Libretto - I Teatri
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durre caratterizzazioni, me tafore e situazioni capaci di fornire solidi pigli all’estro<br />
musicale di Rossini. Si può citare un terzo parere, anche questo dovuto a uno degli<br />
studiosi di Rossini oggi di maggior prestigio, Philip Gossett. Ascrivibile al genere<br />
dell’opera buffa, o meglio ancora del «dramma giocoso», come recita la dicitura<br />
precisa dell’opera, La Cenerentola se ne distacca per l’uso di formule “serie” che<br />
svol gono, tuttavia, una precisa funzione narrativa e non modificano il carattere<br />
fondamentalmente leggero della composizione.<br />
Più che una mediazione fra i primi due giudizi, quello di Gossett suona come<br />
una specificazione del secondo, dato che concorda con Bruno Cagli nell’ascrivere<br />
La Cenerentola al genere buffo, ma al tempo stesso cerca di individuare l’origine<br />
delle difficoltà che l’opera ha suscitato nel pubblico, nei critici e nei commentatori.<br />
«Dramma giocoso», del resto, era anche la dizione data da Lorenzo da Ponte e da<br />
Mozart al Don Giovanni, ed è noto che da secoli la bilancia dei giudizi pende ora<br />
su un termine, ora sull’altro, a seconda che quell’opera venga collocata nel filone<br />
“buffo” di derivazione italiana o nel solco di una sensibilità romantica ancora in<br />
stato nascente. Per La Ceneren tola le cose non stanno molto diversamente. Anche<br />
se si ritiene fuori luogo scomodare al riguardo una “questione romantica”, quel di<br />
cui si discute è la poetica di Rossini, la sua complessità pur all’interno di un’epoca<br />
segnata dalla Restaurazione e incline, proprio per questo, a fissare anche la pratica<br />
musicale all’interno di schemi piuttosto rigidi. La musica di Rossini forza di continuo<br />
questa rigidità, lotta contro le convenzioni più stanche del teatro d’opera e lo<br />
fa scegliendo una strada ingrata e piena di equilibrismi: non la trasgressione, ma la<br />
cura per il patrimonio di regole ereditato dalla tradizione; non il salto in un altro<br />
registro stilistico, ma la sottile deviazione all’interno di un linguaggio coerente con<br />
quello delle generazioni precedenti.<br />
La Cenerentola, da questo punto di vista, è un capolavoro di ambivalen za. Della<br />
favola di Perrault vengono eliminati tutti i riferimenti fantastici, gli aspetti magici,<br />
tutto quel ch’era già pronto per una bella confezione piena di mistero e di<br />
romantica ingenuità. Lo scheletro che resta è perfetto per un apologo illuminista,<br />
razionalmente ordinato. Ma proprio laddove la “ragione” sembra sancire il suo<br />
trionfo anche in una favola, ecco che versi e musica indicano continuamente il<br />
limite oltre il quale essa è destinata a perdersi: un pensiero che svapora, ammattisce,<br />
un diventare folli o stupidi che accom pagna i rovesciamenti della commedia<br />
trasformandoli in nonsense. Il primo segno di tutto questo, ancora nella Scena I<br />
dell’Atto I, sembra un’eco di quel che si diceva nel Barbiere, dove nel concertato<br />
conclusivo dell’Atto I le voci dei protagonisti dicevano: «mi par d’esser con la testa<br />
in un’orrida fucina». Qui, nella Cenerentola, è il precettore del principe Ramiro,