>del</strong> f<strong>il</strong>m di Jacques Tourneur, Le catene<br />
<strong>del</strong>la colpa (Out of the Past), in cui <strong>il</strong> passato e <strong>il</strong> presente si confondono, per cui ciò che è accaduto anni<br />
prima non solo si ripercuote sulla vita attuale <strong>del</strong> protagonista ma ne condiziona anche <strong>il</strong> futuro, giacché<br />
Jeff rincontra Kathie Moffett e <strong>il</strong> gangster con cui egli aveva collaborato nel passato. Attraverso un uso frequente<br />
<strong>del</strong> flashback, Jeff racconta alla sua attuale fidanzata degli eventi appartenenti al suo passato, che<br />
egli avrebbe preferito non menzionarle, ma vi si trova costretto, perché ora <strong>il</strong> suo passato, come un fantasma<br />
che si nascondeva nell’ombra, è tornato a perseguitarlo. Per questa ragione, la vicenda si conclude con<br />
la morte di Jeff Ba<strong>il</strong>ey, proprio per l’intervento <strong>del</strong>la stessa Kathie, che in passato lui aveva amato, ma che<br />
nel presente avrebbe preferito dimenticare; la conclusione tragica <strong>del</strong> f<strong>il</strong>m mette in risalto l’importanza <strong>del</strong><br />
passato, che non si può cancellare e che pretende che si regolino i conti lasciati in sospeso (la figura <strong>del</strong><br />
minaccioso gangster e amante di Kathie, Whit Sterling, lo dimostra).<br />
Quello <strong>del</strong>la voce fuori campo è un altro degli espedienti ut<strong>il</strong>izzati con frequenza dai registi <strong>del</strong>l’epoca<br />
<strong>noir</strong> <strong>del</strong> dopoguerra americano, allo scopo di risolvere molte situazioni complicate, di spiegare misteri irrisolvib<strong>il</strong>i<br />
e svelare trame segrete e nascoste; ma la voce fuori campo segna anche un importante punto di<br />
rottura tra l’immagine e la parola, che descrivono la stessa realtà, sebbene da punti di vista completamente<br />
diversi e quindi la interpretino in modi opposti.<br />
Spesso, infatti, vediamo sullo schermo un’immagine che non rappresenta <strong>il</strong> volto di chi parla, ma che, invece,<br />
<strong>il</strong>lustra quello che <strong>il</strong> narratore sta raccontando allo spettatore: la voce narrante è sempre masch<strong>il</strong>e; <strong>il</strong><br />
volto di chi parla è sempre nascosto, a meno che non si tratti di un flashback nel quale <strong>il</strong> protagonista o un<br />
personaggio <strong>del</strong> f<strong>il</strong>m narra la sua personale storia, commentando i fatti in prima persona. A questo proposito<br />
possiamo citare la pellicola Le catene <strong>del</strong>la colpa , nella quale, attraverso numerosi flashback, vediamo<br />
<strong>il</strong> giovane Jeff Ba<strong>il</strong>ey che racconta alla sua ragazza degli episodi <strong>del</strong>la sua vita passata, dei quali lei<br />
non era a conoscenza: <strong>il</strong> protagonista <strong>del</strong> f<strong>il</strong>m comincia a raccontare, mentre guida l’automob<strong>il</strong>e e <strong>il</strong> racconto<br />
finirà quando i due personaggi stanno ancora viaggiando nella vettura, a testimonianza che la storia<br />
non ha fine e che là dove si conclude <strong>il</strong> racconto di Jeff, si riapre, nel presente, un capitolo che egli pensava<br />
terminato nel passato, infatti <strong>il</strong> suo boss ritorna in scena e vuole regolare i conti con lui. Inoltre, la voice<br />
over, nel caso <strong>del</strong> narratore Jeff, ha uno scopo liberatorio, poiché <strong>il</strong> protagonista masch<strong>il</strong>e <strong>del</strong> f<strong>il</strong>m di<br />
Tourneur, raccontando i lati più oscuri <strong>del</strong> suo passato, in qualche modo “si purifica” da esso e anche si<br />
“pulisce la coscienza”, dicendo, per la prima volta, la verità alla sua fidanzata.<br />
Ma la voce over, che appartenendo a un personaggio <strong>del</strong>la trama, rappresenta la sua versione soggettiva<br />
26
dei fatti e, dunque, solo uno dei molteplici punti di vista di cui si compone la realtà, può anche avere una<br />
funzione esplicativa per lo spettatore, poiché commenta passo dopo passo quello che accade, informando<br />
<strong>il</strong> pubblico <strong>del</strong>la sensazioni che <strong>il</strong> narratore ha provato in quel preciso momento e cosa ha pensato; l’esempio<br />
forse più celebre che si potrebbe citare a proposito <strong>del</strong> narratore in prima persona, che caratterizza la<br />
gran parte dei f<strong>il</strong>m <strong>noir</strong> degli anni Quaranta e Cinquanta, è quello riscontrab<strong>il</strong>e nel f<strong>il</strong>m di B<strong>il</strong>ly W<strong>il</strong>der,<br />
Viale <strong>del</strong> tramonto. Già dalla prima inquadratura, udiamo una voce narrante, che non appartiene a nessuno<br />
dei personaggi presenti in queste prime scene (i poliziotti) e che spiega quello che sta succedendo: è<br />
l’alba a Los Angeles e le automob<strong>il</strong>i <strong>del</strong>la polizia stanno sfrecciando lungo <strong>il</strong> viale <strong>del</strong>la metropoli californiana,<br />
che si chiama appunto Viale <strong>del</strong> tramonto, dove è stato commesso un <strong>del</strong>itto. Poco dopo, quando la<br />
macchina da presa inquadrerà <strong>il</strong> viso di un uomo morto, che galleggia a pancia in giù nella piscina di una<br />
v<strong>il</strong>la, scopriremo che è proprio <strong>il</strong> fantasma <strong>del</strong> cadavere, o meglio, l’uomo che un tempo era quel cadavere,<br />
che si rivolge a noi, commenta i fatti e ci racconta la sua incredib<strong>il</strong>e, tragica storia in prima persona.<br />
Un altro esempio che possiamo citare a proposito <strong>del</strong>la figura st<strong>il</strong>istica <strong>del</strong> narratore, è quello composto da<br />
La città nuda. La pellicola di Dassin, realizzata nel 1948, è stata girata con un tocco semidocumentaristico,<br />
che viene enfatizzato dalla presenza, sin dalla prima inquadratura in panoramica <strong>del</strong>la città di New York<br />
vista dall’aereo, di un narratore esterno alla vicenda rappresentata, che racconta i fatti e commenta con ironia<br />
e affetto le mosse dei protagonisti.<br />
Il narratore sconosciuto, infatti, ut<strong>il</strong>izza un tono di grande confidenza con lo spettatore: ci avverte, sin dall’inizio,<br />
che quello che siamo in procinto di guardare è un f<strong>il</strong>m girato da Dassin, sulla città di New York,<br />
nella quale vivono quasi otto m<strong>il</strong>ioni di persone e prosegue con altre informazioni dettagliate, riguardanti<br />
i membri <strong>del</strong>lo staff che hanno contribuito alla realizzazione <strong>del</strong> f<strong>il</strong>m e le caratteristiche <strong>del</strong>la metropoli<br />
americana; inoltre, la voce narrante non racconta i fatti freddamente e in modo distaccato, ma si immedesima<br />
completamente nella vicenda, come se conoscesse i personaggi in prima persona o intrattenesse rapporti<br />
di amicizia stretta con <strong>il</strong> pubblico di sala.<br />
Nel corso di La cittò nuda, vi è una scena di particolare tensione in cui <strong>il</strong> poliziotto Jimmy Halloran si trova<br />
nei quartieri periferici di New York, dove sta inseguendo l’assassino V<strong>il</strong>lie Gazah: <strong>il</strong> narratore interviene,<br />
commentando divertito la situazione e soprattutto gli sforzi che i due personaggi compiono, uno per scappare,<br />
l’altro per inseguire <strong>il</strong> malvivente. Il narratore misterioso dà anche dei consigli a entrambi: suggerisce,<br />
ad esempio al poliziotto la via più fac<strong>il</strong>e per raggiungere l’omicida, mentre a Gazah di fare attenzione<br />
27<br />
In alto: Le catene <strong>del</strong>la colpa, di Jacques Tourner;<br />
in basso. Naked City, di Jules Dassin.
a non farsi vedere dai poliziotti che sorvegliano l’isolato. Anche nella sequenza conclusiva <strong>del</strong> f<strong>il</strong>m, dove<br />
nuovamente, come nelle scene di apertura <strong>del</strong> f<strong>il</strong>m, viene inquadrata New York dall’alto, con <strong>il</strong> suo brulicare<br />
di persone e la vita che ricomincia con un nuovo giorno, la voce narrante si rivolge allo spettatore,<br />
sottolineando come l’episodio di Gazah, <strong>del</strong>la ragazza assassinata da lui e <strong>del</strong> giovane Halloran, sia soltanto<br />
uno degli otto m<strong>il</strong>ioni di episodi che avvengono nella metropoli: domani, dice <strong>il</strong> narratore, un altro caso<br />
attirerà l’attenzione dei newyorchesi.<br />
Si potrebbero trovare <strong>del</strong>le somiglianze tra <strong>il</strong> tono divertito e br<strong>il</strong>lante <strong>del</strong> narratore esterno che commenta<br />
<strong>il</strong> f<strong>il</strong>m di Jules Dassin e quello, ugualmente ironico e quasi paterno, che racconta le vicende comiche e<br />
bizzarre di Don Cam<strong>il</strong>lo, nel f<strong>il</strong>m di Julien Duvivier: Le Petit Monde de Don Cam<strong>il</strong>lo (Don Cam<strong>il</strong>lo, 1952).<br />
Anche la “voice over” presente nella pellicola di realizzazione italo-francese, sin dalle prime scene <strong>del</strong><br />
f<strong>il</strong>m, dimostra di simpatizzare per Don Cam<strong>il</strong>lo e per <strong>il</strong> suo avversario, <strong>il</strong> sindaco comunista Peppone e<br />
commenta tutte le loro azioni, come se li conoscesse bene e fosse in confidenza con loro, al punto da consigliarli<br />
sul da farsi in certe situazioni; questo presunto legame dal punto di vista <strong>del</strong>la narrazione, potrebbe<br />
essere dovuto al fatto che <strong>il</strong> cinema <strong>noir</strong> americano <strong>del</strong> dopoguerra si ispira, tra le altre fonti, anche al<br />
realismo poetico francese, di cui uno dei maggiori rappresentanti è proprio Duvivier.<br />
Uno degli strumenti linguistici più espliciti per rendere <strong>il</strong> processo di interiorizzazione <strong>del</strong> poliziesco realizzato<br />
tra <strong>il</strong> 1945 e <strong>il</strong> 1955, è la soggettiva; questa tecnica consiste nella ripresa effettuata dal punto di<br />
vista di un personaggio. L’impiego più frequente di questa tecnica, riguarda personaggi che si trovano in<br />
uno stato di profonda angoscia, di smarrimento, o di alterazione mentale, dovuto alla paura o all’assunzione<br />
di droghe. Il f<strong>il</strong>m più famoso è La fuga (Dark Passage) di Delmer Daves, f<strong>il</strong>m che vedremo nella terza<br />
serata <strong>del</strong>la rassegna e di cui tratteremo più specificatamente in seguito.<br />
Un esempio, che nel corso <strong>del</strong> capitolo è già stato più volte citato, è quello <strong>del</strong> risveglio <strong>del</strong> detective Ph<strong>il</strong>ip<br />
Marlowe nel f<strong>il</strong>m L’ombra <strong>del</strong> passato, in cui la macchina da presa riprende ciò che <strong>il</strong> personaggio vede,<br />
appena apre gli occhi: egli è stato picchiato, drogato e sequestrato, dunque la sua vista è annebbiata e gli<br />
sembra che tutto sia in movimento; vede inoltre macchie colorate che non esistono e non si regge sulle<br />
gambe. Lo spettatore vede rappresentato sullo schermo esattamente quello che Marlowe sta vedendo: ossia<br />
una stanza dalle pareti oblique, decorata con oggetti che cambiano continuamente forma e che si oscurano.<br />
Anche nella pellicola Notorious è presente una soggettiva, sim<strong>il</strong>e a quella che abbiamo appena citato per<br />
<strong>il</strong> f<strong>il</strong>m di Dmytryk: si tratta <strong>del</strong>la tecnica usata nella scena in cui Alicia Huberman si accorge di essere stata<br />
drogata e si sente male; comincia a<br />
vedere <strong>il</strong> salotto, nel quale fino a poco<br />
prima prendeva <strong>il</strong> caffè col marito, che<br />
si muove: le pareti non hanno più la<br />
loro struttura solida e l’intera visuale<br />
<strong>del</strong>la stanza comincia a collassare,<br />
anche le sagome <strong>del</strong>la suocera e <strong>del</strong><br />
marito si fanno sempre più confuse,<br />
fino a che nella stanza cala <strong>il</strong> buio e<br />
Alicia sviene. Il pubblico percepisce le<br />
sensazioni che prova la protagonista<br />
<strong>del</strong> f<strong>il</strong>m di Hitchcock, perché la macchina<br />
da presa compie dei movimenti<br />
circolari, per dare l’impressione che la<br />
stanza si muova e le lenti degli obiettivi<br />
vengono sfuocate, in modo che la<br />
nitidezza <strong>del</strong>le immagini inquadrate<br />
scompaia, lasciando <strong>il</strong> posto a ombre<br />
che si allungano in modo confuso.<br />
Il f<strong>il</strong>m The Lady In The Lake, di e con Robet Montgomery è interamente<br />
girato in soggettiva, con <strong>il</strong> protagonista Ph<strong>il</strong>ip Marlowe che compare nell’inquadratura<br />
solo in tre occasioni.<br />
28<br />
Un altro esempio celebre <strong>del</strong>l’uso di<br />
questa tecnica di ripresa cinematografica<br />
nel f<strong>il</strong>m <strong>noir</strong> è costituito da Una
donna nel lago (Lady in the Lake, Robert Montgomery, 1947), che è interamente girato in soggettiva, tanto<br />
che <strong>il</strong> protagonista, <strong>il</strong> detective privato Ph<strong>il</strong>ip Marlowe, compare nell’inquadratura solo all’inizio, a metà<br />
e alla fine <strong>del</strong> f<strong>il</strong>m; l’uso <strong>del</strong>la soggettiva doveva, secondo gli intenti <strong>del</strong> regista, riprodurre la narrazione<br />
in prima persona <strong>del</strong> romanzo di Raymond Chandler <strong>del</strong> 1943, da cui è tratta l’opera cinematografica e aiutare<br />
<strong>il</strong> pubblico a immedesimarsi nella vicenda, facendolo partecipare agli avvenimenti in prima persona;<br />
ma questa novità non ottenne <strong>il</strong> successo sperato, perché gli spettatori mostrarono di sentirsi a disagio, dal<br />
momento che nel f<strong>il</strong>m, i personaggi che parlavano, ad eccezione <strong>del</strong> protagonista, si rivolgevano direttamente<br />
in camera.<br />
La fotografia “documentaria” conobbe un ampio sv<strong>il</strong>uppo negli Stati Uniti, a partire dall’epoca <strong>del</strong>la grande<br />
depressione e <strong>del</strong> New Deal, promosso dal presidente Franklin Delano Roosvelt. Ad esempio, i fotografi<br />
riuniti nel progetto governativo <strong>del</strong>la Farm Security Administration, uno degli enti costituiti dal presidente<br />
americano per la salvaguardia culturale e sociale <strong>del</strong> paese in crisi, documentavano la condizione dei<br />
lavoratori e dei disoccupati che migravano da uno stato all’altro dopo la crisi economica di Wall Street.<br />
Questi artisti diedero “Un’impronta definitiva non solo alla storia <strong>del</strong>la fotografia americana e internazionale,<br />
[...] ma anche l’immagine fotografica e cinematografica in senso assoluto”; comunque, la fotografia,<br />
che trova un ampio sv<strong>il</strong>uppo in questo periodo, è strettamente collegata all’evoluzione di un linguaggio di<br />
derivazione giornalistica, che contribuisce a favorire un’estetica <strong>del</strong>la fotografia basata prevalentemente<br />
sul realismo: a partire dagli anni Trenta comincia a distinguersi negli Stati Uniti <strong>il</strong> lavoro originale di fotografi<br />
free lance, che, con i loro scatti, mirano a catturare la vita comune nel contesto urbano, spesso colta<br />
nei suoi aspetti più squallidi e macabri. Il più famoso tra i fotografi <strong>del</strong> periodo è Weegee, che ritrae immagini<br />
forti e significative, come quelle di cadaveri nelle strade o l’atmosfera frenetica e brutale, che si respira<br />
tra la folla <strong>del</strong>le grandi metropoli americane.<br />
Anche nel cinema si assiste a un tipo di fotografia che pred<strong>il</strong>ige, soprattutto nella seconda fase <strong>del</strong> <strong>noir</strong>,<br />
quella che corrisponde al periodo post-bellico, le immagini crude e i contrasti forti tra bianco e <strong>nero</strong>, che<br />
comunicano una sensazione di angoscia, di caos e di disperazione.<br />
Citando nuovamente <strong>il</strong> capolavoro di Dassin, La città nuda, è possib<strong>il</strong>e osservare come le immagini <strong>del</strong>la<br />
“gente”, dei fiumi di folla che si riversa per le strade di New York siano frequentissime; gli abitanti di New<br />
York si muovono velocemente, senza guardarsi negli occhi l’un l’altro: un atteggiamento tipico <strong>del</strong>le persone<br />
che vivono nelle grandi città. W<strong>il</strong>liam Daniels, premio Oscar per la fotografia, si sofferma ad accentuare<br />
<strong>il</strong> grigiore <strong>del</strong>la folla e degli edifici, in contrapposizione con la limpidezza <strong>del</strong> cielo: questi contrasti<br />
mettono in risalto la crudezza <strong>del</strong> mondo moderno cittadino, in contrapposizione con la purezza degli elementi<br />
naturali.<br />
Lo stesso tema è presente nella pellicola<br />
Giungla d’asfalto, in cui la<br />
fotografia enfatizza la netta differenza<br />
tra città e campagna, mettendo in<br />
risalto l’oscurità <strong>del</strong>la metropoli,<br />
popolata da <strong>del</strong>inquenti e la luce che<br />
si distende, invece, nelle zone di<br />
campagna, come quella dove Dix si<br />
reca per trovare la morte; anche dai<br />
dialoghi stessi dei personaggi, che<br />
sottolineano ripetutamente nel corso<br />
<strong>del</strong>la vicenda come sarebbe bello<br />
fuggire sulle spiagge <strong>del</strong> Messico (<strong>il</strong><br />
dottor Riedenschneider) o in una fattoria<br />
in campagna (Dix Handley),<br />
traspare <strong>il</strong> desiderio di vivere in un<br />
ambiente luminoso, immerso nella<br />
natura, dove scorrano i fiumi e si<br />
allevino i cavalli (per Dix è <strong>il</strong> sogno<br />
<strong>del</strong>la perduta fattoria di famiglia).<br />
Una scena di Vertigine (Laura, 1944), di Otto Preminger, f<strong>il</strong>m <strong>noir</strong><br />
ammantato di una atmosfera torbida e misteriosa, con numerosi<br />
riferimenti alla psicoanalisi.<br />
29
Questa volontà frustrata di fuga dall’atmosfera cupa e soffocante <strong>del</strong>la città e di una riconc<strong>il</strong>iazione con la<br />
natura, si collega al tema <strong>del</strong>la libertà, che caratterizza anche la pellicola Alta Sierra, in cui Roy, <strong>il</strong> protagonista,<br />
compie un viaggio molto lungo per cercare rifugio tra le foreste e le montagne protettive <strong>del</strong>la<br />
Sierra Nevada.<br />
Il cinema <strong>noir</strong> americano di questi anni, nella maggior parte dei casi, fa un uso fortemente drammatico<br />
<strong>del</strong>la luce; nei f<strong>il</strong>m di Anthony Mann, (pensiamo ad esempio a T-Men) le luci violente, provenienti da fonti<br />
luminose abbaglianti, contrastano con gli ambienti immersi nel buio. Queste opposizioni di bianco e <strong>nero</strong><br />
che stonano tra loro, donano alle pellicole di Mann, ma più in generale, alla maggior parte dei f<strong>il</strong>m <strong>noir</strong><br />
<strong>del</strong> dopoguerra, una connotazione realistica, che rende le vicende rappresentate più drammatiche e shockanti<br />
per lo spettatore. Il merito di questi effetti visivi impressionanti è anche dovuto all’ab<strong>il</strong>ità di direttori<br />
<strong>del</strong>la fotografia come John Alton, che collabora con Mann e molti altri registi che operano in quel periodo:<br />
possiamo ricordare Joseph Lewis, che collabora con Alton per la pellicola La polizia bussa alla porta<br />
<strong>del</strong> 1955.<br />
Inoltre, l’impiego <strong>del</strong> grandangolo, la scelta di angolazioni insolite, l’aggressiva <strong>il</strong>luminazione dal basso<br />
(si pensi a Il grande sonno di Howard Hawks), la pred<strong>il</strong>ezione per le linee verticali e oblique (come la prospettiva<br />
obliqua dall’alto) e la profondità di campo, che soffoca la figura umana, sono tecniche che vengono<br />
usate in modi innovativi dai registi <strong>del</strong> f<strong>il</strong>m <strong>noir</strong> che operano a Hollywood; come esempio <strong>del</strong>le angolazioni<br />
insolite ut<strong>il</strong>izzate in questo genere cinematografico, possiamo citare la celebre scena <strong>del</strong> f<strong>il</strong>m<br />
Quarto potere, in cui viene inquadrato <strong>il</strong> viso di Kane, di lato, mentre siede al tavolo <strong>del</strong> salone di casa sua:<br />
lontano, rannicchiata davanti al grande camino in fondo alla sala, si scorge la figura di Elsa, moglie <strong>del</strong><br />
magnate; <strong>il</strong> fatto che la macchina da presa sia posizionata vicino a Kane, quasi dietro di lui, fa sì che la<br />
stanza sembri amplissima, che <strong>il</strong> padrone di casa sembri più imponente e troneggi seduto al tavolo, mentre,<br />
al contario, la moglie appare come frag<strong>il</strong>e, minuta, e vittima indifesa <strong>del</strong> marito.<br />
Per quanto riguarda la profondità di campo, invece, questo nuovo modo di mettere a fuoco tutti gli oggetti<br />
presenti nell’inquadratura, compresa la figura umana, in modo tale che abbiano tutti la stessa importanza,<br />
è stata largamente ut<strong>il</strong>izzata dall’operatore Gregg Toland, che poi divenne direttore <strong>del</strong>la fotografia di<br />
Orson Welles; a questo proposito, possiamo nuovamente citare <strong>il</strong> capolavoro Quarto potere, che abbiamo<br />
poc’anzi menzionato, a cui collaborò Toland. Nella scena finale <strong>del</strong> f<strong>il</strong>m, infatti, la macchina da presa<br />
inquadra la stanza dove <strong>il</strong> magnate è morto e poi si sposta verso la finestra, fino a inquadrare <strong>il</strong> paesaggio<br />
invernale all’esterno: la nitidezza <strong>del</strong>le immagini all’interno, è riservata anche a quelle che si vedono oltre<br />
<strong>il</strong> vetro <strong>del</strong>la finestra, a simboleggiare che tutti gli elementi <strong>del</strong>la scena, per motivi legati alla storia personale<br />
di Kane e ai suoi ricordi di infanzia (la slitta Rosebud) sono importanti.<br />
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I FILM<br />
La fiamma <strong>del</strong> peccato<br />
L’ombra <strong>del</strong> passato<br />
La fuga<br />
Giungla d’asfalto<br />
L’infernale Quinlan
LA FIAMMA DEL PECCATO<br />
(Double indemnity)<br />
Regia B<strong>il</strong>ly W<strong>il</strong>der<br />
Sceneggiatura B<strong>il</strong>ly W<strong>il</strong>der, Raymond Chandler<br />
Fotografia John Seitz<br />
Musica Miklós Rózsa<br />
Con Fred McMurray. Barbara Stanwyck, Edward. G.<br />
Robinson, jean Heather, Tom Powers<br />
Produzione Usa<br />
Anno 1944<br />
Durata 107’<br />
Dal romanzo di James M. Cain La morte paga doppio<br />
LA TRAMA<br />
L'assicuratore Walter Neff (Fred MacMurray) conosce<br />
Phyllis Dietrichson (Barbara Stanwyck), moglie di un<br />
cliente, la cui sensualità lo affascinerà a tal punto da<br />
farlo diventare prima <strong>il</strong> suo amante e poi complice nell'assassinio di suo marito. Dopo aver stipulato<br />
un'assicurazione sulla sua vita, i due mettono a punto un piano per ricevere <strong>il</strong> doppio <strong>del</strong>l'indennizzo (da<br />
qui <strong>il</strong> titolo originale, Double Indemnity) in caso di morte avvenuta in circostanze rare. Per ottenere la<br />
somma decidono prima di assassinare l'uomo in macchina, e di gettarlo in seguito sui binari, facendo<br />
così credere che la sua morte sia dovuta ad una caduta dal treno.<br />
LA CRITICA<br />
«Non ho avuto i soldi e non ho avuto la donna» dice in un incipit indimenticab<strong>il</strong>e l’assicuratore Walter<br />
Neff, che detta la propria confessione a un dittafono. Travolto dalla passione per la sua cliente Phyllis<br />
Dietrichson, era diventato suo complice nell’assassinio <strong>del</strong> marito.<br />
Tratto dal romanzo omonimo di James M. Cain e sceneggiato dal regista e da Raymond Chandler, qui alla<br />
sua prima esperienza per <strong>il</strong> cinema, è uno dei migliori esempi di f<strong>il</strong>m <strong>noir</strong>, dove «la fatalità sostituisce la<br />
suspense nella ricerca <strong>del</strong> colpevole» e dove la protagonista — indimenticab<strong>il</strong>e con la sua catenella alla<br />
caviglia — incarna perfettamente i tratti fondamentali <strong>del</strong>la femme fatale (charme fisico, perversità morale,<br />
cupidigia, meschineria, ferocia). Lo svelamento <strong>del</strong> finale, comunque, non toglie tensione al f<strong>il</strong>m, perché<br />
lo scontro (tipicamente w<strong>il</strong>deriano) tra due intelligenze, quella puntigliosa di Keyes e quella criminale<br />
degli amanti, reintroduce nella struttura narrativa la suspense <strong>del</strong> f<strong>il</strong>m poliziesco. Il f<strong>il</strong>m doveva concludersi<br />
con <strong>il</strong> processo e l’esecuzione nella camera a gas di Neff, ma queste scene furono tolte dal montaggio<br />
definitivo (senza danneggiare la struttura drammatica <strong>del</strong>l’opera) poco prima <strong>del</strong>l’uscita ufficiale.<br />
Paolo Mereghetti, Il Mereghetti - Dizionario dei f<strong>il</strong>m 2008, Baldini Castoldi Dalai editore<br />
B<strong>il</strong>ly W<strong>il</strong>der è uno dei più grandi registi americani <strong>del</strong>la storia <strong>del</strong> cinema, ab<strong>il</strong>issimo nel giostrarsi tra feroci<br />
commedie e <strong>noir</strong> memorab<strong>il</strong>i.La fiamma <strong>del</strong> peccato è, al pari di Viale <strong>del</strong> tramonto, <strong>il</strong> suo <strong>noir</strong> più bello,<br />
una storia feroce e condita da una sana vena di umorismo caustico, come nella miglior tradizione statunitense<br />
<strong>del</strong> genere. Il f<strong>il</strong>m di W<strong>il</strong>der è come una sorta di mo<strong>del</strong>lo per <strong>il</strong> <strong>noir</strong> perfetto, un esempio da seguire<br />
per tutti quelli che in futuro si sono cimentati o vorranno cimentarsi con <strong>il</strong> genere. Come in «Viale <strong>del</strong> tramonto»,<br />
anche «La fiamma <strong>del</strong> peccato» inizia con un morto che parla, o meglio con un uomo finito che<br />
racconta la terrib<strong>il</strong>e storia che l’ha condotto fino a quella pietosa condizione: una donna che l’ha prima<br />
sedotto e poi ingannato, spingendolo ad uccidere <strong>il</strong> marito per riscuotere <strong>il</strong> premio <strong>del</strong>l’assicurazione. La<br />
33
pellicola si inserisce prepotentemente nel mondo degli affari assicuratori, che in quegli anni (i ‘40) negli<br />
USA stava registrando un’enorme crescita. Fotografato con un bianco e <strong>nero</strong> espressionistico, che esalta le<br />
ombre e i presagi, <strong>il</strong> f<strong>il</strong>m è prima di tutto un’opera sull’avidità, sul potere <strong>del</strong> denaro che a volte costringe<br />
a fare cose terrib<strong>il</strong>i, e in secondo luogo è un f<strong>il</strong>m sulla donna, sulla femme fatale per eccellenza, che può<br />
far perdere la testa ad un uomo spingendolo ad atti terrib<strong>il</strong>i. In questo caso trattasi di Barbara Stanwyck,<br />
una <strong>del</strong>le prime femme fatale, e anche una <strong>del</strong>le più efficaci <strong>del</strong>la storia <strong>del</strong> cinema, copiata e imitata da<br />
registi come Lawrence Kasdan e Brian De Palma.<br />
Dalla pellicola si emana una sorta di tragica ineluttab<strong>il</strong>ità <strong>del</strong> destino, come se tutto quello che succede sia<br />
un disegno predestinato ad accadere, e niente si possa fare per evitarlo, equ<strong>il</strong>ibrata in modo perfetto dall’ironia<br />
sott<strong>il</strong>e e disincantata di W<strong>il</strong>der, che con <strong>il</strong> suo cinismo contribuisce a rendere memorab<strong>il</strong>e questo<br />
autentico gioiello. Una sceneggiatura praticamente perfetta fac<strong>il</strong>ita <strong>il</strong> coinvolgimento <strong>del</strong>lo spettatore, che,<br />
nonostante possa intuire fin dall’inizio cosa succederà, non fatica minimamente ad immedesimarsi nel protagonista,<br />
e a rimanere sorpreso numerose volte nel corso <strong>del</strong> f<strong>il</strong>m. La regia è ovviamente in stato di grazia,<br />
e regala dei momenti di assoluto valore artistico, con scelte terrib<strong>il</strong>mente originali che non fanno che<br />
esaltare la cattiveria <strong>del</strong> copione. Insomma, «La fiamma <strong>del</strong> peccato» è di sicuro un capolavoro, senz’altro<br />
uno dei <strong>noir</strong> più belli <strong>del</strong>la storia; un f<strong>il</strong>m che, anche dopo tanti anni, pare ancora attualissimo come<br />
mo<strong>del</strong>lo ispiratore <strong>del</strong> cinema di oggi.<br />
Francesco Pognante, www.f<strong>il</strong>medvd.it<br />
Terzo f<strong>il</strong>m americano e prima opera importante di B<strong>il</strong>ly W<strong>il</strong>der con nomi prestigiosi alla voce sceneggiatura:<br />
Chandler (al suo primo lavoro per <strong>il</strong> cinema) che adatta James Cain insieme allo stesso B<strong>il</strong>ly W<strong>il</strong>der.<br />
Chandler dichiarò che <strong>il</strong> lavoro con W<strong>il</strong>der gli aveva accorciato la vita. W<strong>il</strong>der, invece, era affascinato dall’apporto<br />
di Chandler, in particolare dai suoi dialoghi, molto diversi dal materiale di partenza, <strong>il</strong> romanzo<br />
di Cain. Con <strong>il</strong> suo riferirsi a un fatto di cronaca reale in sostanza assai banale, <strong>il</strong> f<strong>il</strong>m viene ad essere a<br />
doppio fondo. È anzitutto un’opera significativa e storicamente importante nel genere <strong>noir</strong>. Dentro una<br />
struttura da poliziesco, la nozione di fatalità sostituisce la suspense nella ricerca <strong>del</strong> colpevole: fin dalle<br />
prime parole <strong>del</strong> dialogo, con la confessione di Neff, lo spettatore sa tutto <strong>del</strong>l’autore <strong>del</strong> <strong>del</strong>itto e <strong>del</strong> suo<br />
fallimento finale.(...)<br />
L’altro aspetto primordiale <strong>del</strong> f<strong>il</strong>m, aspetto più precisamente w<strong>il</strong>deriano, è l’essere un duello di intelligenze:<br />
intelligenza dei due criminali a confronto con quella <strong>del</strong>l’ispettore Keyes (Edward G. Robinson). Il personaggio<br />
<strong>del</strong>l’investigatore, figura accessoria per l’aspetto <strong>noir</strong> <strong>del</strong>l’opera, diventa invece qui essenziale.<br />
La scena capitale <strong>del</strong><br />
f<strong>il</strong>m e la più tipica<br />
<strong>del</strong> contributo di<br />
W<strong>il</strong>der è quella in cui<br />
<strong>il</strong> padrone <strong>del</strong>la compagnia<br />
di assicurazione,<br />
un perfetto<br />
idiota che crede di<br />
essere molto intelligente,<br />
convoca nel<br />
suo ufficio, senza<br />
capire niente di quello<br />
che si viene tramando,<br />
i due criminali<br />
insieme a Keyes,<br />
che per parte sua<br />
comincia a intravedere<br />
la verità che<br />
raggiungerà tutto da<br />
solo. Questo secondo<br />
aspetto reintroduce,<br />
34
molto ab<strong>il</strong>mente, la suspense dei f<strong>il</strong>m polizieschi tradizionali. E rende ancora più pessimista lo sguardo <strong>del</strong>l’autore.<br />
W<strong>il</strong>der si compiace in effetti di osservare la nocività <strong>del</strong> ruolo <strong>del</strong>l’intelligenza nel destino <strong>del</strong> suo<br />
eroe, e di quanto poco essa possa essergli ut<strong>il</strong>e una volta che avranno, lui e lei, inf<strong>il</strong>ato <strong>il</strong> piede nell’ingranaggio.<br />
[...] W<strong>il</strong>der divide con altri due registi questa preoccupazione e attrazione per lo scrutare <strong>il</strong> ruolo<br />
<strong>del</strong>l’intelligenza sul destino dei personaggi: Preminger, viennese come W<strong>il</strong>der e altro allievo di Lubitsch,<br />
e Mankiewicz. Questa ricerca che tutti e tre sentono naturale dà ai loro intrecci un sapore insieme ironico<br />
e disincantato, molto stimolante sul piano <strong>del</strong>l’arte. Ed è questa, forse, nel cinema americano, la parte più<br />
nascosta e la più specifica <strong>del</strong> gusto europeo.<br />
Jacques Lourcelles, Dictionnaire du Cinéma, Les F<strong>il</strong>ms, EEditions Robert Laffont, Paris 1992<br />
RICONOSCIMENTI<br />
Il f<strong>il</strong>m ebbe 6 nomination agli Oscar (tra cui miglior f<strong>il</strong>m e miglior regia) senza però vincerne uno.<br />
IL REGISTA: BILLY WILDER<br />
Maestro di commedie es<strong>il</strong>aranti, dal tocco leggero<br />
e insieme sott<strong>il</strong>mente pungente, autore di grandi<br />
storie drammatiche, amare e corrosive, capace di<br />
tenere insieme commedia e dramma in un infuso<br />
di sapore agrodolce, lascia una traccia in<strong>del</strong>eb<strong>il</strong>e<br />
nella storia di Hollywood e <strong>del</strong> cinema tutto.<br />
Austro-ungarico di nascita, giornalista prima a<br />
Vienna (dove riesce a farsi buttar fuori di casa da<br />
S. Freud) e in seguito a Berlino, svogliato studente<br />
di giurisprudenza all’università <strong>del</strong>la capitale,<br />
«ghostwriter» occasionale, soggettista e sceneggiatore,<br />
lascia la Germania all’avvento di Hitler<br />
per emigrare prima in Francia e poi negli Stati<br />
Uniti Sembra che <strong>il</strong> suo incontro con <strong>il</strong> cinema sia<br />
avvenuto non per scelta, ma per una curiosa concatenazione<br />
di eventi dovuti al caso. Si narra – ma<br />
forse è una leggenda – che W<strong>il</strong>der avesse perso un<br />
po’ di marchi con <strong>il</strong> produttore J. Pasternak, e che<br />
costui, per farseli restituire, lo avesse messo a<br />
lavorare su una sceneggiatura. In quella Berlino<br />
fine anni ‘20 dove già si cominciano a percepire<br />
gli scricchiolii sinistri <strong>del</strong>la Repubblica di<br />
Weimar, molti degli uomini che in seguito contribuiranno<br />
a costruire <strong>il</strong> classicismo hollywoodiano<br />
degli anni ‘30 e ‘40 sono presi dal mondo <strong>del</strong> cinema<br />
per puro gioco <strong>del</strong> destino. È noto che andranno quasi tutti negli Stati Uniti, traducendo nel cinema hollywoodiano,<br />
non solo in quello più ricco, ma anche in quello più seriale, i segni, quasi le stimmate dei grandi<br />
conflitti etici e spirituali che affondano le radici nella cultura tedesca. Chi in forme dolorosamente sofferte,<br />
dichiarate, quasi gridate; chi in forme trasfigurate, f<strong>il</strong>trate, non dette. W<strong>il</strong>der. appartiene al secondo<br />
versante. Forse per questo <strong>il</strong> suo cinema continua a sfuggire a qualsiasi organica sistemazione critica. Egli<br />
assume indifferentemente la maschera comica <strong>del</strong>la commedia br<strong>il</strong>lante e quella corrucciata <strong>del</strong> dramma.<br />
In un f<strong>il</strong>m si colloca in posizione opposta a quello che aveva messo in campo nel precedente. Dice e contraddice<br />
in un gioco di continui rovesciamenti di fronte. A Berlino, negli anni immediatamente precedenti<br />
l’esodo, scrive, insieme a personaggi <strong>del</strong> calibro di F. Zinnemann e E. Ulmer, soggetto e sceneggiatura di<br />
Uomini di domenica (1929), diretto da R. Siodmak, un affresco <strong>del</strong>la grande città e <strong>del</strong>la sua gente. Scrive<br />
ancora per Siodmak, poi collabora alla sceneggiatura di La terrib<strong>il</strong>e armata (1931) di G. Lamprecht, misurandosi<br />
con un genere per lui nuovo, <strong>il</strong> poliziesco, e più avanti scrive altri testi, per lo più di tono operettistico-viennese.<br />
35
Un giorno <strong>del</strong> 1933, mentre è seduto ai tavolini all’aperto di un caffè, assiste al pestaggio di un uomo inerme<br />
da parte di una squadra nazista e capisce che è l’ora di fare le valigie. In Francia collabora con A. Esway<br />
alla regia di Amore che redime (1933), di produzione statunitense, che gli appare un f<strong>il</strong>m puramente convenzionale,<br />
e nel 1934 decide di trasferirsi a Hollywood. Comincia la routine degli studios scrivendo soggetti<br />
e sceneggiature in serie, come un normale impiegato d’ufficio, fino a quando, in coppia con C.<br />
Brackett, mette le mani sullo script di L’ottava moglie di Barbablù (1938) di E. Lubitsch. L’anno dopo,<br />
sempre per Lubitsch (e sempre a quattro mani con Brackett, con <strong>il</strong> quale stab<strong>il</strong>irà un lungo sodalizio) scrive<br />
la sceneggiatura di Ninotchka (1939). È praticamente <strong>il</strong> passaggio decisivo <strong>del</strong>la sua carriera hollywoodiana.<br />
La metamorfosi <strong>del</strong> personaggio di G. Garbo, da ieratico, sofferto e distante quale è sempre stato, a<br />
quello br<strong>il</strong>lante e quasi spumeggiante <strong>del</strong>l’improbab<strong>il</strong>e commissario «bolscevico» Ninotchka, lascia <strong>il</strong><br />
segno.<br />
Dopo aver scritto un altro paio di f<strong>il</strong>m, tra cui <strong>il</strong> sapido Colpo di fulmine (1942) di H. Hawks, passa alla<br />
regia con Frutto proibito (1942), travestendo la già trentaquattrenne G. Rogers in una adolescente alle<br />
prime pulsioni sessuali. Due anni dopo realizza una <strong>del</strong>le sue opere più intense, La fiamma <strong>del</strong> peccato<br />
(1944), tratto dal romanzo di J. Cain, di cui scrive anche la sceneggiatura in coppia con R. Chandler. Il f<strong>il</strong>m<br />
successivo, Giorni perduti (1945), è un’opera ad altissimo tasso drammatico, un’incursione nella piaga <strong>del</strong>l’alcolismo<br />
che qua e là si lascia andare a qualche simbolismo di troppo. W<strong>il</strong>der si riporta sulle piste <strong>del</strong><br />
genere br<strong>il</strong>lante con Il valzer <strong>del</strong>l’imperatore (1948), con la commedia giallo-rosa Scandalo internazionale<br />
(1948), e soprattutto con la sceneggiatura di Venere e <strong>il</strong> professore (1949), remake ancor più pruriginoso<br />
di Colpo di fulmine. Appaiono già le tracce di quello che verrà definito da alcuni «cinema <strong>del</strong> travestimento»,<br />
da altri «cinema travestito». Farsa e tragedia, spontaneità e manipolazione, innocenza e cinismo.<br />
Di fatto, W<strong>il</strong>der farà <strong>del</strong> cinema una sorta di gigantesco romanzo visivo, celando al suo interno alcune <strong>del</strong>le<br />
grandi, insondab<strong>il</strong>i figure <strong>del</strong> «moderno»: la dialettica <strong>del</strong>le inversioni, <strong>il</strong> gioco antinomico <strong>del</strong>l’essere e<br />
<strong>del</strong>l’apparire. Scaverà nei traumi <strong>del</strong>la società americana con occhio crudo e impietoso, mascherandoli<br />
dopo dietro <strong>il</strong> velo liberatorio <strong>del</strong>le situation comedy e <strong>del</strong> burlesque: Sabrina (1954); L’asso nella manica<br />
(1951) e Quando la moglie è in vacanza (1955). E diverrà ben presto un maestro in quella regia «invisib<strong>il</strong>e»,<br />
propria <strong>del</strong> f<strong>il</strong>m classico hollywoodiano, f<strong>il</strong>mando <strong>il</strong> «dentro» e <strong>il</strong> «fuori» <strong>del</strong> cinema. Un titolo su<br />
tutti, Viale <strong>del</strong> tramonto (1950), dove mette in scena un morto che parla (W. Holden), che racconta in flashback<br />
i retroscena <strong>del</strong> suo assassinio. Ma soprattutto affonda una lama in quel simulacro di eternità <strong>il</strong>lusoria<br />
e inane che è la fabbrica dei sogni hollywoodiana.<br />
L’opera che segue, L’asso nella manica, presentata alla Mostra di Venezia, appare un affondo acido e<br />
impietoso, un fendente portato al mitico «sogno americano». Il giornalista (K. Douglas) che gioca con la<br />
vita di un uomo pur di costruire un evento mediatico, risulta <strong>del</strong> tutto indigesto a una critica che reagisce<br />
indignata e che monta l’opinione pubblica contro <strong>il</strong> regista. Il f<strong>il</strong>m rischia di non venire distribuito (infatti<br />
arriva nelle sale americane solo nel 1953), e W<strong>il</strong>der sta per essere bollato come anti-americano in pieno<br />
clima di maccartismo montante. Non per questo, ma per <strong>il</strong> suo profondo spirito antifascista, <strong>il</strong> regista realizza<br />
l’anno successivo Stalag 17 (1952), ambientato in un campo di concentramento nazista, prima di<br />
ritornare alla commedia con Sabrina, in cui dirige la improbab<strong>il</strong>e coppia Audrey Hepburn- Humphrey<br />
Bogart, con relativo terzo incomodo W<strong>il</strong>liam Holden.<br />
Segue subito dopo lo sfolgorante Quando la moglie è in vacanza, con la strepitosa M. Monroe, indimenticab<strong>il</strong>i<br />
le sue gambe scoperte da una folata d’aria che le solleva la gonna, <strong>il</strong> suo sguardo languido e ribollente.<br />
Indimenticab<strong>il</strong>e anche la sua sensualità irresistib<strong>il</strong>e in A qualcuno piace caldo (1959), che prorompe<br />
sconvolgendo i sensi e le menti di T. Curtis e J. Lemmon, travestiti in panni muliebri e roventi di desiderio.<br />
W<strong>il</strong>der è forse <strong>il</strong> regista che è andato più vicino al disvelamento di quel geroglifico, di quell’indecifrab<strong>il</strong>e<br />
groviglio esistenziale che è stata la Monroe.<br />
Con L’appartamento (1960) piombano nella carriera di W<strong>il</strong>der cinque Oscar. Grande intreccio di commedia<br />
e dramma, <strong>il</strong> f<strong>il</strong>m è un capolavoro dai toni farseschi e dal sapore crudo. J. Lemmon è perfetto nella parte<br />
<strong>del</strong> piccolo impiegato che pur di far carriera mette a disposizione <strong>il</strong> proprio alloggio per le scappatelle<br />
extraconiugali degli alti dirigenti. La coppia Lemmon-MacLaine è frizzante anche in Irma la dolce (1963),<br />
gustoso e sapido romanzo d’amore tra un solerte poliziotto e una giovane prostituta, ambientato in una<br />
Parigi splendidamente ricostruita dal grande scenografo A. Trauner, che già si era aggiudicato uno degli<br />
Oscar di L’appartamento. Nel 1961W<strong>il</strong>der aveva messo in scena una scoppiettante satira <strong>del</strong> comunismo<br />
36
sovietico con Uno, due, tre!,dove non lesinava bordate anche al capitalismo rampante, qui incarnato da uno<br />
strepitoso J. Cagney, esportatore <strong>del</strong>la Coca-Cola in Germania («La Coca Cola mi fa ridere, e quando la<br />
bevo mi fa ancora più ridere», dirà poi <strong>il</strong> regista). Baciami stupido (1964) è forse <strong>il</strong> fiasco più clamoroso:<br />
l’insaziab<strong>il</strong>e appetito sessuale di Dean Martin, forse la «intoccab<strong>il</strong>e» sacralità <strong>del</strong> matrimonio (e soprattutto<br />
<strong>del</strong> divorzio) scatenano <strong>il</strong> puritanesimo di certa critica di fronte a un’opera dagli umori caustici e dal<br />
taglio es<strong>il</strong>arante.<br />
Con <strong>il</strong> f<strong>il</strong>m successivo, Non per soldi... ma per denaro (1966), arriva sullo schermo la geniale accoppiata<br />
Walter Matthau-Jack Lemmon, che si riproporrà nel nuovo feroce sberleffo lanciato alla stampa americana<br />
con Prima pagina (1974), e infine in Buddy Buddy (1981), l’ultimo, impagab<strong>il</strong>e f<strong>il</strong>m di W<strong>il</strong>der., preceduto<br />
dal malinconico Fedora (1978), quasi una sorta di anamnesi che evoca in qualche modo l’aspro sapore<br />
di Viale <strong>del</strong> tramonto. Canagliesco, cinico, un po’ cialtrone, Matthau fa da perfetto contraltare al candido<br />
e impacciato Lemmon, sia in Non per soldi, quando tenta di sfruttare un piccolo incidente occorso al<br />
partner per cavarne fior di dollari, sia in Buddy Buddy, nelle vesti di un k<strong>il</strong>ler che deve eliminare un pericoloso<br />
testimone, e invece incrocia un partner abbandonato dalla moglie, disperato e maldestro, e finisce<br />
per non liberarsene più. Negli ultimi vent’anni <strong>del</strong>la sua vita, malgrado l’intatta freschezza creativa, W<strong>il</strong>der<br />
non troverà più finanziamenti per realizzare un altro f<strong>il</strong>m. La legge <strong>del</strong> tempo, e soprattutto quella di<br />
Hollywood, appaiono inesorab<strong>il</strong>i.<br />
FILMOGRAFIA<br />
Amore che redime, in co-regia con Alexander Esway, 1934<br />
Frutto proibito, 1942<br />
I cinque segreti <strong>del</strong> deserto, 1943<br />
La fiamma <strong>del</strong> peccato, 1944<br />
Giorni perduti, 1945<br />
Il valzer <strong>del</strong>l’imperatore, 1948<br />
Scandalo internazionale, 1948<br />
Viale <strong>del</strong> tramonto, 1950<br />
L’asso nella manica,1951<br />
Stalag 17, 1953<br />
Sabrina, 1954<br />
Quando la moglie è in vacanza, 1955<br />
L’aqu<strong>il</strong>a solitaria, 1957<br />
Arianna, 1957<br />
37<br />
Testimone d’accusa, 1957<br />
A qualcuno piace caldo, 1959<br />
L’appartamento, 1960<br />
Uno, due, tre!, 1961<br />
Irma la dolce , 1963<br />
Baciami, stupido, 1964<br />
Non per soldi... ma per denaro, 1966<br />
La vita privata di Sherlock Holmes, 1970<br />
Che cosa è successo tra mio padre e tua madre?, 1972<br />
Prima pagina, 1974<br />
Fedora, 1978<br />
Buddy Buddy, 1981
L’OMBRA DEL PASSATO<br />
(Murder, My Sweet)<br />
Regia Edward Dmytryk<br />
Sceneggiatura John Paxton<br />
Fotografia Harry J. W<strong>il</strong>d<br />
Musica Roy Webb<br />
Con Dick Powell, Claire Trevor, Anne Shirley, Mike<br />
Mazurki, Otto Kruger<br />
Produzione Usa<br />
Anno 1944<br />
Durata 95’<br />
Dal romanzo di Raymond Chandler Addio, mia amata<br />
LA TRAMA<br />
L'investigatore privato Ph<strong>il</strong>ip Marlowe viene ingaggiato da<br />
Moose Malloy, un ex detenuto che vuole a tutti i costi ritrovare Velma, la sua ex scomparsa ormai da<br />
alcuni anni.<br />
L'indagine si sv<strong>il</strong>upperà incrociandosi con un misterioso caso di gioielli rubati e assassinii che condurrà<br />
Marlowe a scoperchiare un calderone di intrighi e ricatti che porteranno a un vero e proprio massacro<br />
finale.<br />
LA CRITICA<br />
L’ombra <strong>del</strong> passato consacra sul grande schermo la figura <strong>del</strong> personaggio di Ph<strong>il</strong>ip Marlowe, l’investigatore<br />
a suo modo sensib<strong>il</strong>e e coraggioso, nato dalla penna di Raymond Chandler e apparso per la prima<br />
volta nel romanzo The Big Sleep (1939).<br />
La casa di produzione RKO inizialmente non crede molto nel progetto <strong>del</strong> f<strong>il</strong>m, tuttavia la pellicola si<br />
imporrà come uno dei capisaldi <strong>del</strong> <strong>noir</strong>, grazie anche a una regia visionaria, alla qualità dei dialoghi e<br />
all’ottima interpretazione di Dick Powell nel ruolo di Marlowe.<br />
La vicenda si articola in continui flashback in cui <strong>il</strong> detective è costretto a rievocare lo svolgimento di<br />
complicati omicidi e ricatti sui quali ha lavorato in passato.<br />
[...] Il f<strong>il</strong>m rispecchia le problematiche, le incertezze e i timori <strong>del</strong>l’America <strong>del</strong> tempo, mettendo in<br />
scena omicidi e corruzione. Anche <strong>il</strong> protagonista è smarrito, preda dei propri fantasmi - reali o presunti -<br />
in un mabiente alterato. Si tratta di uno dei migliori esempi <strong>del</strong>la tendenza <strong>del</strong> <strong>noir</strong>a esplorare «dall’interno»<br />
i protagonisti e <strong>il</strong> loro dibattersi tra bene e male, contrariamente a quanto accade nel gngster-movie o<br />
nel thr<strong>il</strong>ler, generi nei quali i personaggi hanno una minore consapevolezza <strong>del</strong>la loro «discesa agli inferi»,<br />
asserviti come sono ai meccanismi di una suspence legata a situazioni esterne.<br />
Gabriele Lucci. Noir. Dizionari <strong>del</strong> Cinema. Electa, 2006<br />
Considerato ‘’intraducib<strong>il</strong>e sullo schermo’’ dallo stesso Chandler (come in tutti i suoi romanzi, «le ramificazioni<br />
<strong>del</strong>l’intreccio non resisterebbero ad una analisi clinica», «Variety), è <strong>il</strong> f<strong>il</strong>m per <strong>il</strong> quale lo scrittore<br />
si complimentò col regista e lo sceneggiatore John Paxton, responsab<strong>il</strong>i di questo primo Marlowe<br />
portato sullo schermo. Incisivo e fluido, <strong>il</strong> f<strong>il</strong>m è più vicino alla scrupolosa perfezione <strong>del</strong> prototipo che<br />
all’ originalità di un capolavoro, sia per la storia, in cui agiscono personaggi ambigui dal passato inconfessab<strong>il</strong>e,<br />
sia per l’ ambientazione notturna, caotica, a tratti quasi onirica, sia per la tecnica ( luci contrastate<br />
e flash-back). ‘’ E’ un archetipo per molti altri fatti dopo. L’ uso <strong>del</strong>la femme fatale, l’ atmosfera<br />
paranoica, la vulnerab<strong>il</strong>ita’ <strong>del</strong>l’ eroe, la motivazione <strong>del</strong>la violenza, <strong>il</strong> predominio di personaggi grotte-<br />
39
schi, <strong>il</strong> clima minaccioso: tutto contribuisce a questa ambientazione <strong>noir</strong>’’ (Ellen Keneshea e Carl<br />
Macek). Anche, imprevedib<strong>il</strong>mente, lo st<strong>il</strong>e di Powell, attore ballerino, cui almeno una volta scappa<br />
come un accenno di tip- tap.<br />
Mario Sesti, Massimo Sebastiani. www.f<strong>il</strong>mf<strong>il</strong>m.it<br />
Dmytryk ci mette tutta la sua arte nei movimenti di macchina, tagli insoliti e chiaroscuri che lo renderanno<br />
celebre. E una sequenza su un drogato dalle conseguenze visive inedite, per allora, e curiose.<br />
Fabio Fumagalli. www.rsi.ch/f<strong>il</strong>mselezione<br />
[...] Nessun altro f<strong>il</strong>m ingloba così perfettamente i piaceri <strong>del</strong> <strong>noir</strong>, e <strong>il</strong> regista Edward Dmytryk ut<strong>il</strong>izza<br />
ombre, pioggia, allucinazioni indotte dalla droga e scoppi improvvisi di violenza dentro una ragnatela di<br />
nganni, viscidi maestri <strong>del</strong> male, donne fatali, criminali senza cervello, poliziotti noiosi e medici ciarlatani.<br />
Il Marlowe di Powell, che accende un cerino su un Cupido di marmoe gioca a campana sul pavimento<br />
piastrellato <strong>del</strong>la dimora di un m<strong>il</strong>iardario, è più vicino al tono insolente attribuitogli da Chandler<br />
rispetto alle interpretazioni più conosciute di Humphrey Bogart o di Robert Mitchum. Come in molti<br />
finali chandleriani, la protagonista femmin<strong>il</strong>e rivelerà una sorprendente doppia identità.<br />
Kim Newman, in 1001 f<strong>il</strong>m - I capolavori <strong>del</strong> cinema mondiale, a cura di Steven Jay Schneider.<br />
Atlante, 2008<br />
[...] Secca e incisiva detective story, immersa nel tipico clima <strong>noir</strong> anni ‘40, attraversata da personaggi<br />
dalla doppia identità e dal passato torbido e rimosso, fu molto ammirata dallo stesso Chandler <strong>il</strong> quale -<br />
nonostante i notevoli cambiamenti apportati , in sede di sceneggiatura, tra cui quello riguardante <strong>il</strong> personaggio<br />
di Ann - si congratulò con John Paxton per i risultati ottenuti da un romanzo che «considerava<br />
intraducib<strong>il</strong>e sullo schermo». Prodotto dall’intraprendente black-listed Adrian Scott, dal ‘44 capo <strong>del</strong>la<br />
produzione RKO, <strong>il</strong> f<strong>il</strong>m ottenne un lusinghiero successo di critica e di pubblico e contribuì a distaccare<br />
40
Dick Powell dall’immagine consueta di br<strong>il</strong>lante attor giovane da commedia musicale che l’attore si portava<br />
addosso. Nel ‘75 Dick Richards ne ha diretto un efficace remake: Farewell My Lovely (Marlowe, <strong>il</strong><br />
poliziotto privato) con Robert Mitchum nel ruolo <strong>del</strong> detective.<br />
Fernaldo Di Giammatteo. Nuovo dizionario universale <strong>del</strong> cinema.<br />
È <strong>il</strong> secondo adattamento <strong>del</strong> romanzo di Raymond Chandler Addio, mia amata (1940) dopo quello<br />
mediocre <strong>del</strong> ‘42 con G. Sanders e prima di quello buono <strong>del</strong> ‘75 con R. Mitchum nella parte di Ph<strong>il</strong>ip<br />
Marlowe. Il migliore dei tre. Quintessenza <strong>del</strong> f<strong>il</strong>m <strong>nero</strong>, un piccolo capolavoro di cinema espressionista<br />
(fotografia di Harry J. W<strong>il</strong>d) con una qualità visiva che influenzò molti f<strong>il</strong>m <strong>del</strong>l’epoca.<br />
Morando Morandini. Il Morandini. Dizionario dei f<strong>il</strong>m<br />
IL REGISTA: EDWARD DMYTRYK<br />
Nato nel 1908 in Canada da una famiglia di<br />
origine ucraina, si accosta giovanissimo<br />
entrando alla Paramount come fattorino e tuttofare,<br />
prima e come montatore , in seguito.<br />
Nel 1935 realizza <strong>il</strong> suo primo f<strong>il</strong>m, Il falco, un<br />
f<strong>il</strong>m di serie B al quale succederanno altre pellicole<br />
analoghe.<br />
Il suo talento incomincia ad emergere qualche<br />
anno dopo, con pellicole quali Tragico oriente,<br />
1943 ed Eravamo tanto felici, 1944, ma è<br />
con L’ombra <strong>del</strong> passato, 1944, tratto dal<br />
romanzo Addio, mia amata di Raymond<br />
Chandler, che perfeziona le sue doti registiche.<br />
Profondamente democratico, Dmytryk affronterà<br />
tematiche progressiste quali quelle legate<br />
ai problemi dei reduci di guerra (Anime ferite,<br />
1946) o all’antirazzismo (Odio implacab<strong>il</strong>e,<br />
1947). Proprio a causa di quest’ultimo f<strong>il</strong>m,<br />
Dmytryk verrà messo sotto inchiesta, dalla<br />
Commissione maccartista per le attività antiamericane. Incluso insieme a molti altri suoi colleghi nelle<br />
black-list, <strong>il</strong> regista sarà costretto a lasciare l’America, trasferendosi per un certo periodo in Gran Bretagna,<br />
dove realizza Cristo fra i muratori (1949) tratto dall’omonimo romanzo di Pietro Di Donato, un crudo<br />
dramma sull’emigrazione italiana negli Stati Uniti.<br />
Tornato in America, si riab<strong>il</strong>ita sconfessando la sua appartenenza al Partito comunista americano e denunciando<br />
i suoi vecchi comapgni. In tal modo può riprendere la sua attività registica. Tra la sua produzione<br />
più significativa di quegli anni troviamo: I perseguitati, 1953, sui campi di sterminio; L’ammutinamento<br />
<strong>del</strong> Caine, 1954; La mano sinistra di Dio, 1955, melodramma a sfondo religioso e <strong>il</strong> kolossal di ambientazione<br />
storica L’albero <strong>del</strong>la vita, 1957. Firma anche <strong>il</strong> f<strong>il</strong>m I giovani leoni (1958) tratto dall’omonimo<br />
romanzo di Irving Shaw e Ultima notte a Warlock, 1959.<br />
Continuando a realizzare pellicole di non particolare interesse fino agli anni Settanta, Dmytryk è stato uno<br />
fra i più prolifici autori <strong>del</strong>la generazione di mezzo hollywoodiana. Nel 1979 ha scritto la sua autobiografia<br />
dal titolo È una vita d’inferno ma non si campa male.<br />
FILMOGRAFIA<br />
The Hawks, 1935<br />
Television Spy, 1939<br />
Emergency Squad, 1940<br />
Golden Gloves, 1940<br />
Mystery Sea Raider, 1940<br />
41<br />
Her First Romance, 1940<br />
The Dev<strong>il</strong> Command, 1941<br />
Under Age, 1941<br />
Sweetheart Of The Campus, 1941<br />
The Blonde From Singapore, 1941
Secrets Of Lone Wolf, 1941<br />
Confessions Of Boston Blackie, 1941<br />
Counter-Espionage, 1942<br />
Seven M<strong>il</strong>es From Alcatraz, 1942<br />
Hitler’s Ch<strong>il</strong>dren, 1943<br />
The Falcon Strikes Back, 1943<br />
Captive W<strong>il</strong>d Woman, 1943<br />
Tragico oriente, 1943<br />
Eravamo tanto felici, 1943<br />
L’ombra <strong>del</strong> passato, 1944<br />
Gli eroi <strong>del</strong> Pacifico, 1945<br />
Missione di morte, 1945<br />
Anime ferite, 1946<br />
So Well Remembered, 1947<br />
Odio implacab<strong>il</strong>e, 1947<br />
Vendico <strong>il</strong> tuo passato, 1949<br />
Cristo fra i muratori, 1949<br />
Gli ammutinati <strong>del</strong>l’Atlantico, 1952<br />
Nessuno mi salverà, 1952<br />
42<br />
Otto uomini di ferro, 1952<br />
I perseguitati, 1953<br />
L’ammutinamento <strong>del</strong> Caine, 1954<br />
La lancia che uccide, 1954<br />
La fine <strong>del</strong>l’avventura, 1955<br />
L’avventuriero di Hong Kong<br />
La mano sinistra di Dio, 1955<br />
La montagna, 1956<br />
L’albero <strong>del</strong>la vita, 1957<br />
I giovani leoni, 1958<br />
Ultima notte a Warlock, 1959<br />
L’angelo azzurro, 1959<br />
Anime sporche, 1962<br />
Cronache di un convento, 1962<br />
L’uomo che non sapeva amare, 1964<br />
Quando l’amore se n’è andato, 1964<br />
Mirage, 1965<br />
Alvarez Kelly, 1966<br />
Lo sbarco di Anzio, 1968
LA FUGA<br />
(Dark Passage)<br />
Regia Delmer Daves<br />
Sceneggiatura Delmer Daves<br />
Fotografia Sidney Hickox<br />
Musica Max Steiner, Franz Waxman, Richard A.<br />
Whiting<br />
Montaggio: David Weisbart<br />
Effetti speciali: Hans F. koenekamp<br />
Con Humphrey Bogart, Lauren Bacall, Bruce Bennett,<br />
Agnes Moorehead, Tom D'Andrea, Clifton Young,<br />
Douglas Kennedy, Rory Mallinson<br />
Produzione Usa<br />
Anno 1947<br />
Durata 106’<br />
Dal romanzo omonimo di David Goodis<br />
LA TRAMA<br />
AVincent Parry, condannato ingiustamente per uxoricidio, non resta che una possib<strong>il</strong>ità: la fuga,<br />
nella speranza di dimostrare la propria innocenza scoprendo da solo l'assassino. La galera lo ha<br />
reso duro, ma questo non basta per sopravvivere quando si è braccati dalla polizia. Per sua fortuna<br />
Irene Jansen, una donna giovane e ricca che si è interessata al suo caso, lo aiuta a superare i posti di<br />
blocco. Anche Sam, un tassista che riconosce Parry dopo averlo preso a bordo, è convinto <strong>del</strong>la sua innocenza<br />
e lo conduce da un chirurgo plastico. Dopo l'operazione, trovando assassinato l'unico amico disposto<br />
ad aiutarlo, Parry si rifugia in casa di Irene.<br />
LA TRAMA<br />
La fuga è l’unica possib<strong>il</strong>ità per dimostrare la propria innocenza<br />
Piuttosto elementare per quanto riguarda <strong>il</strong> «chi è stato», dato l’esiguo numero dei personaggi sospettab<strong>il</strong>i,<br />
<strong>il</strong> f<strong>il</strong>m punta invece sulla tensione <strong>del</strong>la caccia all’uomo, vissuta dal punto di vista di Parry con un impiego<br />
rimasto celebre <strong>del</strong>la ripresa in soggettiva. Il volto di Parry resta in ombra o nascosto dietro le bende,<br />
visib<strong>il</strong>e soltanto nelle fotografie sui giornali, fino a quando non assume definitivamente le fattezze di<br />
Bogart. Insolita per l’epoca, e per i vincoli <strong>del</strong> codice Hays, anche la luce in cui vengono presentati i poliziotti:<br />
più persecutori che tutori <strong>del</strong>la legge. Una visione kafkiana consona alla personalità <strong>del</strong> «giallista<br />
maledetto» David Goodis, dal cui romanzo «Giungla<br />
umana» («Dark Passage») è tratto <strong>il</strong> f<strong>il</strong>m. Un pessimismo<br />
temperato tuttavia dalla presenza di singoli coraggiosi cittadini<br />
pronti ad aiutare <strong>il</strong> protagonista.<br />
Andrea Carlo Cappi, www.mymovies.it<br />
Nella Hollywood degli Anni ’40, basata su rigide convenzioni<br />
st<strong>il</strong>istiche e su modalità di narrazione codificate in<br />
maniera ferrea, furono realizzati tuttavia alcuni f<strong>il</strong>m che<br />
introdussero <strong>del</strong>le innovazioni straordinarie, e non solo<br />
per l’epoca. Uno di questi è indubbiamente <strong>il</strong> <strong>noir</strong> “La<br />
fuga”, trasposizione cinematografica <strong>del</strong> romanzo<br />
«Giungla umana» di David Goodis ad opera <strong>del</strong> regista e<br />
43
sceneggiatore Delmer Daves. Il peculiare espediente adottato da Daves fu quello di girare i primi 30 minuti<br />
<strong>del</strong> f<strong>il</strong>m interamente in soggettiva, facendo sì che <strong>il</strong> punto di vista <strong>del</strong>lo spettatore aderisse a quello <strong>del</strong>la<br />
macchina da presa, e favorendo di conseguenza l’identificazione <strong>del</strong> pubblico con <strong>il</strong> protagonista Vincent<br />
Parry, un galeotto evaso dal carcere e ricercato dalla polizia.<br />
Per più di mezz’ora, dunque, Daves fornisce una prova di magistrale virtuosismo registico, ut<strong>il</strong>izzando una<br />
tecnica che, a Hollywood, era stata sperimentata soltanto pochi mesi prima (e con assai meno successo)<br />
per un’altra pellicola <strong>noir</strong>, “Una donna nel lago” di Robert Montgomery. Nel caso de “La fuga”, la lunghissima<br />
soggettiva iniziale non soltanto ha l’obiettivo di intensificare <strong>il</strong> coinvolgimento degli spettatori, ma<br />
risponde ad una precisa esigenza narrativa: Vincent Parry, infatti, è costretto a sottoporsi ad un’operazione<br />
di chirurgia plastica per cambiare i propri connotati e poter così sfuggire alla caccia all’uomo scatenata<br />
contro di lui. Nella parte centrale <strong>del</strong> f<strong>il</strong>m <strong>il</strong> protagonista compare sullo schermo ma con la faccia coperta<br />
dalle bende, e dovrà passare un’intera ora prima che <strong>il</strong> pubblico possa vedere per la prima volta <strong>il</strong> suo<br />
“nuovo” volto, vale a dire quello <strong>del</strong>l’attore Humphrey Bogart.<br />
La coraggiosa scommessa di Daves, che osò “nascondere” una star come Bogart per più di metà f<strong>il</strong>m, alla<br />
resa dei conti risultò però una scelta vincente: “La fuga” si presenta infatti come uno dei più formidab<strong>il</strong>i<br />
esempi <strong>del</strong> genere <strong>noir</strong>, tanto in virtù <strong>del</strong>la sua sorprendente impronta registica, quanto per la capacità di<br />
costruire una torbida atmosfera metropolitana intorno alle strade di San Francisco. L’opera di Daves riesce<br />
a tenere <strong>il</strong> pubblico con <strong>il</strong> fiato sospeso anche grazie ad una trama avvincente, in cui non mancano i colpi<br />
di scena, e soprattutto all’apporto di un cast azzeccatissimo: al fianco di Bogart troviamo per la terza volta<br />
sua moglie, l’affascinante ventiduenne Lauren Bacall (la coppia<br />
aveva da poco interpretato <strong>il</strong> capolavoro <strong>nero</strong> di Howard Hawks<br />
Il grande sonno), oltre ad un’eccezionale caratterista quale<br />
Agnes Moorehead, in grado di rubare la scena perfino a Bogey.<br />
Stefano Lo Verme<br />
IL REGISTA: DELMER DAVES<br />
Dopo essersi laureato in giurisprudenza ed aver recitato in teatro,<br />
entrò nel mondo <strong>del</strong> cinema nel 1927 come assistente di<br />
James Cruze. In seguito, lavorò a lungo come sceneggiatore per<br />
la MGM e la Warner e per registi come Leo McCarey, Archie<br />
Mayo e Frank Borzage.<br />
Nel 1938, si sposò con l’attrice Mary Lawrence che gli rimase<br />
accanto fino alla morte, avvenuta nel 1977. Nel 1943 l’esordio<br />
alla regia con Destinazione Tokio, f<strong>il</strong>m di guerra con Cary Grant<br />
e John Garfield. Scrivendo le sceneggiature di quasi tutti i suoi<br />
lavori, Daves caratterizzò le sue opere con un tono volto al<br />
melodramma, trattato in maniera onesta e robusta, dove spesso<br />
lo scontro al centro <strong>del</strong>la narrazione è quello tra bene e male, tra<br />
lealtà ed avidità.<br />
In questa prima fase <strong>del</strong>la sua carriera si distinguono due pellicole, entrambe <strong>del</strong> 1947: La casa rossa è un<br />
f<strong>il</strong>m insolito per l’epoca, uno psicodramma attraversato da un’incerta linea che separa la sessualità sana da<br />
quella malata ed è caratterizzato da un’interpretazione magistrale di Edward G. Robinson. La fuga invece<br />
è uno dei <strong>noir</strong> più memorab<strong>il</strong>i di quel periodo d’oro per <strong>il</strong> genere.<br />
Ma è con <strong>il</strong> western che Daves negli anni cinquanta ha scritto pagine memorab<strong>il</strong>i. Nell’arco <strong>del</strong> decennio<br />
ne girò ben nove. Subito <strong>il</strong> suo impatto col genere produsse <strong>il</strong> notevole L’amante indiana (1950) primo f<strong>il</strong>m<br />
di Hollywood in cui gli indiani non venivano trattati da selvaggi e che segnò la svolta nel modo in cui i<br />
nativi americano venivano visti dal cinema statunitense. Ottimi western furono anche Rullo di tamburi<br />
(1954), L’ultima carovana e Vento di terre lontane, entrambi <strong>del</strong> 1956. Nel 1957 girò Quel treno per Yuma,<br />
pellicola interpretata da Glenn Ford e Van Heflin che ebbe un grande successo di pubblico e di cui è stato<br />
fatto un remake nel 2007. Daves confermò la sua predisposizione per <strong>il</strong> genere con altre due pellicole girate<br />
nel 1958: Cowboy e Gli uomini <strong>del</strong>la terra selvaggia, una trasposizione nella frontiera di Giungla<br />
d’asfalto. Il suo ultimo f<strong>il</strong>m western è L’albero degli impiccati (1959), uno dei suoi migliori in assoluto,<br />
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In cui conta più l’atmosfera che l’azione che, come sua consuetudine, tende al melodramma.<br />
Del 1960 è Scandalo al sole, <strong>il</strong> suo più grande successo di pubblico. Una gran confezione che attirò spet-<br />
FILMOGRAFIA<br />
Destinazione Tokio, 1943<br />
C’è sempre un domani, 1945<br />
La casa rossa, 1947<br />
La fuga, 1947<br />
Aqu<strong>il</strong>e <strong>del</strong> mare, 1949<br />
L’amante indiana, 1950<br />
L’uccello di Paradiso, 1951<br />
Il figlio <strong>del</strong> Texas, 1952<br />
Arrivò l’alba, 1953<br />
Il tesoro <strong>del</strong> condor, 1953<br />
I gladiatori, 1954<br />
Rullo di tamburi, 1954<br />
L’ultima carovana, 1956<br />
45<br />
Vento di terre lontane, 1956<br />
Quel treno per Yuma, 1957<br />
Cenere sotto <strong>il</strong> sole, 1958<br />
Cowboy, 1958<br />
Gli uomini <strong>del</strong>la terra selvaggia, 1958<br />
L’albero degli impiccati, 1959<br />
Scandalo al sole, 1960<br />
Qualcosa che scotta, 1961<br />
Vento caldo, 1961<br />
Gli amanti devono imparare, 1962<br />
Quella nostra estate, 1963<br />
Scandalo in società, 1964<br />
Accadde un’estate, 1965
GIUNGLA D’ASFALTO<br />
(The Asphalt Jungle)<br />
Regia John Huston<br />
Sceneggiatura: Ben Maddow, John Huston<br />
Fotografia Harold Rosson<br />
Musica Miklós Rózsa<br />
Con Sterling Hayden, Sam Jaffe, Louis Calhern, Jean<br />
Hagen, Mar<strong>il</strong>yn Monroe, James Withmore, John McIntire,<br />
Marc LawrenceBarry Kelley.<br />
Produzione Usa<br />
Anno 1950<br />
Durata 112’<br />
Dal romanzo omonimo di W<strong>il</strong>liam R. Burnett<br />
LA TRAMA<br />
Una metropoli tentacolare, una giungla d'asfalto. Una<br />
banda di gangster che tenta un furto di gioielli su commissione<br />
di un vecchio avvocato in difficoltà economiche.<br />
Il colpo viene portato a termine, nonostante uno dei componenti<br />
<strong>del</strong> gruppo di rapinatori venga gravemente ferito. Ma <strong>il</strong><br />
miraggio effimero <strong>del</strong> denaro lascerà dietro di sé solo una lunga,<br />
tremenda scia di sangue.<br />
LA CRITICA<br />
Il primo f<strong>il</strong>m veramente notevole <strong>del</strong>l’XI Mostra cinematografica <strong>del</strong> Lido si è proiettato stasera. È una<br />
pellicola realizzata con poche idee, ma tutte chiaree in obbedienza a precetti estetici e tecnici di estrema<br />
severità; <strong>il</strong> suo timone è stato governato da un p<strong>il</strong>ota non rivoluzionario e, forse, nemmeno ispirato ma consapevole<br />
<strong>del</strong>la rotta. È diffic<strong>il</strong>e che <strong>il</strong> regista John Huston, stando a tutte le sue prove e specialmente a quest’ultima,<br />
navighi senza tener l’occhio al suo faro: da Il falcone maltese a Il tesoro <strong>del</strong>la Sierra Madre fino<br />
al f<strong>il</strong>m di questa sera, <strong>il</strong> suo lavoro si è fatto sempre più intenso e scavato, si è trattato sempre di un progresso.<br />
La sua pellicola nuova si chiama Asphalt Jungle. Devo dire subito che quello che mi è piaciuto meno è<br />
proprio la letteraria ambizione di attribuire sostanza e colore di simbolo alla vicenda, e questa ambizione<br />
è già denunciata dal titolo, che per giunta di asfalto intende, come è chiaro, la grande città moderna, in cui<br />
gli uomini si combattono, per contendersi i beni, con l’accanimento <strong>del</strong>le belve. Bastava assai meno per<br />
caratterizzare una intricata storia di <strong>del</strong>inquenza non molto dissim<strong>il</strong>e da cento altre raccontate dai f<strong>il</strong>m di<br />
Hollywood.<br />
[...]<br />
Asphalt Jungle non si limita a dare ai suoi ladri i caratteri somatici dei <strong>del</strong>inquenti, anzi in qualche caso<br />
non glieli dà affatto. Usare una brutta grinta per definire un disonesto è fac<strong>il</strong>e, come era fac<strong>il</strong>e al tempo di<br />
Shakespeare sostituire lo sfondo scenico con una scritta «bosco», oppure «castello». Huston ha adoperato<br />
visi di ogni giorno e di ogni angolo di strada; e ha caratterizzato gli uomini atribuendo loro impulsi e passioni<br />
comuni, buoni e cattivi insieme, come siamo tutti noi, impasto di peggio e di meglio. Si è servito, per<br />
questo, di attori non noti; tutti appartenenti alla schiera dei caratteristi, scelti uno per uno con acuto intuito,<br />
ciascuno magnificamente adatto al personaggio. Gli è stato fac<strong>il</strong>e, così, fare da regista e da psicologo<br />
al tempo stesso; e ha disegnato con credib<strong>il</strong>ità <strong>il</strong> tipo <strong>del</strong> farabutto astuto e insospettab<strong>il</strong>e, quello <strong>del</strong> fara-<br />
47
utto avventizio, piuttosto nauseato di sé, quello <strong>del</strong> farabutto entusiasta <strong>del</strong>l’avventura, e poi <strong>il</strong> pus<strong>il</strong>lanime,<br />
<strong>il</strong> temerario, <strong>il</strong> sorridente cinico. Non c’è, in comune, tra gli associati <strong>del</strong> <strong>del</strong>itto, che la cupidigia <strong>del</strong><br />
denaro; per <strong>il</strong> resto, ciascuno è un piccolo mondo, e un mondo chiaramente decifrab<strong>il</strong>e.<br />
Asphalt Jungle appatiene alla scuola, se scuola c’è, <strong>del</strong> verismo americano d’oggi; la città <strong>del</strong> f<strong>il</strong>m è senza<br />
nome, ma non senza volto. L’azione, spesso, conduce sulla strada, meno che nella prima parte a cui rimprovero<br />
l’eccessiva prolissità dei dialoghi. Non è sempre azione serrata, ma in certi episodi <strong>il</strong> suo traliccio<br />
è fittissimo, e anche questo è un difetto <strong>del</strong> f<strong>il</strong>m, <strong>il</strong> divario netto di intensità fra brano e brano. La sequenza<br />
introduttiva è ammirab<strong>il</strong>e: un uomo seguito dalla polizia che si nasconde dietro le colonne di un porticato.<br />
Ammirab<strong>il</strong>e, per sostenutezza drammatica, tutto l’episodio <strong>del</strong>l’assalto alla cassaforte; e perfettamente<br />
azzeccata la sequenza <strong>del</strong> caffé, dove <strong>il</strong> caporione <strong>del</strong>la banda che porta con sé i gioielli, si lascai catturare<br />
solo perché la sua ossessione erotica lo ha fatto indugiare nella contemplazione di una giovane sgualdrinella<br />
che balla. [...]<br />
Arturo Lanocita, 24 agosto 1950 (da Venezia)<br />
La critica <strong>del</strong>l’epoca considerò l’opera di Huston come un f<strong>il</strong>m di serie B, ma l’aderenza ai costumi<br />
<strong>del</strong>l’America <strong>del</strong> tempo, <strong>il</strong> ritmo perfetto, le originali soluzioni registiche ne fanno un vero e proprio capolavoro.<br />
Giungla d’asfalto - paradigma <strong>del</strong> «caper f<strong>il</strong>m» e importante mo<strong>del</strong>lo per una lunga serie di pellicole,<br />
tutte sv<strong>il</strong>uppate attorno al tema <strong>del</strong>la rapina - è un’opera fondamentale per <strong>il</strong> genere, un «classico atipico»,<br />
soprattutto per la prospettiva corale.<br />
[...]<br />
Nel f<strong>il</strong>m Huston mostra i frutti peggiori <strong>del</strong>la società: un avvocato e un poliziotto corrotti, un allibratore<br />
senza scrupoli, uno scassinatore di professione e una ninfetta arrivista, tutti personaggi nati dalla penna di<br />
W<strong>il</strong>liam R. Burnett, sullo sfondo di una metropoli governata dal denaro. Uomini e donne destinati a soccombere<br />
alle leggi <strong>del</strong>la giungla d’asfalto, anche perchè incapaci di vivere a pieno la dimensione criminale,<br />
perrseguendo in fondo i sogni di gente comune. ne scaturisce un ritratto crudo <strong>del</strong>la malavita, dove i<br />
personaggi, nell’originale intreccio esaltato da un ritmo incalzante, svelano la complessità <strong>del</strong> loro mondo<br />
interiore.<br />
Gabriele Lucci. Noir. Dizionari <strong>del</strong> Cinema. Electa, 2006<br />
[...] Giungla d’asfalto non si concentra solo sulla rapina ma anche sulla vita privata dei membri <strong>del</strong>la<br />
banda, resi in maniera dettagliata attraverso i dialoghi e la fotografia. Huston fa funzionare da esperto un<br />
insieme di ottimi atori, tra cui<br />
Mar<strong>il</strong>yn Monroe che, in uno<br />
dei suoi primi ruoli importanti,<br />
interpreta la pupa svampita<br />
di un vecchio signore.<br />
Come nella maggior parte dei<br />
f<strong>il</strong>m di Huston, l’enfasi tematica<br />
è sulle gioie e sui dispiaceri<br />
dei legami masch<strong>il</strong>i, con<br />
i criminali, inevitab<strong>il</strong>mente<br />
sconfitti dalla legge – e dalla<br />
loro stessa debolezza – resi<br />
quasi eroici. Il capo <strong>del</strong>la<br />
banda Doc Riedenschneider<br />
(Sam Jaffe) viene catturato<br />
perché si ferma in un bar a<br />
guardare una bellissima<br />
ragazza che balla davanti a<br />
un juke-box e <strong>il</strong> duro Dix<br />
(Sterling Hayden) muore dissanguato<br />
mentre tenta di tor-<br />
48
nare al suo paese tra i cavalli che ama. Nei f<strong>il</strong>m questi elementi drammatici si affiancano in modo interessante<br />
alla cupa rappresentazione <strong>del</strong>l’alienazione, <strong>del</strong> tradimento e <strong>del</strong>la psicosi sociale.<br />
R. Barton Palmer, in 1001 f<strong>il</strong>m - I capolavori <strong>del</strong> cinema mondiale, a cura di Steven Jay Schneider.<br />
Atlante, 2008<br />
Probab<strong>il</strong>mente <strong>il</strong> miglior f<strong>il</strong>m di gangster mai realizzato, cinematograficamente perfetto. Una visione livida<br />
e lucida di una comunità di emarginati, che ha un suo codice e che accetta la propria esistenza senza<br />
<strong>il</strong>lusioni. Ogni personaggio ha una logica, anche <strong>il</strong> più marginale, nel disegno corale di una società che <strong>il</strong><br />
regista mostra senza <strong>il</strong> fastidioso realismo poetico di stampo francese. Persino <strong>il</strong> personaggio <strong>del</strong> «professore»,<br />
<strong>il</strong> cervello <strong>del</strong>la banda, è disegnato con precisione e senza coloriture dal grande caratterista Sam<br />
Jaffe. La perfetta esecuzione tecnica è dovuta probab<strong>il</strong>mente, oltre che al talento di Huston, al fatto che a<br />
produrre <strong>il</strong> f<strong>il</strong>m fosse la M.G.M, garante di una professionalità spesso travisata e giudicata un limite, senza<br />
la quale si può essere geni quanto si vuole, ma si finisce irrimediab<strong>il</strong>mente nella sciateria. Quasi sempre.<br />
Un f<strong>il</strong>m d’autore resta sempre tale, purché non si abbia la pretesa che ogni essere vivente abbia l’obbligo<br />
morale di assistervi e compiacersene. Giungla d’asfalto è un raro esempio di impegno artistico e professionale<br />
in perfetto equ<strong>il</strong>ibrio di valori. Uno stuolo di caratteristi, quali solo <strong>il</strong> cinema americano è in grado<br />
di sfornare, compongono la galleria di vincitori e vinti. Un gioco <strong>del</strong>le parti non privo di romanticismo,<br />
quello autentico, che scaturisce dalla mancanza di ferocia; un elemento ben presente nella società odierna.<br />
Sterling Hayden, che in seguito confermerà di essere come attore un perdente di successo, nel ruolo di Dix<br />
Handley ha una ruvidezza che nulla aveva a che fare con lo star system di allora. Né gli è da meno l’elegante<br />
e fatalista Louis Calhern, nel ruolo <strong>del</strong>l’avvocato. E Mar<strong>il</strong>yn Monroe è inconsapevolmente la perfetta<br />
incarnazione di tutti i personaggi che avrebbe interpretato in seguito.<br />
www.mymovies.it<br />
John Huston, fra i nuovi registi americani, è dei più notevoli. Il tesoro <strong>del</strong>la Sierra Madre, apparso alla<br />
Mostra <strong>del</strong>l’anno scorso, era più che una promessa; ora Giungla d’asfalto ci dà un saggio di regia matura,<br />
compiuta, sapiente. Ma bisogna che c’intendiamo su questa benedetta parola: regia. Se vuol dire dominio<br />
degli attori e di tutti gli altri elementi <strong>del</strong> quadro, se vuol dire sagacia di scorci, ab<strong>il</strong>e uso <strong>del</strong> particolare<br />
essenziale; se vuol dire coerenza di toni, e particolare ab<strong>il</strong>ità nel dare <strong>il</strong> dovuto sv<strong>il</strong>uppo e un compiuto<br />
r<strong>il</strong>ievo a questo o a quell’episodio; ebbene, allora l’Huston è davvero molto innanzi, non gli rimane certo<br />
molto da imparare. Ma se regista è l’autore <strong>del</strong> f<strong>il</strong>m, <strong>il</strong> vero unico autore; se <strong>il</strong> suo f<strong>il</strong>m deve allora avere<br />
(e comunicarci) una sua convinzione profonda con una sua sentita, inconfondib<strong>il</strong>e umanità; se <strong>il</strong> suo f<strong>il</strong>m,<br />
insomma, deve dirci una sua parola; allora la più vera fisionomia <strong>del</strong>l’Huston, anche in Giungla d’asfalto,<br />
sì e no la si intravvede; e bisognerà ancora attendere le opere che seguiranno. La giungla d’asfalto è una<br />
metropoli <strong>del</strong> Midwest, vista nella sua fauna più feroce: ricattatori, ladri, assassini. La giungla è <strong>il</strong> <strong>del</strong>itto.<br />
Ora l’Huston ha una sua tesi pred<strong>il</strong>etta: che <strong>il</strong> denaro corrompe, degrada, fa <strong>del</strong>l’uomo soltanto un animale<br />
alla perpetua e disperata ricerca di una<br />
preda. Tesi molto apprezzab<strong>il</strong>e, anche se<br />
non inedita; ma un artista può ravvivare<br />
qualsiasi tesi, pur che ce la imponga facendocela<br />
dimenticare nella vitalità dei caratteri<br />
che rappresenta e dei drammi che da<br />
quelli devono essere sofferti. Giungla<br />
d’asfalto è invece un f<strong>il</strong>m gelido. Questi<br />
bruti e quasi bruti sono già, all’inizio, infognati;<br />
e tali resteranno fino al loro miserevole<br />
ep<strong>il</strong>ogo, l’arresto, la morte. Questo<br />
gelo potrebbe essere apparente, potrebbe<br />
cioè lasciar intravvedere una pensosa<br />
pietà; ma qui la freddezza per la freddezza<br />
vuol essere uno st<strong>il</strong>e; e spesso si risolve in<br />
un’umana (e quindi disumana) indifferen-<br />
49
za. Il f<strong>il</strong>m diventa allora, nelle sue parecchie parti riuscite, un f<strong>il</strong>m di gangsters composto con una cauta<br />
ab<strong>il</strong>ità talvolta eccezionale; e non per nulla la pagina migliore è nell’episodio <strong>del</strong>l’assalto con la fiamma<br />
ossidrica, alla cassaforte di un grosso gioielliere. E’ una pagina ritmata con una calma, con un tecnicismo<br />
da malavita, con una secchezza professionale davvero impressionanti; e tale da rasentare quasi <strong>il</strong> ricostruito<br />
documento. Per <strong>il</strong> resto, a parte una prolissità dialogica davvero eccessiva, la sorte di questo losco avvocato<br />
che organizza tra le quinte <strong>il</strong> furto, e alla fine, scoperto, si suiciderà; la sorte di Brennon, suo compare,<br />
che viene ucciso da chi dovrebbe essergli complice; e la morte di Handley, in seguito al riaprirsi di una<br />
ferita che aveva dovuto subire da Brennon: tutto ciò è ben congegnato, ha una sua evidenza, ma sempre<br />
predisposta e voluta malgrado l’ottima interpretazione di Sterling Hayden, Jea Hagen e Sam Jaffe.<br />
Mario Gromo, La Stampa, 24 agosto 1950<br />
RICONOSCIMENTI<br />
Il f<strong>il</strong>m ha ricevuto quattro nomination ai Premi Oscar 1951 e tre nomination ai Golden Globe 1951;<br />
Nel 1950 <strong>il</strong> National Board of Review of Motion Pictures l’ha inserito nella lista dei migliori dieci f<strong>il</strong>m <strong>del</strong>l’anno<br />
e ha premiato Huston come miglio regista;<br />
Nel 2008 è stato scelto per essere conservato nel National F<strong>il</strong>m Registry <strong>del</strong>la Biblioteca <strong>del</strong> Congresso<br />
degli Stati Uniti.<br />
IL REGISTA: JOHN HUSTON<br />
Nasce nel 1906 nel Montana e muore a Middletown, cittadina<br />
<strong>del</strong> piccolo stato di Rhode Island, nel 1987, lasciandoci in eredità<br />
una gran quantità di pellicole che hanno fatto la storia <strong>del</strong><br />
cinema di svariate epoche.<br />
A Hollywood giunge dopo aver intrapreso numerosi e svariatimestieri:<br />
pug<strong>il</strong>e, attore, ufficiale di cavalleria in Messico. Nel<br />
mondo <strong>del</strong> cinema, dopo anni di lavoro dietro le quinte come<br />
sceneggiatore, viene consacrato con <strong>il</strong> suo primo lungometraggio:<br />
Il mistero <strong>del</strong> falco (The Maltese Falcon, 1941), tratto da<br />
Dashiell Hammet e fra i capisaldi <strong>del</strong> cinema <strong>noir</strong> classico americano.<br />
La carriera di Huston fu contraddistinta sempre da una forte originalità<br />
che hanno sempre reso diffic<strong>il</strong>e collocarlo all’interno<br />
dei confini di uno st<strong>il</strong>e o di un genere. Non mancarono i<br />
momenti diffic<strong>il</strong>i, come quando la critica prese un sonosro<br />
abbaglio recensendo negativamente <strong>il</strong> suo Moby Dick (1956).<br />
Huston, senza ombra di dubbio, va considerato come uno dei<br />
più importanti e geniali registi <strong>del</strong>la generazione degli anni ’40,<br />
pur adattandosi spesso, per denaro, a realizzare copioni che, apparentemente non fanno parte <strong>del</strong> suo repertorio.<br />
Purtuttavia, anche in questi casi, Huston riesce a proporre un risultato finale di tutto rispetto.<br />
Durante la seconda guerra mondiale, così come <strong>il</strong> collega John Ford, si mette al servizio <strong>del</strong>l’esercito per<br />
realizzare documenatari destinati alle truppe, anche se poi <strong>il</strong> suo Fate luce (Let There Be Light) sui danni<br />
psichici procurati dalla guerra, viene censurato e ritirato dalle autorità m<strong>il</strong>itari.<br />
Senza attendere la fine <strong>del</strong> conflitto, Huston ritorna al cinema di finzione realizzando Agguato ai tropici<br />
(Across The Pacific, 1944) e ripronendo la coppia di protagonisti, Bogart e Astor, già ammirata nel<br />
Falcone.<br />
A seguire verranno altri successi quali Il tesoro <strong>del</strong>la Sierra Madre (The Treasure of the Sierra Madre,<br />
1948), L’isola di corallo (Key Largo, 1948), La regina d’Africa (The African Queen, 1952), tutti con<br />
Humphrey Bogart come protagonista, oltre a Giungla d’asfalto (The Asphalt Jungle, 1950) con un efficacissimo<br />
Sterling Hayden come interprete principale.<br />
Fra i tratti distintivi <strong>del</strong> cinema di Huston c’è la raffigurazipne <strong>del</strong> personaggio, l’anti-eroe che per tutta la<br />
vita tenta di perseguire <strong>il</strong> proprio scopo e, spesso, perisce nel tentativo di raggiungerlo. Inoltre, nel ciname<br />
di Huston, si percepisce la volontà di analizzare la psiche umana, nel momento in cui è in b<strong>il</strong>ico fra paura<br />
50
e coraggio, fra la volonta di compiere un gesto e la consapevolezza <strong>del</strong>le possib<strong>il</strong>i conseguenze, come ben<br />
si percepisce in La prova <strong>del</strong> fuoco (Badge of Courage, 1951), dedicato al “coraggio di avere paura”. A<br />
causa di questo f<strong>il</strong>m, Huston venne sottoposto a ostracismo e, addirittura, sottoposto a indagine da parte<br />
<strong>del</strong>la Commissione <strong>del</strong> Congresso. Per tali motivi emigrò in Europa dove realizò opere disuguali ma dotate<br />
comunque sempre di originalità (Moulin Rouge (1952), <strong>il</strong> già citato Moby Dick, Il tesoro <strong>del</strong>l’Africa<br />
(Beat The Dev<strong>il</strong>, 1953) con la coppia Bogart – Katharine Hepburn.<br />
Tornato in America realizza, nel 1961, lo splendido Gli spostati (The Mistfits), splendida elegia sul declino<br />
<strong>del</strong>l’uomo con protagonisti, entrambi all’ultimo f<strong>il</strong>m, i commoventi Clark Gable e Mar<strong>il</strong>yn Monroe.<br />
Nei decenni seguenti Huston si cimenterà ancora con tematiche le più disparate. La psicoanalisi con Freud,<br />
passioni segrete (Freud, 1962) e La notte <strong>del</strong>l’iguana (The Night of The Iguana, 1964) ; religiose:La<br />
Bibbia (The Bible, 1966) dove, fra l’altro, si ritaglia <strong>il</strong> personaggio di Noé; di spionaggio realizzando alcune<br />
scene di un f<strong>il</strong>m parodistico su James Bond: Casinò Royal (James Bond 007 - Casinò Royal, 1967);<br />
l’omosessualità in ambiente m<strong>il</strong>itare con Riflessi in un occhio d’oro (Reflections In A Golden Eye, 1967);<br />
lo sport con lo splendido Città amara (Fat City, 1972) sulle <strong>il</strong>lusioni e la disperazione di un ex pug<strong>il</strong>e.<br />
In vecchiaia Huston non diradò i suoi lavori, anzi, Numerose opere realizzate negli anni ’70 e ’80 sono la<br />
testimonianza di una vitalità e un entusiasmo intatto. Fra queste spiccano Sotto <strong>il</strong> vulcano (Under The<br />
Volcano, 1984) e L’onore dei Prizzi (Prizzi’s Honour, 1985).<br />
Oltre che come regista, John Huston lo si ricorda per alcune magistrali prove attoriali. Oltre <strong>il</strong> Noè <strong>del</strong>la<br />
Bibbia, ricordiamo la straordinaria caratterizzazione <strong>del</strong> vecchio capo famiglia in Chinatown (1974) di<br />
Roman Polanski. Sino a quando, nel 1987, realizza, in collaborazione con <strong>il</strong> figlio Tony che ne cura la sceneggiatura,<br />
<strong>il</strong> suo ultimo f<strong>il</strong>m, nonché <strong>il</strong> suo ultimo capolavoro, The Dead – Gente di Dublino (The Dead),<br />
tratto da James Joyce e interpretato dalla figlia Anjelica: “ una storia di grande semplicità che evita tutti gli<br />
stereotipi <strong>del</strong> suo genere: un pranzo post-natalizio nell’Irlanda <strong>del</strong> 1904 tra amici <strong>del</strong>la buona società di<br />
Dublino - con oche arrosto, canti e discorsetti - sfocia in una inaspettata rivelazione e in una tormentata<br />
analisi <strong>del</strong>le varietà <strong>del</strong>l’amore. Piccolo, grande f<strong>il</strong>m mozartiano per armonia, funzionalità <strong>del</strong>le parti,<br />
musicale capacità di esprimere le ambiguità e la complessità <strong>del</strong>la vita. Struggente atto di congedo di<br />
Huston che morì pochi mesi dopo, ateo che amava religiosamente la vita e gli uomini” (M. Morandini, Il<br />
Morandini, dizionario <strong>del</strong> cinema).<br />
FILMOGRAFIA<br />
Il mistero <strong>del</strong> falco, 1941<br />
In questa nostra vita, 1942<br />
Agguato ai tropici, 1942<br />
Report for the Aleutians (doc.), 1943<br />
Let There Be Light (doc.), 1946<br />
Il tesoro <strong>del</strong>la Sierra Madre, 1948<br />
L’isola di corallo, 1948<br />
Stanotte sorgerà <strong>il</strong> sole, 1949<br />
Giungla d’asfalto, 1950<br />
La prova <strong>del</strong> fuoco, 1951<br />
La regina d’Africa, 1951<br />
Moulin Rouge, 1952<br />
Moby Dick, la balena bianca, 1956<br />
L’anima e la carne, 1957<br />
Il barbaro e la geisha, 1958<br />
Le radici <strong>del</strong> cielo, 1958<br />
Gli inesorab<strong>il</strong>i, 1960<br />
Gli spostati, 1961<br />
Freud, passioni segrete, 1962<br />
51<br />
I cinque volti <strong>del</strong>l’assassino, 1963<br />
La notte <strong>del</strong>l’Iguana, 1964<br />
La Bibbia, 1966<br />
James Bond 007 – Casinò Royal (scene), 1967<br />
Riflessi in un occhio d’oro, 1967<br />
La forca puà attendere, 1969<br />
Di pari passo con l’amore e la morte, 1969<br />
Lettere al Kremlino, 1970<br />
Città amara, 1972<br />
L’uomo dai sette capestri, 1972<br />
L’agene speciale McIntosh, 1973<br />
L’uomo che volle farsi re, 1975<br />
La saggezza nel sangue, 1979<br />
Fobia, 1980<br />
Fuga per la vittoria, 1981<br />
Annie, 1982<br />
Sotto <strong>il</strong> vulcano, 1984<br />
L’onore dei Prizzi, 1985<br />
The Dead – Gente di Dublino, 1987
L’INFERNALE QUINLAN<br />
(Touch of Ev<strong>il</strong>)<br />
Regia Orson Welles<br />
Sceneggiatura Orson Welles<br />
Fotografia Russelll Metty<br />
Musica Henry Mancini<br />
Con Charlton Heston, Janet Leigh, Orson Welles,<br />
Marlene Dietrich, Zsa Zsa Gabor, Joseph Calleia,<br />
Akim Tamiroff, Joanna Moore, Ray Collins<br />
Produzione Usa<br />
Anno 1958<br />
Durata 112’<br />
Dal romanzo di Whit Masterson Contro tutti<br />
LA TRAMA<br />
Vargas, un poliziotto messicano <strong>del</strong>la Commissione<br />
antidroga panamericana, in viaggio di nozze in<br />
California con la moglie americana, assiste alla frontiera a un attentato contro <strong>il</strong> più potente e<br />
ricco esponente <strong>del</strong>la zona. Vargas decide di occuparsi <strong>del</strong> caso ma si scontra con <strong>il</strong> capitano Hank<br />
Quinlan, ottimo poliziotto ma dall'etica assai dubbia perché si considera al di sopra <strong>del</strong>la legge.<br />
LA CRITICA<br />
[...] Una serie di scene coraggiose e complesse hanno procurato a L’infernale Quinlan la sua reputazione<br />
di epitaffio <strong>del</strong> cinema <strong>noir</strong>, con Welles che ne esagera platealmente gli elementi st<strong>il</strong>istici mentre raggiunge<br />
l’iperrealismo con la fotografia tagliente in bianco e <strong>nero</strong> di Russel Means e la colonna sonora che<br />
mescola musica latina, jazz e rock ‘n’ roll di Henry Mancini. Linseguimento finale è un <strong>del</strong>irio di immagini<br />
scoppiettanti, effetti sonori sperimentali e rovina incombente.<br />
A Welles non piacque <strong>il</strong> montaggio <strong>del</strong>la Universal e nel 1998 è stato eseguito un meticoloso restauro sulla<br />
base dei suoi appunti. Qualunque sia la versione, L’infernale Quinlan resta un capolavoro superbo ed<br />
eccentrico di tecnica, immaginazione e audacia.<br />
Angela Errigo, in 1001 f<strong>il</strong>m - I capolavori <strong>del</strong> cinema mondiale, a cura di Steven Jay Schneider.<br />
Atlante, 2008<br />
Si potrebbe anche togliere <strong>il</strong> nome di Orson Welles dai titoli di testa e non avrebbe nessuna importanza perché<br />
fin dalla prima inquadratura, proprio quella dei titoli di testa, è evidente che <strong>il</strong> cittadino Kane è dietro<br />
la macchina da presa.<br />
[...] Orson Welles ha adattato per lo schermo un pietoso romanzetto poliziesco, Badge of ev<strong>il</strong>e, semplificando<br />
all’estremo l’intreccio criminale fino a farlo coincidere con <strong>il</strong> suo canovaccio preferito: <strong>il</strong> ritratto di<br />
un mostro paradossale, interpretato da lui, a favore <strong>del</strong> quale viene <strong>del</strong>ineata la più semplice <strong>del</strong>le morali,<br />
quella <strong>del</strong>l’assoluto e <strong>del</strong>la purezza degli assoluti. Geniuo capriccioso, Orson Welles tira acqua al suo mulino<br />
e sembra dirci francamente: mi scuso di essere un farabutto, non è colpa mia se sono un genio, muoio,<br />
amatemi.<br />
[...] È un f<strong>il</strong>m magico che ci fa pensare ai racconti di fate: la Bella e la Bestia, Pollicino, le fiabe di La<br />
Fontaine. È un f<strong>il</strong>m che un po’ ci um<strong>il</strong>ia perché è <strong>il</strong> f<strong>il</strong>m di un uomo che pensa molto più in fretta di noi,<br />
molto meglio e che ci getta in faccia un’immagine meravigliosa mentre siamo ancora abbagliati dalla precedente.<br />
Di qui, questa rapidità, questa vertigine, questa accelerazione, questa ebbrezza.<br />
53
Che ci resti almeno abbastanza gusto, sensib<strong>il</strong>ità e intuizione per ammettere che è grande e che è bello. Se<br />
dei colleghi critici si mettessero in mente di cercare prove contro questo f<strong>il</strong>m che è in tutta evidenza arte<br />
e nient’altro, asisteremmo allo spettacolo grottesco dei l<strong>il</strong>lipuziani che criticano Gulliver.<br />
François Truffaut (1958). In I f<strong>il</strong>m <strong>del</strong>la mia vita. Mars<strong>il</strong>io, 1978<br />
Aperto dal piano sequenza più famoso <strong>del</strong>la storia <strong>del</strong> cinema, chiuso dall’enorme corpo di Welles che<br />
galleggia nel fiume e dalla battuta <strong>del</strong>la chiromante Tanya, la sprezzante Marlene Dietrich («Era uno<br />
sporco poliziotto, ma a suo modo era anche un grand’uomo»), ritorna <strong>il</strong> f<strong>il</strong>m diretto da Welles nel 1958.<br />
Contrastato dalla Universal che lo produsse, in parte tagliato, in parte edulcorato con alcuni inserti narrativi,<br />
oggi riportato alla versione voluta dall’autore, sulla base <strong>del</strong>le sue note di lavorazione.<br />
L’impatto <strong>del</strong> f<strong>il</strong>m è comunque sconvolgente: un thr<strong>il</strong>ler dove la politica sporca si impasta con le perversioni<br />
personali e collettive, dove l’eroe è un poliziotto obeso e bacato, che però conserva una sua grandezza<br />
rispetto al piccolo taccheggio <strong>del</strong> sottobosco che lo circonda. Un f<strong>il</strong>m oppresso da soffitti e pareti,<br />
da un cielo messicano che pesa tragicamente, dal taglio sghembo <strong>del</strong>le inquadrature, dalle deformazioni<br />
<strong>del</strong>la macchina da presa. Quinlan è <strong>il</strong> male nel suo patetico disorientamento; Vargas, per quanto faccia, è<br />
troppo sano per strappargli <strong>il</strong> suo scettro d’ombra. Segnato dall’ambiguità, come i capolavori moderni.<br />
Emanuela Martini, F<strong>il</strong>mTv, n. 20/1999<br />
[...] Welles parla con eloquenza vertiginosa, dando soluzioni di ge<strong>nero</strong>sa ed ampollosa genialità ad ogni<br />
problema di espressione; <strong>il</strong> contrasto <strong>del</strong>le luci, le alterate dimensioni, i rapporti imprevisiti fra cose e figure,<br />
tutto quel suo disegnare titanico, fra michelangiolesco e davidiano, ripetono <strong>il</strong> Welles che conosciamo<br />
e si oppongono al cinema di ogni giorno. Welles ha estimatori entusiasti e detrattori aspri; Quinlan conforterà<br />
quelli e questi. Per conto nostro reputiamo che la sua voce, per stentorea che sia, vada ascoltata, e che<br />
i suoi f<strong>il</strong>m, questo compreso, appartenenti all’oratoria da comizio, abbiano una giustificazione sul piano<br />
<strong>del</strong>l’arte, nel reparto curiosità intelligenti. [...]<br />
Arturo Lanocita, 8 ottobre 1958<br />
RICONOSCIMENTI<br />
Nel 1993 è stato scelto per essere conservato nel National F<strong>il</strong>m Registry <strong>del</strong>la Biblioteca <strong>del</strong> Congresso<br />
degli Stati Uniti.<br />
IL REGISTA: ORSON WELLES<br />
Nasce nel Wisconsin nel 1915 e muore a Los Angeles nel 1985. Sin da bambino manifesta interessa per<br />
la messinscena e, rimasto orfano di entrambi i genitori, a 16 anni fa le sue prime esperienza atoriali in<br />
Irlanda. Dopo svariate esperienze teatrali sia in Europa, sia in America, a 23 anni realizza per la CBS <strong>il</strong><br />
programma The Mercury Theatre on the Air, <strong>il</strong> programma radiofonico in cui presenta, ogni settimana, un<br />
classico <strong>del</strong>la letteratura adattato per la radio. Fra questi l’ormai famosissima Guerra dei mondi, da H.G.<br />
Wells, in cui Welles riesce a far credere in diretta all’America di essere invasa dai marziani.<br />
54
Nel 1941 realizza la sua prima, famosa pellicola<br />
Citizen Kane (Quarto potere). Il f<strong>il</strong>m rappresenta un<br />
mutamento drastico <strong>del</strong> concetto di fare cinema,<br />
anche se suscita discussioni per alcuni riferimentio al<br />
magnate <strong>del</strong>la stampa Randolph Hearst, nella figura<br />
<strong>del</strong> <strong>del</strong> personaggio chiave <strong>del</strong>la storia, Charles<br />
Foster Kane, interpretato dallo stesso Welles. Il f<strong>il</strong>m<br />
fu un fiasco al botteghino. Ciò indusse la RKO a<br />
licenziare Welles mentre stava girando in America<br />
latina It’s All True, 1942.<br />
Tuttavia nello stesso anno esce la sua opera seconda,<br />
L’orgoglio degli Amberson (The Magnificent<br />
Amberson), che verrà contestato dal regista per le<br />
modifiche apportate dalla casa prodruttrice nel<br />
momento <strong>del</strong> montaggio. È un f<strong>il</strong>m, quest’ultimo, che<br />
permette a Welles di descrivere la decadenza <strong>del</strong><br />
capitalismo latifondista <strong>del</strong>la fine <strong>del</strong> XIX secolo.<br />
Dopo la guerra, ceduta a Chaplin l’idea per Monsieur<br />
Verdoux, realizza, nel 1946 Lo straniero (The<br />
Stranger) e, nel 1948, La signora di Shanghai, f<strong>il</strong>m <strong>noir</strong> con l’allora moglie Rita Hayworth che entusiasma<br />
la critica ma lascia freddo <strong>il</strong> pubblico. Nello stesso anno inizia a realizzare f<strong>il</strong>m tratti dalle opere di<br />
W<strong>il</strong>liam Shakespeare: Macbeth, 1948 e Othello,1952.<br />
Mal visto dal sistema cinematografico sia americano, sia europeo, Welles riesce a realizzare a fatica, nel<br />
1955 Rapporto confidenziale (Confidential Report).<br />
In Europa Welles tornerà per realizzare, nel 1958, Touch of Ev<strong>il</strong> (L’infernale Quinlan), adattando un mediocre<br />
poliziesco di Whit Masterson, giocando a confondere bene e male, morale ed etica.<br />
Oltre che regista, Welles è stato anche un grande attore. Oltre che interprete dei suoi f<strong>il</strong>m lo ricordiamo in<br />
Il terzo uomo (The Third Man, 1949) di Carol Reed; nel Moby Dick di John Huston (1956). Nel 1963 rifà<br />
istrionicamento <strong>il</strong> verso a se stesso nello splendido cortometraggio di Pier Paolo Pasolini La ricotta, contenuto<br />
nel f<strong>il</strong>m collettivo RoGoPaG, mentre nel 1970 lo ritroviamo folle generale in Comma 22 (Catch 22)<br />
di Mike Nichols.<br />
Nel 1975 tornerà negli Usa, dopo 30 anni di assenza. L’American F<strong>il</strong>m Institute gli assegnerà un premio<br />
alla carriera, mentre nel 1984 <strong>il</strong> Directors Gu<strong>il</strong>d of America, gli conferirà <strong>il</strong> premio Griffith. Si tratta di piccoli,<br />
ster<strong>il</strong>i tentativi di risarcimento per uno dei più geniali e, allo stesso tempo incompresi, registi cinematografici<br />
di tutti i tempi.<br />
FILMOGRAFIA<br />
The Hearts of Age,1936<br />
Quarto potere, 1941<br />
Terrore sul Mar Nero (con Norman Foster),1942<br />
Lo straniero, 1946<br />
Macbeth, 1948<br />
La signora di Shanghai, 1948<br />
Othello, 1952<br />
Mr. Arkadin – Rapporto confidenziale, 1955<br />
55<br />
L’infernale Quinlan, 1958<br />
Il processo, 1963<br />
Nella terra di Don Chisciotte (doc.), 1964<br />
Falstaff, 1966<br />
Storia immortale, 1968<br />
F come Falso – Verità e menzogna, 1975<br />
F<strong>il</strong>ming Othello, 1978<br />
Don Quixote, 1992
FILMOGRAFIA<br />
Le notti di Chicago. Josef Von Sternberg, Usa, 1927<br />
Nemico pubblico. W<strong>il</strong>liam A. Wellman, Usa, 1931<br />
Piccolo Cesare. Mervin LeRoy, Usa, 1931<br />
Scarface. Howard Hawks, Usa, 1932<br />
Vendetta. Mervin LeRoy, Usa, 1937<br />
L’angelo <strong>del</strong> male. Jean Re<strong>noir</strong>, Usa, 1938<br />
Sono innocente. Fritz Lang, Usa, 1938<br />
Rebecca la prima moglie. Alfred Hitchcock, Usa, 1940<br />
Lo sconosciuto <strong>del</strong> terzo piano. Boris Ingster, Usa, 1940<br />
Il falcone maltese. John Huston , Usa, 1941<br />
Una pallottola per Roy. Raoul Walsh, Usa, 1941<br />
La chiave di vetro. Stuart Heisler, Usa, 1942<br />
L’ombra <strong>del</strong> dubbio. Alfred Hitchcock, Usa, 1943<br />
L’uomo leopardo. Jacques Tourneur, Usa, 1943<br />
Angoscia. George Cukor, Usa, 1944<br />
La donna <strong>del</strong> ritratto. Fritz Lang, Usa, 1944<br />
La donna fantasma. Robert Siodmak, Usa, 1944<br />
La fiamma <strong>del</strong> peccato. B<strong>il</strong>ly W<strong>il</strong>der, Usa, 1944<br />
L’ombra <strong>del</strong> passato. Edward Dmytrik, Usa, 1944<br />
Vertigine. Otto Preminger, Usa, 1944<br />
Un angelo è caduto. Otto Preminger, Usa, 1945<br />
Detour – Deviazione per l’inferno. Edgar G. Ulmer, Usa, 1945<br />
Femmina folle. John M. Stahl. Usa, 1945<br />
G<strong>il</strong>da. George Cukor, Usa, 1945<br />
La strada scarlatta. Fritz Lang, Usa, 1945<br />
L’angelo <strong>nero</strong>. Roy W<strong>il</strong>lim Ne<strong>il</strong>l, Usa, 1946<br />
Il bandito senza nome. Joseph L. Mankiewicz, Usa, 1946<br />
La dalia azzurra. George Marshall, Usa, 1946<br />
Una donna nel lago. Robert Montgomery, Usa, 1946<br />
I gangsters. Robert Siodmak, Usa, 1946<br />
Il grande sonno. Howard Hawks, Usa, 1946<br />
Notorius, l’amante perduta. Alfred Hitchcok, Usa, 1946<br />
Il postino suona sempre due volte. Tay Garnett, Usa, 1946<br />
La scala a chiocciola. Robert Siodmak, Usa, 1946<br />
Lo strano amore di Marta Ivens. Lewis M<strong>il</strong>estone, Usa, 1946<br />
Angoscia nella notte. Maxwell Shane, Usa, 1947<br />
Anima e corpo. Robert Rossen, Usa, 1947.<br />
Il bacio <strong>del</strong>la morte. Henry Hathaway, Usa, 1947<br />
Le catene <strong>del</strong>la colpa. Jacques Tourner, Usa, 1947<br />
Legittima difesa. Henri-Georges Clouzot, Francia, 1947<br />
La fuga. Dalmer Daves, Usa, 1947<br />
Odio implacab<strong>il</strong>e. Edward Dmytrik, Usa, 1947<br />
Solo chi cade può risorgere. John Cromwell. Usa, 1947<br />
Chiamate Nord 777. Henry Hathaway, Usa, 1948<br />
La città nuda. Jules Dassin, Usa, 1948<br />
57<br />
Le forze <strong>del</strong> male. Abraham Polonsky, Usa, 1948<br />
Tragedia a Santa Monica. André De Toth, Usa, 1948<br />
Schiavo <strong>del</strong>la furia. Anthony Mann, Usa, 1948<br />
La signora di Shanghai. Orson Welles, Usa, 1948<br />
L’urlo <strong>del</strong>la città. Robert Siodmak, Usa, 1948<br />
Doppio gioco. Robert Siodmak, Usa, 1949<br />
La donna <strong>del</strong> bandito. Nicholas Ray, Usa, 1949<br />
La finestra socchiusa. Ted Tetzlaff, Usa, 1949<br />
La furia umana. Raoul Walsh, Usa, 1949<br />
Ombre malesi. W<strong>il</strong>liam Wyler, Usa, 1949<br />
Il romanzo di Thelma Jordan. Robert Siodmak, Usa, 1949<br />
La sanguinaria. Joseph H. Lewis, Usa, 1949<br />
Sgomento. Max Ophüls, Usa, 1949<br />
Il terzo uomo. Carol Reed, Gran Bretagna, 1949<br />
L’uomo <strong>del</strong>la Torre Eiffel. Burgess Meredith, Usa, 1949<br />
Il diritto di uccidere. Nicholas Ray, Usa, 1950<br />
Giungla d’asfalto. John Huston, Usa, 1950<br />
Non voglio perderti! Mitchell Leisen, Usa, 1950<br />
Seduzione mortale. Otto Preminger, Usa, 1950<br />
Sui marciapiedi. Otto Preminger, Usa, 1950<br />
I trafficanti <strong>del</strong>la notte. Jules Dassin, Usa, 1950<br />
Viale <strong>del</strong> tramonto. B<strong>il</strong>ly W<strong>il</strong>der, Usa, 1950<br />
Neve rossa. Nicholas Ray, Usa, 1951<br />
Pietà per i giusti. W<strong>il</strong>liam Wyler, Usa, 1951<br />
Le jene di Chicago. Richard Fleischer, Usa, 1952<br />
So che mi ucciderai. David M<strong>il</strong>ler, Usa, 1952<br />
La belva <strong>del</strong>l’autostrada. Ida Lupino, Usa, 1953<br />
Gardenia blu. Fritz Lang, Usa, 1953<br />
Il grande caldo. Fritz Lang, Usa, 1953<br />
Mano pericolosa. Samuel Fuller, Usa, 1953<br />
Niagara. Henry Hathaway, Usa, 1953<br />
Anatomia di un <strong>del</strong>itto. Jerry Hopper, Usa, 1954<br />
La bestia umana. Fritz Lang, Usa, 1954<br />
La finestra sul cort<strong>il</strong>e. Alfred Hitchcock, Usa, 1954<br />
Il bacio <strong>del</strong>l’assassino. Stanley Kubrick, Usa, 1955<br />
Un bacio e una pistola. Robert Aldrich, Usa, 1955<br />
La morte corre sul fiume. Charles Laughton, Usa, 1955<br />
La polizia bussa alla porta. Joseph H. Lewis. Usa, 1955<br />
Rififi. Jules Dassin, Francia, 1955<br />
Rapina a mano armata. Stanley Kubrick, Usa, 1956<br />
L’infernale Quinlan. Orson Welles, Usa, 1958<br />
Non voglio morire. Robert Wise, Usa, 1958<br />
Strategia di una rapina. Robert Wise, Usa, 1959
BIBLIOGRAFIA<br />
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Fossati Franco. Dizionario <strong>del</strong> genere poliziesco. Vallardi, M<strong>il</strong>ano, 1994<br />
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Giovannini Fabio. Storie <strong>del</strong> <strong>noir</strong>. Dai fantasmi di Edgar Allan Poe al grande cinema di oggi.<br />
Castelvecchi, Roma, 2000<br />
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Lama Sergio, Strazzulla Gaetano (a cura di). Il f<strong>il</strong>m “<strong>noir</strong>” americano. Quaderni di cinema, Firenze,<br />
1981<br />
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Sklar Robert. Il cinema americano, 1945-60. In Storia <strong>del</strong> cinema mondiale. Gli Stati Uniti. Einaudi,<br />
Torino, 2000<br />
Venturelli Renato. L’età <strong>del</strong> <strong>noir</strong>. Einaudi, Torino, 2007<br />
59
INDICE<br />
Introduzione...................................................................................................................................................3<br />
I personaggi <strong>noir</strong>: detective e gangster..........................................................................................................5<br />
Humphrey Bogart..............................................................................................................................5<br />
James Cagney....................................................................................................................................7<br />
Edward G. Robinson.........................................................................................................................8<br />
Burt Lancaster....................................................................................................................................9<br />
Ph<strong>il</strong>ip Marlowe............................................................................................................................................10<br />
I personaggi <strong>noir</strong>: la femme fatale...............................................................................................................12<br />
Joan Bennett.....................................................................................................................................12<br />
Rita Hayworth..................................................................................................................................13<br />
Barbara Stanwyck............................................................................................................................14<br />
Lauren Bacall...................................................................................................................................15<br />
Ava Gardner.....................................................................................................................................16<br />
Jean Harlow......................................................................................................................................17<br />
Gloria Grahame................................................................................................................................18<br />
Marlene Dietrich..............................................................................................................................19<br />
Greta Garbo......................................................................................................................................20<br />
Anatomia di un genere: le influenze <strong>del</strong>l’espressionismo sul <strong>noir</strong>..............................................................21<br />
I f<strong>il</strong>m.............................................................................................................................................................31<br />
La fiamma <strong>del</strong> peccato.....................................................................................................................33<br />
L’ombra <strong>del</strong> passato.........................................................................................................................39<br />
La fuga.............................................................................................................................................43<br />
Giungla d’asfalto.............................................................................................................................47<br />
L’infenale Quinlan...........................................................................................................................53<br />
F<strong>il</strong>mografia...................................................................................................................................................57<br />
Bibliografia..................................................................................................................................................59<br />
61