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scatti nel tempo 1 Associazione Castello Immagini - pubblicazion

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<strong>Associazione</strong> <strong>Castello</strong> <strong>Immagini</strong> - <strong>pubblicazion</strong>e della trentaduesima edizione di PHOTO ‘90 Val Tidone - aprile 2006<br />

SCATTI <strong>nel</strong><br />

TEMPO<br />

ph. Gianni Ansaldi<br />

<strong>scatti</strong> <strong>nel</strong> <strong>tempo</strong> ___________________________________________________________ 1


Pubblicazione della Ventinovesima Mostra Mercato<br />

di apparecchi fotografici usati e da collezione - aprile 2006<br />

Organizzazione:<br />

<strong>Castello</strong> <strong>Immagini</strong><br />

Via Don Conti 6/10<br />

Castel San Giovanni (PC)<br />

Tel. 335 33.05.08<br />

Fax. 0523 84.09.27<br />

Presidente:<br />

Ernestina Rigamondi<br />

Direttore:<br />

Dante Tassi<br />

Segreteria:<br />

Anna Dallanoce<br />

Patrocinio :<br />

Comune di Castel San Giovanni<br />

Stampa:<br />

Grafiche Lama s.r.l. - Piacenza<br />

www.<strong>scatti</strong><strong>nel</strong><strong>tempo</strong>.it - Mail: info@<strong>scatti</strong><strong>nel</strong><strong>tempo</strong>.it<br />

www.photo90.it - Mail: info@photo90.it<br />

COPERTINA:<br />

Gianni Ansaldi fotografa “Baccini”<br />

distribuzione gratuita<br />

2 _______________________________________ <strong>scatti</strong> <strong>nel</strong> <strong>tempo</strong>


FUORI BANDA: gli obiettivi UV per la fotografia multispettrale.<br />

di Marco Cavina©<br />

Gli obiettivi fotografici<br />

sono concepiti – come<br />

logico - per fotografie<br />

comprese <strong>nel</strong>l’ambito<br />

dello spettro luminoso visibile<br />

dall’occhio umano, approssimativamente<br />

per lunghezze d’onda<br />

comprese fra 430nm e 700 nm; naturalmente<br />

esigenze specifiche di<br />

natura tecnica, scientifica o creativa<br />

possono richiedere l’utilizzo come<br />

fonte primaria di sorgenti luminose<br />

caratterizzate da emissione che<br />

esulano da questa ristretta sezione<br />

dell’ampissima banda delle onde<br />

elettromagnetiche, spingendosi oltre<br />

la soglia del visibile e da ambo<br />

i lati, vuoi verso lunghezze d’onda<br />

più corte (ultravioletto) vuoi verso<br />

le più lunghe (infrarosso).<br />

Naturalmente le ottiche convenzionali,<br />

per quanto di ottima qualità,<br />

assecondano fino ad un certo punto<br />

questo utilizzo ribaldo e disinvolto,<br />

al di fuori dei parametri di progetto;<br />

<strong>nel</strong> campo dell’infrarosso - fortunatamente-<br />

gli obiettivi richiedono<br />

semplici precauzioni che si limitano<br />

ad una correzione di fuoco alla<br />

coniugata anteriore (l’infrarosso va<br />

a fuoco su una giacitura più remota<br />

ed occorre impostare una messa a<br />

fuoco leggermente più ravvicinata)<br />

e l’impiego di un apposito filtro rosso<br />

scuro; naturalmente tutto questo<br />

restando <strong>nel</strong>l’ambito dell’infrarosso<br />

prossimo, senza spingersi oltre gli<br />

800-850nm, dato che già a 1.000nm<br />

lo spostamento di fuoco è tale da<br />

consigliare l’utilizzo di speciali<br />

obiettivi superacromatici, mentre<br />

andando verso i 2.000nm il vetro<br />

non è più in grado di trasmettere<br />

questa frequenza ed occorre utilizzare<br />

obiettivi con lenti realizzate in<br />

Germanio, costosi oltre l’immaginazione<br />

e sconcertanti a prima vista,<br />

dato che le lenti appaiono come<br />

realizzate in metallo cromato e del<br />

tutto opache.<br />

Incidentalmente, ho parlato di<br />

frequenza e non di lunghezza d’on-<br />

da; infatti è la frequenza di<br />

oscillazione che connota il<br />

colore percepito, dato che la<br />

luce, se attraversa il vuoto o<br />

solidi trasparenti come appunto<br />

il vetro, presenta <strong>nel</strong><br />

secondo caso una velocita<br />

inferiore ed una lunghezza<br />

d’onda più compressa,<br />

ma il colore percepito resta<br />

identico perché non varia<br />

la frequenza di vibrazione;<br />

fra l’altro queste escursioni<br />

fuori spettro <strong>nel</strong> campo IR o<br />

UV che ci paiono così rilevanti<br />

sono ben poca cosa <strong>nel</strong><br />

mare magnum dello spettro<br />

elettromagnetico terrestre<br />

globale, con lunghezze d’onda che<br />

variano dai 10 -11 cm dei raggi Gamma<br />

(un miliardesimo di millimetro!)<br />

ai 10 +6 cm di certe onde hertziane<br />

(dieci chilometri di lunghezza d’onda)…<br />

Passando invece all’ultravioletto<br />

la situazione si complica un poco:<br />

infatti la banda dell’ultravioletto<br />

in senso lato parte da circa 430nm<br />

(soglia del violetto visibile) e scende<br />

fino a lunghezze d’onda di pochi<br />

angstroms, arrivando ai limiti<br />

dell’area di copertura dei raggi X,<br />

mentre il vetro ottico convenzionale<br />

non lascia passare nulla al di sotto<br />

dei 330nm, situazione peggiorata<br />

sovente dai trattamenti antiriflesso<br />

o da speciali collanti per i gruppi di<br />

lenti (il famoso Absorban Leica, ad<br />

esempio) che tagliano praticamente<br />

tutta la banda UV.<br />

Fin dai primi decenni del secolo<br />

passato si era presa coscienza<br />

di questa problematica (era noto<br />

che l’UV annerisce l’emulsione al<br />

Cloruro d’Argento, ed era possibile<br />

stabilire quali mezzi lasciassero<br />

passare queste lunghezze d’onda e<br />

quali no) e si tentarono vie alternative<br />

prendendo in considerazione<br />

altri materiali trasparenti con adeguate<br />

caratteristiche ottiche e meccaniche;<br />

ben presto ci si rese conto<br />

Il datato Steinheil Quarz 776mm da banco<br />

ottico, già dotato di lenti in Quarzo molato e<br />

previsto per la ripresa UV fino a 200nm<br />

che il Quarzo (Biossido di Silicio,<br />

cristallino e trasparente) era in grado<br />

di trasmettere la banda UV fino<br />

a lunghezze d’onda ben più corte di<br />

quanto consentisse il vetro, permettendo<br />

l’utilizzo fotografico di queste<br />

frequenze; nonostante le difficoltà<br />

per reperire cristalli purissimi di<br />

dimensioni adeguate (gli immensi<br />

giacimenti del Brasile o dell’Arkansas<br />

erano ancora da sfruttare) e per<br />

la successiva lavorazione (il Quarzo<br />

è concoide, con sfaldatura casuale<br />

e molto duro, 7 Mohs contro<br />

5,5 Mohs del vetro e 6,5 Mohs del<br />

migliore acciaio temperato), furono<br />

realizzati obiettivi con lenti in Quarzo<br />

già <strong>nel</strong>l’epoca adolescenziale<br />

dell’ottica, come testimonia questo<br />

pregevole obiettivo della Steinheil<br />

di Monaco di Baviera con focale<br />

di 776mm, denominato appunto<br />

“Quarz” e la cui obsoleta datazione<br />

è tradita dalla classica montatura<br />

retrò in ottone laccato dotata di filettatura<br />

da 88mm per l’impiego su<br />

banco ottico; questo speciale obiettivo<br />

era previsto dal costruttore per<br />

l’utilizzo fino a 200nm di lunghezza<br />

d’onda.<br />

Effettuando una rapida carrellata<br />

sulla banda UV, abbiamo visto che<br />

da 430 a 350nm si riesce a sfruttare<br />

il comune vetro ottico (in particolare,<br />

certi obiettivi da ingrandimento<br />

<strong>scatti</strong> <strong>nel</strong> <strong>tempo</strong> ___________________________________________________________ 3


FUORI BANDA: gli obiettivi UV per la fotografia multispettrale.<br />

garantiscono ottima trasparenza fino<br />

a 350nm perché le carte da stampa<br />

BN sono molto sensibili agli ultravioletti);<br />

fra i 350nm ed i 230nm il<br />

Quarzo prende il posto del vetro,<br />

sovente affiancato dalla Fluorite<br />

(Fluoruro di Calcio, cristallino) per<br />

esigenze di correzione cromatica<br />

date le particolari caratteristiche di<br />

rifrazione/dispersione del Quarzo;<br />

attorno a 200nm - 180nm il Quarzo<br />

riesce ancora a trasmettere gli UV<br />

ma l’aria assorbe queste frequenze<br />

e si rende necessario agire <strong>nel</strong> vuoto;<br />

al di sotto di questi valori anche<br />

il Quarzo assorbe massicciamente<br />

le frequenze ed occorre utilizzare<br />

la sola Fluorite oppure reticoli di<br />

diffrazione; al di sotto dei 120nm<br />

anche la Fluorite diviene opaca agli<br />

UV ed è giocoforza continuare con<br />

i soli reticoli di diffrazione (resi noti<br />

di recente al grande pubblico dalla<br />

nuova serie Canon EF DO, come il<br />

70-300 IS DO USM) e sempre sotto<br />

vuoto; in questa configurazione<br />

è teoricamente possibile continuare<br />

fino a valori inferiori ad 1 (!) nm,<br />

alla soglia dei raggi X.<br />

Sull’altro versante - analogamente<br />

- anche le emulsioni presentano<br />

svariati inconvenienti al ridursi<br />

della lunghezza d’onda: attorno a<br />

230nm la gelatina inizia ad assorbire<br />

massicciamente le radiazioni e<br />

si ricorreva ad emulsioni particolari<br />

(le “celebri” Schumann e “Q”, star<br />

del settore) specificamente formulate<br />

e caratterizzate da uno strato di<br />

gelatina superficiale estremamente<br />

sottile o dalla presenza dello strato<br />

sensibile di sali d’Argento direttamente<br />

in superficie; era anche possibile<br />

spalmare di vaselina od olio<br />

minerale fluorescente l’emulsione<br />

convenzionale (naturalmente, per<br />

ovvi motivi logistici, si parla di lastre<br />

piane) sfruttando per impressionarla<br />

la fluorescenza superficiale<br />

indotta dagli UV.<br />

Tristemente, scrivo coniugando<br />

al passato perché con l’avvento<br />

massiccio del digitale questi scenari<br />

sono quantomeno stravolti…<br />

Appare dunque evidente che la<br />

fotografia multispettrale <strong>nel</strong> campo<br />

UV estremo è un cimento da autentici<br />

specialisti, tuttavia lo sfruttamento<br />

della banda più prossima<br />

al visibile, <strong>nel</strong> campo da 220nm a<br />

350nm, è di grande utilità in svariate<br />

applicazioni pratiche, dall’indagine<br />

poliziesca alla perizia su opere<br />

d’arte svelando assegni contraffatti,<br />

Una rara immagine del Quartz-Takumar 85mm f/3,5 con la dotazione di<br />

filtri specifici per l’UV<br />

affreschi raffazzonati e così via, rappresentando<br />

una nicchia di utenza<br />

certamente ridotta ma da prendere<br />

in considerazione per quelle grandi<br />

Case che fanno dell’universalità del<br />

loro sistema il veicolo promozionale<br />

principale.<br />

Curiosamente, in tempi recenti,<br />

solo tre nomi eccellenti si sono<br />

cimentati in realizzazioni di questo<br />

tipo, ed il primo in ordine di <strong>tempo</strong><br />

fu l’Asahi Optical Co., l’azienda<br />

madre del celeberrimo brand Pentax<br />

, accreditata di un know-how di<br />

prim’ordine <strong>nel</strong>l’ottica e parimenti<br />

affermata <strong>nel</strong> settore delle realizzazioni<br />

specifiche in campo medicale<br />

e quindi attenta anche alle esigenze<br />

tecniche “speciali”.<br />

La Asahi Optical - ed il dato è<br />

ignoto ai più - in realtà realizzò in<br />

successione due obiettivi specifici<br />

per la ripresa UV, di caratteristiche<br />

geometriche quasi omologhe<br />

e che possono senz’altro considerarsi<br />

l’uno come logica evoluzione<br />

dell’altro alla luce delle esperienze<br />

acquisite; il primo modello venne<br />

presentato <strong>nel</strong> 1963 (senza troppi<br />

clamori come è <strong>nel</strong>lo stile della<br />

casa, portabandiera di un elegante<br />

understatement, dal minimalismo<br />

della comunicazione al formato lillipuziano<br />

di certi suoi peraltro ottimi<br />

prodotti); stiamo parlando del Quartz-Takumar<br />

85mm f/3,5, un obiettivo<br />

dotato di innesto a vite 42x1mm<br />

e realizzato - come intuibile - con<br />

l’apporto di lenti in Quarzo e previsto<br />

per un impiego estremamente<br />

specializzato dato che era ottimizzato<br />

unicamente per l’impiego <strong>nel</strong><br />

campo UV, da 400nm fino a 200mm<br />

con l’esclusione categorica del normale<br />

impiego in luce visibile.<br />

L’obiettivo, prodotto dal 1963 al<br />

1967 in ridottissima serie è caratterizzato<br />

da un semplice schema a<br />

4 lenti tutte spaziate ad aria e presenta<br />

una montatura molto semplice,<br />

priva di ghiera per la messa a<br />

fuoco che invece aveva luogo tra-<br />

4 _______________________________________ <strong>scatti</strong> <strong>nel</strong> <strong>tempo</strong>


FUORI BANDA: gli obiettivi UV per la fotografia multispettrale.<br />

mite un soffietto di prolunga specificamente<br />

approntato; la montatura<br />

anteriore dispone di un filetto filtri<br />

da 49x0,75mm mentre le quote caratteristiche<br />

prevedono diametro e<br />

lunghezza di 60mm ed un peso di<br />

appena 126g; il diaframma a preselezione<br />

presenta aperture da f/3,5 ad<br />

f/22; pare che due (!) soli esemplari<br />

siano regolarmente censiti al giorno<br />

d’oggi.<br />

Caratteristica qualificante di<br />

quest’ottica è la presenza a corredo<br />

di quattro speciali filtri, contenuti<br />

in un astuccio in vinilpelle rivestito<br />

in velluto verde coordinato con<br />

barilotto porta-obiettivo;<br />

tali filtri non si applicano<br />

alla montatura filettata<br />

anteriore ma si montano<br />

a pressione bloccandoli<br />

in posizione avvitando un<br />

nottolino godronato laterale,<br />

esattamente come <strong>nel</strong><br />

caso dei paraluce Nikon<br />

serie HK.<br />

Questi speciali accessori<br />

altro non sono che filtri<br />

passa banda che tagliano<br />

le frequenze indesiderate,<br />

consentendo l’utilizzo<br />

in luce UV a partire da<br />

365nm oppure da appena<br />

253,7nm; siccome la messa<br />

a fuoco sarebbe visiva-<br />

mente impossibile con il<br />

filtro da ripresa applicato,<br />

ad ognuno di essi è abbinato<br />

in tandem una versione<br />

analoga che permette la sola<br />

messa a fuoco e la visualizzazione;<br />

al momento dello scatto il filtro da<br />

visione va sostituito con l’omologo<br />

specifico per la ripresa.<br />

Sull’obiettivo era anche presente<br />

una scala micrometrica di correzione<br />

della messa a fuoco in riferimento<br />

alla specifica lunghezza d’onda<br />

utilizzata come sorgente luminosa.<br />

Nel 1968, l’anno successivo all’uscita<br />

di produzione di questo archetipo,<br />

entrò in scena una signifi-<br />

cativa evoluzione del progetto, con<br />

evidenti migliorie concettuali e funzionali:l’Ultra-Achromatic-Takumar<br />

85mm f/4,5, semplicemente<br />

UA-Takumar per gli amici.<br />

A fronte di una leggera riduzione<br />

dell’apertura massima, irrilevante<br />

<strong>nel</strong>lo specifico utilizzo pratico,<br />

l’obiettivo garantiva una correzione<br />

superacromatica non soltanto <strong>nel</strong>lo<br />

specifico campo dell’ultravioletto<br />

ma anche per tutta la gamma del visibile<br />

e financo per buona quota dell’infrarosso,<br />

garantendo immagini<br />

nitide e senza alcuna correzione di<br />

fuoco fra le operazioni di inquadra-<br />

Il primo della classe: da 220nm a 1000nm senza un<br />

cedimento, l’atout dell’UA Takumar 85mm f/4,5<br />

tura e scatto <strong>nel</strong>l’enorme intervallo<br />

compreso fra 220nm e 1000nm,<br />

trasformandolo in uno strumento<br />

duttile ed efficacissimo che riuniva<br />

in se le virtù di un nitido mediatele<br />

convenzionale, di un superacromatico<br />

corretto per l’infrarosso e di un<br />

obiettivo speciale per l’ultravioletto!<br />

Anche le caratteristiche meccaniche<br />

e funzionali presentarono<br />

migliorie di rilievo; se il barilotto<br />

condivide col precedente modello<br />

l’attacco filtri da 49x0,75mm, l’innesto<br />

per il corpo macchina 42x1<br />

e le quote esterne, <strong>nel</strong>l’uso pratico<br />

possiamo avvalerci di un diaframma<br />

completamente automatico su valori<br />

compresi fra f/4,5 ed f/22 nonché<br />

di una ghiera indipendente per<br />

la messa a fuoco graduata da 0,6m<br />

ad infinito che rendono l’utilizzo a<br />

mano libera quantomeno praticabile;<br />

il massimo ingrandimento possibile<br />

era di circa 0,21x.<br />

L’angolo di campo, come <strong>nel</strong><br />

precedente modello è di circa 28°<br />

mentre il peso è leggermente superiore<br />

ma comunque sempre molto<br />

contenuto, ovvero 248<br />

grammi; questo nuovo modello,<br />

identificato dal codice<br />

di produzione 43851, non<br />

prevede la ghiera di correzione<br />

fine della messa a fuoco<br />

propria del primo modello,<br />

in quanto il suo schema<br />

ottico a 5 lenti in 5 gruppi in<br />

Quarzo e Fluorite consente<br />

la virtuale acromatizzazione<br />

da UV ad IR, una caratteristica<br />

unica <strong>nel</strong> panorama del<br />

1968 e certamente un vanto<br />

per il Dr. Takahachi che<br />

firmò il brevetto del gruppo<br />

ottico (GB1128080).<br />

Un elemento di continuità<br />

col modello prece-<br />

dente è rappresentato dalla<br />

omologa dotazione di filtri<br />

speciali, in questo caso contenuti<br />

in un bauletto corredo in<br />

vinilpelle rivestito di velluto rosso<br />

porpora che prevedeva anche l’alloggiamento<br />

per l’obiettivo stesso;<br />

in questo caso la dotazione funzionale<br />

prevedeva cinque filtri in luogo<br />

di quattro, e tutti adibiti a specifici<br />

tagli di frequenza in fase di ripresa<br />

dato che la già citata correzione globale<br />

rendeva superflui i filtri per la<br />

messa a fuoco precedentemente forniti;<br />

specificamente, due filtri erano<br />

dedicati alla ripresa <strong>nel</strong> campo UV e<br />

ben tre destinati a riprese all’IR con<br />

<strong>scatti</strong> <strong>nel</strong> <strong>tempo</strong> ___________________________________________________________ 5


FUORI BANDA: gli obiettivi UV per la fotografia multispettrale.<br />

lunghezze d’onda progressivamente<br />

maggiori: <strong>nel</strong> dettaglio, per l’ultravioletto<br />

si riproponevano filtri simili<br />

ai precedenti, calibrati su 253,7nm<br />

e 365nm mentre per l’infrarosso<br />

erano fornite le versioni R62B,<br />

R68B ed un filtro “nero” 862nm;<br />

contrariamente alla versione Quartz-Takumar<br />

85mm f/3,5 questi filtri<br />

sono dotati di normale attacco filettato<br />

49x0,75mm e mentre i modelli<br />

speciali “dedicati” 253,7nm, 365nm<br />

e 862nm sono specificamente marcati<br />

e personalizzati “Ultra-Achromatic<br />

Takumar” sulla corona frontale,<br />

i due modelli rosso scuro R62B<br />

ed R68B hanno una montatura più<br />

convenzionale e sottile con la semplice<br />

dicitura Asahi Pentax Japan<br />

<strong>nel</strong>lo spessore, suggerendo forse<br />

un utilizzo in comune con Takumar<br />

più convenzionali dal momento che<br />

questi due filtri presentano un taglio<br />

di banda che permette riprese<br />

IR anche con obiettivi non specialistici,<br />

con la semplice correzione di<br />

fuoco.<br />

Questo piccolo gioiello che garantiva<br />

prestazioni operative ben<br />

oltre l’apparenza dimessa restò in<br />

produzione fino al 1975, dividendo<br />

la gloria del blasone con un altro<br />

Takumar speciale, l’UA 300mm<br />

f/5,6 apocromatico, ma anche in<br />

questo caso l’eccezionalità del progetto<br />

fu più un acuto <strong>nel</strong>le intenzioni<br />

ed una bella vetrina per il marketing<br />

che un successo commerciale, dato<br />

che al momento attuale non sono<br />

censiti più di 20 esemplari in buone<br />

condizioni e con la dotazione più o<br />

meno completa; come <strong>nel</strong> caso del<br />

predecessore, dunque, si tratta di un<br />

obiettivo estremamente raro e certamente<br />

un istant-classic per il collezionista<br />

raffinato e competente che<br />

ama mettere a manetta la sua attrezzatura<br />

e non soltanto spolverarla!<br />

Assieme a questi sparuti reduci,<br />

rari Nantes di una comunque non<br />

folta schiera, sono arrivati a noi anche<br />

due prototipi, in tutto e per tutto<br />

simili al modello definitivo fatto<br />

salvo per le engravings anteriori,<br />

Il percorso ottico della luce attraverso l’UA-Takumar<br />

prive del riferimento al costruttore.<br />

Risalendo alle specifiche depositate<br />

al brevetto è possibile analizzare<br />

lo schema, le caratteristiche<br />

ottiche, di rendimento e le aberrazioni<br />

correlate all’UA-Takumar,<br />

che peraltro non presenta il fianco a<br />

critiche: scegliendo una focale “facile”<br />

ed una luminosità ridotta si è<br />

garantita una qualità adeguata.<br />

Nel frat<strong>tempo</strong> la concorrenza<br />

aveva preso atto di queste realizzazioni<br />

esclusive, senza però dare a<br />

ciò un seguito operativo se non in<br />

due casi rimasti isolati e rappresentati<br />

dallo Zeiss UV-Sonnar 105mm<br />

f/4,3 (realizzato <strong>nel</strong> 1968 per Hasselblad)<br />

e dal Nikon UV-micro-Nikkor<br />

105mm f/4,5 presentato molto più<br />

tardi, <strong>nel</strong> 1984, in configurazione<br />

AiS; stupisce il fatto che il brand<br />

Canon non si sia mai cimentato in<br />

questo settore sebbene all’epoca<br />

fosse decisamente all’avanguardia<br />

<strong>nel</strong>lo studio dei materiali cristallini<br />

alternativi e stesse già progettando i<br />

celebri FLF 300m e 500mm apocro-<br />

6 _______________________________________ <strong>scatti</strong> <strong>nel</strong> <strong>tempo</strong>


FUORI BANDA: gli obiettivi UV per la fotografia multispettrale.<br />

matici con due lenti in Fluorite ricristallizzata<br />

artificialmente; probabilmente<br />

è stata una scelta a priori<br />

legata alla ridotta nicchia di utenza<br />

potenziale e non certo a limitazioni<br />

tecniche.<br />

Tornando a noi, in quel 1968 che<br />

stava arrembando come un frangente<br />

e dove tutto pareva in accelerazione<br />

la Zeiss presentò tre ottiche<br />

in montatura Hasselblad destinate<br />

ad un utilizzo specialistico e nate<br />

per completare il già corposo sistema,<br />

fornendo validi strumenti per<br />

impieghi altamente professionali e<br />

specializzati, indirizzati al campo<br />

scientifico e fotogrammetrico strizzando<br />

anche l’occhio al partner per<br />

eccellenza, la NASA.<br />

I tre pregevoli campioni erano<br />

rappresentati dall’S-Planar 135mm<br />

f/5,6 “bellows”, uno speciale obiettivo<br />

macro in montatura corta previsto<br />

per riprese da infinito ad 1:1<br />

su soffietto, dal Planar 100mm f/3,5<br />

- ottica praticamente priva di distorsione<br />

e dotata di elevatissima ed<br />

uniforme risoluzione ai diaframmi<br />

aperti per utilizzo fotogrammetrico<br />

in coppia col Biogon 60mm f/5,6<br />

“lunare” - ed infine dall’ancora più<br />

esclusivo UV-Sonnar 105mm f/4,3,<br />

ottica realizzata con lenti in Quarzo<br />

e Fluorite e destinata, analogamente<br />

all’UA-Takumar - alla ripresa <strong>nel</strong>la<br />

banda ultravioletta così come in<br />

luce visibile, anche se il primato<br />

dell’acromatizzazione completa da<br />

UV ad IR restava al campione Asahi<br />

dato che lo Zeiss si accontentava di<br />

una correzione limitata fra i 215nm<br />

ed i 700nm, ovvero fino alla soglia<br />

del visibile senza accedere all’IR,<br />

probabilmente una scelta conservativa<br />

di Zeiss legata alla proverbiale<br />

ricerca della perfezione; del<br />

resto quattro anni dopo la stessa<br />

Zeiss avrebbe presentato il Sonnar<br />

250mm f/5,6 Superachromat, tuttora<br />

insuperato per la correzione cromatica<br />

fino a 1000nm.<br />

L’obiettivo e basato su uno sche-<br />

ma a 7 elementi leggermente più<br />

complesso rispetto al Takumar e fu<br />

inizialmente prodotto in montatura<br />

C, tuttavia essendo un obiettivo specialistico<br />

fornito solo su ordinazione<br />

non condivideva con gli altri la livrea<br />

argento satinato ma - al pari del<br />

Planar 100mm f/3,5 fotogrammetri-<br />

Lo schema ottico dell’UV-Sonnar<br />

105mm f/4,3 caratterizzato<br />

dall’utilizzo di lenti in Quarzo e<br />

Fluorite<br />

co e dell’S-Planar 135mm f/5,6 macro<br />

- era fin dall’inizio anodizzato<br />

in nero fatta eccezione per la baionetta<br />

B50 anteriore che era rifinita<br />

in argento; la focale effettiva era di<br />

107,2mm corrispondenti ad un angolo<br />

di campo di 41° sulla diagonale<br />

e di 30° sul lato, il diaframma<br />

operava <strong>nel</strong>l’intervallo f/4,3-f/32, la<br />

messa a fuoco minima scendeva ad<br />

1,8m (valore non eccezionale) ed il<br />

barilotto prevedeva una lunghezza<br />

di 87mm, un diametro di 78mm ed<br />

un peso complessivo di 670g; naturalmente<br />

era servito dal classico<br />

otturatore centrale Syncro-Compur<br />

#0 comune agli altri obiettivi della<br />

serie C; sul catalogo dell’importatore<br />

italiano Pecchioli - anno 1969<br />

- questo obiettivo (fornito su richie-<br />

sta speciale) era identificato dal codice<br />

n° 20133.<br />

Nel 1982 la Zeiss presentò la nuova<br />

montatura CF dotata di otturatore<br />

Prontor della Gauthier di Calmbach<br />

ed anche l’UV-Sonnar fu ristilizzato<br />

secondo i nuovi standard; incidentalmente<br />

quest’obiettivo speciale<br />

- al pari del Sonnar 250mm f/5,6<br />

SA - non ricevette mai l’antiriflessi<br />

T* perché avrebbe proditoriamente<br />

tagliato la gamma UV; anche in<br />

questo caso i numeri di produzione<br />

sono estremamente ridotti, dato anche<br />

il costo assolutamente proibitivo<br />

(34.000.000 di lire il prezzo indicativo<br />

ad inizio anni ’90…): Rick<br />

Nordin, guru canadese del sistema<br />

Hassy, mi raccontava che <strong>nel</strong>la sua<br />

vita non ha incontrato più di cinque<br />

esemplari e tutti in montatura C;<br />

personalmente <strong>nel</strong> 2000 trovai ad<br />

una mostra mercato un rarissimo<br />

esemplare CF come nuovo a prezzo<br />

di saldo, 2.800.000 lire, affare<br />

eccezionale sfumato a cagione della<br />

consorte al seguito che mi osservava<br />

da dietro le spalle, calata in un<br />

mutismo denso di significati…<br />

La resa ottica è di tutto rispetto<br />

anche se, come accennato, una<br />

messa a fuoco minima di 1,8m in<br />

un ottica che equivale grosso modo<br />

ad un 60mm <strong>nel</strong> 24x36 non consente<br />

di evidenziare dettagli minuti<br />

come invece è prassi comune <strong>nel</strong>la<br />

ripresa UV dove i soggetti sono sovente<br />

particolari di opere d’arte o di<br />

documenti e referti dermatologici<br />

ravvicinati; probabilmente la scelta<br />

è da ricondursi alla standardizzazione<br />

delle lavorazioni meccaniche:<br />

infatti è facile notare come negli<br />

obiettivi Zeiss C la parte basilare<br />

della montatura con gli elicoidi e<br />

le ghiere - <strong>nel</strong>la maggioranza degli<br />

esemplari - sia riconducibile a<br />

quella del classico Planar 80mm<br />

f/2,8 con eventuali e spesso ridicole<br />

aggiunte di cannotti anteriori di varia<br />

foggia (vedi, ad esempio, il Distagon<br />

40mm f/4); evidentemente<br />

<strong>scatti</strong> <strong>nel</strong> <strong>tempo</strong> ___________________________________________________________ 7


FUORI BANDA: gli obiettivi UV per la fotografia multispettrale.<br />

l’escursione dell’elicoide di messa<br />

a fuoco propria del Planar 80mm -<br />

se applicata ad una focale maggiore<br />

- determina l’inconveniente a causa<br />

della modesta variazione di tiraggio<br />

disponibile.<br />

Curiosamente, gli obiettivi C <strong>nel</strong><br />

1968 (anno della sua introduzione)<br />

erano come detto “bianchi” mentre<br />

l’UV Sonnar nacque già anodizzato<br />

nero; intorno al 1972-73 e fino al<br />

1982 (anno del passaggio alla serie<br />

CF) anche il resto del parco ottiche<br />

fu anodizzato completamente in<br />

nero mentre l’UV-Sonnar mantenne<br />

l’originale baionetta B50 cromata<br />

come segno di distinzione e<br />

di appartenenza alla categoria degli<br />

“speciali”.<br />

Il terzo marchio che, buon ultimo,<br />

si cimentò in questa prova ardimentosa<br />

fu la Nippon Kogaku, forte<br />

della sua filosofia volta a professionalizzare<br />

al massimo il sistema anche<br />

con l’ausilio di una sterminata<br />

schiera di obiettivi, molti dei quali<br />

per uso estremamente specialistico;<br />

<strong>nel</strong> 1984 il celebre brand nipponico<br />

presento l’UV-micro-Nikkor<br />

105mm f/4,5, obiettivo specialistico<br />

che - alla stregua dell’UA-Takumar -<br />

permetteva riprese senza correzione<br />

di fuoco <strong>nel</strong> campo UV a partire da<br />

220nm, in tutto lo spettro visibile ed<br />

anche <strong>nel</strong>l’infrarosso fino a 900nm,<br />

cioè la banda formalmente sfruttabile<br />

con le convenzionali emulsioni<br />

IR in commercio, rinunciando ad<br />

andare oltre (mentre il Takumar era<br />

dichiarato corretto fino a 1000nm<br />

ed in questo resta imbattuto).<br />

L’obiettivo, ovviamente in configurazione<br />

AiS, nasceva in pratica sul<br />

barilotto del micro-Nikkor 105mm<br />

f/4 AiS (più s<strong>nel</strong>lo del precedente<br />

Ai) sia pure focheggiando tramite<br />

un unico e lunghissimo elicoide<br />

anziché due, copriva un angolo di<br />

campo sulla diagonale di 23°20’,<br />

presentava un diaframma che lavorava<br />

fra f/4,5 ed f/32 e pesava 525g;<br />

la messa a fuoco minima (da cui il<br />

mitico suffisso micro) scendeva ad<br />

appena 48cm che consentivano di<br />

passare direttamente dall’infinito ad<br />

un rapporto di riproduzione di 1:2,<br />

davvero utile sul campo; lo schema<br />

ottico a 6 lenti in 6 gruppi prevede<br />

lenti esclusivamente in Quarzo e<br />

Fluorite anche se qualche fonte sostiene<br />

che in realtà la Nippon Kogaku<br />

non abbia utilizzato Fluorite<br />

Nella foto di Jens Karlsson (storico fotografo Hasselblad)<br />

parte del sistema Zeiss Hasselblad C del 1977, dove<br />

spicca l’UV-Sonnar 105mm f/4,3 grazie alla sua baionetta<br />

B50 cromata<br />

ma vetro al Fosfato di Fluoro (simile<br />

ai celebri vetri Leica 554666<br />

e 598671 responsabili della correzione<br />

apocromatica <strong>nel</strong> 180mm<br />

f/3,4 apo-Telyt e <strong>nel</strong> 100mm f/2,8<br />

apo-macro-Elmarit), vetri che grazie<br />

all’elevatissimo numero di Abbe<br />

(bassissima dispersione) - garantito<br />

dall’additivazione con Fluoro<br />

- possono eventualmente sostituire<br />

la Fluorite cristallina, ma non mi<br />

sento di perorare al 100% questa<br />

ipotesi anche se Nikon ha sempre<br />

disdegnato la Fluorite tacciandola<br />

di eccessiva igroscopicità, fragilità<br />

e dilatazione termica: infatti l’impiego<br />

della Fluorite in questi obiettivi<br />

UV serve solo marginalmente<br />

per accordarsi (grazie al suo spettro<br />

secondario ridotto ed anomalo)<br />

con le caratteristiche di rifrazione e<br />

dispersione proprie del Quarzo ma<br />

la funzione principale è legata alla<br />

sua ottima trasparenza agli UV, anche<br />

ad onda corta, mentre il vetro al<br />

Fosfato di Fluoro ha sì uno spettro<br />

secondario molto ridotto e simile<br />

alla Fluorite (i vetri sopra citati hanno<br />

un numero di Abbe pari a 66,6<br />

e 67,1, davvero molto elevato) ma<br />

non garantiscono il passaggio degli<br />

UV fino alle frequenze corte coperte<br />

dall’obiettivo.<br />

Sono note due versioni di quest’obiettivo:<br />

la prima è caratterizzata<br />

dal paraluce applicabile separato<br />

e dalla semplice indicazione<br />

UV-Nikkor 105mm 1:4,5, senza il<br />

suffisso micro; la seconda prevede<br />

il paraluce telescopico integrato e la<br />

denominazione completa UV-Micro-Nikkor<br />

105mm 1:4,5.<br />

In entrambe le versioni l’obiettivo<br />

era fornito con un dotazione<br />

specifica rappresentata da una montatura<br />

per portafiltri basculante AF-<br />

1, un portafiltri per gelatine vero e<br />

proprio UR-2 e un filtro opaco per<br />

UV che lascia passare solamente le<br />

frequenze fra 220nm e 420nm con<br />

un picco di trasmissione a 330nm,<br />

da inserire <strong>nel</strong>l’UR-2; quest’ultimo<br />

8 _______________________________________ <strong>scatti</strong> <strong>nel</strong> <strong>tempo</strong>


FUORI BANDA: gli obiettivi UV per la fotografia multispettrale.<br />

gruppo si agganciava in cascata davanti<br />

all’AF-1 e si avvitava il tutto<br />

all’obiettivo; sfruttando la doppia<br />

montatura basculante dell’AF-1 si<br />

toglieva dal percorso ottico il filtro<br />

UV per la messa a fuoco, ruotandolo<br />

poi in posizione per lo scatto, con<br />

gesti analoghi a quelli richiesti dal<br />

polarizzatore per Leica-M.<br />

Anche quest’obiettivo è stato<br />

prodotto in serie molto limitata<br />

certamente a cagione del costo non<br />

indifferente (circa 7.000.000 di lire<br />

quando veniva prodotto a regime) e<br />

tolto di produzione senza clamori a<br />

fine anni ’90 in una fase di logica<br />

potatura dei rami secchi che ha visto<br />

altre illustri vittime come ad esempio<br />

il noct-Nikkor 58mm f/1,2 o il<br />

fisheye-Nikkor 6mm f/2,8 da 220°;<br />

del resto il brand Nikon Corporation<br />

gode di rinomanza planetaria e non è<br />

più necessario mantenere a catalogo<br />

specchietti per le allodole venduti in<br />

pochi esemplari all’anno per mera<br />

esigenza di immagine; fra l’altro la<br />

lavorazione del Quarzo e della Fluorite<br />

sono molto complesse e causano<br />

una elevata percentuale di scarti<br />

di lavorazione, anche se il Quarzo<br />

utilizzato oggi non proviene più da<br />

cristalli naturali ma viene realizzato<br />

in apposite autoclavi a pressioni<br />

inaudite con specifiche di sicurezza<br />

molto severe (occorre che la distanza<br />

fra due autoclavi sia molto ampia,<br />

per evitare in caso di esplosione<br />

un effetto domino a catena); anni fa<br />

un collega mi mostrò un campione<br />

di questo Quarzo artificiale, proveniente<br />

dalla Bulgaria ed in effetti<br />

- osservandolo in sezione - palesava<br />

purezza ed omogeneità inaudite,<br />

difficilmente riscontrabili in natura<br />

dove faglie, ricristallizzazioni,<br />

ghiacciature od inclusioni sono all’ordine<br />

del giorno; sorridendo (ma<br />

non troppo) mi raccontò che in quel<br />

paese dell’allora blocco sovietico<br />

in realtà le autoclavi per realizzare<br />

in Quarzo erano stipate in un ca-<br />

l’UV-micro-Nikkor 105mm f/4,5 assieme al suo gruppo ottico realizzato con<br />

elementi in Quarzo e Fluorite<br />

pannone a centinaia, e fitte come<br />

mosche, con tanti saluti per la sicurezza…mi<br />

suggerì che <strong>nel</strong> caso di<br />

cedimento di una singola unità probabilmente<br />

avremmo visto il fungo<br />

atomico o qualcosa del genere data<br />

la violenza dell’effetto a catena!<br />

E’ noto che l’UV-micro-Nikkor<br />

105mm f/4,5 non fu in realtà l’unico<br />

obiettivo UV realizzato in tempi<br />

recenti dalla Nikon; a metà degli<br />

anni ’60 andò in produzione<br />

un obiettivo definito UV-Nikkor<br />

55mm f/4 (il primo prototipo pare<br />

sia stato rivelato a fine ’64 - inizio<br />

’65), basato sul barilotto del coevo<br />

micro-Nikkor-P Auto 55mm f/3,5 e<br />

realizzato - analogamente al Quartz-Takumar<br />

85mm f/3,5 di due anni<br />

antecedente - per l’utilizzo esclusivo<br />

in banda UV, anche se relativamente<br />

al 55mm UV-Nikkor si dichiarava<br />

un’acromatizzazione limitata al ristretto<br />

range compreso fra 300nm e<br />

400nm; a tale proposito non veniva<br />

fornito alcun filtro taglia-banda in<br />

dotazione e si suggeriva di utilizzare<br />

come sorgente luminosa la classica<br />

“luce nera” di Wood oppure lampade<br />

ai vapori di mercurio schermate<br />

con un filtro nero tipo UV-P25.<br />

L’obiettivo si basa su un semplicissimo<br />

schema a 3 lenti in 3 gruppi<br />

(il classico tripletto di Cooke) e<br />

pare non utilizzasse materiali cristallini<br />

ma solamente speciali tipi<br />

di vetro, forse in virtù della ridotta<br />

escursione disponibile <strong>nel</strong> campo<br />

UV; si realizzava la messa a fuoco<br />

in luce bianca e successivamente si<br />

effettuava la correzione di fuoco per<br />

la ripresa in banda UV spostando il<br />

valore riscontrato al punto di fede<br />

convenzionale e posizionandolo davanti<br />

ad uno speciale marker di colore<br />

blu che rappresentava la declinazione<br />

di fuoco richiesta per l’UV,<br />

esattamente come si agisce anche<br />

fotografando con pellicola infrarossa<br />

sfruttando il relativo riferimento<br />

di correzione.<br />

L’obiettivo presentava una focale<br />

effettiva di 54mm, pesava 230g<br />

e disponeva di attacco filtri da<br />

52x0,75mm; col micro-Nikkor-P<br />

Auto 55mm f/3,5 non condivideva<br />

<strong>scatti</strong> <strong>nel</strong> <strong>tempo</strong> ___________________________________________________________ 9


FUORI BANDA: gli obiettivi UV per la fotografia multispettrale.<br />

solo il barilotto ma anche il sistema<br />

automatico di compensazione<br />

del diaframma (graduato fra f/4 ed<br />

f/32) che provvedeva ad aumentare<br />

l’apertura a distanze ravvicinate<br />

per compensare su corpi non-TTL<br />

l’assorbimento luminoso legato all’aumento<br />

di tiraggio, che <strong>nel</strong> caso<br />

dell’UV-Nikkor 55mm non era trascurabile<br />

in quanto consentiva di<br />

passare dall’infinito al rapporto di<br />

riproduzione di 1:2, anche se non è<br />

possibile riferire con esattezza a che<br />

distanza di ripresa ciò corrispondesse<br />

in quanto la scala di messa<br />

a fuoco dell’obiettivo non riportava<br />

misure metriche ma rapporti di<br />

riproduzione finemente graduati;<br />

qualche fonte riferisce una distanza<br />

minima equivalente a 0,36m ma<br />

non è possibile confermare il dato.<br />

Passato alla storia in sordina<br />

questo primo, rudimentale modello,<br />

pare che la Nikon si sia cimentata<br />

almeno altre due volte sulla<br />

focale 55mm con specifiche UV,<br />

quantomeno allo stadio di prototipo:<br />

il primo caso si riferisce alla<br />

versione UV-Nikkor 55mm f/4 AiS<br />

del Settembre 1988, basato su uno<br />

schema a 6 lenti in 6 gruppi analogo<br />

all’UV-Nikkor 105mm f/4,5 e parimenti<br />

corretto <strong>nel</strong> campo da 220nm<br />

a 900nm; altra analogia col modello<br />

di focale maggiore è rappresentata<br />

dalla messa a fuoco minima (24cm<br />

in questo caso) tale da consentire un<br />

rapporto di riproduzione di 1:2.<br />

Una ulteriore versione di obiettivo<br />

UV con focale normale sarebbe stata<br />

realizzata per la NASA per impieghi<br />

aerospaziali e non si hanno altri dati<br />

se non quelli di targa: UV-Nikkor<br />

55mm f/2; pare che fra la versione del<br />

1965 e quella del 1988 sia stata calcolato<br />

un modello, poi abbandonato,<br />

da 50mm ma al momento attuale non<br />

trovo conferme attendibili.<br />

Chiuso finalmente il cerchio sulla<br />

ridottissima produzione di obiettivi<br />

UV vorrei mettere a confronto gli<br />

schemi ottici dei tre campioni Asahi,<br />

Zeiss e Nippon Kogaku; dalla correlazione<br />

diretta si evidenzia come le prime<br />

tre lenti abbiano una foggia molto<br />

simile: probabilmente i particolarissimi<br />

indici di rifrazione/dispersione del<br />

Quarzo e della Fluorite utilizzati in<br />

tutti i modelli impongono delle scelte<br />

quasi obbligate come confermerebbero<br />

queste evidenti analogie.<br />

Tanto rumore per nulla, dunque ?<br />

In così poco si può riassumere l’epopea<br />

degli obiettivi senza vetro che<br />

vedono <strong>nel</strong>la luce nera ed evidenziano<br />

per magia l’invisibile ? Se la produzione,<br />

è vero, quantitativamente si<br />

può definire trascurabile, dal punto di<br />

vista concettuale è stata dirompente,<br />

spalancando finestre di luce abbagliante<br />

<strong>nel</strong> buio delle onde corte e<br />

possibilità professionali concrete per<br />

molti tecnici specializzati, additando<br />

vie inesplorate ed innovative <strong>nel</strong>l’ap-<br />

proccio a molte problematiche moderne;<br />

gli obiettivi UV non si sono<br />

fermati a questo, hanno aperto anche<br />

il terzo occhio a grandi fotografi come<br />

Biorn Rorslett che ha trovato in questi<br />

strani occhi di Quarzo uno strumento<br />

creativo per immagini di grande suggestione<br />

e poesia, scoprendo nei moderni<br />

sensori CCD Nikon un valido<br />

alleato grazie alla loro estesa sensibilità<br />

spettrale che rende l’utilizzo di<br />

questi strumenti agevole ed inespensivo;<br />

in definitiva, gli obiettivi UV hanno<br />

strappato alla notte una porzione di<br />

cielo permettendoci di documentare<br />

un mondo inesplorato ed affascinante<br />

altrimenti precluso, ed è questo uno<br />

dei casi dove si può realmente parlare<br />

di limpido progresso per l’umanità.<br />

10 _______________________________________ <strong>scatti</strong> <strong>nel</strong> <strong>tempo</strong>


FUORI BANDA: gli obiettivi UV per la fotografia multispettrale.<br />

Le due splendide immagini di<br />

questo articolo sono state realizzate<br />

con l’UV-micro-Nikkor in digitale<br />

con Nikon D2H sfruttando l’estesa<br />

copertura spettrale del suo sensore;<br />

occhi di Quarzo al servizio della<br />

scienza ma anche della creatività.<br />

<strong>scatti</strong> <strong>nel</strong> <strong>tempo</strong> ___________________________________________________________ 11


Pionieri della fotografia d’azione: la Goerz Anschutz<br />

di Sergio Cappiello<br />

Le fotocamere più popolari e maggiormente<br />

utilizzate agli inizi del secolo scorso erano<br />

sicuramente quelle di tipo roll-folding; macchine<br />

fotografiche leggere, facilmente tra-<br />

sportabili, adatte per ogni situazione di ripresa e che<br />

utilizzavano la pellicola in rullo ormai ampiamente<br />

diffusa. Ciò non toglie che i cataloghi di quasi tutti<br />

i maggiori produttori dell’epoca continuavano a presentare<br />

fotocamere a lastre ( le cosiddette folding plate<br />

cameras, secondo la medesima classificazione di tipo<br />

anglosassone per cui abbiamo definito le prime roll-folding)<br />

dalle dimensioni e dal peso più ragguardevole<br />

destinate, in un certo senso, ad un uso<br />

più professionale. Quest’ultimo tipo di<br />

apparecchi fotografici se continuava a<br />

rappresentare l’ideale per la fotografia<br />

di ritratto o paesaggistica denotava<br />

qualche limite per quel che riguardava<br />

la fotografia d’azione o sportiva. Infatti<br />

gli utilizzatori lamentavano una<br />

certa inadeguatezza relativamente a<br />

quello che in Italia veniva definito lo<br />

spiegamento della fotocamera e cioè<br />

l’apertura della stessa in modo da renderla<br />

operativa. Un altro limite era poi<br />

rappresentato dalla limitata gamma dei<br />

tempi di otturazione. Fu così che l’industria<br />

dell’epoca dimostrò attenzione<br />

alle esigenze dei fotografi sportivi e dei<br />

fotogiornalisti progettando apparecchi<br />

che potessero soddisfare le loro aspettative.<br />

Una delle prime in tal senso fu<br />

sicuramente la ditta Goerz di Berlino.<br />

Questo marchio, fondato <strong>nel</strong> 1886<br />

da Carl Paul Goerz, aveva lanciato <strong>nel</strong><br />

1896 un particolare tipo di fotocamera<br />

classificata come “strut-type camera”<br />

cioè del tipo a struttura rigida (in cui la<br />

parte frontale ed il soffietto erano assicurati<br />

al dorso da quattro tiranti metallici richiudibili su<br />

sé stessi). Questa macchina era nota con il nome di<br />

12 _______________________________________ <strong>scatti</strong> <strong>nel</strong> <strong>tempo</strong>


Pionieri della fotografia d’azione: la Goerz Anschutz<br />

Goerz Anschutz.<br />

Essa nasce con delle caratteristiche peculiari: ha<br />

una struttura compatta che le garantisce una estrema<br />

maneggevolezza, una notevole rapidità <strong>nel</strong>lo spiegamento,<br />

una compattezza dell’insieme e, soprattutto,<br />

un otturatore decisamente all’avanguardia. Fondamentale<br />

<strong>nel</strong>la realizzazione di questa fotocamera fu<br />

l’opera di Ottomar Anschutz, fotografo naturalista<br />

nato a Lissa (odierna Leszo) città polacca a circa 40<br />

miglia da Poznan. Anschutz si dedicava alla ripresa<br />

di immagini di animali in movimento e competizioni<br />

sportive. In collaborazione con i progettisti Goerz realizzò<br />

l’otturatore sul piano focale destinato ad equipaggiare<br />

la fotocamera che da lui stesso prese il nome<br />

e che vantava la caratteristica di raggiungere il <strong>tempo</strong><br />

di otturazione di 1/1000”. Il successo fu immediato e<br />

la sua popolarità presso i fotografi d’azione rimase in<br />

auge fin tutta la prima parte del secolo scorso, tanto<br />

che stimolò l’attenzione in tal senso di altri grandi<br />

produttori dell’epoca che progettarono apparecchi altrettanto<br />

funzionali e dalle caratteristiche simili così<br />

da entrare in diretta concorrenza con la fotocamera di<br />

Berlino. Fu infatti attorno al 1909 che la ditta Ica di<br />

Dresda commercializzò l’antagonista per eccellenza,<br />

il modello Minimum Palmos, e fu solo <strong>nel</strong> 1919 che<br />

la ditta Contessa Nettel di Stoccarda realizzò la sua<br />

Deckrullo-Nettel.<br />

Ma torniamo ad occuparci della nostra Anschutz e<br />

osserviamola da vicino.<br />

La macchina, chiusa, ha classica forma di un parallelepipedo<br />

sulla cui parte anteriore spicca l’obiettivo.<br />

Nel mio caso si tratta di un Dogmar 1:4,5 f=13,5 cm<br />

fissato sulla piastra portaottiche che ha lo spostamento<br />

verticale ed orizzontale e la scala delle distanze è<br />

espressa in yards.<br />

Sul lato sinistro trova posto la maniglia di trasporto,<br />

sotto la quale è posizionato un foro filettato per il<br />

treppiede.<br />

Sul lato destro una serie di comandi, apparentemente<br />

strani, regola il corretto funzionamento della<br />

fotocamera. Innanzitutto la combinazione dei valori<br />

espressi dal primo disco in lato con quelli indicati dal<br />

disco in basso regola i tempi di otturazione (sistema<br />

diffuso su numerosi apparecchi dello stesso tipo).<br />

Immediatamente sotto il primo disco è posizionato il<br />

sistema di armamento dell’otturatore, sotto il quale<br />

si trova la leva di selezione del tipo di tempi impostato<br />

(T,B,I: la prima lascia la tendina aperta finchè<br />

non viene premuto nuovamente lo scatto, la seconda<br />

consente la posa fino al rilascio del pulsante, la terza<br />

permette l’utilizzo dei vari tempi). Sotto ancora troviamo<br />

il pulsante di scatto e in fondo l’indicatore dei<br />

fotogrammi con il relativo azzeratore.<br />

Sul lato superiore è indicata la scala delle combinazioni<br />

possibili per ottenere i vari tempi di otturazione<br />

e vi è uno spazio vuoto destinato probabilmente ad<br />

ospitare un mirino richiudibile su sé stesso consistente<br />

in due lentini separati destinati alla messa a fuoco<br />

di precisione (indicato generalmente con “newton<br />

pattern”), così come <strong>nel</strong>la maggior parte delle raffigurazioni<br />

della fotocamera in questione. Dico questo<br />

perché <strong>nel</strong> modello di cui dispongo è presente solo<br />

un tipo di mirino a traguardo consistente in una parte<br />

“a spiraglio” del tipo peep-hole situata <strong>nel</strong>la parte<br />

posteriore della fotocamera e in un riquadro metalico<br />

ribaltabile <strong>nel</strong>la parte anteriore della stessa. Ciò mi<br />

permette di desumere che si tratta di uno dei primi<br />

modelli della Anschutz, ma di ciò non ho trovato conferma<br />

in alcun libro né tantomeno su internet.<br />

Nella parte inferiore è presente la presa filettata<br />

per il cavalletto.<br />

Nella parte posteriore, infine, trova posto il dorso<br />

contenente il vetro smerigliato di messa a fuoco.<br />

Per aprire la fotocamera si agisce sulle parti laterali<br />

tirando in avanti con facilità la parte frontale. I quattro<br />

tiranti metallici si aprono consentendo l’apertura<br />

del soffietto e la nostra Anschutz è pronta per l’uso.<br />

Il formato delle lastre è della fotocamera in mio<br />

possesso è di 8x10,5 cm, ma erano disponibili altri<br />

formati: 6x9 cm, 10x12 cm, 13x18cm. Anche gli<br />

obiettivi in dotazione erano diversi: oltre il già citato<br />

Dogmar 1:4,5 f=13,5cm erano disponibili un Dogmar<br />

1:6,3 e un Dagor 1:6,8 della stessa lunghezza focale.<br />

Nel corso degli anni il nome Anschutz venne sostituito<br />

da Ango che sembra derivare da esigenze di<br />

semplificazione del nome stesso della fotocamera =<br />

ANschutz Goerz.<br />

La strada intrapresa dalla Anschutz venne dapprima<br />

percorsa sulla stessa scia sia dalla Deckrullo che<br />

dalla Minimum Palmos, come già abbiamo accennato<br />

precedentemente. Ma, <strong>nel</strong> corso degli anni, vennero<br />

elaborati due progetti che migliorarono le caratteristiche<br />

della macchina di Berlino: mi riferisco alla Ernemann<br />

Ermanox e alla Contessa Nettel Miroflex e<br />

anche alla Ihagee Patent Klapp Reflex, modelli a cui<br />

potremo dedicare forse spazio in futuro. A tal proposito<br />

è interessante notare come, a partire dal 1926<br />

(anno di fondazione della società Zeisss Ikon) tutti i<br />

modelli a cui abbiamo fatto riferimento tranne quello<br />

della Ihagee siano stati prodotti tali e quali ma marcati<br />

Zeiss anche dopo l’assorbimento dei singoli marchi<br />

originariamente produttori.<br />

Le fonti da cui attingere su macchine di questo<br />

tipo non sono numerosissime e spesso si stenta a met-<br />

<strong>scatti</strong> <strong>nel</strong> <strong>tempo</strong> ___________________________________________________________ 13


Pionieri della fotografia d’azione: la Goerz Anschutz<br />

terle insieme ma tutto sembra concordare<br />

sul fatto che la fotocamera<br />

di cui ci siamo occupati oggi resti<br />

una delle prime, se non la prima<br />

<strong>nel</strong>la sua categoria.<br />

Eppure, <strong>tempo</strong> fa, mi sono<br />

imbattuto in una macchina del<br />

tutto simile alla Anschutz sia<br />

<strong>nel</strong>la struttura che <strong>nel</strong>la disposizione<br />

dei comandi che <strong>nel</strong>lo<br />

schema costruttivo. A prima<br />

vista sembra di concezione ancora<br />

più vecchia, se non altro<br />

per il sistema di apertura che<br />

si regge su tiranti di tipo meno<br />

raffinato. Per quanto abbia cercato<br />

non sono riuscito a trovare<br />

alcun nome impresso sul corpo<br />

Anschutz e Wunsche1<br />

macchina che mi consentisse di<br />

risalire al modello o alla ditta<br />

costruttrice. L’unico riferimento<br />

è una sigla: DRGM 105993.<br />

Sappiamo che questa sigla corrisponde<br />

alle iniziali di Deutsche<br />

Reichsgebrauchmuster,<br />

acronimo che si poteva incontrare<br />

su articoli di produzione<br />

tedesca. Accanto ad un nome<br />

aveva il significato di “Marchio<br />

registrato”, seguito da un<br />

numero invece poteva indicare<br />

un brevetto. E allora, se<br />

così fosse, questa fotocamera<br />

che ho comperato e che assomiglia<br />

così tanto alla Anschutz<br />

poteva essere a lei precedente?<br />

Come ripeto, la struttura generale<br />

tenderebbe a confermare<br />

questo sospetto. Per quello che<br />

sono riuscito a sapere dovrebbe<br />

trattarsi di un modello della<br />

ditta Wunsche fondata <strong>nel</strong> 1887<br />

a Dresda e assorbita <strong>nel</strong> 1909<br />

dalla Ica e <strong>nel</strong> 1926 riunita <strong>nel</strong>la<br />

Zeiss Ikon, ma non ne ho la certezza<br />

assoluta.<br />

Il bello della ricerca in questo<br />

campo è anche questo, non vi<br />

pare?<br />

www.fotografianegliannitrenta.<br />

com<br />

14 _______________________________________ <strong>scatti</strong> <strong>nel</strong> <strong>tempo</strong>


1935 nasce la CONTAFLEX BIOTTICA<br />

di Max Bertacchi<br />

Nel 1935 la società<br />

Zeiss Ikon progettò<br />

e costruì<br />

una delle più<br />

avanzate (e pesante, 1,5 kg, il<br />

doppio di una Contax II) fotocamere<br />

di quei giorni, la biottica<br />

Contaflex (860/24), che<br />

usava il formato 24x36 <strong>nel</strong> caricatore<br />

Leica che tanto stava<br />

prendendo piede. Fu prodotta<br />

solo fino al 1943. La fotocamera<br />

ha parecchi record al suo<br />

attivo: fu la prima fotocamera<br />

35mm dotata di esposimetro al<br />

selenio incorporato, la prima<br />

ad essere “cromata”, la prima<br />

ad avere ottiche intercambiabili<br />

su una biottica, ed una delle<br />

fotocamere più costose della<br />

storia! La Contaflex era dotata<br />

di 8 obbiettivi intercambiabili<br />

(con un range compreso tra<br />

il Biogon 35 e il Sonnar 135) ,<br />

di otturatore sul piano focale<br />

a tendina (a serrandina) come<br />

quella della Contax o della Teanax,<br />

oltre al mirino reflex la<br />

macchina era dotata anche di<br />

un mirino galileiano con cornicette<br />

Albada per l’85 e il 135,<br />

mentre il 50 mm corrispondeva<br />

alla larghezza del vetrino di<br />

messa a fuoco stesso. Curiosa<br />

la scelta di dotare la fotocamera<br />

di un’ottica da visione della<br />

focale di 80mm (come qualla<br />

delle Rollei, più o meno) tuttavia<br />

si otteneva lo stesso angolo<br />

di campo di un 50mm dato che<br />

lo schermo di messa a fuoco<br />

era sovradimendionato (2x),<br />

cioè ampio più del doppio<br />

del 24x36 della pellicola, ma<br />

rapportato ad essa come angolo<br />

di visuale inquadrata con<br />

l’ottica standard inserita. Ovviamente<br />

questo escamotage<br />

era pensato per rendere più<br />

agevole e meno microscopica<br />

l’immagine dello schemo e di<br />

migliorare la capacità di mettere<br />

a fuoco.<br />

Le ottiche erano le stesse<br />

di quelle progettate e utilizzate<br />

sulla Contax II coeva,<br />

ma con un diverso e più indaginoso<br />

innesto ed un peso<br />

e una dimensione maggiore.<br />

Nel mirino, oltre alle cornicette<br />

per le focali più lunghe,<br />

era possibile disporre un in-<br />

granditore Loupe simile ad<br />

un piccolo cannochiale telescopico<br />

per le messe a fuoco<br />

più critiche. Le due ottiche<br />

grandangolari, il Biogon 35 e<br />

l’Orthometar 35, necessitavano<br />

di un mirino aggiuntivo per<br />

l’effettivo campo inquadrato.<br />

Ovviamente la visione reflex<br />

senza pentaprisma è dritta rispetto<br />

all’immagine verticale,<br />

ma invertita orrizzontalmente<br />

(come <strong>nel</strong>le biottica di formato<br />

maggiore del resto). L’unico<br />

modo concreto per fotografare<br />

oggetti uin movimento era<br />

<strong>scatti</strong> <strong>nel</strong> <strong>tempo</strong> ___________________________________________________________ 15


1935 nasce la CONTAFLEX BIOTTICA<br />

pertanto utilizzare il mirino<br />

Albada, che tuttavia soffriva di<br />

un difetto di parallasse notevole<br />

considerando la distanza<br />

ancora maggiore dall’ottica<br />

di ripresa di quanto non fosse<br />

per le fotocamere non reflex.<br />

Come al solito Zeiss dotò la<br />

fotocamera di un parco accessori<br />

per i più svariati impieghi,<br />

oggi molto rari da trovare. tra<br />

le ottiche spiccano per rarità<br />

i grandangolari, davvero mai<br />

visti dal sottoscritto, e tra i tele<br />

il più raro è senz’altro il costoso<br />

sonnar 85, prodotto per<br />

un sol anno, il 1935, e quindi<br />

scomparso dal listino già <strong>nel</strong><br />

1936.<br />

Contaflex TLR Lenses<br />

35/4.5 Orthometar<br />

35/2.8 Biogon<br />

50/2.8 Tessar<br />

50/2 Sonnar<br />

50/1.5 Sonnar<br />

85/4 Triotar<br />

85/2 Sonnar - disponibile <strong>nel</strong> 1935<br />

ma non più prodotto ne 1936<br />

135/4 Sonnar<br />

16 _______________________________________ <strong>scatti</strong> <strong>nel</strong> <strong>tempo</strong>


EL ALAMEIN: 23 ottobre 1942, una Leica in guerra<br />

Un racconto di Pierpaolo Ghisetti<br />

Le ore che precedono l’alba<br />

<strong>nel</strong> deserto sono sempre<br />

le più fredde e comunque<br />

quel deserto non<br />

era poi così ‘deserto’.<br />

Migliaia di uomini con centinaia<br />

di carri armati, cannoni, autoblindo<br />

e camion aspettavano solo l’alba<br />

per ammazzarsi a vicenda: quel<br />

mattino, <strong>nel</strong>l’immensa e desolata<br />

piana di El Alamein, molti sarebbero<br />

morti senza neanche sapere bene<br />

dove si trovavano.<br />

Il capitano Giuseppe Sala, del<br />

Regio Esercito Italiano, infagottato<br />

in un vecchio cappotto, era rintanato<br />

in una buca insieme ai pochi soldati<br />

del suo battaglione che ancora<br />

erano in grado di combattere. Si<br />

nascondevano dietro un mucchio di<br />

sacchetti di sabbia, con la mitragliatrice<br />

Breda e tre mortai da 81mm<br />

come uniche armi pesanti rimaste<br />

in dotazione al battaglione. Tutti gli<br />

uomini sapevano che dall’altra parte<br />

gli inglesi guidavano i potenti carri<br />

Grant di fabbricazione americana,<br />

e che dagli alleati tedeschi c’era da<br />

aspettarsi poca collaborazione.<br />

I panzer III e IV, che costituivano<br />

il nerbo delle truppe corazzate<br />

dell’AfrikaKorps, erano stati impegnati<br />

per giorni <strong>nel</strong> tentativo di<br />

sfondamento delle linee alleate, ma<br />

ormai ne rimanevano ben pochi e<br />

quei pochi con scarsissime riserve<br />

di carburante.<br />

Ormai albeggiava. Sala estrasse<br />

dall’astuccio il binocolo e vide che<br />

in lontananza qualcosa cominciava<br />

a muoversi: dopo l’intenso bombardamento<br />

notturno, che aveva illuminato<br />

a giorno il deserto, era venuto<br />

il momento dell’attacco frontale.<br />

‘Pronti’ mormorò sottovoce al<br />

mitragliere, mentre questi, per tutta<br />

risposta, caricava l’arma con un<br />

colpo secco. Camminando a testa<br />

bassa <strong>nel</strong>la trincea, il capitano dava<br />

dei leggeri buffetti ai soldati ancora<br />

addormentati, ma la maggior parte<br />

di questi era già sveglia e all’erta.<br />

Sala non era certo un tipo emotivo<br />

: era stato volontario negli Arditi<br />

<strong>nel</strong>la Prima Guerra Mondiale e ferito<br />

ad un ginocchio sul Piave, <strong>nel</strong>la<br />

battaglia decisiva che aveva causato<br />

il crollo definitivo dell’Impero<br />

Asburgico; poi aveva partecipato<br />

alla guerra in Etiopia, agli ordini<br />

del Maresciallo Graziani <strong>nel</strong> 1935.<br />

Quelli come lui, ai tempi della battaglia<br />

del Piave, erano chiamati ‘fegatacci’,<br />

gente che non aveva paura<br />

di nulla, tantomeno delle truppe<br />

d’assalto tedesche. Ora però tedeschi<br />

ed italiani erano alleati, e que-<br />

sta situazione provocava a Sala un<br />

certo disagio.<br />

Era stato rispedito in Africa <strong>nel</strong><br />

1941, e da allora era tornato a casa<br />

solo una volta, per una licenza di<br />

due settimane. L’Esercito era la sua<br />

casa e il combattimento faceva parte<br />

della sua vita.<br />

Mentre controllava la trincea con<br />

uno sguardo circolare, dalla tasca<br />

estrasse una macchina fotografica.<br />

Era una Leica IIIcK grigia con<br />

obiettivo Carl Zeiss Jena Sonnar da<br />

5cm f/1,5 che aveva comprato da un<br />

soldato tedesco, nei vittoriosi giorni<br />

della presa di Tobruk. I tedeschi, ebbri<br />

di gioia per la grande vittoria, si<br />

erano impadroniti di enormi quantità<br />

di materiale inglese lasciato <strong>nel</strong>la<br />

piazzaforte. Evidentemente il Feldwebel<br />

tedesco era ansioso di realizzare<br />

del denaro in contanti con la<br />

sua macchina fotografica, probabilmente<br />

per comprare altra merce da<br />

rivendere al mercato nero. Il Feldwebel<br />

era molto contento di essere<br />

stato trasferito dal freddo fronte<br />

russo al caldo dell’Africa, proprio<br />

nei giorni della vittoria: aveva mostrato<br />

con orgoglio la Leica grigia<br />

con incisa la prestigiosa K e l’ancor<br />

più incredibile Sonnar con passo a<br />

vite. La trattativa era stata facilitata<br />

dal fatto che il tedesco era in real-<br />

<strong>scatti</strong> <strong>nel</strong> <strong>tempo</strong> ___________________________________________________________ 17


EL ALAMEIN: 23 ottobre 1942, una Leica in guerra<br />

tà un austriaco<br />

di Innsbruck<br />

di nome Amadori,<br />

di chiara<br />

origine italiana,<br />

anche se<br />

il suo italiano<br />

era piuttosto<br />

stentato. Aveva<br />

spiegato al<br />

‘camerata’ Sala<br />

che la K incisa<br />

sul corpo macchina<br />

e stampigliata<br />

sulla tendina<br />

significava<br />

‘Kalterfest’ o<br />

anche ‘Kugellager’,<br />

ovvero<br />

che l’otturatore della macchina era<br />

stato montato su cuscinetti a sfera,<br />

per funzionare meglio <strong>nel</strong>le gelide<br />

steppe russe, ma poteva andare<br />

benissimo anche <strong>nel</strong> clima della<br />

Tripolitania. Ciò che aveva definitivamente<br />

convinto Sala era l’obiettivo<br />

, non solo per la sua incredibile<br />

luminosità, ma soprattutto per la<br />

caratteristica “T” rossa che indicava<br />

uno speciale trattamento antiriflesso<br />

garanzia di una nitidezza eccezionale<br />

<strong>nel</strong>le immagini, caratteristica<br />

unica degli obiettivi Zeiss. Il prezzo<br />

richiesto parve a Sala molto ragionevole,<br />

considerando anche il fatto<br />

che probabilmente Amadori non era<br />

il proprietario’ufficiale’ della macchina,<br />

ma quasi certamente ne era<br />

venuto in possesso per vie traverse.<br />

Così Sala aveva acquistato la<br />

preziosa Leica, che l’aveva sempre<br />

fedelmente seguito, senza mai incepparsi,<br />

nonostante la polvere onnipresente<br />

e le inesorabili tempeste<br />

di sabbia, <strong>nel</strong>la travolgente avanzata<br />

che aveva portato le truppe dell’Asse<br />

ai confini dell’Egitto, a soli cento<br />

chilometri da Alessandria.<br />

L’ultima volta che l’aveva usata<br />

era stato appena due giorni prima,<br />

per fotografare la tomba di due<br />

soldati australiani che gli italiani<br />

avevano seppellito proprio dietro<br />

le loro linee. Sala aveva ripreso le<br />

due croci, sormontate dai cappelli a<br />

larghe falde tipici degli australiani,<br />

con dietro le dune del deserto. Aveva<br />

scelto il diaframma f/4, mentre le<br />

lunghe ombre delle croci svanivano<br />

velocemente col sorgere del sole.<br />

La jeep australiana, con le insegne<br />

del Long Range Desert Group,<br />

si era spinta imprudentemente, <strong>nel</strong>l’incerta<br />

luce che precede l’alba <strong>nel</strong><br />

deserto, proprio sotto le linee italiane:<br />

senza farsi notare Sala, con due<br />

uomini, era scivolato fuori dalla<br />

trincea e, spostandosi diagonalmente,<br />

aveva aspettato che il mezzo nemico<br />

fosse a tiro. Una lunga raffica<br />

di mitragliatrice aveva posto fine<br />

all’avventura dei due australiani,<br />

ma Sala sapeva bene perché i due<br />

uomini si erano sacrificati in quella<br />

rischiosa missione. Il loro compito<br />

era di individuare le linee italiane<br />

con esattezza e poi riferire per dirigere<br />

il cannoneggiamento: avevano<br />

rischiato consapevolmente la<br />

vita per un motivo preciso. Mentre i<br />

suoi uomini seppellivano i due, Sala<br />

non provava nessun odio verso i nemici:<br />

quel giorno era andata bene<br />

agli italiani. La terribile realtà della<br />

guerra rendeva tutti, amici e nemici,<br />

consapevoli<br />

che la propria<br />

vita era<br />

affidata ogni<br />

giorno al caso<br />

e che nulla era<br />

scontato. Per<br />

questa azione<br />

Sala era stato<br />

proposto per<br />

la medaglia<br />

d’argento al<br />

valor militare<br />

dal proprio comandante,<br />

ma<br />

tutti sapevano<br />

che prima di<br />

una battaglia<br />

le decorazioni<br />

erano concesse per motivare i soldati.<br />

Ormai i giorni della speranza erano<br />

tramontati per sempre: il capitano<br />

Sala era troppo esperto per farsi<br />

illusioni. Aveva visto sfilare qualche<br />

giorno prima i carri armati M13<br />

della Divisione Corazzata Ariete: in<br />

confronto ai Matilda britannici e ai<br />

Grant americani, erano delle semplici<br />

‘scatole di sardine’, per non<br />

parlare poi della superiorità dell’artiglieria<br />

e dell’aviazione alleate.<br />

Due contro uno era una proporzione<br />

ancora accettabile ma qui, in questo<br />

maledetto deserto, lo svantaggio era<br />

di cinque a uno, se non di più. Ma<br />

Sala era un soldato da quando aveva<br />

diciotto anni, volontario per salvare<br />

la Patria minacciata da austriaci e<br />

tedeschi. Non aveva mai disobbedito<br />

ad un ordine e ora, sentendo l’orribile<br />

rumore dei cingoli dei carri<br />

armati nemici, decise che era ormai<br />

troppo tardi per prendere iniziative<br />

azzardate.<br />

Il capitano si tolse il cappotto e<br />

la bustina color sabbia che portava<br />

in testa: cominciava già a fare caldo<br />

e fra poco ne avrebbe fatto ancora<br />

di più.<br />

Puntò la Leica verso i suoi soldati,<br />

regolando il diaframma del-<br />

18 _______________________________________ <strong>scatti</strong> <strong>nel</strong> <strong>tempo</strong>


EL ALAMEIN: 23 ottobre 1942, una Leica in guerra<br />

lo Zeiss a f/2,8; certo i tedeschi in<br />

fatto di fotografia erano imbattibili<br />

e la fotocamera portentosa: chissà<br />

se sarebbe riuscito a riportarla in<br />

Italia. Scattò un paio di fotografie:<br />

il mitragliere Esposito era un<br />

napoletano calmo e fatalista, mentre<br />

l’uomo che reggeva il nastro<br />

delle pallottole della mitragliera<br />

era pallido, sudato fradicio, con le<br />

pupille dilatate. Girò lentamente<br />

il bottone di riavvolgimento della<br />

Leica, controllò che il Sonnar fosse<br />

posizionato sull’infinito, mise la<br />

ghiera dei diaframmi a f/8, e scattò<br />

verso il deserto, là dove s’ intravedevano<br />

le sagome dei carri. Dietro<br />

a questi già si notavano gli uomini<br />

della fanteria inglese, inconfondibili,<br />

col loro caratteristico elmetto<br />

a padella e i lunghi fucili Enfield.<br />

Sala indossò il pesante elmetto,<br />

chiuse la fibbia e, girandosi verso gli<br />

uomini ai mortai, fece un cenno: le<br />

bombe iniziarono a partire, mentre<br />

anche Esposito con la Breda iniziò<br />

a fare fuoco. Tutto il fronte italiano<br />

incominciò a sparare mentre i carri<br />

inglesi si avvicinavano. Improvvisamente<br />

un Grant esplose, prendendo<br />

fuoco: fu come un segnale. Tutti<br />

i carri inglesi cominciarono a tirare<br />

simultaneamente, mentre l’aria si<br />

faceva torrida ed irrespirabile.<br />

Sala si avvicinò ad Esposito e,<br />

poiché il frastuono rendeva inutile<br />

qualunque comunicazione a voce,<br />

allungando il braccio gli indicò un<br />

gruppo di uomini che cercavano di<br />

aggirarli sul fianco. Esposito, con<br />

una tipica imprecazione partenopea,<br />

girò la mitragliera, e con brevi raffiche<br />

rabbiose stese il gruppetto di<br />

nemici. L’interruzione aveva fatto<br />

perdere a Sala la visione della battaglia:<br />

ritornò al centro della trincea e<br />

vide che ora diversi carri erano stati<br />

colpiti. Un fumo acre e denso si<br />

levava da diversi punti della pianura,<br />

segno che i semoventi da 75mm<br />

dell’Ariete, ben interrati a filo di terreno,<br />

avevano fatto un buon lavoro<br />

di sbarramento. Tuttavia Sala si avvide<br />

con disperazione che dietro la<br />

prima ondata di Grant si avvicinava<br />

una seconda ondata di carri leggeri<br />

Stuart, veloci e maneggevoli.<br />

Ormai si vedevano chiaramente<br />

anche ad occhio nudo le sagome<br />

degli uomini della fanteria inglese:<br />

mentre correva chinato lungo la<br />

trincea, Sala sentì che la Leica <strong>nel</strong>la<br />

tasca gli sbatteva contro il fianco:<br />

avrebbe voluto scattare delle immagini<br />

di quei momenti, ma non ne<br />

aveva né il <strong>tempo</strong> né la disposizione<br />

d’animo.<br />

I carri nemici si trovavano ormai<br />

a pochi metri di distanza: era<br />

tutto inutile, erano semplicemente<br />

troppi. Improvvisamente un Grant<br />

si arrestò rombando sul terrapieno<br />

fatto dai sacchetti di sabbia che<br />

proteggeva la trincea italiana. Per<br />

qualche istante la pancia del mostro<br />

d’acciaio rimase totalmente scoperta:<br />

come al rallentatore Sala vide il<br />

sergente Capasso piazzare una mina<br />

magnetica alla base del carro e poi<br />

scivolare via. L’esplosione terrificante<br />

si mescolò alle altre esplosioni,<br />

ma ora il carro era in fiamme e<br />

gli sfortunati carristi inglesi tentarono<br />

di uscire del portello superiore,<br />

urlando come forsennati. I soldati di<br />

Sala li abbatterono a fucilate, mentre<br />

i primi fanti inglesi già si affacciavano<br />

alla trincea.<br />

Era il caos. Esposito aveva smesso<br />

di sparare: Sala corse verso la<br />

postazione della mitragliera, ma<br />

ora c’era solo un buco con dei corpi<br />

bruciacchiati. Mentre contemplava<br />

la scena, sentì un dolore al fianco<br />

e si girò di colpo: un fante inglese<br />

aveva cercato di colpirlo con la<br />

baionetta, ma questa era stata provvidenzialmente<br />

deviata da qualcosa<br />

che teneva in tasca: la Leica.<br />

<strong>scatti</strong> <strong>nel</strong> <strong>tempo</strong> ___________________________________________________________ 19


EL ALAMEIN: 23 ottobre 1942, una Leica in guerra<br />

Approfittando della sorpresa del<br />

soldato inglese, che era scivolato in<br />

avanti, Sala ebbe ancora la forza di<br />

estrarre la Beretta d’ordinanza e di<br />

sparare: caddero entrambi dentro la<br />

trincea, mentre sopra di loro decine<br />

di carri e centinaia di uomini dilagavano<br />

oltre le postazioni italiane.<br />

Alcune ore dopo Sala fu raccolto<br />

da un reparto inglese: la battaglia si<br />

era spostata di alcuni chilometri a<br />

ovest e ora gli italiani sopravissuti<br />

venivano rastrellati.<br />

Gli inglesi notarono che Sala era<br />

un ufficiale e, dopo aver controllato<br />

che fosse disarmato, lo misero insieme<br />

con altri ufficiali italiani prigionieri;<br />

tuttavia <strong>nel</strong>la confusione<br />

riuscì a nascondere la piccola Leica<br />

<strong>nel</strong>la tasca interna dei pantaloni.<br />

Il capitano Giuseppe Sala, dopo<br />

essere stato trasferito ad Ismailia,<br />

all’estremità del canale di Suez,<br />

fu imbarcato su un vapore civile<br />

con migliaia d’altri soldati italiani<br />

prigionieri: dopo quasi un mese di<br />

viaggio per nave arrivò finalmente<br />

a Bombay, in India. Dai lì, dopo<br />

tre giorni di treno <strong>nel</strong>l’immensa<br />

pianura gangetica, i prigionieri arrivarono<br />

a Bangalore; da qui, in<br />

altri due giorni, giunsero finalmente<br />

a Dharamsala e al vicino campo<br />

di prigionia di Jol, situato <strong>nel</strong>la<br />

giungla, all’altezza di duemila<br />

metri, alle pendici dell’Himalaya.<br />

Nel campo, dove erano rinchiusi cir-<br />

ca 10.000 ufficiali italiani, infuriava<br />

la malaria e la dissenteria: gli inglesi,<br />

a corto di cibo e di medicinali,<br />

sottoposti agli attacchi dei giapponesi<br />

in Birmania, non avevano né<br />

la voglia né l’intenzione di sprecare<br />

risorse per i prigionieri italiani.<br />

Sala trascorse in India momenti<br />

drammatici, forse più drammatici di<br />

quelli trascorsi in Nord Africa. Molti<br />

compagni morirono di debolezza<br />

di malattia: molti sopravvissuti alla<br />

battaglia di El Alamein finirono miseramente<br />

i loro giorni per banali<br />

infezioni non curate adeguatamente.<br />

Il terribile clima indiano, un caldo<br />

torrido alternato a snervanti piogge<br />

monsoniche, debilitava i già logorati<br />

prigionieri, fiaccati da anni di guerra.<br />

Ma la preziosa Leica venne ancora<br />

in aiuto al capitano Giuseppe Sala:<br />

costui scambiò con le guardie inglesi<br />

l’ambita macchina tedesca e l’ancor<br />

più ricercato obiettivo Zeiss con<br />

diverse scatole di chinino e grazie a<br />

questi medicinali riuscì non solo a<br />

salvare se stesso dalla malaria, ma<br />

anche diversi compagni ammalati.<br />

Sala tornò in Italia solo a metà del<br />

1946, dopo quasi un anno dalla fine<br />

della guerra: gli ufficiali scelsero di<br />

essere gli ultimi ad essere imbarcati<br />

e il viaggio di rientro durò ben tre<br />

mesi. La moglie e la figlia, prive di<br />

notizie da lungo <strong>tempo</strong>, lo credevano<br />

disperso o addirittura morto .<br />

Il capitano Giuseppe Sala, mio<br />

nonno, divenuto poi colon<strong>nel</strong>lo, mi<br />

regalò per il mio dodicesimo compleanno<br />

la bustina gialla con le stel-<br />

20 _______________________________________ <strong>scatti</strong> <strong>nel</strong> <strong>tempo</strong>


EL ALAMEIN: 23 ottobre 1942, una Leica in guerra<br />

lette da capitano portata ad El Alamein,<br />

e mi raccontò tutta la storia:<br />

da lì nacque la mia ammirazione per<br />

la Leica e per le ottiche Zeiss.<br />

Un’ammirazione dovuta più al<br />

fatto che avevano salvato la vita<br />

al mio adorato nonno, il padre di<br />

mia madre, che alle loro qualità<br />

tecniche, di cui non ero certo cosciente.<br />

La Leica IIIcK è dall’ora<br />

la mia Leica preferita, la prima che<br />

acquistai appena potei permettermelo,<br />

quella da cui non mi sepa-<br />

rerò mai. Trovare l’obiettivo Zeiss<br />

da 5cm con passo a vite 39x1 fu<br />

molto più difficile, ma alla fine riuscii<br />

a completare la combinazione.<br />

Ogni volta che tocco i comandi della<br />

piccola Leica grigia mi sembra<br />

di sentire ancora il freddo intenso<br />

di quell’alba <strong>nel</strong> deserto. Quando<br />

poso gli occhi <strong>nel</strong> piccolo mirino,<br />

mi sembra di vedere non i tetti che<br />

circondano la mia casa, ma i carri<br />

inglesi che si avvicinano minacciosamente.<br />

Svitando il grosso obietti-<br />

vo Zeiss, avverto la terribile solitudine<br />

di chi si trova tra migliaia di<br />

altri internati, <strong>nel</strong> campo di prigionia<br />

di Jol. Quando osservo la ‘K’<br />

bianca stampigliata sulla tendina<br />

della Leica mi sfilano <strong>nel</strong>la mente<br />

le foto della guerra <strong>nel</strong> deserto che<br />

mio nonno mi faceva vedere più di<br />

quarant’anni fa, e di cui io allora capivo<br />

ben poco.<br />

Ripongo la IIIcK e il Sonnar <strong>nel</strong>la<br />

mia bacheca: mi sembra quasi udire<br />

ancora la voce di mio nonno, il coraggioso<br />

capitano Giuseppe Sala.<br />

“La guerra è la cosa più stupida<br />

inventata dall’uomo”<br />

Leica IIIcK<br />

Inizio produzione: 1940<br />

Innesto ottiche: passo a vite 39x1<br />

Peso: 400g<br />

Tempi d’otturazione: da 1sec a 1/1000 di secondo<br />

Colorazione: grigia Feldgrau<br />

Versione speciale con otturatore montato su cuscinetti a sfere: identificata dalla K sul tettuccio dopo il numero<br />

di matricola, e dalla K bianca stampata sulla tendina (talvolta mancante).<br />

Carl Zeiss Jena Sonnar 5cm f/1,5 passo a vite 39x1<br />

Schema ottico: 7 lenti in 3 gruppi<br />

Versione con passo a vite dell’ottica standard con baionetta Contax;<br />

Peso: 190g, contro i 210g della versione a baionetta<br />

Ghiera di messa a fuoco e scala delle profondità di campo, entrambe mancanti <strong>nel</strong>la versione per ContaxDiaframmi<br />

da f/1,5 a f/22, con ghiera dotata d’alette.<br />

Obiettivo dotato di trattamento antiriflesso a tre strati, brevetto Zeiss, identificato dalla T rossa, T per Trasparenz.<br />

<strong>scatti</strong> <strong>nel</strong> <strong>tempo</strong> ___________________________________________________________ 21


Zeiss Contaflex Super B<br />

di Pino Preianò<br />

Tra gli ultimi anni cinquanta<br />

e i primi anni sessanta<br />

la ditta Bagnini di Roma<br />

pubblicava periodicità<br />

semestrale un interessante catalogo<br />

Foto-Cine. Il catalogo tanto ben<br />

progettato e disegnato da essere regolarmente<br />

brevettato offriva una<br />

immagine degli apparecchi che era<br />

circa la metà della grandezza naturale<br />

e così risultava possibile confrontare<br />

ad occhio i vari apparecchi<br />

tra loro. Inoltre la descrizione era<br />

accompagnata da un rettangolo (o<br />

quadrato) che riproduceva in grandezza<br />

naturale la forma e le dimensioni<br />

del negativo. La proposta di<br />

vendita rateale faceva sembrare<br />

a portata di mano oggetti del desiderio<br />

altrimenti irraggiungibili.<br />

Era richiesta come anticipo la cifra<br />

puramente simbolica di mille lire e<br />

l’importo totale poteva essere diluito<br />

in tre anni lungo 36 rate mensili.<br />

Ricordo di avere da ragazzo ripetutamente<br />

e piacevolmente sfogliato<br />

tali cataloghi in compagnia di mio<br />

cugino Marcello che condivideva<br />

e condivide con me la passione per<br />

la fotografia. Una sezione del catalogo<br />

era puntualmente dedicata<br />

alla produzione Zeiss Ikon. In essa,<br />

l’ammiraglia di punta (la Contax (a<br />

telemetro) prima, la Contarex poi)<br />

era preceduta dagli apparecchi della<br />

serie Contaflex. Si trattava di apparecchi<br />

reflex monoculari 35mm con<br />

otturatore a lamelle e ottica scomponibile.<br />

I modelli Contaflex più<br />

semplici ed economici erano dotati<br />

di obiettivo Pantar 2,8/45 mm e le<br />

uniche alternative alla lunghezza<br />

focale standard era costituita da due<br />

aggiuntivi addizionale grandangolo<br />

e addizionale tele che producevano<br />

una modesta variazione focale<br />

portandola rispettivamente a 30 e<br />

75 mm. Il modello più completo (e<br />

costoso) era invece equipaggiato di<br />

obiettivo Carl Zeiss Tessar che, per<br />

mezzo di tre aggiuntivi ottici permetteva<br />

di disporre delle focali di<br />

35, 85 e 115 mm oltre a quella normale<br />

di 50 mm. Erano inoltre disponibili<br />

un aggiuntivo per le riprese in<br />

grandezza naturale 1:1 e un monoculare<br />

Zeiss 8x30 (in pratica mezzo<br />

binocolo) che montato direttamente<br />

sulla lente frontale del Tessar portava<br />

la lunghezza focale a ben 400<br />

mm.<br />

Il modello che descriveremo è la<br />

Contaflex <strong>nel</strong>la versione commercializzata<br />

dall’agosto 1962 al novembre<br />

1965 come Zeiss Contaflex<br />

Super B<br />

Si tratta di una macchina dall’aspetto<br />

imponente, massiccia e pesante<br />

senza comprometterne la bellezza.<br />

Design spigoloso. Comandi<br />

razionalmente disposti. Bella ed elegante<br />

la borsa pronto in cuoio marrone<br />

bordato di metallo all’esterno,<br />

vellutata all’interno. Come per la<br />

borsa della Bessamatic la parte frontale-superiore<br />

è amovibile per una<br />

maggiore comodità d’uso. Inoltre a<br />

differenza della Voigtländer Bessamatic<br />

la Contaflex dispone di a<strong>nel</strong>li<br />

laterali per cinghia e questo consente<br />

di poter rinunciare eventualmente<br />

rinunciare alla borsa pronto.<br />

Il corpo dell’apparecchio si pre-<br />

senta rivestito in pelle nera e tutte le<br />

parti metalliche sono ricche di cromature<br />

vistose. Sia la pelle del rivestimento<br />

che le cromature mantengono<br />

a distanza di oltre quarant’anni<br />

l’aspetto del nuovo senza mostrare<br />

alcun segno di invecchiamento o di<br />

degrado. E ciò conferma la serietà<br />

e la bontà di una costruzione fatta<br />

per durare. Siamo distanti anni<br />

luce dalla mentalità consumistica<br />

per non dire usa e getta dei giorni<br />

nostri. Sulla parte frontale che racchiude<br />

l’obiettivo, anch’essa interamente<br />

cromata, fa bella mostra di<br />

sé la cellula al selenio rettangolare<br />

recante la scritta ZEISS IKON in<br />

lettere bianche su fondo scuro. Non<br />

essendo l’ottica completamente intercambiabile<br />

la ghiera di messa a<br />

fuoco è collocata proprio a ridosso<br />

del corpo e nonostante la presenza<br />

di due sporgenze il suo uso non è<br />

proprio comodissimo. Serve per<br />

l’obiettivo standard (Tessar 2,8/50)<br />

e per tutti gli aggiuntivi. La distanza<br />

minima di messa a fuoco senza aggiuntivi<br />

è di 70 cm. Subito dopo c’è<br />

la scala per considerare la profondità<br />

di campo nitido e poi la ghiera<br />

del diaframma. Essendo possibile<br />

22 _______________________________________ <strong>scatti</strong> <strong>nel</strong> <strong>tempo</strong>


Zeiss Contaflex Super B<br />

l’automatismo di esposizione che<br />

è a priorità dei tempi, la ghiera dei<br />

diaframmi è normalmente impostata<br />

sulla posizione “A” (auto). È<br />

possibile disinserire tale posizione<br />

su cui la ghiera per ragioni di sicurezza<br />

si blocca e impostare a mano<br />

il diaframma desiderato. Tale operazione<br />

è piuttosto scomoda. Successivamente,<br />

<strong>nel</strong>la posizione più<br />

esterna trova posto l’a<strong>nel</strong>lo dei tempi<br />

dell’otturatore Synchro Compur<br />

con valori da 1 sec a 1/500 di sec.<br />

da sinistra a destra preceduti dalla<br />

posa B. Ancora sulla montatura dell’obiettivo<br />

è presente il solito selettore<br />

X M V per selezionare il tipo<br />

di sincero-flash o l’attivazione dell’autoscatto.<br />

Il fondello della macchina<br />

è interamente cromato (<strong>nel</strong>la<br />

Bessamatic era anch’esso rivestito<br />

quasi interamente in pelle nera) ed è<br />

bene fare attenzione a non sciuparlo<br />

quando si poggia l’apparecchio senza<br />

la protezione della borsa pronto.<br />

Al centro del fondello l’attacco a vite<br />

per il treppiede solidale con il corpo<br />

macchina mentre il resto del fondello<br />

forma tutt’uno con il dorso ed è<br />

completamente amovibile per consentire<br />

il caricamento della pellicola<br />

e l’uso dei magazzini. L’operazione<br />

è più scomoda che in altre macchine<br />

perché è necessario poggiare il<br />

dorso-fondello da qualche parte. Il<br />

fondello reca simmetricamente alle<br />

due estremità due chiavette che comandano<br />

l’apertura, la chiusura e<br />

il bloccaggio dello stesso fondello<br />

e dell’unito dorso. Una delle due<br />

chiavette serve anche a comandare<br />

lo sbloccaggio per il riavvolgimento<br />

del film. Tale comando (che <strong>nel</strong>la<br />

Bessamatic è in posizione comodissima<br />

sul tettuccio accanto alla leva<br />

di carica) per essere azionato richiede<br />

l’estrazione della macchina dalla<br />

borsa pronto ma va tenuto presente<br />

che la rimozione della borsa sarebbe<br />

comunque inevitabile per scaricare<br />

l’apparecchio con l’apertura<br />

del dorso-fondello. Sul fondello<br />

cromato, al centro e in corrispondenza<br />

con l’innesto per il treppiede<br />

è incisa la scritta Made in Germany.<br />

Tutti gli altri comandi sono ubicati<br />

sul tettuccio e comprendono, a sinistra<br />

del pentaprisma: la ghiera per<br />

la regolazione sella sensibilità del<br />

film, il dispositivo per la correzione<br />

dell’esposizione sovresponendo di<br />

un valore e la leva di riavvolgimen-<br />

to. La ghiera di regolazione della<br />

sensibilità del film al momento dello<br />

scatto può essere fatta ruotare in<br />

corrispondenza di un contrassegno<br />

previsto per i casi di riprese in controluce<br />

o comunque se si desiderasse<br />

sovresporre di un valore di diaframma<br />

in determinate circostanze.<br />

Tale comando è a molla con ritorno<br />

automatico e deve perciò essere tenuto<br />

in tensione mentre si scatta e<br />

risulta perciò alquanto scomodo. La<br />

parte superiore della ghiera consente<br />

di memorizzare tramite simboli<br />

il tipo di film caricato. In posizione<br />

centrale e coassiale la manovellina<br />

ripiegabile per il riavvolgimento<br />

il cui fulcro è impreziosito da una<br />

guarnizione <strong>nel</strong>la stessa pelle nera<br />

che fascia tutto il corpo. Tra questi<br />

comandi e il pentaprisma trova<br />

posto una finestrella che mostra<br />

indicato da un ago il valore di diaframma<br />

impostato automaticamente<br />

dall’esposimetro. Al centro, sulla<br />

calotta del pentaprisma è collocata<br />

stabilmente la slitta porta accessori<br />

preceduta sul davanti da due contatti<br />

elettrici per il sincro-flash: il primo,<br />

a sinistra, per i lampeggiatori comuni,<br />

l’altro per i lampeggiatori Zeiss<br />

dedicati. La macchina dispone inoltre<br />

di un dispositivo automatico per<br />

luce lampo che facendo riferimento<br />

a numeri guida regola automatica-<br />

<strong>scatti</strong> <strong>nel</strong> <strong>tempo</strong> ___________________________________________________________ 23


Zeiss Contaflex Super B<br />

mente l’apertura del diaframma durante<br />

l’operazione di messa a fuoco.<br />

A destra del pentaprisma, ancora sul<br />

tettuccio la leva di avanzamento del<br />

film che ovviamente, dato il tipo di<br />

costruzione, comanda con<strong>tempo</strong>raneamente<br />

anche il riarmo dell’otturatore,<br />

il ritorno dello specchio, la<br />

riapertura del diaframma e l’avanzamento<br />

del contafotogrammi che<br />

è anche qui come <strong>nel</strong>la Bessamatic<br />

di tipo sottrattivo ma comodamente<br />

leggibile dall’alto a differenza di<br />

quanto avviene sulla Voigtländer.<br />

Coassiali alla leva di armamento<br />

il contafotogrammi e il bottone di<br />

scatto.<br />

L’uso dell’apparecchio è molto<br />

semplice facilitato com’è dall’automatismo<br />

di esposizione. È<br />

sufficiente impostare il <strong>tempo</strong> di<br />

otturazione desiderato compatibilmente<br />

con le condizioni di luce e il<br />

diaframma sarà chiuso automaticamente<br />

al valore considerato giusto<br />

dalla fotocellula che terrà conto del<br />

<strong>tempo</strong> d’otturazione e della sensibilità<br />

del film rispetto alla luminosità<br />

della scena inquadrata. Il valore di<br />

diaframma impostato compare sia<br />

<strong>nel</strong> mirino che <strong>nel</strong>la finestrella già<br />

citata sul tettuccio a sinistra del pentaprisma.<br />

Ciò consente di poter controllare<br />

l’apertura senza portare la<br />

macchina all’occhio e senza quindi<br />

insospettire il soggetto da fotografare<br />

in caso di foto fatte di sorpresa.<br />

L’unica correzione possibile dell’esposizione<br />

consiste <strong>nel</strong> comando<br />

già menzionato abbinato alla ghiera<br />

che regola l’impostazione delle sensibilità<br />

del film e che consente, in<br />

condizioni per esempio di controluce,<br />

di sovraesporre di un valore.<br />

Sovraesposizioni di maggiore ampiezza<br />

non sono possibili e neppure<br />

sottoesposizioni volontarie.<br />

A proposito di esposizione, il<br />

test della Contaflex Super B effettuato<br />

dai redattori di Progresso Fotografico<br />

pubblicato sul numero di<br />

ottobre 1965 rilevavano come in<br />

fabbrica l’esposimetro fosse tarato<br />

già in partenza in modo da offrire<br />

una lieve sovraesposizione: Cellula<br />

fotoelettrica: inspiegabilmente la<br />

taratura di tutti gli esposimetri di<br />

tutti i modelli della Contaflex è predisposta<br />

in modo tale da dare da 2/3<br />

a un diaframma di sovraesposizione<br />

rispetto ad una lettura effettuata<br />

con esposimetro campione. Ciò probabilmente<br />

è stato imposto dal fatto<br />

che l’angolo di lettura della cellula<br />

è superiore a quello dell’obiettivo<br />

ed in genere sono proprio il cielo o<br />

le lampade di una stanza che entrano<br />

più facilmente, non graditi e non<br />

visti, <strong>nel</strong> campo della cellula determinando<br />

una chiusura del diaframma<br />

maggiore di quella che competerebbe<br />

alla scena, ma compensata<br />

dall’opportuna taratura. Ma non<br />

sempre queste sono le condizioni di<br />

presa e con scene a basso contrasto,<br />

a toni uniformi, o in difetto di zone<br />

intensamente illuminate ai limiti del<br />

campo, il meccanismo compensatore<br />

non funziona più e non funziona<br />

se si utilizza la cellula per letture<br />

selettive. Un’altra ragione che può<br />

aver determinato questa taratura è<br />

quella di avere un fattore di sicurezza<br />

<strong>nel</strong>l’esposizione, eccessivo però<br />

per materiale invertibile a colori.<br />

A parte questo criterio di taratura,<br />

che noi abbiamo eliminato variando<br />

opportunamente il valore della<br />

sensibilità della pellicola inserita,<br />

la risposta della cellula è risultata<br />

perfetta a tutte le intensità di illuminazione<br />

e le esposizioni corrette<br />

(con taratura alterata) (p. 31 della<br />

rivista citata).<br />

Di tale caratteristica è bene essere<br />

consapevoli soprattutto quando si<br />

faccia uso di pellicola per diapositive.<br />

In tal caso sarà bene impostare<br />

una sensibilità doppia di quella<br />

nominale del film (p. es. 200 Asa<br />

invece che 100). Tale correzione<br />

rimane a mio avviso consigliabile<br />

per qualsiasi pellicola. Si aggiunga<br />

che tali apparecchi al giorno d’oggi<br />

sono più che quarantenni e, tarature<br />

di fabbrica a parte, è probabile<br />

24 _______________________________________ <strong>scatti</strong> <strong>nel</strong> <strong>tempo</strong>


Zeiss Contaflex Super B<br />

che la cellula al selenio si sia un<br />

po’ indebolita <strong>nel</strong> <strong>tempo</strong>. Conviene<br />

sempre pertanto confrontare gli<br />

esiti della misurazione con un buon<br />

esposimetro che si sappia ben tarato<br />

e ben funzionante apportando<br />

poi la giusta correzione alla regolazione<br />

della sensibilità della<br />

pellicola.<br />

Chiarito tutto questo si conferma<br />

che l’uso ordinario è semplicissimo:<br />

si imposta il <strong>tempo</strong><br />

di posa desiderato e, se il diaframma<br />

indicato dall’ago del<br />

galvanometro risulta convincente,<br />

si mette a fuoco e si scatta.<br />

L’operazione di focheggiatura è<br />

semplicissima grazie al doppio<br />

telemetro (immagine spezzata/<br />

a<strong>nel</strong>lo finemente smerigliato).<br />

Anche se la luminosità delle ottiche<br />

non supera mai il valore<br />

di f:2,8 l’immagine offerta dal<br />

mirino è sempre luminosissima<br />

rendendo possibile una misurazione<br />

della distanza sicura anche<br />

in condizioni precarie di illuminazione.<br />

Chi non fosse abituato<br />

all’uso di apparecchi del genere<br />

dovrà all’inizio considerare che<br />

la nitidezza del soggetto su tutto<br />

il campo che compare <strong>nel</strong> mirino<br />

è in realtà ingannevole ed è<br />

dovuta all’immagine aerea del<br />

sistema di ripresa: la nitidezza<br />

effettiva va sempre verificata<br />

con il doppio telemetro presente<br />

al centro del mirino. Naturalmente<br />

al momento dello scatto<br />

l’immagine del mirino scompare<br />

perché lo specchio non è dotato<br />

di ritorno automatico e per<br />

riguardare il soggetto è necessario<br />

riarmare l’apparecchio con<br />

l’apposita leva di avanzamento<br />

del film.<br />

L’uso degli aggiuntivi ottici è<br />

abbastanza comodo. A differenza<br />

di altri apparecchi dell’epoca (p.<br />

es. la Topcon PR) gli aggiuntivi<br />

che modificano la lunghezza focale<br />

non si avvitano semplicemente sul-<br />

l’obiettivo normale ma è necessario<br />

rimuovere la lente anteriore del Tessar<br />

dopo averla sbloccata premendo<br />

un piccolo tasto collocato sotto la<br />

montatura dell’obiettivo e inserire,<br />

a baionetta, l’aggiuntivo desiderato<br />

dopo aver fatto coincidere in basso<br />

due puntini rossi di riferimento. La<br />

focale effettiva a quel punto sarà<br />

quella resa possibile dal tipo di aggiuntivo<br />

(35, 85 o 115 mm). La visione<br />

reflex continuerà a garantire<br />

inquadratura e messa a fuoco anche<br />

in presenza dell’aggiuntivo.<br />

Gli inconvenienti di tale sistema<br />

sono più di uno: maneggiare la lente<br />

anteriore del Tessar è imbarazzante<br />

più che maneggiare un<br />

qualsiasi obiettivo intercambiabile<br />

e non si sa mai dove<br />

metterla mentre non si usa e<br />

si ha il timore di danneggiarla<br />

o smarrirla. Ovviamente<br />

bisognerà stare attenti a non<br />

toccare la lente e a non rovinarla<br />

o sporcarla. Inoltre gli<br />

aggiuntivi sono tutti alquanto<br />

ingombranti e pesanti. Ciò si<br />

nota soprattutto con quello da<br />

35 mm. Tutti hanno una lente<br />

frontale molto più grande di<br />

quella del Tessar e il 115 mm<br />

un diametro di ben 67mm sinceramente<br />

eccessiva per un’ottica<br />

di luminosità f:4 e di soli<br />

115 mm di focale. La disparità<br />

di diametro tra 50, 35-85<br />

(questi due aggiuntivi hanno<br />

lo stesso diametro) e 115 mm<br />

crea complicazioni per il paraluce<br />

che ovviamente dovrà essere<br />

diverso. Per il Tessar 50<br />

è indispensabile disporre del<br />

suo piccolo paraluce originale<br />

in gomma che, ripiegabile,<br />

può essere tenuto montato sull’obiettivo<br />

anche con la borsa<br />

pronto chiusa. Ha un attacco<br />

a vite di mm 27. Il 115 può<br />

montare qualsiasi paraluce<br />

con attacco a vite di 67mm.<br />

Va benissimo quello in gomma<br />

del sistema Contax moderno.<br />

Per l’85 io uso un vecchio<br />

paraluce Canon (S-60) dotato<br />

di collare di serraggio esterno<br />

che lo fissa alla montatura con<br />

una piccola vite. Tale paraluce può<br />

anche essere montato sul 35mm che<br />

ha lo stesso diametro dell’85 ma è<br />

pratica da evitare almeno col materiale<br />

invertibile perché oscura con la<br />

vignettatura gli angoli del formato.<br />

Infine se è vero che la visione reflex<br />

<strong>scatti</strong> <strong>nel</strong> <strong>tempo</strong> ___________________________________________________________ 25


Zeiss Contaflex Super B<br />

garantisce precisione<br />

<strong>nel</strong>la messa<br />

a fuoco e <strong>nel</strong>l’inquadratura<br />

ciò non<br />

vale per il controllo<br />

della distanza e<br />

della profondità di<br />

campo dal momento<br />

che i riferimenti<br />

riportati sulla<br />

montatura dell’apparecchio<br />

valgono<br />

solo per il Tessar<br />

50. Perciò se si volesse<br />

consultare la<br />

scala di profondità<br />

di campo o sapere<br />

a che distanza si<br />

trova veramente il<br />

soggetto sarebbe<br />

necessario ruotare<br />

a mano la ghiera<br />

apposita di cui<br />

ogni aggiuntivo è comunque dotato.<br />

Naturalmente la rotazione per<br />

l’operazione di messa a fuoco che<br />

era già scomoda per il 50mm diventa<br />

ancora più faticosa dal momento<br />

che la ghiera rimane troppo vicina<br />

all’apparecchio, addossata al corpo,<br />

mentre con l’aggiuntivo il complesso<br />

da manovrare si è fatto più ingombrante<br />

e più pesante.<br />

Si capisce come il sistema Bessamatic<br />

risulti al confronto enormemente<br />

più pratico: più ampia<br />

la scelta delle ottiche che essendo<br />

completamente intercambiabili rimangono,<br />

almeno fino al 135 mm<br />

estremamente compatte e maneggevoli.<br />

Inoltre gli obiettivi Bessamatic<br />

50 (Color Skopar), 90, 100 e 135<br />

mm hanno tutti lo stesso diametro<br />

(40,5 mm) e possono usare un unico<br />

paraluce (e anche le stesse lenti addizionali).<br />

Anche il 35mm Skoparex<br />

avrebbe lo stesso diametro ma<br />

necessita di un suo paraluce rettangolare<br />

che non vignetta.<br />

Per le riprese ravvicinate la Contaflex<br />

fa uso come la Bessamatic ad<br />

un sistema di quattro lenti addizionali.<br />

Si chiamano Proxar, sono piccolissime<br />

(ø 28,5 mm) e si montano<br />

a pressione sulla lente frontale del<br />

Tessar 50 mm. Le lenti addizionali<br />

per la Bessamatic, di diametro più<br />

grande (40,5 mm), sono anch’esse<br />

quattro, si chiamano Focar e si montano<br />

a vite su tutti gli obiettivi dello<br />

stesso diametro. Anche gli aggiuntivi<br />

Zeiss Contaflex possono fare uso<br />

di lenti addizionali ma saranno ovviamente<br />

tutte di grande diametro e<br />

di grandezza diversa.<br />

Una caratteristica apparentemente<br />

del sistema Contaflex consiste<br />

<strong>nel</strong>la possibilità di adoperare magazzini<br />

portapellicola di ricambio.<br />

Tali magazzini vengono montati<br />

dopo avere asportato il dorso-fondello<br />

della macchina. Il loro uso<br />

consente un rapido caricamento a<br />

pellicola esaurita o l’intercambio in<br />

qualsiasi momento di una pellicola<br />

Zeiss Contaflex Voigtländer Bessamatic<br />

Accessorio Prezzo in lit. Accessorio Prezzo in lit.<br />

Lenti addizionali Proxar (cad.) 3.500 Lenti addizionali Focar (cad.) 3.600<br />

Borsa pronto 11.600 Borsa pronto 10.400<br />

Paraluce 1.400 Paraluce 2.000<br />

Pro-Tessar 3,2/35 mm 55.000 Obiettivo Skoparex 3,4/35 mm 55.300<br />

Pro-Tessar 3,2/85 mm 60.000 Obiettivo Dynarex 3,4/90 mm 69.000<br />

Pro-Tessar 4/115 mm 62.000 Obiettivo Super-Dinarex 4/135 60.500<br />

26 _______________________________________ <strong>scatti</strong> <strong>nel</strong> <strong>tempo</strong>


Zeiss Contaflex Super B<br />

con un’altra di caratteristiche diverse<br />

(bianco-nero/colore, alta/media/<br />

bassa sensibilità, negativo/invertibile)<br />

senza perdere alcun fotogramma<br />

ma è bene tener presente che<br />

l’uso di tali accessori è macchinoso.<br />

Tra l’altro la Contaflex ha all’interno<br />

del vano che ospita il caricatore<br />

del film un pezzo di lamiera che dovrebbe<br />

servire per tenere meglio in<br />

posizione lo stesso caricatore. Tale<br />

oggetto (di cui si può comunque<br />

fare tranquillamente a meno) deve<br />

essere rimosso per poter montare il<br />

magazzino che dispone ovviamente<br />

di un’antina mobile per proteggere<br />

la pellicola dalla luce quando il magazzino<br />

stesso è separato dal corpo<br />

macchina Ma la cosa più grave è<br />

che <strong>nel</strong>l’inserire l’antina la pellicola<br />

potrebbe essere urtata e spinta fino<br />

ad accartocciarsi bloccando completamente<br />

l’apparecchio e richiedendo<br />

l’intervento di un riparatore.<br />

Per farla breve, i magazzini per<br />

Zeiss Contaflex possono oggi anche<br />

fare bella mostra di sé in una collezione<br />

ma è sconsigliabile tentare di<br />

usarli. Bessamatic e Contaflex erano<br />

dirette concorrenti sul mercato:<br />

oltre all’impostazione progettuale<br />

anche i prezzi erano molto simili:<br />

Nel catalogo Bagnini n. 15 del semestre<br />

settembre 1963 - febbraio<br />

1964 la Zeiss Contaflex Super B era<br />

offerta a 174.600 lire mentre la Voigtländer<br />

Bessamatic (con obiettivo<br />

Color-Skopar equivalente al Tessar)<br />

a 163.000 lire. Anche il costo<br />

del resto del corredo era comparabile<br />

(i dati che seguono sono ricavati<br />

dalla Guida italiana della Fotografia<br />

edita <strong>nel</strong> 1964 dalla ditta Lori di<br />

Roma):<br />

Andare in giro a fare fotografie<br />

con una Contaflex (o una Bessamatic)<br />

è cosa piacevolissima e gratificante<br />

anche perché oggi l’apparecchio<br />

non passa inosservato e sono<br />

numerose le persone che riconoscendolo<br />

o comunque sedotti dalla<br />

vistosità e dall’elegante imponenza<br />

nonché dalla lucentezza delle cromature<br />

si avvicinano per osservarlo<br />

meglio e per parlarne. La resa dell’obiettivo<br />

Tessar è assolutamente<br />

superlativa anche facendo uso degli<br />

aggiuntivi offrendo come risultato finali<br />

immagini dettagliatissime e dai<br />

colori brillanti. Anche la resa delle<br />

ottiche della Bessamatic è straordinaria<br />

ma l’effetto è visibilmente diverso:<br />

più pittoriche, pastellate (che<br />

non vuol dire meno nitide) le immagini<br />

Voigtländer, più scolpite quelle<br />

Zeiss. E a questo punto è soltanto<br />

questione di gusti.<br />

Giuseppe Preianò<br />

<strong>scatti</strong> <strong>nel</strong> <strong>tempo</strong> ___________________________________________________________ 27


Summicron 90 II° versione: il Canada testa svitabile<br />

di Cesare Trentanni<br />

Il 90 mm Summicron II versione,<br />

meglio conosciuto come<br />

“90 testa svitabile”, è sicuramente<br />

uno dei capolavori ottici<br />

della Leica, classificabile fra i migliori<br />

obiettivi di focale medio-lunga<br />

mai realizzati al mondo.<br />

Il primo Summicron 90 f:1/2<br />

vide la luce <strong>nel</strong> 1957 con schema ottico<br />

tipo tripletto modificato di SEI<br />

LENTI in cinque gruppi, su progetto<br />

del Dott. Walter Mandler (1922-<br />

2005), geniale ideatore dal 1950 al<br />

1985 di alcune mitiche ottiche Leitz<br />

(fra le quali è d’obbligo ricordare ad<br />

esempio il 35 summilux, il 75 summilux<br />

ed il 50 noctilux).<br />

Restò in produzione per ventidue<br />

anni (fino al 1979) <strong>nel</strong> corso dei<br />

quali il sopradescritto schema ottico<br />

non fu mai variato; i primi pochissimi<br />

pezzi, calcolabili in poche decine,<br />

furono assemblati a Wetzlar; tutta la<br />

restante produzione fu realizzata in<br />

Canada.<br />

Del Summicron 90 sei lenti ne<br />

esistono due diverse versioni.<br />

La prima versione (1957-1958)<br />

fu realizzata in circa 400 pezzi (di cui<br />

qualche decina a vite ed i restanti con<br />

baionetta M) con gruppo ottico non<br />

svitabile e paraluce separato, tutti in<br />

finitura cromata, con diaframma da<br />

f/2 ad f/16 e matricola compresa fra<br />

1.450.000 circa ed 1.650.000 circa<br />

(i primissimi prototipi riconosco-<br />

ad epoche diverse riflessi diversi<br />

a sx produzione del 1967 a dx del 1973<br />

no matricola atipica compresa fra<br />

1.119.000 e 1.119.100).<br />

La seconda versione (1959-<br />

1979) fu prodotta in grande serie<br />

con baionetta M ed in circa 500<br />

unità con attacco a vite, con gruppo<br />

ottico svitabile per l’utilizzo con<br />

Visoflex, paraluce telescopico incorporato<br />

e matricola compresa fra<br />

1.651.000 circa e 3.010.000 circa.<br />

Fino alla matricola 2.000.000 circa<br />

il diaframma minimo chiudeva ad<br />

f/16, poi portato ad f/22; il diaframma<br />

era costituito da dodici lamelle.<br />

Dalla matricola 2.200.000 circa<br />

cessò la realizzazione in finitura<br />

cromata, sostituita da quella verniciata<br />

nera.<br />

A questa seconda versione, <strong>nel</strong><br />

f. 5,6<br />

corso degli anni di produzione, furono<br />

apportate modifiche alla montatura<br />

che riguardarono la forma<br />

della ghiera di messa a fuoco ed il<br />

senso di rotazione di quella dei diaframmi;<br />

sicure variazioni, anche<br />

se mai dichiarate dalla casa madre,<br />

interessarono anche il trattamento<br />

antiriflessi delle lenti e la brunituraannerimento<br />

delle parti interne del<br />

barilotto oltre, verosimilmente, alla<br />

formulazione e composizione dei<br />

costituenti base di alcune lenti.<br />

La fusione e la paziente stagionatura<br />

di pregiate “mescole” di<br />

componenti base contenenti terre<br />

rare, consentì alla Leica di creare<br />

vetri con alto indice di rifrazione,<br />

bassissima dispersione, trasparenza<br />

di circa il 100% al passaggio dei fotoni<br />

luminosi <strong>nel</strong> campo dello spettro<br />

di luce visibile con trasmissione<br />

uniforme e fedele di tutta la gamma<br />

cromatica. La lavorazione manuale<br />

e il controllo di ogni singolo componente<br />

era finalizzato ad ottenere<br />

bassissimi indici di tolleranza qualitativa.<br />

Da ricordare che la applicazione<br />

di rivestimenti antiriflesso delle<br />

superfici delle singole lenti è sempre<br />

stata finalizzata e calcolata per<br />

un ottimale rapporto fra riduzione<br />

delle aberrazioni da dispersione<br />

e conservazione della traspa-<br />

28 _______________________________________ <strong>scatti</strong> <strong>nel</strong> <strong>tempo</strong>


Summicron 90 II° versione: il Canada testa svitabile<br />

renza; anche il disegno della struttura<br />

portante ed il suo oscuramento<br />

interno è stato sempre calcolato per<br />

migliorare quanto più possibile la<br />

resa ottica e non solo per tenere le<br />

lenti <strong>nel</strong>la giusta posizione.<br />

Le resa globale del 90 Summicron<br />

“Testa Svitabile” è una esaltazione<br />

di tutte quella caratteristiche<br />

che hanno contribuito al mito dei<br />

vetri Leitz.<br />

Una nitidezza brillante e al con<strong>tempo</strong><br />

delicata, non aggressiva, uniforme<br />

su tutto il campo, restituisce<br />

immagini dense e pastose, con ottimale<br />

saturazione cromatica e precisa<br />

differenziazione dei colori, grazie<br />

ad un grado di contrasto splendidamente<br />

bilanciato. La plasticità è<br />

superba e la progressione armonica<br />

ed omogenea dei piani focalizzati e<br />

di quelli fuori focheggiatura dona<br />

una netta sensazione di profondità e<br />

tridimensionalità; <strong>nel</strong> B/N la riproduzione<br />

di una ampia scala di livelli<br />

di grigio offre risultati di grande armonia.<br />

Ottima e ben equilibrata la<br />

capacità di lettura delle zone d’ombra<br />

e di quelle ad alta luminosità,<br />

con una discriminazione precisa dei<br />

cromatismi e delle tonalità di grigio<br />

e una lettura agevole del dettaglio<br />

anche più fine.<br />

La vignettatura è virtualmente<br />

f. 2,8<br />

assente anche alla massima apertura<br />

del diaframma così come l’aberrazione<br />

di coma; <strong>nel</strong>la messa a fuoco<br />

ravvicinata può essere percettibile<br />

una minima distorsione a cuscino.<br />

Alle brevi distanze si ottengono<br />

immagini più morbide che non all’infinito,<br />

caratteristica che denota<br />

la grande versatilità dell’obiettivo,<br />

splendido sia <strong>nel</strong> ritratto che <strong>nel</strong>la<br />

ripresa del particolare di paesaggio.<br />

La resa generale non offre significative<br />

differenze nei diversi diaframmi,<br />

ad eccezione della massima<br />

apertura dove la risolvenza tende a<br />

diminuire.<br />

I risultati migliori si ottengono<br />

in condizioni di basso contrasto luminoso;<br />

ciò a causa dell’unica nota<br />

dolente fra le caratteristiche del Testa<br />

Svitabile, data da una netta tendenza<br />

al fenomeno di “flare”, soprattutto<br />

alle aperture maggiori del<br />

diaframma ed in presenza di forti<br />

fonti di illuminazione diretta fino ad<br />

un angolo di circa 60° rispetto all’asse<br />

ottico.<br />

Il “flare” è peraltro più marcato<br />

<strong>nel</strong>le realizzazioni più vecchie rispetto<br />

a quelle più recenti, dove risulta<br />

più contenuto grazie a quelle<br />

modifiche in corso d’opera già accennate<br />

riguardanti il trattamento<br />

antiriflesso e forse la composizione<br />

di qualche lente.<br />

Tali aggiustamenti sono già percepibili<br />

alla semplice osservazione<br />

di due oggetti di differente produzione<br />

e probabilmente le variazioni<br />

furono effettuate fra le matricole<br />

2.300.000 e 2.400.000 circa; una<br />

personale analisi di due obiettivi<br />

distinti, uno del 1967 e l’altro del<br />

1973, entrambi in finitura nera, rivela<br />

una colorazione diversa dei vetri<br />

quando attraversati da una fonte<br />

luminosa diretta: il più “vecchio”<br />

denota una riflessione cromatica<br />

tendente all’azzurro-violetto delle<br />

lenti interne e posteriori mentre <strong>nel</strong><br />

più “giovane” la stessa riflessione<br />

appare color ambra.<br />

<strong>scatti</strong> <strong>nel</strong> <strong>tempo</strong> ___________________________________________________________ 29<br />

f. 4


Summicron 90 II° versione: il Canada testa svitabile<br />

Inoltre, alla osservazione di<br />

una superficie bianca omogenea<br />

attraverso le lenti degli obiettivi,<br />

si scopre una restituzione del<br />

bianco neutra <strong>nel</strong> più recente ed<br />

una leggerissima tendenza al viraggio<br />

paglierino <strong>nel</strong> più datato.<br />

Le due produzioni descritte<br />

godono anche di una resa appena<br />

diversa, con sfumature di bassissimo<br />

grado percettivo anche ad<br />

un occhio particolarmente attento;<br />

il 90 Summicron del 1973, rispetto<br />

a quello del 1967, offre un<br />

contrasto appena inferiore ed una<br />

lettura delle zone d’ombra leggermente<br />

migliore; la resa cromatica<br />

è fedele, neutra con lievissima<br />

tendenza a toni freddi.<br />

Le immagini del 90 Summicron<br />

del 1967 sono invece magicamente<br />

dotate di una accennata<br />

dominante caldo-avorio che abbellisce<br />

soprattutto il ritratto con<br />

una resa dell’incarnato partico-<br />

larmente delicata ed una saturazione<br />

cromatica un poco più piena<br />

rispetto al fratello giovane.<br />

In conclusione, qualunque sia<br />

il numero di matricola, il Testa<br />

Svitabile è uno strumento ottico<br />

strepitoso che non dovrebbe mai<br />

mancare in un corredo Leica M.<br />

30 _______________________________________ <strong>scatti</strong> <strong>nel</strong> <strong>tempo</strong>


CONTAX RX - quasi un autofocus<br />

di Mauro Di Giovanni<br />

Un po’ di storia…<br />

Siamo <strong>nel</strong> 1994 e già diverse generazioni<br />

di reflex autofocus si sono<br />

succedute da quel lontano 1985 in<br />

cui Minolta avvia la commercializzazione<br />

del modello 7000 AF. Tutte<br />

le altre case, con un ritardo più o<br />

meno marcato, la seguono su questa<br />

via, tranne i marchi più tradizionalisti,<br />

come Leica e Contax. Queste<br />

ultime, dotate di un celebrato parco<br />

ottiche, poco inclini a sostituire<br />

le nobili leghe metalliche dei loro<br />

barilotti con elementi<br />

sintetici e ad aumentare<br />

le tolleranze delle<br />

parti in movimento,<br />

continuano imperterrite<br />

per diversi anni<br />

sulla loro strada (e<br />

Leica ancora continua…).<br />

Ad un certo<br />

punto Contax cerca<br />

però di limitare questo<br />

handicap introducendo,<br />

con la RX,<br />

un sistema di messa a<br />

fuoco assistita, denominato<br />

DFI (Digital<br />

Focus Indicator), per<br />

poi presentare una reflex<br />

autofocus unica<br />

<strong>nel</strong> suo genere (il modello<br />

AX) che, grazie<br />

allo spostamento del piano di messa<br />

a fuoco, consente la focheggiatura<br />

automatica con gli obiettivi manuali!<br />

L’approdo all’autofocus vero e<br />

proprio arriva con la N1 all’avvento<br />

del terzo millennio, rendendo però<br />

impossibile – così come fece Canon<br />

– lo scambio fra il tradizionale innesto<br />

a fuoco manuale Contax/Yashica<br />

ed il nuovo Contax N autofocus.<br />

Però, con un comunicato a sorpresa<br />

del 12 aprile 2005, Kyocera<br />

annuncia la sospensione della produzione<br />

delle fotocamere 35mm<br />

Contax entro settembre dello stesso<br />

anno, mentre per alcuni mercati<br />

continuerà fino a dicembre la commercializzazione<br />

della 645.<br />

Altro recente annuncio a sorpresa<br />

è quello della Carl Zeiss, che<br />

proporrà le proprie prestigiose ottiche<br />

manuali per reflex 35mm – fino<br />

ad oggi con innesto esclusivo Contax/Yashica<br />

– anche con altri innesti,<br />

cominciando da quello Nikon F<br />

(ZF) e dall’intramontabile innesto a<br />

vite 42x1 (ZS), a partire dalla prossima<br />

estate. Verranno prodotte dalla<br />

Cosina su progetto e con controlli<br />

effettuati per mezzo di apparecchiature<br />

“made in Oberkochen”, e pre-<br />

vederanno anche nuove formulazioni<br />

ottiche.<br />

Una rapida carrellata sui vari<br />

modelli reflex 35mm…<br />

La prima Contax reflex nata dall’accordo<br />

Zeiss-Yashica è la professionale<br />

RTS del ’74 (arrivata alla<br />

sua terza edizione: da rimarcare<br />

<strong>nel</strong>la RTS III del ’90 la presenza<br />

di un esclusivo dorso aspirante in<br />

ceramica per mantenere l’assoluta<br />

planeità del film) affiancata, alla<br />

fine degli anni settanta, da alcuni<br />

modelli economicamente più abbordabili<br />

(137MD ed MA, 139 Quartz,<br />

ai quali faranno seguito la 159 MM,<br />

la longeva 167 MT fino ad arrivare<br />

all’attuale Aria). Modelli intermedi<br />

saranno invece rappresentati dalla<br />

ST del ’92 (simile alla RX del ’94<br />

– oggetto di questo articolo – ma<br />

priva del sistema DFI e con sincroflash<br />

pari a 1/200 di secondo) dalla<br />

S2 totalmente meccanica con esposizione<br />

spot e dalla S2b, identica<br />

ma con esposizione media ponderata.<br />

Un caso a parte è la AX del ’96,<br />

una autofocus del tutto particolare,<br />

dotata di dorso mobile che permette<br />

di mettere a fuoco automaticamente<br />

con gli obiettivi manuali! Dal 2000<br />

anche Contax entra <strong>nel</strong> mondo delle<br />

autofocus vere e proprie con la N1<br />

seguita dalla più economica (si fa<br />

per dire) NX, dotate di un nuovo innesto<br />

– incompatibile con il precedente<br />

– che andranno ad affiancare<br />

la produzione a fuoco manuale. Nel<br />

2002 la RX viene aggiornata con la<br />

versione RX II, priva del sistema<br />

DFI, mirino più luminoso del 20%<br />

e un secondo autoscatto con ritardo<br />

di 2 secondi.<br />

La tecnica…<br />

Come tradizione Contax – rin-<br />

<strong>scatti</strong> <strong>nel</strong> <strong>tempo</strong> ___________________________________________________________ 31


CONTAX RX - quasi un autofocus<br />

vigorita dalla gestione Kyocera<br />

che in passato ha creduto molto in<br />

questo marchio – la qualità dei materiali<br />

impiegati e delle finiture è<br />

di prim’ordine. Piuttosto corposa<br />

e di peso non indifferente (otto etti<br />

abbondanti “a secco”), si impugna<br />

però con facilità grazie all’attento<br />

studio ergonomico, che prevede una<br />

guancia anatomica frontale ed una<br />

sporgenza posteriore per ancorare<br />

il pollice. L’estetica è praticamente<br />

identica a quella del modello ST<br />

ma con il pentaprisma spigoloso un<br />

po’ più largo e schiacciato, simile a<br />

quello delle vecchie RTS; per il resto<br />

le linee sono morbide e sinuose,<br />

con gli spigoli dolcemente arrotondati.<br />

La livrea è nera, come si conviene<br />

ad un apparecchio professionale,<br />

con inserti gommati al posto<br />

della tradizionale finta pelle, che fascia<br />

il dorso e la parte anteriore, favorendo<br />

la presa dell’apparecchio.<br />

Ottima e duratura la brunitura delle<br />

parti metalliche, tranne quella della<br />

slitta porta accessori che, sottoposta<br />

ad un continuo sfregamento, può<br />

mostrare in alcuni punti il suo colore<br />

naturale. Sovradimensionato il<br />

mirino, anche per la presenza della<br />

particolare conchiglia in gomma che<br />

segue l’estetica del pentaprisma.<br />

La qualità complessiva si può apprezzare<br />

anche <strong>nel</strong>la realizzazione<br />

dei vari comandi, in special modo<br />

<strong>nel</strong>le manopole, prive di giochi e<br />

dall’ottima frizione che consentono<br />

– grazie al loro sovradimensionamento<br />

– un’ottima manovrabilità,<br />

anche indossando i guanti. Il corpo<br />

macchina è realizzato in pressofusione<br />

con una lega di rame/silumin,<br />

temprata con vapore a pressione ad<br />

elevata temperatura, per offrire una<br />

notevole resistenza alla torsione; calotta<br />

e fondello sono invece in lega<br />

d’ottone, mentre la baionetta è in acciaio<br />

inox, saldamente ancorata alla<br />

scocca con sei viti. Impeccabile anche<br />

l’interno della fotocamera, con<br />

sistema di avanzamento automatico<br />

fino al primo fotogramma.<br />

Il dorso smontabile offre di serie<br />

il datario, ed è provvisto di finestrella<br />

d’ispezione per la pellicola<br />

in uso. La RX incorpora anche il<br />

motore di trascinamento e riavvolgimento<br />

capace di sostenere la cadenza<br />

di 3 fotogrammi al secondo;<br />

è possibile decidere se far rientrare<br />

o meno la coda della pellicola <strong>nel</strong><br />

caricatore con la funzione<br />

personalizzata<br />

CF8 (vedi oltre), e<br />

attivare il riavvolgimento<br />

automatico a<br />

fine film (CF9).<br />

Rispettando la<br />

tradizione Contax,<br />

il selettore dei tempi<br />

lo troviamo inusualmente<br />

alloggiato a<br />

sinistra del pentaprisma;<br />

coassiale la levetta<br />

(con fermo di<br />

sicurezza disabilitato<br />

dal pulsantino sul retro<br />

della calotta) che<br />

permette si selezionare<br />

i vari modi d’esposizione:<br />

Av = automatismo<br />

a priorità<br />

del diaframma, Tv =<br />

a priorità del <strong>tempo</strong> d’esposizione,<br />

P = programmato, M = manuale, X<br />

= sincro-flash, B = posa. Facendola<br />

ruotare ulteriormente in senso antiorario<br />

troviamo la posizione ISO<br />

per impostare manualmente la sensibilità<br />

– disabilitando la lettura DX<br />

– e la posizione CF (Custom Functions)<br />

che permette di personalizzare<br />

alcune funzioni della RX, per la<br />

precisione nove oltre al reset (CLE);<br />

in questi ultimi due casi la selezione<br />

avviene tramite i pulsantini up/down<br />

posti sul lato opposto della calotta,<br />

sotto il display; <strong>nel</strong> testo citeremo le<br />

principali funzioni personalizzabili.<br />

Sul fianco sinistro un tappino a vite<br />

cela la presa coassiale per il flash;<br />

più in basso il meccanismo d’apertura<br />

del dorso con pulsante centrale<br />

di sicurezza. Sulla slitta porta-accessori<br />

troviamo il contatto diretto per<br />

il flash e quattro contattini dedicati<br />

(invece dei soliti due) che permettono<br />

un maggior scambio di informazione<br />

con il lampeggiatore TLA<br />

360, come l’accensione automatica<br />

di quest’ultimo premendo leggermente<br />

il pulsante di scatto. Sul fianco<br />

sinistro del mirino la levetta per<br />

32 _______________________________________ <strong>scatti</strong> <strong>nel</strong> <strong>tempo</strong>


CONTAX RX - quasi un autofocus<br />

oscurarlo, mentre sul<br />

fianco destro del pentaprisma<br />

una rotellina<br />

zigrinata con avanzamento<br />

a <strong>scatti</strong> serve a<br />

regolare le diottrie del<br />

mirino. Il correttore<br />

d’esposizione, privo<br />

di fermi di sicurezza<br />

ma ben frenato <strong>nel</strong>la<br />

posizione “0”, è costituito<br />

da una grossa<br />

manopola, con incrementi<br />

di 1/3 di stop;<br />

una levetta coassiale<br />

permette di impostare<br />

il bracketing automatico<br />

di +/-0,5 o +/-1<br />

EV; è possibile personalizzare<br />

la seguenza<br />

degli <strong>scatti</strong> (CF6). A<br />

fianco una manopola più piccola<br />

(selettore DRIVE) stabilisce i modi<br />

d’avanzamento: singolo (S), continuo<br />

(C), autoscatto, esposizioni<br />

multiple; il pallino verde predispone<br />

il sistema DFI per un funzionamento<br />

standard, indipendentemente dalle<br />

impostazioni personalizzate. Alla<br />

base un selettore coassiale imposta<br />

la classica lettura bilanciata al centro<br />

oppure quella spot. Il pulsante di<br />

scatto elettromagnetico è circondato<br />

da una corona mobile che ne limita<br />

la pressione accidentale ed attiva,<br />

manovrandola in senso antiorario,<br />

l’accensione dei circuiti (ON) e poi<br />

il blocco della memoria esposimetrica<br />

(AEL); premendo leggermente<br />

il pulsante vengono visualizzati i<br />

dati <strong>nel</strong> mirino, ma è possibile personalizzarlo<br />

facendo in modo che<br />

attivi con<strong>tempo</strong>raneamente anche il<br />

blocco della memoria sul pulsante<br />

di scatto (CF4). Il piccolo pan<strong>nel</strong>lo<br />

LCD mostra, alternativamente,<br />

il numero dei fotogrammi, il valore<br />

ISO, lo stato di carica della batteria,<br />

il numero di esposizioni multiple<br />

programmato e le funzioni<br />

personalizzate (CF), il cui schema<br />

è riassunto in un adesivo applicabi-<br />

le <strong>nel</strong> fondello. A destra del mirino<br />

una levetta con blocco centrale di<br />

sicurezza permette di riavvolgere<br />

la pellicola in qualsiasi momento;<br />

più a destra l’attacco per il cavetto<br />

flessibile con filettatura standard. In<br />

basso a sinistra un tappino protegge<br />

una presa per l’alimentazione esterna.<br />

Al centro del dorso i tre pulsanti<br />

per settare data e ora, che verranno<br />

impressi <strong>nel</strong>lo spazio tra i fotogrammi.<br />

Sul frontale troviamo il pulsante<br />

per visualizzare i dati <strong>nel</strong> mirino (in<br />

alternativa al pulsante di scatto) e,<br />

sul fianco del bocchettone, il pulsante<br />

di sblocco per l’obiettivo; più<br />

in basso, quello per visualizzare la<br />

profondità di campo <strong>nel</strong> mirino, che<br />

si può personalizzare (CF7) facendo<br />

in modo che il diaframma resti<br />

chiuso fino a nuova pressione del<br />

pulsante. Nel fondello il foro filettato<br />

per il treppiede e, ad una estremità,<br />

la vite per smontare il fondello<br />

ed accedere al vano batteria.<br />

Vanto delle reflex Contax è la<br />

qualità del mirino, e la RX non<br />

smentisce questa fama. Di tipo<br />

long eyepoint (quindi adatto a chi<br />

indossa gli occhiali), copre il 95%<br />

dell’area effettivamente inquadrata<br />

con un ingrandimento pari a 0,8x ed<br />

è dotato di cinque schermi di messa<br />

a fuoco intercambiabili; quello<br />

standard (FW-1) è finemente smerigliato<br />

con lente di Fres<strong>nel</strong>, corona di<br />

microprismi e telemetro ad immagine<br />

spezzata. E’ possibile regolare le<br />

diottrie da +3 a –1 ed è oscurabile.<br />

Nitida e ben contrastata l’immagine<br />

fino ai bordi estremi, con una<br />

lieve dominante calda; non valutabili<br />

ad occhio le distorsioni. Tutte<br />

le informazioni appaiono in basso,<br />

in un display LCD retroilluminato<br />

ad intensità variabile secondo la<br />

luminosità ambientale; anche la visualizzazione<br />

di queste può essere<br />

personalizzata, eliminando il sistema<br />

DFI oppure oscurando del tutto<br />

i dati (CF1). Oltre alle indicazioni<br />

per la messa a fuoco, che appaiono<br />

al centro del display e di cui abbiamo<br />

già parlato, troviamo il contafotogrammi<br />

(se lampeggia è stato<br />

inserito il bracketing automatico),<br />

il tipo di lettura esposimetrica (lampeggia<br />

quando è inserito il blocco<br />

della memoria), la compensazione<br />

dell’esposizione (lampeggiante), il<br />

simbolo del flash che indica l’avvenuta<br />

carica e la corretta esposizione,<br />

<strong>scatti</strong> <strong>nel</strong> <strong>tempo</strong> ___________________________________________________________ 33


CONTAX RX - quasi un autofocus<br />

i diaframmi, due freccette che indicano<br />

sovra/sotto o corretta esposizione<br />

per la misurazione manuale, il<br />

<strong>tempo</strong> di posa. I dati restano visibili<br />

per circa 16 secondi.<br />

La RX utilizza due cellule al silicio<br />

separate, una posta all’interno<br />

del mirino per le rilevazioni in luce<br />

continua (media ponderata e spot),<br />

l’altra <strong>nel</strong> box specchio per l’esposizione<br />

TTL con i flash dedicati,<br />

rivolta verso il piano pellicola. Il<br />

campo di risposta si estende tra 1 e<br />

20 EV con la lettura media ponderata,<br />

e tra 5 e 20 EV con lettura spot<br />

utilizzando pellicola da 100 ISO ed<br />

obiettivo f/1,4, per sensibilità comprese<br />

tra 25 e 5000 ISO in DX e tra<br />

6 e 6400 ISO con impostazione manuale.<br />

I modi d’esposizione vanno<br />

dall’automatismo a priorità del<br />

diaframma, a quello a priorità dei<br />

tempi, all’automatismo programmato<br />

(questi ultimi due funzionano<br />

solamente con obiettivi della serie<br />

“MM”), all’esposizione completamente<br />

manuale. Con i flash dedicati<br />

l’esposizione è automatica TTL. I<br />

controlli possibili sull’esposizione<br />

sono molteplici, e vanno dal clas-<br />

sico correttore d’esposizione (+/-2<br />

EV con intervalli di 1/3 di EV), al<br />

blocco della memoria esposimetrica<br />

che consente lo slittamento fra coppie<br />

<strong>tempo</strong>-diaframma equivalenti,<br />

al bracketing automatico (+/- 0,5<br />

EV oppure +/-1 EV), con possibilità<br />

di stabilirne la sequenza preferita.<br />

La RX sfrutta un otturatore controllato<br />

elettronicamente (senza alcun<br />

<strong>tempo</strong> meccanico) con lamelle<br />

metalliche a scorrimento verticale<br />

tipo Copal. La gamma dei tempi si<br />

estende da 16 ad 1/4000 di secondo<br />

nei modi “AV” e “P”, da 4 ad<br />

1/4000 di secondo nei modi “TV” e<br />

manuale, oltre alla posa B e al sincro-flash<br />

(X). Quest’ultimo si assesta<br />

su 1/125 di secondo: pensiamo<br />

però che una fotocamera come la<br />

RX avrebbe meritato qualcosa di<br />

più, almeno 1/200 di secondo come<br />

la consorella ST per poter meglio<br />

sfruttare la tecnica del fill-in; con i<br />

flash dedicati predisposti è possibile<br />

ottenere la sincronizzazione sulla<br />

seconda tendina. Si possono effettuare<br />

fino a nove esposizioni multiple<br />

sullo stesso fotogramma.<br />

L’autoscatto elettronico garantisce<br />

un ritardo di 10 secondi ed è<br />

revocabile; il suo funzionamento è<br />

accompagnato dal lampeggiare di<br />

un led alla base dell’impugnatura<br />

frontale. Occorre ricordarsi di disinserirlo<br />

una volta effettuata la ripresa.<br />

L’alimentazione alla RX viene<br />

fornita da una (costosa) batteria al<br />

litio tipo da 6 Volt tipo 2CR5 per il<br />

funzionamento della fotocamera, e<br />

da una batteria tipo CR2025 (sempre<br />

al litio) per il dorso datario di serie.<br />

Purtroppo la RX dipende, in ogni<br />

sua funzione, dalla buona efficienza<br />

delle batterie, e non è previsto alcun<br />

<strong>tempo</strong> meccanico d’emergenza, per<br />

cui in mancanza d’energia si blocca<br />

tutto. Inoltre l’elemento al litio previsto<br />

non è di così facile reperimento<br />

come le batterie stilo o ministilo.<br />

E’ comunque prevista una presa<br />

per alimentazione esterna (Power<br />

Pack P-8 con quattro elementi stilo)<br />

ed una efficace segnalazione<br />

sul display che avvisa per <strong>tempo</strong><br />

sull’esaurimento della batteria. Sarebbe<br />

buona norma munirsi di un<br />

elemento di riserva, specialmente<br />

in situazioni in cui uno scatto non<br />

potrà più essere replicato.<br />

Il sistema DFI…<br />

Il “Digital Focus<br />

Indicator” non è altro<br />

che un sistema di<br />

messa a fuoco servoassistita.<br />

Il sensore,<br />

posto sul fondo<br />

della scatola dello<br />

specchio, riceve le<br />

informazioni attraverso<br />

l’obiettivo tramite<br />

uno specchietto<br />

incernierato su quello<br />

principale Al centro<br />

del display <strong>nel</strong><br />

mirino appaiono due<br />

quadratini sovrapposti<br />

che rappresentano<br />

la messa a fuoco<br />

perfetta; a sinistra o<br />

a destra una serie di<br />

34 _______________________________________ <strong>scatti</strong> <strong>nel</strong> <strong>tempo</strong>


CONTAX RX - quasi un autofocus<br />

cerchietti (sei) per parte indicano quanto ci si discosta<br />

dalla messa a fuoco ideale: più sono numerosi maggiore<br />

sarà lo scostamento. Superando il limite dei sei cerchietti,<br />

appare una freccetta lampeggiante che indica la<br />

corretta direzione verso cui ruotare la ghiera di messa a<br />

fuoco; se lampeggiano entrambe le freccette il sistema<br />

non è in grado di valutare la corretta focheggiatura.<br />

Rispetto ai sistemi simili, la novità è costituita dalla<br />

possibilità di valutare la profondità di campo entro<br />

cui i soggetti appariranno nitidi: il circuito digitale è<br />

infatti collegato anche al simulatore del diaframma.<br />

Sopra ai cerchietti appaiono una serie di trattini (variabili<br />

secondo il diaframma utilizzato) che indicano<br />

l’estensione della profondità di campo; in questo modo<br />

si può facilmente valutare, focheggiando due soggetti<br />

diversi, se questi rientrano <strong>nel</strong>la zona nitida: basta che<br />

i cerchietti di riferimento non oltrepassino la zona delimitata<br />

dai trattini. La sensibilità del sistema si estende<br />

tra 2 e 20 EV.<br />

Le conclusioni…<br />

Nella gamma di reflex Contax, la RX si pone ad<br />

un livello intermedio, appena al disotto della RTS III.<br />

La costruzione è quella tipica delle reflex professionali,<br />

realizzata con materiali idonei per durare <strong>nel</strong> <strong>tempo</strong> e<br />

resistere ad un uso intenso, e con una versatilità d’impiego<br />

ancora oggi più che valida. Comoda da usare per<br />

la sua ergonomia e i selettori sovradimensionati, silenziosa<br />

<strong>nel</strong> funzionamento nonostante i vari motori addetti<br />

alle diverse funzioni della fotocamera, offre anche<br />

una serie di comode personalizzazioni ed il dorso data<br />

incorporato. In rapporto al peso piuma di alcune reflex<br />

attuali quello della RX, abbinato ai sostanziosi vetri<br />

Zeiss, può sembrare eccessivo, ma è lo scotto da pagare<br />

alla qualità dei materiali impiegati, e questo garantisce<br />

anche un assorbimento ottimale delle vibrazioni<br />

causate dalle parti in movimento. Molto valido – come<br />

sempre <strong>nel</strong>le Contax – il mirino di tipo long-eyepoint,<br />

nitido e ben contrastato, mentre quella che doveva essere<br />

la caratteristica saliente della RX – il sistema DFI<br />

per la messa a fuoco servoassistita – appare oggi poco<br />

rapido e soprattutto poco sensibile in condizioni di bassa<br />

luminosità, là dove sarebbe stato più utile, specialmente<br />

per chi ha problemi di vista. Manca purtroppo la<br />

possibilità di operare con almeno un <strong>tempo</strong> meccanico,<br />

e la batteria la litio utilizzata non è sempre di facile reperimento.<br />

Per una reflex di questa categoria manca il<br />

sollevamento anticipato dello specchio anche se, come<br />

già detto, la massa dell’apparecchio assorbe egregiamente<br />

eventuali vibrazioni.<br />

Ancora oggi ben quotata, la RX è destinata ad integrare<br />

un corredo professionale Contax, ma è sicuramente<br />

valida anche come reflex d’esordio per un fotoamatore<br />

impegnato ma dotato di buoni mezzi economici<br />

visto che oggi, per questo marchio, restano disponibili<br />

solamente gli ottimi ma costosi vetri Zeiss, essendo venuta<br />

meno l’alternativa economica dei cugini marchiati<br />

Yashica. A meno di non rivolgersi al mercato dell’usato<br />

e/o degli obiettivi universali.<br />

<strong>scatti</strong> <strong>nel</strong> <strong>tempo</strong> ___________________________________________________________ 35


KODAK RETINA<br />

di Papajoannou Konstantinos<br />

E adesso il vero dilemma sta tra un racconto “perso”<br />

<strong>nel</strong>l’ oggettività strumentale del mezzo o tra un tentativo<br />

magari “profano” e poco “esperto” di scoprire le<br />

impressioni di “sognare” e “fare” l’immagine.<br />

E’arrivata da un carissimo amico. Un “amante” della<br />

macchina fotografica e della sua evoluzione <strong>nel</strong> <strong>tempo</strong>.<br />

Spesso mi diceva che la trasformazione dello strumento<br />

fotografico come mezzo di creatività non è altro che<br />

lo “specchio” dell’evoluzione umana, dei suoi bisogni<br />

e orizzonti.<br />

Piccola, maneggevole e saldamente rinchiusa in un<br />

“contenitore” ben rifinito targato “Kodak Retina IIC”.<br />

Una folding estraibile pronta a fermare l’attimo fuggente<br />

trasferendolo su una pellicola 35mm che qualcuno<br />

insiste ancora ad usare malgrado le conquiste dell’era<br />

digitale. Ieri il mondo ignorava questo traguardo.<br />

Oggi questo mondo dei “pixel evoluti” riscopre che<br />

l’idea dello scatto continua a prevalere sull’idea della<br />

sua manipolazione tecnologica. Il calcolatore deve<br />

essere accompagnato da qualcuno per poter andare a<br />

spasso a caccia dei momenti immaginari…<br />

Pensate che questa Retina costruita in Germania<br />

dalla Nagel non aveva bisogno di batterie per funzionare<br />

privando il mondo dal piacere dell’inquinamento<br />

procurato dai distratti e incuranti utilizzatori dell’energia<br />

accumulata. Ma questo era poco di fronte alla totale<br />

assenza dell’esposimetro, di questo meraviglioso<br />

strumento di misurazione della luce magari anche con<br />

“prevalenza al centro”, sistema conosciuto ai “vecchi”<br />

fotografi ormai dimenticato dai cultori dei calcoli zonali<br />

e frammentari della realtà. Questa assenza spingeva<br />

chi fotografava a osservare con cura la dimensione, la<br />

quantità e il “sapore fisico” della luce. Una costrizione<br />

che condannava i fotografi a pensare come la luce disegnava<br />

il reale. Gli imponeva a imparare con l’osservazione<br />

dell’errore perpetuato <strong>nel</strong> <strong>tempo</strong> che la fotografia<br />

non è altro che interpretazione della materia tramite<br />

l’anima della luce.<br />

Ma le privazioni non finivano qui. Pensate che la<br />

leva di carica era situata <strong>nel</strong>la parte inferiore della macchina<br />

provocando, a quel <strong>tempo</strong>, chi sa quante critiche<br />

e dividendo magari il mondo tra i “leicisti” e i “retinomani”<br />

entrambi probabili difensori delle diversità secondarie<br />

che spesso oscurano la sostanza del mezzo<br />

come supporto di ricerca . Tra quelli che privilegiavano<br />

il concetto dell’impugnabilità quasi perfetta di una leva<br />

pronta a rispondere all’impulso tattile e quelli che accettando<br />

qualche spostamento del pollice verso il basso<br />

continuavano allegramente a trascinare il rullino verso<br />

la realizzazione delle loro immaginazioni fotografiche.<br />

In ogni caso di leva si trattava visto che ancora il<br />

trascinamento automatico era destinato ad un futuro<br />

lontano ed incerto. Il “calvario” procurato da questa<br />

macchinetta magra e timida si individuava <strong>nel</strong> meccanismo<br />

dell’impostazione del primo fotogramma per lo<br />

scatto. Inserita la pellicola e chiusa la parte posteriore<br />

il fotografo del <strong>tempo</strong> era costretto a spingere <strong>nel</strong>la<br />

parte superiore un bottone per poi con un altro situato<br />

<strong>nel</strong>la parte alta posteriore trascinare tutto sul primo<br />

fotogramma. Il momento era probabilmente molto laborioso<br />

visto che le mani agivano sul corpo macchina<br />

distraendo la mente dalla riflessione. Non a caso oggi<br />

con l’aiuto dell’elettronica questa “terribile” fase <strong>nel</strong>la<br />

storia della fotografia è felicemente superata.<br />

L’otturatore meccanico era situato tra le alette del<br />

diaframma impedendo il ricambio degli obiettivi problema<br />

che fu risolto con la costruzione di un primo<br />

gruppo ottico fisso e un secondo per il 35 e 80mm intercambiabile.<br />

Il mirino, che per questo motivo si pronunciava<br />

con la C maiuscola, era di grandi dimensioni<br />

con la presenza delle sagome per la delimitazione delle<br />

focali 35, 50 e 80mm.<br />

Infine gli obiettivi erano costruiti dalla celebre ditta<br />

di ottica Schneider Kreuznar con la denomiziazione<br />

Xenon. Il C rosso sul fronte della lente indicava che<br />

l’obiettivo era trattato per il colore.<br />

Impressioni<br />

La Retina IIC si tiene in mano offrendo dal primo<br />

momento una sensazione di compattezza e di solidità.<br />

36 _______________________________________ <strong>scatti</strong> <strong>nel</strong> <strong>tempo</strong>


KODAK RETINA<br />

Una piccola macchina che convince<br />

subito per la sua precisione meccanica<br />

secondo le migliori tradizioni<br />

dell’industria fotografica tedesca.<br />

Il meccanismo di estrazione del<br />

gruppo ottico è veramente preciso e<br />

fluido. La messa a fuoco altrettanto<br />

dolce e precisa. Lo scatto, grazie<br />

all’otturatore centrale, molto silenzioso<br />

e senza vibrazione…magari<br />

avessero uno scatto simile le macchine<br />

moderne. Gli obiettivi Schneider<br />

Xenon insieme alla finezza<br />

dei dettagli offrivano una particolare<br />

plasticità che conferiva all’immagine<br />

una sensazione di volumetria e<br />

tridimensionalità.<br />

Con questi obiettivi costruiti ancora<br />

con l’utilizzo di vetri si possono<br />

ottenere, ancora oggi, delle<br />

bellissime immagini caratterizzate<br />

dalla ricchezza dei dettagli e, per<br />

quel che riguarda il bianco e nero,<br />

da una incredibilmente vasta gamma<br />

tonale.<br />

La “dolcezza” dello scatto e la<br />

luminosità del mirino contribuivano<br />

all’uso della macchina a mano<br />

libera anche con scarsa luce. L’otturatore<br />

compur garantiva precisione<br />

e costanza <strong>nel</strong> <strong>tempo</strong>.<br />

Un po’ di storia<br />

La Retina IIC è la “logica” conseguenza<br />

di una lunga tradizione<br />

Kodak <strong>nel</strong> campo della fotografia e<br />

più specificatamente delle macchine<br />

a telemetro 35mm.<br />

Il 1933 è l’anno della presentazione<br />

della sua prima macchina con<br />

tempi d’otturazione fino a 1/1000 di<br />

secondo.<br />

Nell’ 1934 <strong>nel</strong>lo stabilimento<br />

Kodak di Stoccarda, in Germania,<br />

viene realizzata la prima macchina<br />

fotografica di precisione compatta,<br />

la leggendaria Kodak RETINA I.<br />

Mentre un anno dopo viene messa<br />

in vendita la pellicola invertibile<br />

KODACHROME, la prima pellicola<br />

a colori amatoriale, inventata da<br />

due musicisti, Leopald Mannes e<br />

Leopold Godowsky, e perfezionata<br />

nei laboratori Kodak. Nel 1935 è<br />

disponibile <strong>nel</strong> formato 16 mm per<br />

cinema; <strong>nel</strong> 1936 viene lanciata nei<br />

formati 8 mm per cinema e 35 mm<br />

per diapositive.<br />

Le prime Retina I del 1939 erano<br />

delle compatte a mirino galileiano,<br />

dal 1951 alle ultime del 1957<br />

l’obiettivo era l’eccellente Schneider-Kreuznach<br />

Retina Xenar 50mm<br />

f2,8. Ma per noi l’interesse è sulle<br />

Retina II, IIa e IIc a telemetro (prodotte<br />

dal ‘49 al ‘57) e sulla Retina<br />

IIIc, una sofisticata telemetro prodotta<br />

dal ‘54 al ‘57, folding come le<br />

prime Retina, ma con esposimetro<br />

al selenio e obiettivo intercambiabile<br />

(una rarità per le folding).<br />

Come epilogo…<br />

Ringraziando intimamente chi<br />

ha “rischiato” pubblicando i miei<br />

“profani” pensieri attorno ad una<br />

macchina fotografica su queste belle<br />

pagine della rivista desidero aggiungere<br />

ancora qualche timida riflessione.<br />

Confrontarsi con le conquiste<br />

tecnologiche oltre che utile lezione<br />

per la compressione storica dell’evoluzione<br />

del mezzo costituisce<br />

probabilmente un momento di<br />

sostanziale critica di quello che è<br />

realmente utile. L’uomo fruitore e<br />

insieme, costruttore di conoscenze<br />

è del resto l’unica valida risposta all’uomo<br />

consumatore acritico delle<br />

scelte altrui.<br />

Il sapiente uso del mezzo e <strong>nel</strong><br />

nostro caso la “vera” conoscenza<br />

delle privazioni e delle nuove possibilità<br />

offerte dal livello tecnologico<br />

può “sfamare” la mente umana<br />

dando gli anticorpi per combattere<br />

il deserto delle intenzioni e delle<br />

scelte.<br />

Come dire, anche una Retina, in<br />

un momento della storia della fotografia,<br />

in un determinato livello<br />

di conoscenza poteva rispondere a<br />

modo suo alla ricerca del realizzatore<br />

dell’attimo fuggente.<br />

A patto che quel momento aveva<br />

senso…<br />

<strong>scatti</strong> <strong>nel</strong> <strong>tempo</strong> ___________________________________________________________ 37


Intervista a Gianni Ansaldi<br />

di Giampiero Orselli<br />

Come è iniziata la tua avventura di fotografo ritrattista?<br />

La mia avventura di fotografo ritrattista è iniziata guardandomi intorno <strong>nel</strong>la città<br />

in cui vivo (Genova ndr.) e notando il sottobosco culturale nascosto e terribilmente<br />

fertile che c’era. Siccome so fare fotografie ho detto, proviamo a incontrare queste<br />

persone e fotografiamole. Così è iniziata la prima serie di foto dedicata ai personaggi<br />

dell’underground meno conosciuti. Poi, per forza di cose, frequentando persone della<br />

cultra e dello spettacolo più ufficiale, come il poeta Sanguineti o il comico Enrique<br />

Balbontin o il critico Claudio Fava, ho cominciato a ritrarre anche loro, sempre<br />

mantenendomi in ambito ligure diciamo così... stanziale. Dopodiché ho iniziato a<br />

incontrare anche i “liguri della diaspora”, come Cristiano De André o Pietro Cheli.<br />

Poi anche questo vincolo geografico è saltato e le foto si sono estese a personaggi<br />

nazionali e internazionali.<br />

Quali sono le tue apparecchiature?<br />

Visto il modo con cui mi approccio ai soggetti mi sembra d’obbligo usare le<br />

macchine a cui sono più legato, anche grazie alla passione tramandatami da mio<br />

padre. Sono le Leica M, <strong>nel</strong>lo specifico una M6 e una M3. La mia non è una scelta<br />

snobistica o legata solamente all’aspetto della qualità e dell’affidabilità, ma è dovuta<br />

anche alla loro discrezione e silenziosità, al fatto che il telemetro mi permette tempi<br />

più brevi rispetto a una reflex, o il fatto che il carisma naturale di macchine come<br />

queste mi aiuta a fare cose migliori. E’ un po’ come frequentare persone di grande<br />

spessore intellettuale, che ti permette di approfondire argomenti più interessanti che<br />

non frequentando… imbecilli. La M3 la uso con il leicameter, che non è il massimo<br />

della precisione pellicole BN cromogene (una fra tutte la Kodak BW400CN) ho una<br />

certa elasticità di esposizione. Le focali che utilizzo hanno un range che va dal 35<br />

al 50 millimetri, ottiche assolutamente “normali” per far sì che possa fotografare le<br />

persone chiacchierando con loro a una distanza “dialogica”. Uso prevalentemente<br />

un Sumicron 35, preasferico, un Summilux 35 sempre preasferico, un fantastico<br />

Summicron 50 del 56, e spesso un Sumicron 40 C, l’obbiettivo nato per la piccola<br />

CL, che amo molto. Non cambio mai obiettivo durante il “dialogo”. Lo scelgo prima in<br />

base alla situazione in cui mi troverò. Un 35 se saremo seduti vicini, magari con una<br />

scrivania in mezzo, il 50 se sarò accolto in un salotto con comode poltrone o il 40 se<br />

non saprò cosa aspettarmi.. In questo modo, evito gli atteggiamenti e riesco a cogliere<br />

la spontaneità.<br />

Bianco e nero o colore?<br />

La scrittura con la luce per me è solo in bianco e nero. Non ricordo nemmeno una<br />

foto a colori che abbia segnato la mia vita di appassionato di fotografie, a parte forse<br />

qualcosa di Haas perché era contenuta <strong>nel</strong> primo libro che mi hanno regalato da<br />

bambino. Sembra un paradosso, ma ho impressione che solo le foto in bianco e nero<br />

restituiscano i colori e la luce della realtà.<br />

I tuoi fotografi di riferimento?<br />

Due per tutti: Cartier-Bresson perprimo. Molti suoi ritratti sono sfocati, mossi, con<br />

angolature non tradizionali o piacevoli, però posseggono un’anima idefinibile e unica,<br />

come il ritratto ai coniugi Courie<br />

L’altro fotografo di cui mi piace guardare le fotografie la sera prima di un<br />

“ritrattamento” è il buon Boubat , non mi stancherei mai di guardare il suo signore<br />

portoghese sulla spiaggia con il bimbo in braccio, le ragazze di schiena di fronte al<br />

38 _______________________________________ <strong>scatti</strong> <strong>nel</strong> <strong>tempo</strong>


Intervista a Gianni Ansaldi<br />

<strong>scatti</strong> <strong>nel</strong> <strong>tempo</strong> ___________________________________________________________ 39


Intervista a Gianni Ansaldi<br />

mare o le foto fatte dalla finestra a donne o a gatti o a semplici piantine con una luce<br />

che sembra venire dal cielo solo per lui. Una luce che non so perché ma credo non<br />

esista più. La stessa luce che filtrava attraverso le foglioline di una piantina di basilico<br />

che mio nonno, io ero bambino, metteva sul bancone per non far entrare le zanzare in<br />

casa...<br />

Il tuo rapporto col computer?<br />

Con il computer ho un rapporto fantastico, lo stesso che avevo con l’ingranditore.<br />

Ho sempre sviluppato e stampato da solo il bianco e nero, ma ho scoperto che ci sono<br />

ottime pellicole cromogene che lo scanner che uso attualmente, un Minolta Dimage<br />

Elite 5400, digerisce benissimo dandomi ottimi risultati. Non trovo molta differenza di<br />

approccio rispetto a quando stavo al buio con l’ingranditore. Oggi mi bagno meno<br />

di acidi e inquino meno l’ambiente (credo). Col computer evito di fare quelle cose<br />

che non potrei fare anche con l’ingranditore, mi limito a semplici mascherature o<br />

a regolazioni di contrasto. Faccio sempre fotografia e non editing. Mi manca un po’<br />

l’odore del bagno di arresto, è vero. Ormai l’acetico lo odoro solo per tenermi sveglio<br />

<strong>nel</strong>le notti di lavoro al computer.<br />

Ci racconti qualche aneddoto?<br />

Un “non aneddoto”. Quasi nessuno dei ritrattati vedendosi davanti uno con una<br />

macchina di 50 anni ha fatto commenti. Nessuno degli oltre cento ritrattati stranamente<br />

si è stupito di non trovarsi davanti una digitale tutta lucine. L’unico che ha lanciato<br />

una bella esclamazione goduta è stato Fabrizio Casalino (in arte “Giginho”), perché<br />

sua padre possiede una macchina del genere. Lui faceva un po’ il clown durante il<br />

nostro incontro, così ho deciso di pubblicare l’unica foto in cui è molto serio.<br />

40 _______________________________________ <strong>scatti</strong> <strong>nel</strong> <strong>tempo</strong>


Intervista a Gianni Ansaldi<br />

Il personaggio che sogni di fotografare in assoluto?<br />

Tra i “quasi impossibili” Woody Allen, senza dubbio, Wim Wenders, e non mi<br />

dispiacerebbe neanche Ciampi. Quando andrà in pensione, cerchero di contattarlo. Ho<br />

il rimpianto di una foto mancata. Avevo di fronte Lou Reed, presentatomi da un amico,<br />

gli ho stretto la mano... ma non avevo la macchina con me così mi sono allontanato col<br />

desiderio di sprofondare in un tombino.<br />

E la donna che ti piacerebbe fotografare?<br />

In un’altra intervista, ho dichiarato che non amo fotografare le donne perché di<br />

solito hanno più attenzione per come si vedranno <strong>nel</strong>la foto finale piuttosto che<br />

cercare di proporre un’immagine reale. Ma non è sempre così. Ad esempio non è stato<br />

così con Carla Signoris che di solito vediamo in televisione o su certe giornali glamour<br />

dopo un pesante trattamento di trucco. Da me s’è fatta fotografare di prima mattina<br />

senza ombra di trucco e appare come una splendida “quarantaepassenne” con tutta<br />

la sua storia. Mi è sembrata felice della foto anche se mi ha pregato di mettere come<br />

didascalia: “Attrice senza trucco”.<br />

La donna che in assoluto mi piacerebbe di più fotografare è Juliette Binoche. Film<br />

Blu è uno dei miei film di culto.<br />

Poi ci sono le “mie” donne. Che adoro fotografare. Mia moglie e le mie bambine. Che<br />

mi hanno fatto scoprire che davanti al mio obiettivo già dai quattro anni cominciano a<br />

fare le difficili... è la magia del femminino...<br />

Sai vero che ti chiederò come mai le tue foto sono sempre storte?<br />

Inclinate, please... Mi piacerebbe che a rispondere fossero eventuali critici, ma<br />

proverò ad abbozzare una risposta. Dal lato “estetico” posso dirti che questo<br />

<strong>scatti</strong> <strong>nel</strong> <strong>tempo</strong> ___________________________________________________________ 41


Intervista a Gianni Ansaldi<br />

“movimento” favorisce la cognizione del “dialogico” da cui i miei ritratti partono<br />

sempre... l’”onda del dialogo”... da quello teorico potrei dire che ho notato che<br />

quando parlo con qualcuno mi accorgo di avere sempre il viso e quindi lo sguardo<br />

leggermente inclinato, e quindi ho la voglia di ricreare quel tipo di “visione”... in realtà<br />

è che nei miei ritratti voglio che prevalga sempre l’istintualità, il “baciare l’attimo” <strong>nel</strong><br />

modo più imprevisto e improvviso... e quando si bacia è giocoforza inclinare il volto...<br />

Hai mai fatto autoritratti?<br />

Non resisto agli autoritratti. Ogni volta che mi trovo in un ascensore davanti allo<br />

specchio, tiro fuori la macchina. Nove volte su dieci, la foto viene mossa perché gli<br />

ascensori di Genova sono vecchi (e menomale), bui e sballonzolano in un modo che<br />

si nota solo quando si cerca di fare una foto. Rendo pubbliche solo le foto recenti,<br />

perché non voglio dare di me un’immagine che non corrisponde più alla realtà.<br />

L’occhio del padrone ingrassa il cavallo, e l’occhio del fotografo?<br />

Spero che per molto <strong>tempo</strong> ancora ingrassi i mercanti di pellicole.. ma il digitale<br />

avanza. E’ il progresso, baby...<br />

Frammenti di un’intervista a Gianni Ansaldi realizzata a Genova il 1 marzo 2006<br />

42 _______________________________________ <strong>scatti</strong> <strong>nel</strong> <strong>tempo</strong>


Arturo Rebora e il suo “angolo”<br />

Rimescolando in ottiche<br />

“In un bosco trovai pastorella, più che bella al mio parere….”<br />

Il poeta va avanti ed io mi fermo. Nei miei amati<br />

cassetti ho trovato, ma non dimenticati, quei begli obiettivi<br />

Zeiss per Contarex unici almeno per la meccanica e la<br />

cosmesi fatti a botticella; come li vedo me ne innamoro<br />

sempre di più specie oggi che giovani ragazze mi offrono il<br />

posto a sedere in autobus che rifiuto sempre cortesemente<br />

ringraziando per il gesto. Ma perché sono finiti sulla Contarex?<br />

Perché ostinarsi a fare anche le macchine fotografiche?<br />

In una officina ho visto uno strumento Zeiss di controllo<br />

profili, una meraviglia struggente ed ancora perché Contarex<br />

ed altre? Due di questi obiettivi sono già finiti sulla mia<br />

Leicaflex SL, qualcuno mi disprezza, altri no; sono comunque<br />

convinto del mio gioco. E’ proprio obbligatorio fotografare<br />

con la reflex? Certo è più comodo, la reflex ha inventato<br />

il mirino, prima esistevano solo dispositivi di puntamento ed<br />

inquadratura, un poco come <strong>nel</strong>le armi a tiro lontano ed ecco<br />

che oggi voglio tornare indietro.<br />

Voglio usare gli obiettivi Contarex sulla Leica a vite IF<br />

con bei mirini dedicati alle varie focali. Sarà un gioco suscettibile<br />

di critiche ma eccovi il risultato con le dovute rinuncie<br />

e limitazioni.<br />

Perché ragiono così? Non ho mai capito perché chi è stato<br />

bravo a costruire ottiche voglia fare macchine fotografiche<br />

e viceversa, è una gelosia incomprensibile o la prepotenza<br />

di condizionare il fotoamatore? Oggi <strong>nel</strong>l’universale mondo<br />

degli scambi questo dovrebbe cessare: tu costruisci la macchina,<br />

io gli obiettivi entrambi al meglio per costo e qualità e<br />

saremo tutti contenti coi nostri mercati. Solo Exakta ed Alpa<br />

hanno ragionato come me: Quanta gelosia così il mercato<br />

muore o si orienta a rottamaglia generica.<br />

Credo di aver espresso ilmio punto di convinzione, stampo<br />

cinque foto per notte 18x24 o 30x40 apro il laboratorio<br />

casalingo alle ventidue e lo chiudo alle due e trenta del giorno<br />

dopo. Di notte non vi sono vibrazioni sull’ingranditore e la<br />

concentrazione è totale.<br />

Se dovessi vivere però di questo pane peserei meno della<br />

metà con grande gioia di mia moglie, ma senza tale gioco sarei<br />

da <strong>tempo</strong> vestito di mogano da tre centimetri di spessore.<br />

Amici, non mi sento portato a questo tipo di abito.<br />

A voi il giudizio insindacabile come sempre. Arturo Rebora<br />

Che ne dite di questa prima esposizione?<br />

- Leica IF con Blogon 21 Contarex<br />

- Leicaflex con Olymoia Sonar 250 l’avete già visto in<br />

Scatti di aprile un anno fa<br />

- E questi bei Hektor 135 impossibili sulle vite ed M<br />

come li vedete sulla mia Leicaflkex?<br />

Allegare foto disco<br />

Faccio il ritratto<br />

Molti anni fa ho conosciuto un fotografo ritrattista con u<br />

a attrezzatura unica mai riscontrata in altri laboratori e ve la<br />

voglio descrivere. E’ risaputo che oltre al trucco dei visi da<br />

ritrarre il buon risultato si ottiene dirigendo acconciamente le<br />

luci in funzione degli effetti che si vogliono ottenere illuminando<br />

il viso in base alla forma, pregi e difetti.<br />

Poi entrano in funzione tipo di film usato ed obiettivo fotografico.<br />

Ecco la descrizione.<br />

1°) Set di ripresa: due faretti laterali ed uno sfondo; sullo<br />

sfondo luci di effetto abbastanza tradizionali più qualche spot<br />

diffuso. Ma il pregio visto sono state le pareti laterali; in sintesi<br />

dodici più dodici lampade laterali disposte a scacchiera<br />

e puntate sul soggetto al centro del set ma non sempre tutte<br />

accese.<br />

A questo punto il signor mago fotografo l’ho visto armeggiare<br />

su una pulsantiera tipo fisarmonica che accendeva o<br />

spegneva le lampade ottenendo illuminazioni sul viso atte ad<br />

esaltare o ridurre le sinuosità. Ho provato con una statuetta ed<br />

una lampada direttiva. E’ una esperienza che può far capire<br />

<strong>scatti</strong> <strong>nel</strong> <strong>tempo</strong> ___________________________________________________________ 43


Arturo Rebora e il suo “angolo”<br />

come la illuminazione possa cambiare i<br />

volumi degli oggetti.<br />

2°) Film: il mago ha usato Tri X vecchia,<br />

cristalli tradizionali, sviluppo D76<br />

diluito oppure naturale, carta baritata<br />

opaca , credo non si possa scegliere meglio<br />

in ambito tradizionale.<br />

3°) Obiettivo: luminoso ma usato a<br />

diaframma 4 ( 5,6 è già troppo chiuso)<br />

focale 85/90/100; 135 per i testoni o<br />

particolari del viso. Io ho usato anche<br />

un 250 a 4 per il diaframma, inoltre ho<br />

modificato un Sonar 85 Contarex per un<br />

montaggio su Leica SL; ha il diaframma<br />

da predisporre come ho già descritto<br />

in altro Scati <strong>nel</strong> Tempo (aprile 2005)<br />

ma tutto rimane comodamente fisso e<br />

facilitato. Tra i vari in mio possesso lo<br />

preferisco specie per la focale.<br />

Amici se non vi stancate di provare<br />

ritengo possiate giocare con buon<br />

divertimento ed apprezzamento delle<br />

vostre modelle. Ed eccovi la pianta del<br />

set. (aggiungere disegno)<br />

Dove vai fotografia? Dove?<br />

Quando frequentavo il liceo prima<br />

del 1950 due parole studiando latino e<br />

tedesco mi affascinavano: “Quo vadis”<br />

che poi è anche un film famoso e “Gotterdammerun”<br />

o Crepuscolo degli Dei.<br />

Ecco Rebora che rompe ma udite, sentite<br />

anche se devo prenderla un poco da<br />

lontano.<br />

Ogni epoca ha i propri miti, mode<br />

e tecniche e quindi anche la fotografia;<br />

sono passati il collodio, altro, ed oggi la<br />

pellicola sensibile, niente da dire, specchio<br />

dei tempi, ma fotografare e fare<br />

fotografia vuol dire scrivere con la luce<br />

ancora oggi. Prima si vede si osserva si<br />

studiano le luci che illuminano i soggetti<br />

da ritrarre e poi si fissa con la attrezzatura<br />

acconcia quanto si è visto, qualunque<br />

attrezzatura può andare bene.<br />

Oggi però non è più come in passato<br />

a mio avviso. Vedo, escludendo i<br />

veri fotografi almeno in parte, masse<br />

di persone con un quadretto ad altezza<br />

d’occhio con i gomiti alzati a comporre<br />

l’immagine sul quadretto, certo bella,<br />

ma sento anche dire: “poi con l’elaboratore<br />

o computer cambio inquadratura,<br />

colore, tolgo i disturbi d’immagine”; un<br />

signore guardandomi mentre lo guardo<br />

interviene: “ sa’ ne ho già scattate centoventi<br />

poi questa sera le selezionerò”<br />

– sarà possibile in una sera?<br />

Non ho risposto, oggi mi riesce difficile<br />

conversare a base di pixel, milioni<br />

di pixel più ve ne sono migliore è la fotografia,<br />

foto e banche, autotreni di milioni,<br />

milioni di euro milioni di dollari e<br />

così via ai pixel.<br />

E la profondità di campo, il diaframma,<br />

la lunghezza focale, lo sfuocato il<br />

mosso, i tempi lunghi il flou che anche i<br />

fotografi di matrimoni confondono con<br />

lo sfuocato dove sono finiti? Non servono<br />

più? E le esportazioni di Alfredo<br />

Ornano ai neofiti a ben costruire un negativo<br />

per la stampa in camera oscura<br />

sul proprio ingranditore dove sono finiti,<br />

e non parlo di Ansel Adams.<br />

Oggi con tutti i pixel ed il computer<br />

collegato alla stampante. Niente mani<br />

abili per mascherare e dosare la luce<br />

sulla stampa, niente abilità a maneggiare<br />

le baci<strong>nel</strong>le coi reagenti adeguati<br />

e differenti, niente chimici e niente dialogo<br />

tra amici appassionati di fotografia<br />

capaci o no ma comunque coinvolti <strong>nel</strong>la<br />

realizzazione di una immagine.<br />

Appunto dove vai fotografia? E pensare<br />

che in passato qualche volta venivano<br />

esclusi dai concorsi amatoriali<br />

quelli che si sapevano possessori di una<br />

Leica (quelle a vite) i quali inoltre non<br />

avevano ancora capito di avere solo un<br />

buon otturatore. (sarò punito per questa<br />

constatazione?).<br />

Anche per mia figlia ho comprato<br />

una pizcamera ma con lei parlo solo di<br />

immagine, lei sa usare i programmi che<br />

cancellano cambiano zoomano mettono<br />

ciò che non c’è e non si è visto neanche<br />

al momento della ripresa sul campo.<br />

Io e qualche mio amico che tutti conoscono<br />

sappiamo solo mettere le nuvole<br />

nei cieli troppo tersi, e per procurarci<br />

le nuvole fotografiamo il cielo<br />

dopo un <strong>tempo</strong>rale per averle ben<br />

grasse e contrastate con tanti grigi<br />

ed ovviamente con pellicola Bianco/Nero.<br />

Secondo voi senza invocare Wagner<br />

ciò è o non è il crepuscolo degli<br />

dei? Ed allora Tessar, planar, Sonar<br />

unibilissimi vetri insieme ai colossi<br />

Gauss, Rodolph, Taylor tutti in coperta<br />

marinai ed informate i mega<br />

pixel imperanti che la fotografia la<br />

fate ancora voi, voi che guidatela<br />

luce e scrivete con i suoi raggi.<br />

Salve amici del vetro. Arturo<br />

Rebora<br />

44 _______________________________________ <strong>scatti</strong> <strong>nel</strong> <strong>tempo</strong>


OPERE DI PIERO FARINA ALLA GALLERIA CARRA’<br />

Da la GAZZETTA DI PARMA – Martedì 20 gennaio 2004.<br />

OPERE DI PIERO FARINA ALLA GALLERIA CARRA<br />

Come trasformare la fotografia in “pittura”. Si potrebbe, a prima vista, raccontare così la mostra di Piero Farina, aperta alla Galleria<br />

d’arte fotografica Carra di Piazzale Cervi, fino al 7 febbario. Ma è solo un’”illusione” visiva, perché il fotografo e stampatore, milanese<br />

d’origine ma pavese d’adozione, non ha mai abbandonato <strong>nel</strong>la sua ricerca il mezzo e le tecniche della fotografia. L’esposizione presenta<br />

poco più di una ventina di opere, realizzate tutte tra il 2002 ed il 2003, raccolte sotto l’allusivo titolo “La materia delle immagini”, e<br />

mette in evidenza l’evolversi di un’operazione creativa, che affonda le radici in un passato tutto “in bianco e nero” e che è approdata<br />

alle chimigrafie di cui il colore diventa soggetto del percorso creativo.L’autore utilizzando in maniera “anomala” le chimiche per uso<br />

fotografico con attenzione anche ai loro effetti sulle carte di stampa, realizza infatti una sorta di trama “informale”, in cui il colore<br />

acquista valenze e forme diverse, elevando in questo modo la materia a vera e propria espressione autonoma dagl infiniti significati “in<br />

libertà”. A monte un’esperienza che guarda ad una lunga tradizione di fotografi-artisti che hanno indagato le possibilità espressive dei<br />

materiali fotografici e della luce quali Man Ray, Moholy-Nagy, Veronesi, Mulas, Migliori, e che hanno lasciato una traccia ben definita<br />

in questo tipo di ricerca dentro la creatività. Il percorso prosegue con le fotochimigrafie dove l’immagine di base acquista una propria<br />

specifica valenza sia che resti leggibile sia che venga scomposta in sequenza fino a perdere i connotati definiti tanto da essere in alcuni<br />

casi rintracciabile solo dall’occhio attento. La riflessione sulla materia viene così a riunirsi all’idea di soggetto che vive però di una<br />

sorta di distruzione progressiva, quasi forma in disgregazione. Ma Farina non si ferma qui. Se la mostra riassume infatti un ben preciso<br />

percorso, l’autore, da instancabile ricercatore, si apre già a nuove intenzioni. “Il prossimo passo – conferma – andrà verso quelle che io<br />

chiamo le combustioni e le foto sculture”, alla ricerca di nuovi effetti visivi, affidandosi a nuove invenzioni e interventi sui modi e sui<br />

mezzi della fotografia.<br />

Stefania Provinciali<br />

<strong>scatti</strong> <strong>nel</strong> <strong>tempo</strong> ___________________________________________________________ 45


Assessorato alla Cultura e Tempo Libero<br />

Assessorato allo Sviluppo Economico<br />

Comune di Castel San Giovanni<br />

<strong>Associazione</strong> <strong>Castello</strong><br />

<strong>Immagini</strong><br />

vi aspettiamo per la prossima<br />

edizione che si terrà<br />

Domenica 15 aprile 2007<br />

PHOTO ‘90<br />

Val Tidone<br />

Mostra-Mercato di materiale fotografico<br />

usato e d'epoca<br />

www.photo90.it - E-mail: info@photo90.it<br />

Per informazioni Dante Tassi 335-33.05.08 oppure Anna Dallanoce 335-60.77.836<br />

46 _______________________________________ <strong>scatti</strong> <strong>nel</strong> <strong>tempo</strong>

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