Marco Castellari La presenza di Hölderlin nell'“Antigone” di Brecht

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166 Marco Castellari completo travisamento hölderliniano 84 . Ulteriori occorrenze confermano il dato presentato 85 ; resta da stabilire se Brecht abbia utilizzato un’altra traduzione tedesca di Antigone, magari quella molto celebre e molto diffusa di Johann Jakob Christian Donner 86 , o se invece, come suggerisce un documento peraltro di scarsa affidabilità, egli si sia avvalso della collaborazione di chi era in grado di discernere i punti in cui la traduzione hölderliniana si allontanava eccessivamente dal testo greco 87 . Comunque sia, va sottoli- 84 Hölderlin fu tratto in inganno da una corruttela presente nell’edizione da lui utilizzata, che riportava γύναι al posto di γύαι (si leggano al proposito le note di Beißner in StA V: 497). 85 Si veda ad esempio Brecht, vv. 834-836: «Aber des Geschicks ist furchtbar die Kraft. / Nicht Reichtum, der Schlachtgeist nicht / Kein Turm entrinnt ihm», che ripristina Sofocle, v. 952: ὄλβος («ricchezza») in luogo dell’errato Hölderlin, vv. 989-991: «Aber des Schiksaals ist furchtbar die Kraft. / Der Reegen nicht, der Schlachtgeist / Und der Thurm nicht [...]» (sottolineature nostre). 86 La traduzione di Donner, pubblicata per la prima volta nel 1839 e in seguito più volte rivista e riedita dal medesimo, costituì il testo dell’epocale messa in scena del 1841 al Neues Palais di Potsdam, sotto la supervisione di Ludwig Tieck e con le musiche di Felix Mendelssohn-Bartholdy. Anche grazie alla felice combinazione con le note del grande compositore, la versione di Donner ebbe grande successo per tutto il XIX secolo e oltre; sull’argomento si veda FLASHAR 1991: 66sgg. Lo stesso Flashar rintraccia l’utilizzo della traduzione di Donner negli ultimissimi versi della rielaborazione di Brecht (ibidem: 189); un ulteriore indizio potrebbe essere il già citato emistichio «wo man pflügen kann» (Brecht, v. 531), che corrisponde letteralmente a Donner, v. 567. In mancanza di una piena corrispondenza fra la lettera della traduzione di Donner e le “correzioni” brechtiane, si può supporre che la traduzione ottocentesca sia stato consultata nel confronto con il testo greco. Al ragionamento di Flashar si accorda un’ulteriore, interessante testimonianza contenuta negli Arbeitsmaterialien (BW XXIV: 349): qui Brecht cita un celebre verso sofocleo in due traduzioni differenti, entrambe riportate fra virgolette (Sofocle, v. 523: οὔτοι συνέχθειν, ἀλλὰ συµφιλεῖν ἔφυν; «non sono nata per condividere l’odio, ma l’amore»). Se la seconda è quella hölderliniana («Zum Hasse nicht, zur Liebe bin ich», Hölderlin, v. 544), che Brecht riprende quasi letteralmente nel testo drammatico («Zum Hasse nicht, zur Liebe leb ich», Brecht, v. 489), la prima («Nicht mitzuhassen, mitzulieben bin ich da», HECHT 1988: 22) è quasi perfettamente coincidente con Donner, v. 521: «Nicht mitzuhassen, mitzulieben leb’ ich nur». Il fatto che gli Arbeitsmaterialien risalgano al periodo di composizione della rielaborazione, e non come altri testi di commento a momenti successivi, non fa che accrescere la preziosità di questa testimonianza (per la datazione al dicembre 1947 si confronti BW XXIV: 566). I passi della traduzione di Donner sono citati da Sophokles, Antigone, Deutsch in den Versmaßen der Urschrift von J. J. C. Donner, Leipzig/Heidelberg 8 1875. Non va dimenticato che, nel variegato panorama delle traduzioni tedesche di Antigone nel Novecento, si contano numerosi casi di rielaborazione della versione di Donner, tanto da non poter escludere che Brecht abbia avuto sotto mano uno di questi testi. Per fare solo un esempio, il volume Sophokles, Antigone. Ein Trauerspiel, auf Grund der Übersetzung von Donner, Paderborn 1937, cronologicamente assai prossimo alla rielaborazione brechtiana, riporta per il v. 521 una traduzione quasi perfettamente coincidente con quella succitata degli Arbeismaterialien: «Nicht mitzuhassen, mitzulieben bin ich nur». 87 La Berlau ricorda, a notevole distanza di tempo, che «Brecht hatte verschiedene Übersetzungen von Sophokles geprüft – ich sah sogar einen Text in Griechisch, denn
La presenza di Hölderlin nell’“Antigone” di Brecht 167 neato il fatto che gli interventi sul testo di Hölderlin, per quanto in numero e di portata sufficienti a provare il ricorso ad altre fonti, non sono condotti con sistematicità: con altrettale, anzi forse con maggiore frequenza Brecht mantiene infatti passi palesemente errati o di scarsa perspicuità 88 . Su questa base, dunque, nulla permette di attribuire al trattamento brechtiano della traduzione ottocentesca il carattere di semplificazione tout court, e tanto meno di revisione alla luce dell’originale: la citazione letterale del testo hölderliniano avviene anche nei punti in cui essa comporta una notevole difficoltà di comprensione per il pubblico, e le poche “correzioni” lasciano intravvedere, più che una volontà chiarificatrice, il tentativo di recuperare elementi sofoclei che a parere di Brecht avevano perduto in incisività, in freschezza o in intensità nella versione del poeta svevo. Brecht hatte jemanden gefunden, der ein bißchen Griechisch beherrschte – und sich dann für die Hölderlinsche Bearbeitung entschieden» (BERLAU 1975: 210, ora anche in HECHT 1988: 184). La Berlau non era in Svizzera mentre Brecht stendeva la rielaborazione di Antigone: ella vi giunse appena in tempo per scattare le fotografie di scena della prova generale, poi confluite nel Modellbuch. Se i ricordi della Berlau si basano su notizie di seconda mano ma comunque veritiere, si può supporre che ella non distingua precisamente fra il momento in cui Brecht scelse Antigone e le successive settimane di lavoro alla rielaborazione, unico lasso di tempo in cui la consultazione di altre traduzioni e/o la collaborazione di qualcuno che «possedeva un po’ di greco» potrebbero avere influito sugli interventi brechtiani. La testimonianza, da prendere con beneficio di inventario, potrebbe comunque riflettere una verosimile compresenza di riferimento a un’altra o addirittura «diverse altre traduzioni» (fra cui probabilmente quella di Donner, si veda supra, nota 86) e di sguardo al testo greco. Nessuno ha mai sottolineato come in realtà manchi un tassello che permetta di spiegare come mai Brecht, che considerava all’inizio la traduzione di Hölderlin «ziemlich getreu» (si veda supra, nota 72), abbia poi preso atto di alcuni errori e abbia deciso di correggerli. Il fatto che i passi sottoposti a miglioria siano caratterizzati, già a livello sofocleo, da notevole forza icastica può far pensare che qualche collaboratore più avvezzo ad Antigone, magari Neher, abbia qua e là ricordato l’originale e spinto così a un confronto con il testo di partenza. 88 Fra tutti, basterà ricordare un celebre passo che scatenò le risa di Schiller per poi occupare le riflessioni di molti studiosi novecenteschi, impegnati a rivalutare la forza della versione di Hölderlin: nel prologo Sofocle fa pronunciare a Ismene una battuta (v. 20: τί δ’ ἔστι; δηλοῖς γάρ τι καλχαίνουσ’ ἔπος) che le traduzioni odierne rendono con perifrasi differenti (nel nostro caso: «Che c’è? È chiaro che sei agitata per qualche proponimento»), attribuendo comunque al verbo greco καλχαίνω, letteralmente “avere colore rosso scuro”, il significato traslato di “essere inquieto, turbato, agitato”. Hölderlin tradusse questo verso con una sconvolgente formulazione, assieme iperletterale e travisante: «Was ists, du scheinst ein rothes Wort zu färben» (Hölderlin, v. 21), che Brecht accoglie con irrilevante inversione: «Du färbst mir / Scheint’s ein rotes Wort» (Brecht, v. 29. Sulla scelta hölderliniana nel contesto del suo approccio alla traduzione del greco si veda fra i numerosi lavori la lucida e convincente analisi di SANDRIN 1996). Ancora, proprio nei versi della parodo che Brecht riutilizza nella prima battuta di Antigone già citata per esteso, non troviamo correzione di Hölderlin, vv. 144sg.: «wenn der [Ares; M. C.] hart / Anregend einen mit dem Rechten die Hand erschüttert», che aveva equivocato l’epiteto δεξιόσειρος (Sofocle, v. 140: «valido protettore»; per districarsi nel fraintendimento di Hölderlin si legga il commento di Beißner in StA V: 487).
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