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Marta si rese conto che stava piangendo, chiedendosi se fosse possibile<br />

anche nell’aldilà.<br />

Non riusciva a mettere a fuoco nulla. Solo un bagliore, che illuminava<br />

lo spazio antistante.<br />

Provò a muovere le mani e con piacere notò che aveva ancora il<br />

controllo degli arti.<br />

Sentiva un dolore lancinante alla gola e ricordò dell’agguato e del<br />

coltello. Portò la mano destra sulla ferita. Era stata medicata con un<br />

grande cerotto.<br />

«Allora forse sono viva, sono in ospedale.»<br />

Era ciò che stava pensando quando i suoi occhi iniziarono a distinguere<br />

i contorni degli oggetti davanti a sé. Realizzò di non essere in<br />

ospedale, ma nel salotto di casa sua, l’ambiente adiacente alla stanza<br />

dove era stata aggredita.<br />

Era seduta al centro del divano, quel divano di Etro che tanto amava<br />

e che aveva comprato non più di qualche settimana prima. Ricordò<br />

del giorno in cui glielo avevano consegnato, quando lei confidò alla<br />

sua amica Gianna:<br />

«Se dovessi scegliere un posto dove morire, opterei per casa mia a<br />

Trinità dei Monti, sul mio divano di Etro.»<br />

Ironia della sorte.<br />

Le sfuggì un fugace sorriso; poi cercò di farsi forza per realizzare<br />

cosa le stesse accadendo.<br />

Si sforzò di tenere aperte le palpebre e di migliorare la messa a<br />

fuoco. Quel bagliore le inondava il viso; e a pochi centimetri dal suo<br />

corpo, un oggetto, sottile, forse nero. Si sforzò di capire cosa fosse.<br />

Sembrava sospeso, o forse no. Ma la luce l’accecava e faceva fatica a<br />

tenere gli occhi aperti. Li ridusse a due fessure, per contenere il fastidio.<br />

Riuscì ad inquadrare l’oggetto: era un microfono. Un microfono<br />

sorretto da un asta che poggiava sul pavimento.<br />

In quello stato confusionale cercò di ricordare se quell’oggetto fosse<br />

mai stato nel suo salotto. Ma andò oltre. Era una domanda senza<br />

importanza.<br />

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