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Libretto - I Teatri

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stituzione della celeberrima scarpetta di Cenerentola con un doppio bracciale, uno<br />

dei quali lasciato a Ramiro nel corso della festa danzante, si può forse comprendere<br />

pensando alla cultura popolare del tempo, così com’è ancora attestata dalle<br />

favole di Le cunto de’ li cunti raccolte alla fine del Seicento da Giovan Battista<br />

Basile e dalle ricerche svolte da Roberto De Simone all’epoca in cui preparava La<br />

gatta Cenerentola (1976). La cultura popolare del tempo, non solo quella italiana,<br />

considerava la scarpa femminile simbolo di verginità, tanto che averla perduta<br />

fuggendo da una festa danzante, come accade a Cenerentola, appariva un’allusione<br />

sessuale evidentissima, con un corteo di doppi sensi pronti a moltiplicarsi a<br />

ogni ulteriore tappa della storia. Quello del bracciale, insomma, era un espediente<br />

pensato per neutralizzare una metafora. La rinuncia al resto del corredo fiabesco<br />

dipende invece, con ogni probabilità, dall’aver scelto come riferimento letterario<br />

non tanto il testo di Perrault, quanto il libretto di Francesco Fiorini per un’opera<br />

del compositore Stefano Pavesi: Agatina, ovvero la virtù premiata. Andata in scena<br />

alla Scala nel 1814, è un lavoro che si ipotizza sia Rossini che il suo librettista,<br />

Ferretti, conoscessero bene – l’uno per averla ascoltata a Milano, l’altro per averne<br />

letto il testo –, così come si pensa che a Ferretti non fosse ignota l’opera di Nicolas<br />

Isouard, Cendrillon, che nel 1810 aveva visto la luce a Parigi con un libretto in stile<br />

di féerie di Charles G. Étienne. Certo La Cenerentola ricorda molto da vicino nella<br />

struttura, specie nelle prime scene, l’Agatina di Pavesi e Fiorini, e non c’è dubbio<br />

che una convinzione espressa da Ferretti – «il pub blico vuole a teatro qualcosa di<br />

diverso da quello che può divertirlo in una storiella accanto al fuoco» – accrediterebbe<br />

ulteriormente l’idea che quell’opera, e non Perrault, sia stato il punto di<br />

riferimento tanto del poeta quanto del musicista. Il confronto fra le due opere,<br />

tuttavia, mostra quanto la mano di Rossini abbia calcato la mano su aspetti ai quali<br />

i versi di Ferretti offrono valida sponda: dunque, quanto i due abbiano lavorato in<br />

fretta e in pieno accordo, nonostante tutti i giudizi negativi che il tempo ha accumulato<br />

verso la qualità del libretto. Proprio perché maschere, e non personaggi, i<br />

caratteri di La Cenerentola hanno tutti qualcosa di estremo: grandiosi o miserabili<br />

che siano i loro gesti tutto, in loro, ha una punta di un eccesso che invade anche<br />

i sogni e l’immaginazione. Basti pensare al sogno, appunto, che Don Magnifico<br />

racconta dopo essere stato svegliato dai suoi «rampolli femminini» per vedere di<br />

quali visioni strampalate e ambiziosissime egli fosse capace – e di quali immagini<br />

poetiche, divertenti ed efficaci, fosse capace Ferretti. Ma questo eccesso, che solo<br />

di rado scivola nella caricatura, è anche ciò che permette alle maschere, tramite il<br />

loro carattere allegorico e tuttavia ben individualizzato, di riprendere un inatteso<br />

contatto con il mondo della fiaba. Non dal lato della magia, però, ma da quello<br />

dell’apologo, cosicché il sottotitolo dell’opera, La Bontà in Trionfo, ne sarà come<br />

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