Gesti estremi, perché? Ricchi ma fragili - Provincia di San Michele ...

Anno LVI n. 2 - Giugno 2008 - C.C.P. 13647714 - Spedizione in Abb. Post. Art. 2 comma 20/C legge 662/96 Filiale di Foggia
Provincia di San Michele Arcangelo
dei Frati Minori di Puglia e Molise
Gesti estremi, perché?
Ricchi ma fragili

Provincia
di San Michele
Arcangelo
dei Frati Minori
di Puglia e Molise
Anno LVI n. 2
giugno 2008
C.C.P. 13647714
Spedizione in Abb. Post.
Art. 2 comma 20/C legge 662/96
Filiale di Foggia
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In copertina:
Benedetto XVI
in preghiera Ground Zero
sommario
3 Editoriale
Gesti estremi, perché? Ricchi ma fragili
di fr. Leonardo Civitavecchia
LA VOCE DEL CUORE
4 Cari giovani... riflettiamo
di Mons. Giuseppe Zenti
CHIESA
5 Il Papa ha catturato i cuori degli americani
di Marco Bardazzi
6 Carità e speranza
di Alfonso Forte
ATTUALITÀ
7 la memoria e l’accidia
di Ignazio Loconte
8 Abitare la Parola di Dio
di p. Ernesto Della Corte
FRANCESCANESIMO
12 il Cammino della Fraternità universale
di fr. Francesco Bravi
16 Ad limina Petri cum Francisco
fr. Giancarlo Li Quadri Cassini
17 Beata Camilla Battista da Varano
18 Chiara donna di visione, maestra di comunicazione
di suor Chiara Ludovica
20 Panorama francescano
PRIMO PIANO
22 Missione al popolo... dono di Dio
fr. Mimmo Casulli
24 Pietre vive per un edificio santo!
di fr. Amedeo Ricco
ANNO PAOLINO
26 Un’avventura indimenticabile
di p. Angelo M. Marracino
EVENTI
29 Guardare in alto: chiamati alla Santità
di Renato Matteo Imbriani
VITA DI FAMIGLIA
32 Festa della Provincia 2008
di fr. Pietro Carfagna
33 Festa del Beato Giacomo
di Mons. Michele Di Ruberto
OFS
34 Laici francescani precari per vocazione
di Luigi Ianzano
TESTIMONIANZE
35 La testimonianza di un ex cappellano ospedaliero
di p. Urbano Giambitto

le meraviglie che il Signore ci ha concesso
Gesti estremi,
perché?
Ricchi ma fragili
Sconcerto e smarrimento sono i sentimenti
che si provano davanti all’accavallarsi
di certe notizie: un neonato
lanciato dal balcone dalla mamma, una
moglie ammazzata dal marito dopo una
vita passata assieme, un genitore che per
disperazione ammazza un figlio drogato.
E ancora troppi episodi di bullismo: un
disabile picchiato, una ragazzina violentata.
La televisione quotidianamente ci
propone tali episodi addirittura varcando
il diritto di cronaca enfatizzando la notizia,
ma cosa sta accadendo? In che mondo
viviamo?
Non sta accadendo nulla, o meglio, è
ciò che è sempre accaduto nella vita degli
uomini, magari senza riflettori. I cambiamenti
però, prima avvenivano nel giro di
secoli, ora, l’ieri è già diverso dall’oggi.
Siamo incapaci di gestire con la rapidità
necessaria ciò che ci accade intorno. Un
individuo più confuso è la risultanza di
questi tempi, stress ed ansia di fare sovrasta
l’impegno di capire. La conseguenza è
un individuo più fragile, in poche parole
siamo tutti un po’ più fragili.
Una fragilità che parte nelle piccole cose
e si radica nel profondo, dove in apparenza
sembra che non accada niente ma al
contrario tutto viene registrato come
nella scatola nera degli aerei. Un tempo
non troppo lontano mancava l’acqua nelle
case e i nostri nonni erano costretti ad
approvvigionarsene alle fontane pubbliche,
il necessario per la cura del proprio
corpo, bere, cucinare e fare il bucato a
mano. L’uomo contemporaneo andrebbe
in crisi se costretto alla medesima operazione.
Oggi l’essere più ricchi (ci perdo-
nino i non pochi poveri) ci consente una
vita più agiata, confortevole, esente da
sacrifici e di conseguenza meno faticosa.
Ma, se si è inevitabilmente più fragili, viene
meno la capacità di reagire di fronte
alla più piccola difficoltà, che rischia di
diventare un macigno sulla nostra esistenza.
Un tempo i pericoli arrivavano dall’esterno
e non era difficile contrastarli. Oggi il
pericolo nasce dal di dentro dell’uomo
e molto spesso lo liquidiamo come momento
di follia o di depressione, qui sta il
nostro impegno di cristiani e francescani,
nuove sfide ci impegnano: l’urgenza
di ridare centralità e dignità alla persona
umana e farlo certamente costa fatica,
impegno, sacrificio e noi forse non ci siamo
più abituati.
E allora, in cammino verso la Grazia
delle origini, il richiamo di san Francesco
si fa sempre più impellente per gli uomini
di buona volontà, perché «allontanato
ogni impedimento e messa da parte
ogni preoccupazione ed affanno, servano,
amino, onorino e adorino il Signore Dio
con cuore limpido e mente pura» (RnB
22,26). E’ questa la caratteristica per noi
uomini e donne alla sequela di Cristo sulla
via tracciata da Francesco e da Chiara,
con lo sguardo costantemente rivolto al
Signore, per «avere lo Spirito del Signore
e la sua santa operazione» (RnB 10,10).
Arriva l’estate...
e con essa il tempo di vacanza
Sia tempo di riposo del corpo ma anche
tempo utile per dedicarsi alla cura della
dimensione interiore e spirituale spesso
Editoriale
sempre soffocata dalle preoccupazioni e
dagli affanni della vita di ogni giorno. Le
comunità ecclesiali siano luoghi “dove le
giovani generazioni possono imparare la
speranza, non come utopia, ma come fiducia
tenace nella forza del bene. Il bene
vince e, se a volte può apparire sconfitto
dalla sopraffazione e dalla furbizia, in
realtà continua a operare nel silenzio e
nella discrezione portando frutti nel lungo
periodo” (Benedetto XVI nel Salento,
giugno 2008) .
Vi auguro, cari lettori, giorni di riposo
fisico e tempo proficuo per la rigenerazione
dello spirito grazie alla preghiera,
alla lettura, al silenzio. Si, al silenzio, una
dimensione che deve riprendere valore,
un silenzio tutto da gustare in un’epoca
ridondante di parole, di rumore, spesso
assordante. “Il silenzio è mitezza quando
non rispondi alle offese e lasci a Dio la
tua difesa. Il silenzio è pazienza, quando
soffri senza lamentarti, non cerchi consolazioni
umane, attendi che il seme germogli.
Il silenzio è umiltà, quando taci
per lasciar emergere i fratelli e lasci ad
altri la gloria dell’impresa. Il silenzio è
fede quando non cerchi comprensione
e rinunci alla gloria personale perché ti
basta essere conosciuto da Dio” (S. Giovanni
della Croce).
Ritagliamoci, cari lettori, degli spazi
di silenzio nel corso dei mesi estivi per
contemplare il creato e la natura, per
dare voce agli altri, per ascoltare il nostro
cuore e soprattutto Dio.
Pace e bene
Fra Leonardo Civitavecchia, ofm
3

4
la Voce del cuore
Carissimi giovani,
la tragica morte per pestaggio di Nicola
ha lasciato Verona civile e religiosa
in uno stato d’animo di costernazione e
di angoscia. Ci rifiutiamo però di siglare
Verona come città prigioniera della violenza
e dal facile delitto. Verona è ben
altro. E soprattutto ci rifiutiamo di credere
che il mondo dei giovani veronesi
trovi nei cinque giovani responsabili del
delitto, infame e allucinante, il modello
di riferimento. Sono certo che ne provate
sdegno. Anzi, che il fatto esecrabile
suscita in voi una gran voglia di essere
protagonisti non di morte ma di vita.
In questo momento di comune dolore,
vorremmo raccogliere qualche input
che Nicola stesso vi affida. Sotto forma
di SMS.
La stagione di vita che la Provvidenza
vi sta donando sia colta come opportunità
di crescita, nel segno dell’amore,
della responsabilità, della solidarietà,
dell’operosità nell’impegno, della gioia
e della fede.
Divertitevi, perché siete giovani. Ma
sempre con moderazione, senza lasciarvi
travolgere dallo scatenamento incontrollato
di stati d’animo irrazionali, resi
ancor più tempestosi dall’assunzione di
alcolici e stupefacenti. Ricordate che lo
sballo è sempre una sconfitta. Del resto,
vedete come la follia di una notte rovina
la vita di famiglie intere che non hanno
più pace. Su tutto abbia il sopravvento il
buon senso
Non concedete nulla alla legge del branco
che fa di voi dei gregari. Cercate la
compagnia bella, pulita, allegra e persino
spensierata, fedele al punto da potervene
fidare. Abbiate il coraggio delle grandi
vette, anche a costo di corrispondenti sacrifici,
quelli del resto che non ricusate di
affrontare per porvi in pole position nelle
competizioni agonistiche.
Valorizzate al meglio i giorni della vostra
giovinezza. Applicandovi evidentemente
nello studio per assicurarvi una preparazione
professionale adeguata e gratificante,
ma anche donando del tempo a
coetanei diversamente abili e a persone
in difficoltà. Non c’è gioia più grande di
quella che germina dal dono di sé. Gratuito
e generoso. Per essere felici basta far
felice qualcuno. Parlate, aprendovi alla
confidenza, con chi vi è compagno autorevole
di viaggio, come i genitori, i docenti
di grande personalità, gli animatori
di vostra fiducia, i presbiteri di profonda
sensibilità.
Fateci il regalo di mettere anche nelle
nostre mani di adulti la password che ci
consenta di entrare nel vostro mondo, di
Preghiera allo spirito Santo
Cari
Giovani...
riflettiamo
La tragica morte...
carpire la vostra sensibilità, di intercettare
le vostre attese e le vostre problematiche.
Dialoghiamo! A carte scoperte.
Date senso al vostro vivere giovanile,
anche nelle giornate tempestose. Ricordatevi
che il senso del vivere val più del
vivere e vi aiuta a vivere anche quando
siete tentati di lasciarvi andare alla deriva.
Che se troverete il Senso del vivere
in grande, magari identificato in Gesù
Cristo, sperimenterete la bellezza impareggiabile
del vivere umano. Rinnovate
l’alleanza con lo Spirito Santo ricevuto
nella Cresima!
Fatevi onore. Fateci vedere quanto valete
e che siete una promessa e che non
è giusto classificarvi soltanto dei piantagrane.
Nicola conclude i suoi SMS con un appello:
fate in modo, che il sacrifico della
mia vita non sia stato inutile! Realizzate
una vita di grande qualità. Degna
dell’essere giovani. Più fortunata della
mia. Senza paura di finire i giorni terreni
in modo così tragico. Appunto perché
il seme della zizzania di una cultura che
snobba la vita è del tutto polverizzato.
A nome di Nicola e dei suoi genitori, dei
vostri genitori, come pure degli stessi
aggressori, in preda allo spavento e ai
rimorsi per ciò che hanno commesso, e
in particolare dei loro genitori, affranti
dall’angoscia, vi sono vicino con affetto
e stima.
+ Giuseppe Zenti, Vescovo di Verona

Cambiate il mondo e non abbiate paura
Il viaggio negli Usa • 15 - 21 aprile 2008
La sintesi del giudizio diffuso negli
Usa sulla visita di Benedetto XVI, l’ha
trovata il New York Post in un editoriale:
“Il pellegrinaggio di sei giorni del
Papa è stato un trionfo dall’inizio alla
fine, ha catturato i cuori americani”.
Adesso, salutato un pontefice che se n’é
andato dicendo “God bless America”,
gli Stati Uniti riflettono sull’eredità del
viaggio. Il vicepresidente Dick Cheney,
nel dare l’addio a Benedetto XVI all’aeroporto
Jfk di New York, gli ha garantito
di essere “entrato nella storia del nostro
paese in un modo molto speciale” e ha
promesso che le sue parole “resteranno
con noi per sempre”. Ciò che ha colpito
molti osservatori e che potrebbe lasciare
un segno, in questo senso, è stata l’insistenza
con cui il Papa ha lodato gli ideali
e la religiosità americani, pur mettendo
in guardia sui rischi che presentano.
“In un anno elettorale - ha commentato
Ray Kerri-son sul NY Post - in cui il
buon nome e le virtù dell’America vengono
gettati nel cestino ogni giorno, un
Papa con il seguito di oltre un miliardo
di persone sul pianeta è stato assai caloroso
nel suo affetto e ammirazione per
questa grande terra”. A Kerrison, che si
spinge a proporre un ironico “Benedetto
for President”, fanno da contraltare
rare voci, nel mondo della politica e dei
media, a cui il Papa non è piaciuto.
Tom Tancredo, un deputato repubblicano
del Colorado ex candidato alla
Casa Bianca ed ex cattolico, ha criticato
le aperture di Benedetto XVI sull’ immigrazione,
accusandolo di puntare non
tanto a proporre soluzioni a un problema
serio per l’America, quanto a “reclutare
nuovi membri per la sua Chiesa”,
tra gli immigrati ispanici. Tra i toni di
entusiasmo di alcuni commentatori e le
critiche aperte di altri, c’é la via di mezzo
di vari osservatori che ritengono un innegabile
successo la visita papale, ma si
interrogano su quali prospettive apra.
“Nel breve periodo - ha commentato
Russell Shaw, uno scrittore cattolico ed
ex portavoce della Conferenza dei vescovi
- il viaggio è stato un successo enorme,
probabilmente oltre le aspettative di
tutti, incluse quelle dello stesso Papa.
Ma resta da capire se il viaggio avrà un
impatto sui problemi più significativi
che affronta il cattolicesimo americano”.
Il dramma della pedofilia tra i preti, un
tema sul quale il Papa ha sorpreso tutti
con i suoi richiami e con l’incontro con
le vittime degli abusi, è il terreno sul
quale la Chiesa è ora attesa al varco. Le
organizzazioni delle vittime degli abusi
chiedono a gran voce che alle parole di
Benedetto XVI facciano seguito i fatti,
in particolare azioni disciplinari contro
i vescovi che hanno chiuso un occhio
sui preti pedofili e anche modifiche
alla stessa legge canonica su questo
fronte. In caso contrario, come ha
lamentato l’attivista Anne Barrett
Doyle, resterà l’impressione che il
Papa “é venuto qui per mettere a
segno solo un trionfo di pubbliche
relazioni”.
Ma le voci scettiche sulle finalità
della visita papale sono una
evidente minoranza rispetto a
quelle che esprimono, non solo
nel mondo cattolico, la sorpresa
positiva per la scoperta di un Papa
che l’America fino a ora conosceva
poco. Il settimanale Time, che
lo aveva accolto con una copertina
in cui descriveva un Benedetto
Chiesa
Il Papa ha catturato
i Cuori
degli americani
di Marco Bardazzi
XVI “innamorato” dell’America, lo saluta
dandogli atto di aver messo a segno “un
colpo da Ko sul piano dell’ approvazione
pubblica” con i suoi interventi sulla pedofilia,
stendendo fin dall’inizio del viaggio
i suoi critici e permettendo così agli
americani di ascoltare le molte altre cose
che il Papa aveva da dire loro sul temachiave
del suo viaggio: Cristo come vera
fonte della ‘speranza’, una parola usata e
abusata di questi tempi nell’America in
piena stagione elettorale.
5

6
di Alfonso Forte
Chiesa
Papa Benedetto XVI, nel breve lasso di
tempo che lo vede alla responsabilità apicale
della Chiesa cattolica, ha già emesso
due Encicliche di particolare rilevanza
morale e sociale: la “Deus caritas est” del
25 gennaio 2006 e la “Spe salvi” del 30
novembre 2007. La prima pone l’amore
al centro del credo cristiano; l’altra esalta
l’idea cristiana della vita eterna e della
speranza oltre la morte.
Nel primo documento, il Santo Padre,
ispirandosi al Nuovo Testamento, rifiuta
di confondere l’amore con l’“eros”, ma
sublima questo nobile sentimento nell‘
“agape”’.
L’amore diventa così ‘estasi’, sensazione
o sentimento che non si consuma in momenti
di ebbrezza transeunte ma evolve
nell’esodo dell‘ “io” verso la scoperta di
un Mondo migliore. Il pensiero di Papa
Benedetto va oltre ancora: eros ed agape
esigono di non essere separati completamente
l’uno dall’altra, ma vanno alla ricerca
–insieme- di un giusto equilibrio;
e quanto più questa condizione si realizza,
tanto più presto si giunge alla vera
essenza dell’amore. Da questa sublime
concezione a quella che porta a concepire
l’amore come dono, come servizio per il
prossimo, come dottrina/funzione sociale,
il passo è breve. Furono queste la basi
sulle quali si sviluppò il moderno ministero
pontificio che, avviato da Leone XIII
(“Rerum novarum”, 1891), trovò valide
conferme in Giovanni Paolo II (“Laborem
exercens” 1981, “Sollicitudo rei socialis”
1987, “Centesimus annus” 1991), fino a
sfociare nell’interpretazione dell’attuale
Pontefice.
Nella più recente Enciclica, invece, Papa
Benedetto porta l’attenzione della gente
sull’attuale crisi della fede, che è sopratutto
crisi della speranza cristiana. “Forse
oggi - scrive il Pontefice - molte persone
rifiutano la fede perché la vita eterna non
sembra loro una cosa desiderabile…Non
vogliono la vita eterna e la fede in essa
sembra piuttosto un ostacolo… Invece,
l’uomo ha bisogno di una speranza che
vada oltre la vita... L’uomo non può mai
essere redento semplicemente dall’esterno…
E’ la fede che fa cambiare la società
dal di dentro”.
Tentiamo a questo punto di meditare,
pur nello spazio di un elzeviro, sull’elevata
valenza etica di questi due mirabili
messaggi.
“Caritas” è sinonimo di “amore”, nella
semantica, nella logica ermeneutica, e
soprattutto nella più autentica interpretazione
dell’espressione latina. In ‘amore’
trova non solo radice ma anche significato
intimo e profondo, la parola ‘amicizia’. E
amicizia è il sentimento che diffonde, attraverso
il pianeta, il messaggio universale
dell’umanità sana e saggia. Ma non basta.
Amore ed amicizia sfociano, secondo la
visione proposta da San Girolamo, in un
ideale e inevitabile ‘ritorno’, nella ‘carità’.
i giovani di Benedetto
C arità
eSperanza
motori della comprensione tra gli uomini
“... attraverso la carità e la speranza l’umanità
trovi nuove opportunità di intesa e di universale
comprensione”.
Carità è dunque sinonimo di amore (da
cui amicizia) e, per estensione, anche di
umanità, benevolenza, altruismo, fratellanza,
solidarietà. E io aggiungerei, senza
tema di rischiare molto, “di servizio”.
E non vi pare che tutto questo coacervo
di definizioni ma soprattutto di sentimenti
costituisca, nello stesso momento, il
bagaglio morale, il fondamento essenziale
della ‘politica’ e dell’azione che la Chiesa
e tutti gli uomini di buona volontà vanno
svolgendo da secoli, nel mondo del bisogno,
della fame, della malattia, per una
migliore comprensione e una più ampia
condivisione mondiale?
Non va tuttavia sottovalutata l’assonanza
spirituale che la ’speranza’ cristiana,
l’altra virtù evocata più recentemente dal
Pontefice, trova con l’azione di solidarietà
svolta da parte del mondo civile e del benessere,
tutta volta a creare nei soggetti
aiutati fiducia e –alla fine- speranza in un
mondo migliore.
“La vera felicità è aiutare gli altri”, questo
il motto lanciato al mondo verso la fine
del secolo scorso da un grande Rotariano,
in un amplesso di rinnovato umanesimo.
Una bandiera che trova conferma nei
fondamentali principi enunciati da Papa
Ratzinger nelle sue prime due Encicliche.
Un vessillo che può sventolare libero nel
vento del mondo, perché attraverso la carità
e la speranza l’umanità trovi nuove
opportunità di intesa e di universale comprensione.

Il Beato Giovanni Duns Scoto
la Memoria
e l’Accidia
“Forse c’è da tornare in piazza e spogliarsi
dei propri vestiti, giovani nello spirito
e nelle speranze...”
di Ignazio Loconte
Verona, i primi di maggio: forse c’era
odore di primavera nell’aria, ed anche
nella città scaligera i semi dei denti di leone
planavano pigri sospinti dalle prime
tiepidi correnti che la terra scambia col
cielo. Fatto sta che se ne andavano, senza
meta, contando sulla casualità della
brezza e sulla certezza che tale è il loro
destino. Allo stesso modo se ne andavano
ciondoloni cinque giovani con i pugni
serrati, sicuri di usarli, non importa su
chi. Sappiamo che ci è scappato il morto,
che un giovane non è più. Qualche
giorno appresso, da quelle stesse parti,
durante una partita di calcio un pugno di
tifosi per demotivare la squadra avversaria
pronunciava in maniera offensiva
in nome del santo di Pietrelcina. Delle
due la vera novità è quest’ultima, meno
grave sicuramente nelle immediate conseguenze,
ma più rivelatrice dello stato
di degrado della civiltà che crediamo di
rappresentare. Una civiltà che non è più,
se mai vi fu.
Gli stessi stadi di calcio piangono tribune
semivuote mentre al casting per il
grande fratello si sono presentati in decine
di migliaia, una moltitudine che agogna
solo di riempire per qualche giorno il
vetro di uno scatolotto di plastica, in cerca
di fama da ottenere col minimo sforzo,
a certificare che se ognuno ha delle qualità,
non sono certo a servizio del mondo,
né del quartiere, e neppure di se stessi. I
doni ricevuti per natura e per grazia sono
un fardello, da ignorare o di cui disfarsi
come un fardello inutile.
Le chiese che frequento quando vado a
Messa , sarò fortunato, sono invece piene,
ma le facce mi paiono di plastica. Si entra
per dovere e si esce annoiati, come se
non fosse accaduto nulla. Manca il calore,
ovunque: mentre il pianeta ha la febbre,
i suoi abitanti vivono depressi. Guai alla
Cassandra che si permette di avvisare che
il suadente totem che si erge nel quotidiano
è in verità un insidia mortale: farà
una brutta fine, perché il pensare non è
più di queste parti.
Si vive di emergenze e di ricorrenze.
Le prime servono ad attivare politiche
senza respiro, a corto raggio, quello di
una legislatura che terminata lascerà la
patata bollente a chi arriverà, che non si
comporterà diversamente. Le ricorrenze,
oramai troppe, sono la scusa per non affacciarsi
al nuovo. E quella della Costituzione,
e le giornate della memoria, e l’anniversario
di una strage, e il centenario di
un poeta, e chi ne ha più ne metta. Non
credo sia mai esistita epoca in cui tutti
abbiano vissuto con la testa all’indietro,
con buona pace di sant’Agostino e della
sua dottrina del tempo, per cui l’eternità
è il presente, l’oggi, che di questi tempio
è invaso dal passato nel presente, così
pesantemente che la sua capacità di essere
al servizio del futuro si è dissolta.
Nel nostro ambiente ecclesiastico non
va meglio: diocesi, parrocchie, gruppi e
quant’altro vanno alla ricerca di date da
ricordare per ripetere sempre lo stesso
copione. Una sala da convegni da riempire,
libretti e manifesti, un nome di richiamo
da invitare, grandi movimenti di
pulmann e fotocopie che lasciano le cose
alla fine esattamente come le trovano,
fatta salva la sensazione di aver celebrato
qualcosa di importante. E non parliamo
dell’ambiente a noi più vicino, il francescanesimo.
Se fosse possibile rinascere
mi guarderei bene dal farmi calar dalla
cicogna negli anni che coincidono con
l’avventura terrena del fondatore, come
invece mi è capitato. Ognuno di questi
anni è, e temo sarà, l’ottocentesimo di
qualcosa: siamo ostaggi, e non emuli gioiosi,
del passato.
Come dicevo qualche articolo fa, i tempi
sono troppo stretti per programmare, o
Attualità
non programmare affatto, lasciando allo
Spirito l’onere di suggerir qualcosa di
nuovo. Mi sa che non ci crediamo.
E così tra un secolo nessuno avrà da ricordare
qualcosa di noi, miseri copioni
accidiosi, neppure nostalgici, di un tempo
che andrebbe consegnato alla storia
non dico silenziosa, ma quanto meno
discreta.
Mi sa che dietro a tutto c’è il problema
cardine del nostro evo: l’incapacità e la
malavoglia di educare, ovvero tirar fuori
quello che di originale, irripetibile, unico,
c’è in noi stessi, nel nostro tempo e
negli altri. Se tutto è ripetizione, memoria
e ricordo, siamo di fatto divenuti vecchi.
Siamo lettori viventi di emmepitre,
con la stessa canzone digitalizzata nella
stessa posizione da risentire sino allo sfinimento,
ovvero sino a quando non ha
più nulla da dirci, come il palinsesto di
un telegiornale.
Gli è che tutti gli strumenti più moderni
della tecnologia sono strumenti di memoria;
hard disk, chiavette usb, schedine
di tutti i tipi, registratori digitali, telecamere
e fotocamere digitali: tutto congiura
perché abbiamo qualcosa da dover
ricordare, prigionieri del passato, con gli
occhi che non guardano più le cose di
lassù; e la memoria si fa fredda, inutile,
come vecchi registri buttati nella cantina
di qualche ministero. Una memoria che
può pur a tratti esser viva, ma non più vitale.
Una nuova forma di inferno, né caldo
né freddo, appena tiepido come un sugo
in scatola. Questi siamo noi, questa appare
l’Europa di oggi se la confrontiamo
con culture meno appesantite dal proprio
retaggio. Forse c’è da tornare in piazza e
spogliarsi dei propri vestiti, giovani nello
spirito e nelle speranze, dimenticando
che qualcuno l’ha già fatto: l’unico modo
veramente decente di ripresentare, e non
rappresentare, ciò che è stato.
7

8
Attualità
... in cammino verso il Sinodo dei Vescovi sulla Parola di Dio • 5-26 ottobre 2008
“Per una felice concomitanza, san Paolo verrà particolarmente venerato quest’anno, grazie alla celebrazione
dell’Anno Paolino. Lo svolgimento del prossimo Sinodo sulla Parola di Dio offrirà pertanto alla contemplazione
della Chiesa, e principalmente dei suoi Pastori, anche la testimonianza di questo grande Apostolo e araldo della
Parola di Dio. Al Signore, che egli prima perseguitò e al quale poi consacrò tutto il suo essere, Paolo restò fedele
sino alla morte: possa il suo esempio essere di incoraggiamento per tutti ad accogliere la Parola della salvezza e a
tradurla nella vita quotidiana in fedele sequela di Cristo. Alla Parola di Dio hanno dedicato la loro attenzione diversi
organismi ecclesiali consultati in vista dell’Assemblea del prossimo ottobre. Ad essa volgeranno il loro cuore i Padri
sinodali, dopo aver preso conoscenza dei documenti preparatori, i Lineamenta e l’Instrumentum laboris, che voi
stessi nella Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi avete contribuito a redigere. Avranno così l’opportunità di
confrontarsi tra loro, ma soprattutto di unirsi in collegiale comunione per porsi in ascolto della Parola di vita, che
Dio ha affidato alle cure amorevoli della sua Chiesa, perché l’annunci con coraggio e convinzione, con la parresia
degli Apostoli, ai vicini e ai lontani. A tutti infatti va data, per la grazia dello Spirito Santo, la possibilità di incontrare
la Parola viva che è Gesù Cristo”.
BENEDETTO XVI
Abitare la Parola di Dio
di P. Ernesto Della Corte dei cieli, ma colui che fa la volontà del
Con la Dei Verbum (La Parola di Dio)
il Concilio Ecumenico Vaticano II ci ha
proposto il documento più importante
sulla Parola di Dio. Al n. l si sottolinea
l’importanza della nostra relazione con la
Parola di Dio (PdD), in quanto cristiani,
e la necessità di porci in religioso ascolto
per capire tutte le sue implicanze:
In religioso ascolto della Parola di Dio e
proclamandola con ferma fiducia, il Sacro
Concilio aderisce alle parole di S. Giovanni,
il quale dice: “Annunciamo a voi la vita
eterna, che era presso il Padre e si manifestò
in noi: vi annunziamo ciò che abbiamo
veduto e udito, affinché anche voi abbiate
comunione con noi, e la nostra comunione
sia col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo”
(1Gv 1,2-3). Perciò, seguendo le orme
dei Concili Tridentino e Vaticano I, intende
proporre la genuina dottrina sulla divina
rivelazione e la sua trasmissione, affinché
per l’annunzio della salvezza il mondo intero
ascoltando creda, credendo speri, sperando
ami.
Ma cosa vuol dire “Parola di Dio”? Sempre
la Dei Verbum, al n° 12, afferma che “...
Dio nella Sacra Scrittura ha parlato per
mezzo di uomini alla maniera umana” e
per riconoscere questa Parola, alimentata
dallo Spirito, c’è bisogno dello Stesso
Spirito 1 . Noi diciamo ispirata. Lo Spirito
si trova all’origine della Parola di Dio e
all’origine della relazione del cristiano
con la Parola. Per cui come lo stesso Spirito
fa nascere la Parola, lo stesso Spirito
fa relazionare il cristiano con la Parola.
Il “religioso ascolto” - dice ancora la Dei
Verbum al n. l -, è l’ascolto che, se radicato
nel senso biblico del verbo ascoltare,
vuol dire obbedire: “Non chiunque mi
dice: Signore, Signore, entrerà nel regno
Padre mio che è nei cieli” (Mt 7,21).
Nell’Antico Testamento la parola ascoltare,
“shâmâh”, vuol dire obbedire; non
c’è vero ascolto, dunque, se non c’è obbedienza
e la stessa obbedienza vuol dire
ascoltare. Chi non obbedisce non ascolta
e chi non ascolta è incapace di obbedire.
L’obbedienza nasce dall’ascolto; allora
‘religioso ascolto’ vuol dire ‘religiosa obbedienza’.
La fede di Israele si sintetizza in questo
comando di Dt 6: “Ascolta Israele (‘shô
mâh Israel’). Amerai il Signore con tutto
il tuo cuore ... con tutto te stesso”.
L’ascolto non è semplice audizione o indice
di gradimento, ma deve diventare
obbedienza e, dunque, vita vissuta 2 .
Paolo scrive ai Romani (10,17):
“Dunque la fede viene dall’ascolto
e l’ascolto viene dalla Parola di
Cristo”. La fede nasce dall’ascolto
ed esige una relazione di fiducia.
La fiducia nasce dall’ascolto
obbediente. Chi non ha fiducia,
non può ascoltare. Che significa
relazione di fiducia? Vuol
dire avere consapevolezza
chiara che la Parola di Dio entra
in relazione con noi. Spesso
ci preoccupiamo di capire il
contenuto della Parola. Prima
di tutto è necessario, invece,
avere consapevolezza che si
tratta della Parola di Dio e non
di parola umana o di un testo
antico o di letteratura classica: è
Dio che parla! In questo diventa
modello, per noi, la comunità di
Tessalonica.
Ci sia d’esempio la comunità di Tessalonica,
che c’insegna il vero ascolto
religioso:
prima parte
… rendiamo continuamente grazie a Dio
perché, ricevendo la Parola di Dio che noi
vi abbiamo fatto udire, l’avete accolta non
quale parola di uomini, ma come è veramente,
quale Parola di Dio
che opera in voi che
credete.

Sulle tracce di Elisabetta d’Ungheria
È importante ora fare tre brevi considerazioni
per comprendere meglio la nostra
relazione con la Parola di Dio. Desidero
sottolineare tre aspetti:
1. La Parola di Dio crea e ri-crea;
2. La Parola di Dio interpella;
3. La Parola di Dio unifica.
1. La Parola di Dio crea e ri-crea
La Parola di Dio, rispetto a quella dell’uomo,
è parola che, nel momento in cui
viene detta, crea. È questo il senso della
prima pagina della creazione. “E sia la
luce e la luce fu. E sia il cielo, e il cielo
fu ... e fu sera e fu mattina”. La Parola di
Dio crea dal nulla ogni cosa: ecco senso
della pagina della creazione.
In principio è la Parola, afferma l’apostolo
ed evangelista Giovanni nel suo
Prologo (Gv 1): “In principio era il Verbo;
il Verbo era Dio; il Verbo era rivolto
davanti a Dio”. Il profeta Isaia, nello
splendido cap. 55,10-11 ci pone davanti
al ciclo dell’acqua, per descriverci la potenza
della Parola che Dio pronuncia:
Come la pioggia e la neve scendono dal
cielo e non ritornano senza prima avere
irrigato la terra, senza averla
fecondata e fatta
germogliare,
perché dia
il seme
al se-
minatore e pane da mangiare, così sarà
della Parola del Signore. Non ritornerà a
me senza effetto, senza avere operato ciò
che desidera e senza aver compiuto ciò
per cui l’ho mandata.
La Parola, che è creatrice, è soprattutto ricreatrice,
ricrea, rigenera, come afferma
Pietro, nella sua prima lettera (1,22-23):
Amatevi intensamente, di vero cuore, gli
uni gli altri: siete stati rigenerati non da un
seme corruttibile, ma incorruttibile, per
mezzo della Parola di Dio viva ed eterna.
Siamo rigenerati dalla Parola, in quanto
siamo rigenerati in Cristo. E aggiunge:
“È questa la parola del Vangelo che vi è
stata annunciato” (v. 25). È illuminante
l’episodio dei discepoli di Emmaus in Lc
24,27: “E cominciando da Mosé e da tutti
i Profeti, spiegò loro ciò che lo riguardava
in tutte le Scritture”; al v. 45 Luca
scrive che Gesù compie il gesto di spezzare
la Parola. Il testo latino è molto più
pregnante: “tunc aperuit illis sensum ut
intellegerent scripturas”, “allora aprì
loro l’intelligenza del cuore perché potessero
capire la Scrittura”, la Parola di
Dio. È vero quello che dice S. Girolamo:
“L’ignoranza del Cristo è ignoranza della
Scrittura”. Non si può capire la Scrittura
senza Cristo. Cristo è il cuore della
Scrittura, è il centro unificante della
Parola, come amava ripetere S. Agostino
(l’inizio della Bibbia non è la Genesi, ma
il Vangelo stesso, Gesù Cristo) 3 .
La parola di Dio mi rigenera quando diventa
una Parola capace di ricreare me,
non l’umanità in generale; me personalmente,
me cristiano impegnato nel
mondo contemporaneo, nel mio secolo,
nel mio tempo. Una parola creatrice
e ricreatrice che diventa una parola
interpellante, che mi interroga, che
mi pone in discussione, mi ricrea
nel momento in cui mi scombussola.
Quando ci relazioniamo
con la Parola dobbiamo far
cadere ogni forma di indifferenza
e chiusura.
2. La Parola di Dio
interpella
La Parola di Dio ha una forza
interpellante, non domani,
ma qui e ora, nel momento
in cui sono chiamato ad
ascoltare. Lo afferma Gesù,
nel Vangelo secondo Luca,
quando nella sinagoga prende
il rotolo di Isaia e legge il
passo di Isaia: “Lo Spirito del
Signore è su di me …” e poi,
sedutosi, aggiunge “Oggi è stata
portata a compimento questa
parola di Dio nelle vostre orecchie
(cioè nell’intelligenza)”.
È necessario credere che la Parola
di Dio si realizza oggi. Quando siamo
Attualità
posti di fronte alla Parola di Dio, scritta
duemila anni fa, dobbiamo avere la consapevolezza
che, anche se non ce ne accorgiamo,
continua ad adempiersi nel nostro
tempo; continua a realizzarsi oggi, qui,
adesso.
La Parola di Dio ci pone in discussione,
ci interpella qui e adesso, e, come spada
affilata, trapassa la vita del cristiano
e dell’uomo, come afferma l’autore della
lettera agli Ebrei (4,12-13): “la Parola di
Dio è viva, efficace, più tagliente di una
spada a doppio taglio. Essa penetra nelle
giunture e scruta i sentimenti e i pensieri
del cuore”. Essa entra nella coscienza di
ognuno di noi e nella coscienza ecclesiale
della comunità. La Parola di Dio è detta
alla Chiesa e dalla Chiesa interpretata; è
Parola che giudica e fa la Chiesa, perché
da essa è interpellata ed essa interpella. È,
dunque, Parola profetica, cioè Parola che
non cessa di interpellarci. Oggi più che
mai abbiamo bisogno di cristiani che sappiano
trasmettere con la vita questa forza
profetica della Parola, che sentano l’urgenza,
la forza, il fuoco della Parola, come
il profeta Geremia.
3. La Parola di Dio unifica.
La Parola di Dio è una forza unificante che
crea la comunità e la tiene unita. Anche se
i cristiani sono molteplicemente impegnati,
sperimentano, però, di essere radicalmente
unificati dalla Parola. Unificazione
non tanto singola, individuale, personale,
ma anche e soprattutto comunitaria.
Ed è per lo stesso motivo che la Chiesa,
pur fra tante difficoltà e contraddizioni, è
sempre una. Luca (At 2,42) ci richiama la
caratteristica essenziale della Chiesa primitiva,
“erano assidui nell’ascoltare l’insegnamento
degli Apostoli”. Quando una
comunità non è unita nella sinfonia delle
diversità, vuol dire che non è in ascolto
della Parola di Dio.
L’ultimo elemento di questa funzione unificatrice
della Parola si trova nel passaggio
dalla Parola all’Eucaristia. L’Eucaristia è
lodare insieme il Signore, perché insieme
facciamo l’esperienza di essere unificati
dalla Parola. Pur essendo molti, diventiamo
un solo pane.
Vorrei ricordare infine ciò che il profeta
Amos (8,11) afferma anche a noi, oggi:
“Ecco, verranno giorni, - dice il Signore
Dio - in cui manderò la fame nel paese,
non fame di pane, né sete di acqua, ma
d’ascoltare la parola del Signore”, cioè
fame di vita autentica interiore, di valori
da vivere e da trasmettere e soprattutto
della Parola del Signore.
Ricordate come rispose Gesù alla tentazione
di Satana? “Non di solo pane vive
l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla
bocca di Dio”. E la memoria di questa affermazione
di Gesù diventi per noi, oggi,
vita, esperienza, storia.
9

10
Attualità
Ogni credente deve fare sue le parole del
Decreto sull’Apostolato dei Laici (Apostolicam
actuositatem, 4) del Concilio Vaticano
II:
Solo alla luce della fede e nella meditazione
della Parola di Dio è possibile sempre e
dovunque riconoscere Dio nel quale ‘noi
viviamo e ci muoviamo e siamo’ (At 17,28),
cercare in ogni avvenimento la sua volontà,
vedere il Cristo in ogni uomo, vicino
o estraneo, giudicare rettamente del vero
senso e valore delle realtà temporali in se
stesse e in ordine alfine dell’uomo”.
Quattro verbi definiscono l’essere e l’agire
del cristiano in rapporto a Dio e alla
In occasione dell’apertura dell’Anno
Paolino e del prossimo Sinodo dei
Vescovi sulla parola di Dio e come
qualificata preparazione alla Celebrazione
dell’VIII Centenario della
fondazione dell’Ordine “desidero
farvi partecipi di alcune riflessioni
sulla Parola di Dio nella nostra vita
e, più concretamente, sulla lettura
orante della Parola”.
fr. Josè Rodriguez Carballo, ofm
Ministro Generale
Come leggere la Bibbia
storia: riconoscere – cercare – vedere –
giudicare.
I primi due verbi indicano nel credente
la tensione verso Dio, lo sforzo di entrare
in intimità con Lui, di conoscerlo quale
fonte della vita e dell’esistenza, come Colui
che dà senso e pienezza all’essere. Gli
altri due verbi lo pongono in relazione
con gli altri e con la storia, nell’esercizio
dell’intelligenza (nel senso reale espresso
dal termine: leggere dentro e leggere tra)
e della coscienza critica illuminate dalla
fede. Tale esercizio porta il cristiano a
farsi prossimo di ogni uomo, riconoscendo
in lui Cristo, e a sentirsi partecipe e
protagonista della storia. Il decreto conciliare
vede nella luce della fede e nella
meditazione della Parola di Dio la sola
via praticabile per vivere l’affascinante
avventura della vita cristiana.
Il grande Papa San Gregorio Magno affermava:
Consideri ognuno che per la lingua dei
profeti noi ascoltiamo Dio mentre parla
con noi. Che cos’è la Scrittura se non una
lettera di Dio onnipotente alla sua creatura?...
Studia dunque, di grazia, e medita
quotidianamente le parole del tuo Creatore.
Apprendi il cuore di Dio nelle parole di
Dio.
Lo studio e il gusto della Parola di Dio
sono elementi fondanti della nostra fede,
non tanto per soddisfare una curiosità intellettuale
o per cercarvi conferme ai propri
modi di agire e di pensare piegandola
al proprio volere, quanto per apprendere
il cuore di Dio e lasciarsi interrogare dalle
parole che, diversamente dal cielo e dalla
terra, non passeranno, perché sono spirito
e vita. Tale studio va accompagnato
dalla quotidiana meditazione “nel cuore”,
che significa “concedere una tranquilla
risonanza alla parola, perché diventi penetrante
al massimo grado, possa toccare
le più intime fibre, imbeva l’anima fino
al fondo” 4 .
Studio e meditazione della Parola sono
un’esigenza e un appello per ogni battezzato
e non sono delegabili a particolari
porzioni del popolo di Dio. A tale scopo
ammoniva Giovanni Crisostomo
Questa è la calamità; pensate che la lettura
della Sacra Scrittura convenga solo ai monaci,
mentre voi ne avete assai più bisogno
di loro... Perciò vi esorto a non scorrere di
sfuggita il contenuto della Sacra Scrittura,
ma a leggerlo con molta attenzione, affinché
raccogliendone il frutto un giomo, anche
se tardi, possiamo riceverne in cambio
la virtù grata a Dio.
La Chiesa raccomanda vivamente la lettura
e la meditazione personale e privata
della Parola. “Privata non vuol dire indipendente,
ma che si riferisce al modo
non comunitario e più personale della
lettura. Non è del tutto privata, perché
il cristiano riceve la Sacra Scrittura dalla
Chiesa, non precisamente dal suo libraio...
Questo fatto fondamentale converte
ogni lettura devota della Bibbia in azione
cristiana, quindi ecclesiale e comunitaria...
Anche lì, nel nascondiglio, si attua
la parola ispirata, torna ad esistere, nuovamente
parla Dio, e mi raggiunge con
la sua parola per salvarmi... Il buon cristiano
vive inserito in Cristo, e lo Spirito
Santo abita attivamente in lui. Quando il
cristiano legge con buona volontà la parola
dello Spirito, non dobbiamo pensare
che lo Spirito ispiratore sia assente o
guardi inattivamente il devoto lettore. Il
cristiano di buona volontà non pensa ad
escludere dalla sua lettura l’insegnamento
della Chiesa, ma si avvicina alla lettura
del libro sacro con la sua fede cristiana,
con la sua formazione cristiana, con la
sua vita cristiana; possiede nella sua vita
una disposizione e una connaturalità per
intendere la Parola di Dio. Ciò non lo dispensa
da una formazione diligente, dallo
studio per approfondire, dalla modestia
per consultare...” 5 .
È opportuno, però, dare uno schema sintetico
di come avvicinarsi inizialmente
alla Parola di Dio:
1. Chi prende la Bibbia o un suo libro,
sia esso dell’Antico che del Nuovo Testamento,
deve per prima cosa avere
un atteggiamento di fondo: la disponibilità
ad accogliere la Parola come
progetto di vita per una libera apertura
di se stesso a Dio, che parla tramite
quello scritto. Per cui il primo consiglio
è leggere per incontrare Dio e il
suo Figlio, Gesù Cristo.
2. Fornitevi di una Bibbia che abbia delle
brevi introduzioni riguardanti l’autore,
il messaggio e i destinatari di ogni
libro e sia corredata da note esplicative
abbondanti.
3. Il lettore deve farsi contemporaneo
della Parola. Fate una lettura con calma,
senza fretta, cercando di capire i
termini nel loro significato con l’aiuto
delle note; cercate di comprendere ciò
che l’autore vuol dire col suo linguaggio,
le sue immagini e quale risposta
intenda dare agli interrogativi dei cristiani
del suo tempo e alla sua comunità.
Non interpretate o proiettate nel
testo le vostre affermazioni. Fate parlare
il testo (ecco la lettura “storicoletterale”).
4. Bisogna fare una lettura d’insieme,
cioè tener presente sempre l’unità e
la globalità del piano di salvezza che

si compie in Cristo. Questo insieme
è fatto di storia, profezia, vita, legge,
peccato, misericordia... bisogna tener
conto di tutto per comprendere una
parte. Si eviti perciò di smembrare la
Parola di Dio, di renderla a pezzi: ogni
brano va inserito nel suo contesto
d’insieme.
5. Una lettura ecclesiale. La Parola di
Dio, nata dalla comunità e per la comunità,
si comprende nella comunità.
Il luogo dove Dio si rivela e dà
l’intelligenza della Parola è la Chiesa.
Staccarsi nella lettura biblica dalla
dimensione ecclesiale (comunità, magistero,
Spirito Santo) è sconfinare
nell’arbitrarietà e nel soggettivismo.
6. Una lettura in ‘situazione’: che cosa
dice a noi oggi questa parola o fatto
biblico o evangelico? Rendere la Parola
contemporanea alla nostra vita:
oggi parla a me il Padre e mi parla in
questo tempo. La Parola di Dio non
è un tesoro morto, ma è nutrimento
permanente della fede e della vita spirituale
del popolo di Dio, in mezzo alle
mutevoli circostanze storiche. Poiché
la Bibbia è parola viva e attuale che
interpella costantemente l’uomo, essa
va letta coinvolgendo anche la nostra
storia. La Parola di Dio è sempre concreta
e va rapportata a situazioni concrete;
Dio con la sua parola non parla
al vento, ma ci coinvolge nel rapporto
vitale con lui e con gli uomini. In realtà
si deve incontrare nella Bibbia la
Parola che parla oggi, per cogliervi la
sua forza di attualità e di vita. Affinché
questa lettura possa essere veramente
vitale dobbiamo lasciarla scendere in
profondità dentro di noi, ‘ruminarla’,
leggerla, rileggerla, meditarla, pregarla,
per poterne assaporare la sua forza
di attrazione, di giudizio e avvantaggiarsi
del suo messaggio di vita.
1. “...dovendo la sacra scrittura essere letta e interpretata con
l’aiuto dello stesso Spi-rito mediante il quale è stata scritta,
per ricavare con esattezza il senso dei sacri testi...”.
2. Mc 4 paragona la Parola di Dio a un seme che viene sparso
e al v. 18 dello stesso capi-tolo sottolinea che molti sono
coloro che ascoltano la Parola, ma sopraggiungono le preoccupazioni
del mondo, l’inganno delle ricchezze e le varie
bramosie che soffocano la Parola e il seme rimane senza
frutto. È questa la situazione tipica del cristiano chiamato a
confrontarsi sempre più col mondo contemporaneo: le preoccupazioni,
le ansie, le rela-zioni col mondo, i cambiamenti
Attualità
Alcuni suggerimenti metodologici
per l’uso corretto della Bibbia
Qual è il contenuto vero della Bibbia?
Attenzione ad alcune trattazioni che susci tano perplessità:
1. far coincidere il senso di un testo (ad es. una parabola o un racconto) con quanto
appare, a prima vista, nella mate rialità del brano6 ;
2. limitarsi a dare di un testo le sole in formazioni geografiche, storiche, cultu rali
e letterarie, ma non arrivando fino a evidenziare il messaggio umano-religioso
oppure mettere in primo piano sensi o elementi secondari7 ;
3. dei testi e dei personaggi si danno una spiegazione subito moralistica, individuando
la categoria dei buoni e quella dei cattivi8 o dando generici messaggi di
bontà di Dio e di Gesù;
4. altro pericolo è dare dei testi frammen tati, senza cioè introdurli in un contesto
più ampio che ne evidenzia la portata9 .
5 Spesso raccontiamo un episodio biblico per sentito dire e non per quello che il
testo dice effettivamente10 .
6. La funzionalizzazione della Bibbia: si usa la Bibbia per confermare la tematica
che si tratta, rischiando di oscurare il senso trascen dente e globale.
7. L’isolamento: ci si accosta alla Bibbia in se stessa e non in correlazione con l’esperienza
dell’uomo (K. Barth affermava: “Bibbia e giornale”).
Alcuni suggerimenti orientativi: le due domande che fanno parlare la Bibbia:
• Cosa dice questo brano?
• Come dice quello che racconta?
Abituarsi e abituare a incontrare il testo biblico, lavorando di persona, anche se poi
aiutati da sussidi e altro materiale.
chiedono a lui, oggi, di essere continuamente radicato nella
Parola, attento nell’ascolto, fecondo nella testimonianza.
3. In Ap 5 è descritta la visione dell’Agnello. Ricordiamo che
Giovanni, in questa vi-sione, è in angoscia, perché c’è un un
piccolo libro (il piano di salvezza del Padre) che nessuno può
aprire: “Chi è degno di prendere il libro e di aprirne i sigilli?”
E Giovanni piange, perché in tutto il mondo l’angelo non
trova nessuno che possa aprirlo. È la soffe-renza dell’uomo
che non capisce il senso della vita, è l’angoscia dell’uomo di
oggi che non sa dove va a finire la sua vita. Finalmente però
l’angelo annunzia: “Non piangere, ha vinto il leone della
tribù di Giuda”. Comincia, allora, quel canto bellissimo che
pro-clamiamo nella liturgia: “Tu sei degno, o Signore Dio
nostro, di prendere il libro e di a-prirne i sigilli ...”.
4. L. A. SCHÖEKEL, La Parola ispirata, Brescia 1987, 394.
5. L. A. SCHÖEKEL, La Parola ispirata,, 392.
6. Il seminatore ebreo non semina di proposito tra le spine
o sulle rocce: qui è oppor-tuno spiegare il tipo di agricoltura
usato e anche l’esagerazione tipica della parabola (cf. Mc 4).
In Mt 18 non si racconta la parabola del servo spietato (come
sembra a prima vi-sta), ma quella del padrone clemente (il
Padre).
7. Ad es. a Cana (Gv 2) parlare di un santo vino o parlare del
matrimonio ebraico, dimenticando che in questo testo non
appaiono gli sposi umani! Si parla qui di Cristo e della sua
sposa: il doppio fondo o doppio livello in Giovanni. Oppure
mettere in rilievo in Mc 4,1-9 più i terreni e non il seme.
8. Ad es. il racconto di Caino e Abele è applicato ai propri
compagni; oppure si sot-tolinea la bontà di Gesù nel moltiplicare
i pani, dimenticando che qui c’è molto di più: il
discorso sull’Eucaristia!
9. Ad es. l’episodio di Bartimeo in Mc 10 visto solo come
miracolo e non come una narrazione che sottolinea la fede
nel cammino di sequela. Bartimeo è indicato da Marco come
modello per essere davvero discepoli di Gesù.
10. Ad es. parliamo del buon Pastore indicando la bontà di
Gesù e dimenticando che San Giovanni vuole parlare di Gesù
che libera dai recinti della vecchia legge.
11

12
Francescanesimo
il cammino
di fr. Francesco Bravi
vicario generale ofm
della
Fraternità
universale
E’ con gioia sincera e con grande fraternità
che saluto ciascuno di voi e in voi
tutta la vostra Provincia di frati minori di
Puglia e Molise.
In questi giorni di ascolto, di preghiera e
di fraternità iniziate il cammino di preparazione
al prossimo Capitolo provinciale.
Le tre settimane previste per questa prima
fase sono un momento forte di verifica
della vita e delle attività della Provincia
per cominciare ad indicare proposte per
il cammino futuro. Mi inserisco nelle vo-
prima parte
stre riflessioni per presentarvi in sintesi il
cammino dell’Ordine e suggerirvi alcune
attenzioni che possano aiutarvi a vivere
ancora più profondamente il legame con
la fraternità universale. L’importante lavoro
che vi accingete a compiere, deve
avere come costante riferimento quanto,
sia il Capitolo generale ordinario del 2003
che quello straordinario del 2006, hanno
indicato ad ogni frate e ad ogni fraternità,
perché camminando in profonda sintonia
con tutta la fraternità universale, la vostra
fraternità provinciale possa fare scelte
lungimiranti e sapienti.
Con Francesco da Assisi alla terra di Puglia
In cammino verso la Grazia delle Origini
La nostra Provincia dei Frati Minori di Puglia e Molise è in
cammino verso la celebrazione del Capitolo intermedio 2009,
dove vedrà riuniti, per la prima volta, tutti i frati della Provincia.
Significativa l’esperienza di questa prima fase di preparazione
con tre settimane per riflettere, dialogare e decidere in
ordine a tutto ciò che riguarda la vita e la missione dell’intera Fraternità provinciale.
In concomitanza con il cammino dell’Ordine verso la Grazia delle origini, la grazia di questi giorni è l’occasione per «riunirsi;
parlare di ciò che ci è successo; condividere il Vangelo, rileggere la Regola; pregare e lodare Dio “per tutti i suoi doni”; celebrare
la comunione fraterna; tornare ai frati delle nostre Fraternità, ai nostri fratelli e sorelle del mondo intero con la buona notizia
che ha trasformato le nostre vite» (ISPLC 45). Proporremo su queste nostre pagine, in due momenti, il cammino della Fraternità
universale, tracciato dal Vicario dell’Ordine fra Francesco Bravi nella prima settimana precapitolare.
In questo incontro con voi vorrei tentare
di fare il punto sul cammino della nostra
fraternità universale. Fraternità che ha
celebrato il Capitolo generale nel 2003
e si prepara a vivere l’ottavo centenario
della sua nascita nel 2009. Per presentarvi
da parte mia la vita dell’Ordine in questo
sessennio, farò riferimento a diversi
testi che ci stanno accompagnando nel
percorso di approfondimento e di verifica
che abbiamo tracciato e che stiamo già
vivendo: quelli nati dal Capitolo generale
2003 (Il Signore ti dia Pace e Seguaci
di Cristo per un mondo fraterno - Prio-

ità 2003/2009); il sussidio che presenta
il progetto per l’ottavo centenario della
fondazione dell’Ordine, La grazia delle
origini ; quello del Capitolo generale
straordinario del settembre 2006 (il documento
finale Il Signore ci parla lungo
il cammino).
Il cammino che abbiamo iniziato è segnato
poi da una parola forte che il Ministro
generale ci ha affidato e che ci ha aiutato
progressivamente a meglio comprendere
nei suoi contenuti profondi: la rifondazione
dell’Ordine. “Il nostro carisma – vocazione
e missione – è un carisma storico,
non statico. Richiede una sforzo continuo
per ridargli vita, per attualizzarlo e,
in questo modo, per poter offrire risposte
significative agli uomini e alle donne del
nostro tempo… Soltanto facendo questo
sforzo… il nostro carisma conserverà la
sua funzione simbolica, sarà una sorta
di parabola evangelica, in cui, accanto
all’elemento visibile, vi è quello fondamentale
di rinviare ad altro…. I carismi
nella Chiesa – e quindi anche il nostro –,
non sono fondamentalmente strumenti
per fare, educare, curare, attendere, ma
simboli per significare, ispirare, alludere,
rappresentare, manifestare, stimolare,
trascendere…La rifondazione riguarda
precisamente questo: ridare alla nostra
vita il carattere simbolico che ha avuto
dagli inizi e lungo la storia della Fraternità,
ripartendo dalle radici, dalle fonda-
menta (ri-fondare). (Incontro Ministri
provinciali Compi).
Il mio intervento vuole esser solo di
stimolo ad iniziare un confronto che vi
aiuti a valutare la vita e la missione di
questa vostra entità dentro l’orizzonte
più ampio della fraternità universale.
Per non ripetere stancamente
Il Capitolo generale del 2003 ci ha invitati
a leggere i segni dei tempi e ad interpretarli
alla luce del Vangelo: “Sono
gli avvenimenti della vita a segnare una
determinata epoca della storia; attraverso
questi avvenimenti il cristiano si sente
interpellato da Dio e chiamato a dare
una risposta evangelica. I segni dei tempi
sono, dunque, lampi di luce presenti nella
notte oscura dei popoli, fari generatori
di speranza” (StP 6). Lo stesso capitolo
ci ha concretamente offerto un esempio
di lettura e di interpretazione. “Noi Frati
minori ci sentiamo interpellati, in modo
speciale, da alcune realtà storiche negative
nel contesto in cui viviamo, realtà
che, per la loro diffusione sempre più
generalizzata, possono essere considerate
caratteristiche della nostra epoca.
Il comune denominatore di tali realtà
è il rifiuto di ciò che è diverso, l’esclusione
dell’altro, la negazione sistematica
dell’alterità. Uno sguardo attento, tuttavia,
riesce a scorgere anche i segni di
piccolo dizionario della grazia delle origini
Minorità
Se la fraternità rimanda immediatamente al francescanesimo,
è la minorità che identifica il proprium della forma vitae di Francesco
e la sua conseguente spiritualità: « e diceva che si chiamassero
semplicemente “frati minori” », dove l’accento va posto più
sull’attributo che sul sostantivo. Se la fraternità è patrimonio comune
di tutte le realtà cristiane, non proprio a tutti appartiene
la minorità. Nella minorità c’è una duplice dimensione: una più
esterna e concreta ed è la povertà; l’altra è più interiore e indica
un atteggiamento dello spirito (cf “la povertà di spirito”), da cui
deriva quella semplicità nei modi e nelle relazioni che è quanto di
più affascinante nei discepoli di Francesco più conosciuti e amati
e che dà una specificità tutta propria al francescanesimo.
E’ indiscusso che Francesco scelse la povertà fondamentalmente
per imitare “Cristo e la sua Madre poverella”. Tuttavia non si può
escludere del tutto l’esito di questa scelta: con essa Francesco fa
una scelta di campo che, anche se non va accentuata nel contesto
dell’antinomia maiores–minores in una visione esclusivamente
sociologica, tuttavia non la esclude del tutto. Francesco con questa
opzione sceglie la marginalità: l’uscita dalla città di Assisi, la
presa di distanza dalle classi nobili e benestanti e l’entrare a far
parte degli esclusi: i lebbrosi, i poveri, i peccatori. Per questo Francesco
non solo dà ai poveri, ma sta con i poveri; si fa piccolo con i
piccoli e condivide la vita di coloro che erano ai margini sia della
società che della stessa chiesa
Per Francesco, tuttavia, la povertà materiale è via e mezzo che
deve condurre alla “povertà di spirito”, all’espropriazione della
Francescanesimo
vita e di speranza: la ricerca incessante e
creativa di inserimento, prossimità, comunione,
abbraccio, fraternità, cammino
di pace autentica” (StP 9). La prima
parte del documento conclusivo elenca
queste realtà (Tra un’economia di mercato
e una economia di solidarietà; Tra la
forza della violenza e l’attuazione della
pace; Dal fondamentalismo al dialogo;
Dall’immagine al simbolo) e nella seconda,
dopo aver affermato che “ le lacerazioni
sociali di cui abbiamo parlato
esistono anche in mezzo a noi e nella
vita personale dei frati con cui viviamo”
(StP 20), indica, attorno a cinque punti
(La gioia della fede; Il dialogo, via alla
pace; Itineranza sorella della pace; La
gioia dell’evangelizzazione; La santità in
Fraternità) la “nostra riflessione intorno
alla risposta di fede che il nostro tempo
reclama” (StP 21).
Lo stesso documento finale poi ci ricorda
che: “Chi non legge i segni dei tempi
rischia di fermarsi, di ripetersi …” (StP
6). Ecco un primo impegnativo orizzonte
dentro il quale siamo chiamati a muoverci:
la fedeltà creativa che leggendo in
profondità le sfide e le attese della realtà
dove viviamo, sa ridire, riesprimere,
il carisma francescano in modo nuovo.
Una creatività che fa incontrare le attese
più profonde della gente con il Vangelo
attraverso la nostra vita e spiritualità. Le
propria volontà, dopo l’espropriazione dei propri beni. La minorità
rappresenta il tema di fondo delle Ammonizioni: “odiare” se stessi e
amare quelli che ci perseguitano; non appropriarsi nemmeno della
propria volontà; né dei doni che Dio ci ha dato, né degli uffici, ma
affidarsi sempre all’obbedienza, come docili strumenti dello Spirito
(cf. Am 3 e 14). La povertà di spirito viene espressa da Francesco
con le categorie del “sine proprio” e della “restituzione”:
- il “sine proprio” verso Dio: è il non appropriarsi di ciò che appartiene
a Dio, non attribuire il bene a se stessi, ma a Dio (cf Am
7,11,18); vincere l’orgoglio e l’autosufficienza: ci si può gloriareappropriare
solo delle proprie infermità, vizi e peccati (cf. Am
5:153/4); un rischio speciale di appropriazione è la scienza, quando
non viene riconosciuta come dono di Dio (cf Am 7:156);
- il “sine proprio” verso i fratelli: consiste nel vincere l’invidia,
l’ira, il turbamento e amare chi ci disprezza (cf Am 8 e 14); farsi
sempre più piccolo e povero dei piccoli e dei poveri che si incontrano;
- restituire: l’espropriazione non è completa se, dopo aver riconosciuto
tutto ciò che non ci appartiene, non siamo capaci di restituirlo:
“beato il servo che restituisce i suoi beni al Signore” (Am
18:168). Francesco parla della “restituzione con le parole” (lode e
rendimento di grazie), e della “restituzione con le opere sante”: dare
il mantello al povero; il lavoro e il buon esempio: generare Cristo
con le opere sante, le opere della penitenza (cf Lfed I,10:178/2).
Peter
13

14
Francescanesimo
forme e le modalità consolidate, con cui
esprimiamo la nostra vocazione francescana,
sono una tentazione subdola che
ci fa correre il forte rischio della ripetizione
stanca che non dice niente nemmeno
a noi e non è di nutrimento per
nessuno. Per questo il Capitolo ci ha ricordato:
“Non possiamo accontentarci di
magnificare le opere dei nostri antenati:
piuttosto dobbiamo ispirarci ad esse per
adempiere il compito che ci è affidato nel
nostro frammento di storia” (StP 3).
Ma noi siamo una fraternità che non ripete
stancamente le caratteristiche fondamentali
della nostra vocazione? Il documento
finale ci ricorda che le cinque
priorità dell’Ordine sono “una chiave di
lettura per vivere la nostra identità e per
comprendere le attese del mondo”.
Sono veramente accolte
e vissute così
le priorità? Sono
il modo concreto
per
leggere
ed interpretare
la
no-
stra identità dentro le attese del mondo?
Una delle grosse sfide che le entità stanno
vivendo è quella certamente del ridimensionamento
e della qualificazione delle
presenze. Tutto ciò porta con sé profondi
cambiamenti a livello personale, a livello
fraterno e a livello istituzionale.
Tuttavia il ridimensionamento non va
pensato solo come chiusura di case o di
presenze, ma soprattutto come individuazione
di criteri fondamentali per una
fedeltà dinamica al nostro carisma, nella
fedeltà all’uomo di oggi per dare più visibilità
e significatività alla nostra forma
vitae. In questa logica è importante verificare
la distribuzione delle presenze e
delle diverse attività apostoliche e ripensarle
alla luce del nostro essere Fraternità
in missione e secondo le indicazioni degli
SS.GG sulla composizione delle fraternità
locali, delle custodie e delle province.
Come si sta procedendo alla qualificazione
delle presenze e come abbiamo accolto
le indicazioni degli Statuti generali?
Il discernimento e la fede
Per leggere i segni dei tempi e dare risposte
nuove, non ripetitive, siamo invitati
ad “intraprendere, in ogni tempo e luogo,
il cammino di discernimento evangelico”
(StP 7). Chiamati cioè a “prendere coscienza
delle strutture personali e sociali
che si oppongono alla vita….aprire gli occhi
della fede e della speranza per cogliere…i
sogni emergenti dell’umanità….e
anticipare così il Regno” (StP 7).
“Per discernimento - ha detto il Ministro
generale in un discorso - intendo l’analisi,
realizzata partendo dalla fede, di situazioni,
circostanze o persone, con lo scopo
di prendere una decisione; la capacità di
distinguere ciò che è essenziale da ciò
che è secondario, le cose ultime dalle penultime;
il processo di ricerca orante per
capire, in un clima di libertà interiore, la
volontà di Dio; l’atteggiamento di espropriazione
che, partendo dalla percezione
della presenza dello Spirito, ci porta a fare
“ciò che piace al Padre” (Gv 8,19)”.
Il discernimento dunque va condotto alla
luce del Vangelo e della nostra forma vitae.
Le nostre CC.GG ci ricordano infatti
che i segni dei tempi vanno scrutati e interpretati
alla luce del Vangelo (cfr. CC.GG
102,2). Il sussidio Voi siete tutti fratelli,
che presenta e approfondisce i contenuti
del Capitolo III delle nostre CC.GG., ci offre
una interessante riflessione sullo stile
francescano del discernimento. Ci invita a
rileggere con attenzione l’Ammonizione
12 che parla di uno spirito, di una mentalità
più che di una scelta concreta o di un
passo avanti: “A questo segno si può riconoscere
il servo di Dio, se ha lo spirito del
Signore: se, quando il Signore compie,
per mezzo di lui, qualcosa di buono, la
sua “carne” non se ne inorgoglisce – poiché
la “carne” è sempre contraria ad ogni
bene –, ma piuttosto si ritiene ancora più
vile ai propri occhi e si stima più piccolo
di tutti gli altri uomini”. In questo testo
si vuole convertire la propria mentalità e
comportamento; più che indicare una decisione
precisa si abbozza una spiritualità
e un metodo di discernimento. Parlare
di discernimento francescano nel senso
dell’Ammonizione 12 significa parlare di
un riconoscimento dell’azione del Signore
e pertanto di presa di coscienza e di
riflessione. Questo riconoscimento presuppone
la disponibilità alla sua azione.
Significa sottolineare l’importanza che ha
la pratica del bene, per fare l’esperienza
dell’espropriazione di se stesso. Significa
verificare la qualità della presenza umile
vicino agli altri, per evitare l’esaltazione e
qualsiasi sentimento di orgoglio che possa
accompagnarla.
Come vivere allora un atteggiamento di
costante discernimento per distinguere
ciò che viene dallo Spirito da ciò che gli
è contrario? Come aiutarci ad assumere
questa mentalità? Di quali mezzi ci serviamo
per condurre un accurato discernimento?
Il discernimento chiede fondamentalmente
a noi di essere uomini di fede. L’esortazione
post sinodale Vita consacrata,
parlando di discernimento domanda alle
persone consacrate di avere “una profonda
esperienza di Dio” per poter prendere
coscienza delle sfide del proprio tempo e
coglierne il senso teologico profondo (V.C.
73); e il documento conclusivo del Capitolo
generale 2003 ci ha ricordato che “la
fede non è solo conoscenza, bensì dialogo
sempre aperto tra Dio che parla all’uomo
nella storia e l’uomo che risponde a
Dio dalla storia: alleanza continua”(StP
25); per questo “la nostra vita di fede
deve coinvolgere la totalità della persona:
mente, cuore, relazioni, il modo in cui
guardiamo, incontriamo, abbracciamo e
amiamo il prossimo” (StP 27b).
Il Documento finale del Capitolo straordinario
Il Signore ci parla lungo il cammino,
ci invita a rileggere la nostra vita
alla luce dei doni di Dio: è anzitutto alla
vita che bisogna guardare, è nell’esperienza
vissuta che possiamo trovare senso
e significato. Si tratta di una attenzione
alla vita ben presente anche nella nostra
tradizione intellettuale e nei grandi maestri
della scuola francescana (che vengono
espressamente ricordati), ma anche di
una attenzione alla vita che ha bisogno di
occhi di fede perché la nostra esperienza
possa diventare significativa per noi. Si
tratta di ritornare alla fede, al Vangelo,
che è davvero il fondamento della nostra
vita, con un atteggiamento di fede sia nei
confronti di Dio che nei confronti dei nostri
fratelli, scoperti come tali proprio per

Sulle orme di San Francesco
di p. Francesco Taronna
L’Ordine dei Frati Minori, all’origine fu
veramente una grazia per l’umanità di quel
tempo consacrato dalla storia. Se è vero che
l’ubbidienza era diventata una cosa impossibile
per non compromettere egoisticamente
il gran dono della libertà individuale e collettiva;
se è vero che la povertà evangelica era
rimasta una parola vuota a tutti i livelli; se è
vero che la castità era soltanto la scelta coraggiosa
di pochi votati al Vangelo: se è vero tutto
questo, possiamo ben dire che la presenza del
nostro Ordine sia stata una grazia, una forza,
un rilancio di valori per l’intera umanità del
milleduecento.
In tale contesto, Francesco fu donato alla
Chiesa e al mondo come una nuova incarnazione
dell’uomo evangelico. “Ma non si trattò
di una riesumazione dell’ideale evangelico,
come poteva essere stato attuato nella primitiva
comunità apostolica, offuscato nella co-
fede. La fede ci permetterà così di entrare
in quella che abbiamo chiamato “la logica
del dono”, che risplende nel Dio in
cui crediamo: un Dio uno e trino, che da
sempre è dono di sé, nella sua stessa vita,
e che si manifesta in pienezza nel dono
del suo Figlio, Gesù, che vive la logica
del dono e che ci associa alla sua offerta
d’amore. “Solo se seguiremo le orme del
nostro Signore Gesù Cristo, della sua vita,
passione, morte e resurrezione, troveremo
la forza e la lucidità per affrontare secondo
la logica del dono la realtà personale,
comunitaria e sociale, sempre segnata
scienza dei contemporanei dalla crisi in atto:
si trattò decisamente del superamento di uno
stadio di evoluzione umana ed ecclesiale, che
aveva già esaurito la sua funzione storica”
(Ginepro Zappetti, Dizionario francescano,
Messaggero, Padova 1983,p.706).
La Xaris (grazia) in teologia dommatica
è intesa come un dono indebito da parte di
Dio e non meritato da parte dell’uomo. E’ un
dono straordinario concesso gratuitamente
da Dio alle creature ragionevoli in ordine alla
salvezza eterna. San Paolo nella seconda lettera
ai Corinzi (3,5) dice espressamente: “Non
che da noi stessi siamo in grado di pensare
alcunché,come se venisse proprio da noi, ma
la capacità nostra viene da Dio”. Paolo, quindi,
ci insegna che noi per natura non siamo
capaci di pensare alcunché che sia in stretto
rapporto con la nostra salvezza eterna. Tale
capacità ci viene da Dio, il quale illumina la
nostra intelligenza e la rende atta a pensieri
soprannaturali. Nella prima lettera ai Corinzi
(3,5) Paolo aveva sottolineato: “Io ho piantato,
Apollo ha innaffiato, ma è Dio che ha fatto
crescere; di modo che nulla è il piantatore né
l’innaffiatore, ma è Dio che fa crescere”.
Io ho ricevuto da Dio, senza alcun mio
merito, tutto quello che ho e che sono. Per
cui oltre cinquant’anni fa, emettendo la professione
solenne, ho riconosciuto che “tutti
i beni sono suoi e di tutti gli rendo grazie,
perché procedono tutti da lui”. Quel po’ di
sapienza nel discernimento del bene dal male
che sono riuscito a racimolare con la mia vita
ordinaria; quel po’ di povertà evangelica che
sono riuscito a vivere con la sincerità (umiltà)
delle mie azioni e convincimenti quotidiani;
quel tantino di carità fraterna che sono
riuscito ad esercitare obbedendo sempre alla
volontà di Dio attraverso i Superiori che Egli
mi ha dato anno dopo anno: con questi doni
ricevuti ogni giorno sono morto un pochino
a me stesso rinunziando volontariamente a
tante cose. Perché, lo dico e non mi vergogno,
guardandomi dentro, la mia naturale
tendenza è quella di servirmi anche della mia
sapienza umana e un pochino compiacermene;
di essere sempre semplice e lineare con
tutti, ma mai semplicione in modo da farmi
gabbare; un tantino di cupidigia fa parte della
mia natura umana; un po’ di superbia vitae
è a me connaturata; l’ubbidienza, anche se
accettata sempre, non sempre l’ho avvertita
come mia scelta prioritaria.
Francescanesimo
Alcune osservazioni su “La grazia delle origini”
dal limite e dal peccato” (24). Dunque un
vero e serio discernimento può essere
condotto solo nella fede, solo se cresciamo
e ci formiamo costantemente allo
spirito di orazione e devozione.
La Ratio formationis ci indica cosa comporta
questa costante formazione: “l’approfondire
la propria vocazione attraverso
la familiarità con la Sacra Scrittura, i
Sacramenti e la Tradizione della Chiesa;
l’accogliere il mistero di sé stessi in rapporto
con l’ “altro”, in modo tale che la
storia, personale e sociale, si trasformi in
un luogo vivo, in cui lo spirito di orazio-
Consapevole della mia appartenenza alla
discendenza di Aronne e seguendo la Norma
di vita di San Francesco, sono stato sempre
suddito e sottomesso a tutta la Chiesa, e non
soltanto ai soli uomini, ma anche a tutti gli
animali (fatta eccezione per quelli che strisciano!)
feroci e domestici. E in questo modo
ho lodato, e lodo, l’Altissimo, onnipotente,
bon Signore vivendo questa grazia come
esperienza cristiana nella sua portata normale,
a differenza sostanziale di Francesco
d’Assisi, il quale ha vissuto prima di me questa
esperienza, ma in modo eccezionale “proporzionata
alla straordinaria grandezza della
sua umanità e al compito ecclesiale al quale
fu chiamato da Dio. Egli visse la sua esperienza
di Dio con lo slancio appassionato delle
grandi avventure, abbandonato senza riserve
al dialogo dolcissimo e tempestoso con il suo
Signore, che guidò anche manifestamente il
ventennio della conversione, dopo che aveva
incominciato ad ascoltare la ‘Voce’” (2 Cel
6:586).
Con i carismi ricevuti Francesco ha fatta la
sua parte in questo mondo, così come tocca
a noi farla. Per cui mi chiedo: perché questi
doni o talenti li devo restituire “al mondo,
alla chiesa, ai nostri fratelli”? E’ necessario
farli fruttificare, altrimenti la mia vita francescana
e sacerdotale rimane vuota. Giovanni
Paolo II, nella Redemptor hominis, parlando
del “carisma” sottolinea che esso designa tutto
ciò che è dono dello Spirito perché l’uomo,
chiamato alla salvezza,possa essere pienamente
se stesso secondo quel progetto di
carità divina che lo assume per la edificazione
del corpo del Signore(n. 21).
Gesù nel Vangelo mi dice che i talenti ricevuti,
dopo averli riconosciuti e fatti fruttificare,
vanno riconsegnati alla fine dei giorni
al Datore di ogni bene, il legittimo Padrone.
Per il momento, me li devo tenere stretti e
metterli a frutto portandoli alla piena maturazione.
Se mai, se proprio devo accettare il verbo
“restituire”, devo ridare al mondo (chiesa,
fratelli) quello che ho ripreso arbitrariamente
da esso facendolo rientrare dalla finestra
dopo averlo fatto uscire volontariamente dalla
porta con la Professione Solenne. Comportandomi
così, potrei anch’io come Francesco
toccare con mano la realtà dell’amaro cambiato
in dolcezza di anima e di corpo, come
talvolta mi è capitato.
ne e devozione prenda corpo e dove si apprenda
l’arte del discernimento; il porre
la preghiera al centro della propria vita
e della vita della Fraternità, soprattutto
l’Eucaristia e la Liturgia delle Ore; il recepire
i tempi personali di solitudine e di
contemplazione come un dono e un’esigenza
per crescere nell’esperienza dell’incontro
vivo con il Signore (cf. Rer; 2Cel
32.94)” (RFF 67).
Quali sono le dimensioni specifiche della
nostra vita di fede che dobbiamo maggiormente
accentuare nel nostro tempo
per condurre un serio discernimento?
15

16
Francescanesimo
Ad limina Petri
cum Francisco
Carissimi, su di voi sia Pace!
Ad limina Petri ‘cum Francisco’ post
octingentos annos è un’iniziativa che
proponiamo ai frati della famiglia francescana
quale segno concreto di restituzione
al Signore, alla Chiesa, ai fratelli,
con le parole e la vita, della nostra
chiamata: un modo per celebrare gli
800 anni della propria nascita e riconsegnare
tutto ciò che abbiamo ricevuto
dalla Provvidenza, raggiungendo a piedi,
mediante un’itineranza povera, la
nostra madre, la santa Chiesa romana,
comunicando al sommo pontefice ciò
che il Signore ha realizzato per mezzo
di noi (cfr. 3Comp 46).
A riguardo rileggiamo il testo tratto
dalla Legenda dei tre Compagni: Vedendo
il beato Francesco che il Signore
accresceva i suoi fratelli in numero
e in meriti - erano ormai in dodici, perfettamente
concordi nello stesso ideale
-, si rivolse agli undici, lui che era il
dodicesimo, guida e padre del gruppo:
«Fratelli, vedo che il Signore misericordioso
vuole aumentare la nostra
comunità. Andiamo dunque dalla nostra
madre, la santa Chiesa romana, e
comunichiamo al sommo pontefice ciò
che il Signore ha cominciato a fare per
mezzo di noi, al fine di progredire secondo
il suo volere e le sue disposizioni
quello che abbiamo iniziato».
Ai frati
della famiglia francescana
Per il Capitolo delle Stuoie
a piedi dal Papa!
La parola del padre piacque agli altri
fratelli e, al momento di partire
verso la Curia romana, egli disse loro:
«Eleggiamo nostra guida uno del nostro
gruppo, considerandolo quale vicario
di Gesù Cristo. Andremo dove lui
ci indicherà, e quando stabilirà di fare
una sosta, ci fermeremo». Scelsero frate
Bernardo, il primo seguace del beato
Francesco, e si comportarono con lui
come il santo aveva suggerito.
Camminavano tutti giulivi, parlando
tra loro le parole del Signore, senza
osare dire nulla che non servisse a lode
e gloria di Dio e a profitto dell’anima.
Frequentemente si abbandonavano
alla preghiera. Il Signore s’incaricava
di preparare loro l’ospitalità e procurava
fossero serviti del necessario
(3Comp 46). Sarebbe meraviglioso
realizzare questa pagina delle Fonti
francescane e ritornare alla Grazia delle
origini, testimoniando l’amore alla
Parola, al Papa ed agli uomini ed alle
donne del nostro tempo.
Il progetto, che si colloca nell’ambito
della celebrazione del Capitolo delle
Stuoie, il quale nella seconda fase
prevede l’incontro a Roma con il Papa
in data 18 aprile 2009, presuppone la
durata di un mese, contraddistinto da
percorsi da farsi a piedi, da parte di
dodici frati, partendo da un luogo si-
gnificativo della Puglia (si può pensare,
ad esempio, alla Grotta dell’Arcangelo
S. Michele) e soffermarsi, per tre o
quattro giorni, presso quelle Comunità
che ci accoglieranno per annunciarvi
il Vangelo con poche e semplici parole
(cfr. 2 Test). Ciò anche in sintonia con
l’Anno Paolino indetto da Benedetto
XVI, mirante ad una rinnovata forma
di evangelizzazione.
Consapevoli del periodo (Quaresima/
Pasqua), ma incoraggiati dall’irripetibilità
della proposta, si chiedono fratelli
disponibili a questo tipo di cammino
e farne pervenire le adesioni entro il 29
novembre 2008 per stabilire incontri
di reciproca conoscenza, di programmazione
e di formazione, così da permettere
la realizzazione dell’itineranza
secondo lo spirito della Legenda dei tre
Compagni.
Con l’auspicio di una gioiosa adesione,
auguriamo ogni bene in Cristo
Gesù e nel Suo servo Francesco.
Per informazioni:
Fra Giancarlo Li Quadri Cassini, ofm
Convento Gesù e Maria
71100 Foggia
Con la benedizione di S.P.M.R.
Fra Pietro Carfagna, ofm
Ministro Provinciale
Provincia di S. Michele Arcangelo
dei frati minori di puglia e molise

Camilla - questo era il suo nome di
battesimo - nacque a Camerino nel
1458 da Giulio Cesare Varano, signore
della città, e dalla nobildonna Cecchina
di Mastro Giacomo.
A nove anni, dopo aver ascoltato una
predica sulla Passione del francescano
Domenico da Leonessa, si propose, ogni
venerdì, di “buttare una lacremuccia
sola sola, per memoria de quella” (Vita
Spirituale, III). Anni più tardi, decise
di rendere la sua vita un continuo “venerdì
santo”, per il suo grande amore e
compassione verso i dolori di Cristo.
Camilla era intelligente, appassionata
per lo studio, con una solida cultura
umanistica, ed era attratta dal canto
e dal ballo. Ma, durante la sua prima
giovinezza, si rese conto che la vita di
corte non le apparteneva.
A 23 anni, superata l’opposizione dei
genitori, divenne Clarissa, nell’osservante
monastero di Urbino. La sua vocazione
era radicata su un forte amore
per Gesù Crocifisso, come ella stessa
racconterà nei suoi scritti.
Nel 1484 si trasferì con alcune consorelle
a Camerino, dove fondò un monastero
di Clarisse nel vecchio edifi cio
degli Olivetani di S. Maria Nova, che
fu rinnovato e ampliato dal padre per
l’occasione.Nel 1505 fondò un altro
monastero a Fermo e, dopo due anni di
permanenza, tornò a Camerino.
Nella sua vita di monaca riuscì
a diffondere l’ideale di Santa
Chiara, che le si manifestò
in una visione, da lei ricordata
nelle sue opere.
Successivamente fu provata
da infermità fisiche e da molte
sofferenze interiori, come
l’aridità e le tentazioni.
Ma il dolore più grande fu
causato dalla rivolta di Cesare
Borgia nel 1502, che portò
all’uccisione di suo padre e dei
suoi fratelli. Camilla sopportò
tutto in nome di quella fede
che la fece pregare per gli stes-
Francescanesimo
Beata Camilla Battista da Varano:
“Maestra di Umanità”
per l’’uomo odierno
si uccisori dei suoi parenti.
E proprio in quello stesso periodo ricevette
alcune grazie mistiche e fece esperienze
di elevata contemplazione - visioni
e illuminazioni -, di cui i suoi scritti
sono una fervida testimonianza.
Un giorno lesse nel cuore di Gesù, in
“lettere d’oro grandi et antiche: Ego te
diligo Camillam” (Vita spirituale, XII).
Morì a Camerino nel 1524. Il suo corpo,
riesumato a pochi anni dalla morte,
fu sepolto nella Chiesa delle Clarisse di
Camerino, dove tuttora si trova.
Papa Gregorio XVI approvò il suo culto
nel 1843, e Leone XIII, nel 1878, ordinò
di riaprire il suo processo di canonizzazione.
La sua produzione letteraria
L’attività letteraria della Varano va dal
1479 al 1521, e comprende scritti in prosa
e in versi, prevalentemente in volgare.
Ci sono pervenute fi nora ventidue
opere, la cui stesura non fu motivata da
scopi meramente letterari, ma dall’obbedienza
ad un richiamo dello spirito.
Un elemento importante la differenzia
dalle sue contemporanee: ella scrisse
tutte le sue opere direttamente di suo
pugno, senza dettarle al proprio direttore
spirituale, come generalmente accadeva
in quei tempi.
I suoi scritti rivelano il talento di
un’autentica scrittrice e una grande
spontaneità nell’espressione. La vivacità
dello stile richiama l’amore per lo studio
e le lettere, ricordi sereni della prima
giovinezza della Beata.
Fra gli scritti meritano particolare attenzione
i Ricordi di Gesù (1483); la Lauda
della visione di Cristo (1479-1481), in
duecentoquaranta endecasillabi, ricca
di sentimento e calore per Cristo suo
sposo; la Vita spirituale (1491), autobiografi
a della beata dal 1466 al 1491,
considerato un gioiello di arte e di vita
interiore, in cui Camilla rivela uno stile
vivace e una grande padronanza della
lingua, che la rende capace di esprimersi
con espressioni rudi e brividi di giocon-
550° anniversario della sua nascita 1458-2008
dità, a tradire in alcuni tratti la repressa
nostalgia della gioiosa vita di corte; Del
felice Transito del b. Pietro da Mogliano
(1491); Istruzioni al discepolo (1501);
Visioni di S. Caterina da Bologna (1512);
Trattato della purità di cuore (1521).
Ma il suo capolavoro di spiritualità
è senza dubbio il Trattato dei dolori
mentali di Gesù Cristo Nostro Signore
(1488): in esso non fece altro che tradurre
per iscritto quanto aveva ricevuto per
rivelazione sulle pene interiori di Gesù
agonizzante, che le disse “Va e scrivi
quelli duluri mentali della passione che
tu sai”.
Qui la Varano ci fa partecipi di un’esperienza
mistica di vivida potenza: è infatti
una vera maestra di spiritualità, una guida
per raggiungere la perfezione attraverso
la contemplazione: insiste particolarmente
sulla preghiera, scrivendo un
vero e proprio metodo, e sul culto della
Passione di Cristo, che tanto la colpì fin
da bambina.
La forma dell’opera, piena di commozione
ascetica, è insieme racconto e conversazione:
il Maestro consiglia, illumina,
istruisce; la Discepola interloquisce
a tratti, o per piangere o per rallegrarsi.
L’opera completa della Beata Camilla
Battista da Varano è presente nella pubblicazione:
- Le opere spirituali, a cura di
Giacomo Boccanera, Iesi, Edizioni Francescane,
1958, pp. 455.
17

18
Francescanesimo
di Suor Chiara Ludovica
La proclamazione di Santa Chiara a patrona
della televisione, è avvenuta a opera di Pio XII
il 14 febbraio 1958, perché Chiara, nella notte di
Natale del 1252, ebbe la grazia di poter vedere
dalla sua cella la celebrazione che si svolgeva in
chiesa. “L’esempio di Santa Chiara ci aiuti a riscoprire
la dignità della persona e valori come la
famiglia, la vita, l’educazione dei giovani”.
Presieda quindi a questa arte Chiara, fulgente
per la sua integrità e sorgente di
luce in così fitte tenebre, affinché attraverso
questo mezzo così traslucido si manifestino
anche la verità e la virtù, su cui
è necessario si fondi l’ordine civile. (dalla
Lettera Apostolica “Clarius explendescit”)
1953. La televisione. Il mondo in casa. La
storia in diretta. I fatti raccontati dalle
stesse immagini; la vita da ascoltare e, soprattutto,
da vedere.
Già la radio aveva costituito un vero e
proprio passaggio epocale nel mondo della
comunicazione dei decenni precedenti,
consentendo il diffondersi e veicolare
dell’informazione, con una velocità impensabile
fino ad allora.
Noi, figli dei tempi reali e virtuali, della
globalizzazione dell’informazione e del
potere immanente dell’immagine, non
possiamo comprendere fino in fondo lo
spessore di quella prima novità tecnologica
e i riflessi immediati e sostanziali che
ne seguirono.
Si pensi, ad esempio, alla diffusione delle
notizie e dei comunicati nelle stagioni
drammatiche delle due guerre mondiali o
negli anni della profonda trasformazione
politica che vide nascere nel nostro paese
la Repubblica. Fino ad allora la storia del
mondo era stata trasmessa attraverso il
tam-tam della stampa o della varie forme
di comunicazione sociale.
Apprendere e seguire lo svolgimento degli
eventi, ascoltare la storia dalla viva voce degli
stessi protagonisti, in contemporanea al
succedersi degli accadimenti, provocavano
già una partecipazione e un coinvolgimento
più concreto e consapevole.
Si pensi ancora, ad esempio, al notevole
sviluppo della comunicazione musicale o
pubblicitaria che scopri nella tecnologia
eterea il suo fantastico ‘asso nella manica’.
E la televisione venne a completare l’opera.
Attraverso quel tubo catodico, discreto
quanto invadente, in brevissimo tempo si
trovò a troneggiare a pieno titolo nelle abitazioni
delle famiglie e nei luoghi sociali i
più vari. La visività dei fatti dette alle parole
che li raccontavano una marcia in più.
Tutti i generi di comunicazione, dall’informazione,
alle rubriche, agli spettacoli
di intrattenimento, alla pubblicità, ebbero
nello strumento televisivo una possibilità
di successo più che garantita.
1957. Con il Breve Apostolico “Clarius explendescit”
del 14 febbraio, a firma di Sua
Santità Pio XII, la nostra Madre S.Chiara
In famiglia news
C hiara donna di visione,
maestra di comunicazione
d’Assisi viene proclamata Patrona della
televisione. Il motivo che sottende a tale
scelta, come la stessa lettera motiva, è legato
al famoso episodio della visione della
veglia natalizia che si svolgeva presso la
Basilica di S.Francesco, durante gli ultimi
anni della vita della Santa. La versione più
caratteristica e colorata della vicenda, tra
le varie riportate nelle Fonti Francescane,
è sicuramente quella tratta dai Fioretti di
S.Francesco (FF 1869).
Consentitemi una divagatio cordis intorno
a questo grazioso racconto, per meglio
evincere quei tratti di profondità spirituale
e intensità umana propri di Chiara che
ben ci spiegano la felice scelta di affidarle
il patrocinio di questo importante strumento
di comunicazione che, oggi più
che mai, necessita di una riflessione seria
circa la verità del suo servizio e la qualità
del nostro farne uso.
Dal desiderio alla visione: Essendo una
volta Santa Chiara gravemente inferma…vegnendo
la solennità della natività
di Cristo, tutte l’altre andarono al Mattutino;
ed ella si rimase nel letto, malcontenta…Ma
Gesù Cristo suo Sposo, non
volendola lasciare così sconsolata, sì la
fece miracolosamente portare alla chiesa
di Santo Francesco ed essere a tutto l’Ufficio
del Mattutino e della notte, e oltre a
questo ricevere la Santa Comunione…
Neanche le lunghe sofferenze e gli impedimenti
della sua cagionevole salute
avevano scoraggiato Chiara nel desiderio
vivo di poter celebrare in qualche modo
la Notte delle notti, di cantare quei salmi
di mattutino che annunciavano la nascita
del dolce Salvatore, anzi, malcontenta che
non potea andare ad avere quella consolazione
spirituale…
Chissà se e quanto ci anima quella santa
nostalgia di Dio che ci fa sentire ‘malcontenti’
quando non possiamo celebrare gli
inni e le lodi del Signore, sì da smuoverne
la sua tenerezza fino alla visione beatifica
di Sé nella liturgia eucaristica.
Chissà se abbiamo mai sperimentato
quanto può la forza del desiderio nell’attraversare
e superare impedimenti fisici e
strutturali, fino a giungere al compimento
della gioia, come è stato per Chiara poter
ricevere in quella visione la comunione
spirituale.
Quanta differenza rispetto ai mille e mille
desideri alimentati e stimolati dal potere
mediatico che sempre di più ‘ci serve a
tavola’, impigrendo, stordendo e confon

dendo i nostri reali bisogni e versandoci
addosso tutto ciò in cui dobbiamo credere
o di cui sentir bisogno…per consumare/
ci, divorare/ci senza desideri né visioni che
finiscano in compimenti di gioia vera.
E se il desiderio di Chiara l’ha portata fino
alla visione partecipativa dell’evento desiderato
(diceva S.Agostino che il desiderio
fa succedere ciò che anela), i desideri di
cui ci convince la comunicazione mediatica,
ci lasciano dove siamo, provocandoci
solo l’illusorio bisogno di ciò che non potrà
mai bastare per saziare le mille fami
che ci vengono stimolate.
Quanta informazione manipolata, gestita,
occultamente orientata e intenzionalmente
condotta perché il nostro pensiero
segua i passi delle masse.
Quanto bugiardo spettacolo di vita in diretta,
dove l’artificioso effetto telecamera
spinge, senza più alcun pudore, a mostrare
affetti e ragioni senza più veli di intimità
e discrezione.
L’uomo comune di fede accusa sovente
la fatica di accostarsi al sacramento della
Riconciliazione a motivo della ‘imbarazzante’
mediazione del sacerdote, ma non
sembra minimamente preoccuparsi di
confessare vizi e presunte virtù davanti
a un obiettivo tecnologico che media davanti
agli occhi di tutti verità presunte e
soggettive.
“La televisione è un potenziale enorme
posto nelle mani dell’uomo, i cui effetti
dipendono proprio da come viene impiegato.
E’ perciò necessaria un’educazione
al comunicare e al corretto uso degli
strumenti di comunicazione sociale, tenendo
presente che un autentico processo
comunicativo comporta un duplice
movimento: dare e ricevere, ascoltare e
rispondere, trasmettere e recepire, e pertanto
mai può essere ridotto a una sola
dimensione”
E torniamo alla purezza di quel desiderio
consolato dalla visione inaspettata della
Verità celebrata nella notte della Sua Incarnazione.
Dalla solitudine alla comunione, dal silenzio
orante alla preghiera celebrata, dal
malcontento a causa della malattia al giubilo
dei canti d’organo: deliziosa e gentile
attenzione del Cuore di Padre che mai lascia
la sua creatura amata senza consolazione…
Dalla visione alla condivisione: Tornando
le monache a santa Chiara, sì le
dissono:”O Madre nostra suora Chiara,
come grande consolazione abbiamo avuta
in questa santa natività! Or fusse piaciuto
a Dio che voi fossi stata con noi!” E santa
Chiara risponde:”Grazia e laude ne rendo
grazie al nostro Signore…io sono stata
presente nella chiesa del venerabile padre
mio santo Francesco, e con li mei orecchi
corporali e mentali ho udito tutto l’Ufficio
e il suonare degli organi, ed ivi medesimo
ho presa la santissima Comunione…”
Si diceva che una vera comunicazione
presuppone ed esige uno scambio tra gli
interlocutori, una partecipazione attiva e
coinvolgente.
Così Chiara, donna di fraternità e di comunione,
accoglie le sorelle di ritorno
dalla preghiera e la gioia di cui sono porta-
trici, come frutto di vera contemplazione
del mistero celebrato.
E generosamente aggiunge gioia a gioia
esclamando la sua lode e il suo grazie al
Signore, come un piccolo ‘Magnificat’ che
si canta ogni qualvolta il buon Dio, per
la santa operazione dello Spirito, visita e
consola i suoi figli. Ogni vera visione è una
visita di Dio che ‘grandi cose’ vuol fare con
chi a Lui si affida con umiltà e fiducia.
L’incontro tra Chiara e le sue sorelle diventa
così un momento felicissimo di comunicazione
condivisa di Dio e del suo dono.
Le vere visioni ci fanno raccontare cose
autentiche, profonde, luminose, e arrivano
al cuore dell’altro con la stessa semplicità
e intensità con cui le si porgono.
Le vere visioni ci fanno incontrare l’altro
sulle coordinate della profondità, quanto
profondo è il sentire dell’uomo, e dell’altezza,
quanto alto si fa lo sguardo che
anela a Dio. L’ampiezza, la larghezza e la
circolarità della comunicazione ne è una
conseguenza quasi naturale, così che ogni
condivisione genera fraternità e si diffonde
misteriosamente ben oltre i confini degli
spazi che ci contengono. Non scordiamo
che proprio di Chiara gli agiografi raccontano
che quanto più lei si nascondeva nello
spazio angusto di S.Damiano, tanto più
la fama della sua santità si diffondeva nel
mondo intero: potere magnifico della vera
comunicazione.
“Il nome stesso, Chiara, evoca luminosità,
trasparenza, limpidezza. Da lei i
credenti possono imparare a guardare la
Francescanesimo
realtà con gli occhi di Dio e a comunicarla
con gli occhi di Dio. Anche la comunicazione
televisiva può diventare, a queste
condizioni, un aereopago formidabile di
evangelizzazione…Chiara ci testimonia
una limpidezza di visione e una capacità
di percepire in modo responsabile e riflessivo
i messaggi della comunicazione,
grazie a un’illuminazione interiore che
scaturisce dalla presenza di Dio”.
Dalla condivisione alla restituzione:
“Onde di tanta grazia a me fatta rallegratevi
e ringraziate Iddio!”
Perché il viaggio di ogni vera comunicazione
termina lì dove è cominciato.
Perché Dio, Parola creatrice di eterna sapienza,
nel Figlio, Verbo così vero da farsi
Carne, e nello Spirito, per il quale “non è
linguaggio e non solo parole di cui non si
oda il suono, per tutta la terra si diffonde la
voce”, è il grande e perenne Comunicatore
dell’uomo e del cosmo, la sorgente e il fine
di ogni comunicazione che vi è in essi.
Come fraternità, sperimentiamo sovente
che il sapore della nostra comunicazione,
se non è salato di Lui, fa perdere gusto
alla stessa gioia fraterna e che lo scambio
insipido dei nostri giorni non ci fa certo
felici… Così come i tanti e tanti che ci avvicinano
possono non riuscire ad incontrarci
se i motivi dello scambio non sono
significativi e autentici.
L’esempio fulgido e affascinante dell’esistenza
di Chiara che la luce di Dio riflessa
su lei ha reso per tutti noi visione bellissima
di passione e audacia, di tenerezza
e premura, ci conforti e ci guidi, certi
che nessun limite strutturale (neanche
la clausura), o ancor più, fisico (come la
malattia) possono impedire comunicazioni
autentiche e gioiose, frutto di Vangelo
vissuto.
“Cinquant’anni fa il Papa Pio XII additava
ai credenti e agli uomini di buona volontà
la figura esemplare di Santa Chiara,
donna che ha avuto i doni della visione,
ha vissuto in grande e lieta povertà, desiderosa
soltanto della luce della Verità.
Ci possiamo chiedere quale sia la sua perenne
lezione: lasciarsi guidare dalla Verità
che rende liberi…Ci insegni questa
umile santa la forza della Verità; interceda
affinché la troviamo e la seguiamo…E
preghiamo perché la televisione e i nuovi
media possano contribuire a rendere
meglio visibili i lineamenti essenziali e
irrinunciabili della verità della persona
umana”.
Allora anche noi tutti, con la Madre Santa
Chiara e le sue sorelle, rallegriamoci e
ringraziamo Dio!
P.S. Le parti in grassetto all’interno dell’articolo
sono tratte dall’omelia del Card. Tarcisio Bertone in
occasione del 50° anniversario di S.Chiara Patrona
della televisione. Assisi 17 febbraio 2008.
Le parti in corsivo sono tratte dai Fioretti di
S.Francesco-FF 1869
19

20
Francescanesimo
• 25 anni del Progetto
Africa
Il 19 aprile 2008 è stato celebrato
a Nairobi il 25° anniversario
dell’arrivo dei primi Frati ai quali si
deve l’avvio del “Progetto Africa” (19
aprile 1983). In seguito all’appello di
Fr. John Vaughn “L’Africa ci chiama”,
28 volontari di varie Pro- vince diedero
la loro disponibilità e arrivarono in
Kenya. Qui s’installarono in una casa
coloniale nella zona di Westland, iniziarono
lo studio della lingua Kiswahili,
e poco dopo aprirono la seconda
Fraternità in Su- bukia-Valley. Alcuni
giorni più tardi altri Frati arrivarono
in Uganda, Ruanda e Tanzania. La memoria
degli inizi del Progetto Africa è
stata celebrata nella casa “Portiuncula”
della Famiglia francescana, con unacelebrazione
di azione di grazie sia per
la nuova presenza dei Frati Minori sia
per la grazia della vocazione, ed è stata
presieduta dall’Arcivescovo emerito di
Nairobi Mons. Raphael Ndingi. Vi hanno
partecipato i membri dei vari Istituti
che formano la Famiglia francescana a
Nairobi. L’iniziale “Progetto Africa” ora
è diventato la Provincia di S. Francesco
in Africa, la quale celebrerà lo stesso
giubileo alla fine di giugno con un Capitolo
delle stuoie, al quale parteciperà
il Ministro generale e sono invitati tutti
gli antichi missionari.
panorama
panorama f
• Il nuovo Calendario liturgico OFM
Con Decreto del Ministro Generale, datato
15 marzo 2008, è stato promulgato
il nuovo Calendario liturgico del nostro
Ordine, ap-provato dalla Congregazione
per il Culto divino in data 16 febbraio
2008. Il nuovo Calendario risponde ad
un’esigenza da molti avvertita, di poter
cioè celebrare i Santi e i Beati del nostro
Ordine vissuti nelle diverse epoche storiche,
dagli inizi dell’Ordine fino ai nostri
giorni e nelle diverse Entità. Si profila,
intanto, l’esigenza di raccogliere in
un testo unico “Messale” e “Liturgia
dell’Ore”, i testi propri delle singole
memorie.
• 2009: Capitolo internazionale
delle stuoie
I Ministri generali del I Ordine
e del TOR hanno organizzato
un Capitolo Internazionale
delle Stuoie per
celebrare l’VIII Centenario
della Fondazione dell’Ordine
dei Frati Minori,
con l’approvazione della
Proto Regola nel 1209. Il
Capitolo avrà luogo dal
15 al 18 aprile 2009. Sarà
celebrato ad Assisi ed è
previsto che un giorno ci
si sposti a Roma per essere
ricevuti dal Santo Padre
e rinnovare nelle sue mani
la nostra professione. Al Capitolo
parteciperanno frati dell’OFM, OFM-
Conv., OFM Cap., TOR e membri del
resto della Famiglia Francescana.
Presto sarà inviato il programma
completo con le indicazioni per la
logistica. Vedi: www.capitolostuoie2009.org
• Indonesia: i frati combattono
la tortura
Il presidente e altri cinque membri
dei dieci che compongono
f

panorama francescano
rancescano
Beato Giovanni Duns Scoto
rancescano
la Commissione Onu contro la tortura
(CAT) hanno partecipato a Ginevra ad un
incontro organizzato da Franciscan International
in cui è stato presentato un
rapporto sulla tortura nell’Indonesia, ad
Aceh e in West Papua. Grazie a questo incontro
il 6 maggio la CAT ha avviato un
procedimento contro l’Indonesia, in particolare
sull’impunità delle forze armate
che usano sistematicamente la tortura
sia in pace che in guerra.
Nei prossimi anni Franciscan International
e i suoi partner indonesiani terranno
sotto controllo il governo indonesiano.
• Firenze: è scomparso p. Rinaldo Falsini
E’ venuto meno il 3 maggio all’età di 84
anni, 68 di professione religiosa e 60 di
ordinazione sacerdotale. Conosciuto da
molti in Italia e all’estero per i suoi scritti
di studioso e divulgatore, apparsi in
testate note e di larga diffusione. Laureatosi
all’Università Antonianum dei frati
minori di Roma, conseguì il magistero
in Liturgia all’Institut Superiorier de
Litugie di Parigi. Fu docente all’Università
Cattolica del Sacro Cuore di Milano
e in molti altri Istituti teologici. Fu una
grande divulgatore della rifoma liturgica
conciliare, avendo fatto parte della Commissione
Conciliare per la Liturgia e seguendo
dal di dentro l’elaborazione della
Sacrosandum Concilium, divenendo poi
uno degli esperti di liturgia più ricercati
e più apprezzati. Scrisse sulle princilpali
riviste liturgiche di rilevanza internazionale.
Una parte della mole dei suoi
studi e della sua passione per la liturgia
sono consegnati nei 36 volumi
degli Atti dei convegni annuali
sulla liturgia organizzati
dall’Opera della Regalità
in collaborazione con il
Centro di Azione Liturgia
(CAL), cuati personalmente
da lui stesso.
• Varallo: i Sacri Monti
ideati dai francescani
Dall’8 al 15 giugno, con la
partecipazione del Cardinale
Bertone, e, fra gli altri,
Francescanesimo
di Lucietta Scarafia, Vittorio Sgarbi e
Claudia Koll, si è celebrato a Varallo il
festival “Imago veritatis-l’arte come via
spirituale”. Al centro i “sacri monti”,
frutto per lo più dell’opera dei francescani,
di cui quello di Varallo fu il primo
alla fine del Quattrocento, ad opera di
fra Bernardino Caìmi che attuò un’idea
che gli era maturata nell’animo durante
la sua dimora in Terra Santa. Volle
fare delle costruzioni che ricordassero i
«luoghi santi» della Palestina, per dare
ai suoi contemporanei la possibilità ai
fedeli di vivere, sia pure in forma che
oggi diremmo virtuale, l’esperienza del
pellegrinaggio in Terra Santa, praticabile
con più difficoltà dopo la conquista
musulmana. San Carlo Borromeo
quando lo vide in una sua visita nel
1578, lo denominò «Nuova Jerusalem».
Il Sacro Monte di Varallo costituisce un
“unicum” nel panorama italiano: un
centro di vita artistica attivo per almeno
quattro secoli – dalla fine del Quattrocento
alla metà del Settecento – nella
produzione di un particolare tipo di
arte sacra. E rappresenta il prototipo
di quegli altri Sacri Monti che sorsero
nella zona durante il sec. XVII (Sacro
Monte d’Orta, Sacro Monte di Varese,
Sacro Monte d’Oropa, Sacro
Monte di Crea, Sacro Monte di
Locarno in Svizzera).
21

22
Primo piano
Si parla molto oggi, nella Chiesa, di
evangelizzazione, di missione. Non c’è
documento, intervento e convegno a cui
non si faccia cenno.
“L’evangelizzazione, innanzitutto! Essa
deve diventare il vostro impegno prioritario
e permanente. Davanti alle sfide del
secolarismo e della scristianizzazione è
necessario reagire con coraggio e insieme,
con capacità innovativa, lucidità di
analisi e fiducia nella forza dello Spirito
santo…Il nostro non è il tempo della
semplice conservazione dell’esistente,
ma della missione. E’ il tempo di proporre
di nuovo, e prima di tutto, Gesù
Cristo, il centro del Vangelo… Investite,
dunque, valide energie pastorali…”
(Giovanni Paolo II, 27/10/2001).
Gli stessi Vescovi italiani in “Comunicare
il Vangelo in un mondo che cambia”,
hanno tracciato il cammino dei
primi dieci anni della Chiesa, in questo
terzo millennio, affermando che “il compito
fondamentale della Chiesa è quello
di comunicare il Vangelo… Il Vangelo è
il più grande dono di cui dispongano i
cristiani” (n.32). Invitano ad “una conversione
pastorale” (n.46), per giungere
ad una “fede adulta e pensata” (n.50).
Lo aveva già affermato Paolo VI: “Le
condizioni della società ci obbligano
a rivedere i metodi, a cercare con ogni
mezzo di studiare come portare all’uomo
moderno il messaggio cristiano” (EN
n.3, in EV 5, 1590).
E Giovanni Paolo II, ai religiosi: “L’urgenza
della nuova evangelizzazione (…)
esige che i religiosi, oggi come ieri (…)
continuino ad essere all’avanguardia
stessa della predicazione dando sempre
testimonianza del Vangelo della salvezza”
(V centenario dell’evangelizzazione
del nuovo mondo, Ai religiosi e religiose
dell’America Latina, 29/06/1990).
Le missioni al popolo costituiscono un
momento forte di evangelizzazione, di
“comunicazione” del Vangelo.
Le missioni al popolo sono una modalità
specifica di annuncio straordinario
della parola di Dio proclamata da evangelizzatori
animati dalla forza dello Spirito
e con mandato della Chiesa allo scopo di
risvegliare e confermare la fede e di rivitalizzare
la comunità cristiana.
La missione al popolo è un dono di
Dio, una continuazione del messaggio di
Gesù, una espressione della Nuova Evangelizzazione
un momento forte della
San Marco in Lamis
Missione al popolo…
Centro Provinciale Missioni al Popolo di Puglia e Molise
dono di Dio!
vita ecclesiale, un aiuto eccezionale alla
pastorale ordinaria. Si rivolge a tutti: a
quelli che vivono intensamente la vita
cristiana, a coloro che credono in Cristo
ma hanno smarrito il senso dell’appartenenza
alla Chiesa cattolica, a coloro che
non credono.
Si propone di aiutare l’uomo a incontrare
Cristo, Figlio di Dio, uomo perfetto,
a vivere intensamente la propria
esperienza umana e cristiana, a crescere
nella fede, nella speranza e nella carità.
Si inserisce nelle linee pastorali della
chiesa italiana e delle Chiese locali, sviluppandone
i contenuti. Si caratterizza
per lo stile semplice, per la presenza di
manifestazioni religiose popolari, per il
carattere pratico. Impegna noi Frati Minori
a continuare l’annuncio di S. Francesco
e di tantissimi confratelli che, nel
corso dei secoli, lo hanno seguito nello
spirito della evangelizzazione itinerante.
La Missione si propone come un aiuto
per un cammino ecclesiale rinnovato,
una più profonda presa di coscienza della
realtà umana e cristiana, un richiamo
alla Missionarietà di ogni battezzato.
“L’Obiettivo della Missione, sarà quello
di restituire alla Parrocchia un volto

Araldini
missionario e di renderla soggetto della
Missione in tutte le sue fasi. Tale obiettivo
è descritto nella Nota pastorale dei
nostri vescovi: “Il volto missionario delle
parrocchie in un mondo che cambia” (
del 30 maggio 2004) di cui si riportano
alcuni passaggi chiave: “Nella vita delle
nostre comunità deve esserci un solo desiderio:
che tutti conoscano Cristo, che
lo scoprano per la prima volta o lo riscoprano
se ne hanno perduto memoria; per
fare esperienza del suo amore nella fraternità
dei suoi discepoli. Una pastorale
tesa unicamente alla conservazione della
fede e alla cura della comunità cristiana
non basta più. È necessaria una pastorale
missionaria, che annunci nuovamente il
Vangelo, ne sostenga la trasmissione di
generazione in generazione, vada incontro
agli uomini e alle donne del nostro
tempo testimoniando che anche oggi è
possibile, bello, buono e giusto vivere
l’esistenza umana conformemente al
pastorale parrocchiale e di tutti gli altri
operatori pastorali, incontrati dal responsabile
della missione, come pure le
associazioni, i vari gruppi e movimenti
presenti nella parrocchia.
Si entrerà con piena convinzione nello
spirito della missione se essa sarà percepita,
nella luce della fede, come un appello
dello Spirito Santo e un dono da
offrire al nostro popolo.
Per la preparazione, in genere, è indicato
un periodo di circa un anno, soprattutto
allo scopo di ben preparare il parroco
e la comunità. A tale scopo è riservata
una domenica per l’annuncio della mis-
Vangelo e, nel nome del Vangelo, contribuire
a rendere nuova l’intera società. La
pastorale missionaria è anche pastorale
della santità, da proporre a tutti come
ordinaria e alta missione della vita”
(ib.,n.1) “è necessario disegnare con più
cura il suo (della parrocchia) volto missionario,
rivedendone l’agire pastorale,
per concentrarsi sulla scelta fondamentale
dell’evangelizzazione”.(ib.,n.5). Non
si può più dare per scontato che si sappia
chi è Gesù Cristo, che si conosca il Vangelo,
che si abbia una qualche esperienza
di Chiesa. C’è bisogno di un rinnovato
primo annuncio della fede. È compito
della Chiesa in quanto tale, e ricade su
ogni cristiano, discepolo e quindi testimone
di Cristo; tocca in modo particolare
le parrocchie. Di primo annuncio
vanno innervate tutte le azioni pastorali.
Nell’andare verso tutti, «fino agli estremi
confini della terra» (At 1,8), la parrocchia
ha come modello Gesù stesso, che
sione, e si invita a pregare in ogni messa
della domenica con la preghiera della
missione.
Viene ben curato l’annuncio della missione,
presentandone con intelligenza la
forma, la modalità, il contenuto, in modo
che sia ben recepita nel suo aspetto positivo
e susciti il desiderio di una nuova
e forte esperienza di fede. Si deve fare in
modo che l’annuncio arrivi a tutti con i
mezzi più opportuni, includendo istituzioni
pubbliche, luoghi di lavoro, ecc.
Può essere utile svolgere una inchiesta
sociologica per conoscere meglio la realtà
del territorio dal punto di vista religio-
Primo piano
con l’annuncio del Regno ha dato avvio
alla sua missione (ib.,n.6). La parrocchia
assume così gli stessi tratti della missionarietà
di Gesù: la sua sollecitudine verso
tutti, per cui accoglie le folle e dona
loro parola e vita, senza però lasciarsi
rinchiudere da esse (cfr Mc 1,37-38); la
cura per il gruppo dei discepoli, invitati a
“seguirlo” ma anche ad “andare” (cfr Mc
3,14-15). Gesù pensa alla comunità in
funzione della missione, non viceversa.
(ib.,n.7).
La preparazione alla missione è sommamente
importante perché costituisce
una condizione fondamentale per il buon
esito della missione. Richiede una riflessione
e cura particolare per impostarla
nel modo più appropriato, fissandone gli
obiettivi, i destinatari, il metodo, i percorsi.
Per ben avviare e condurre la missione
sono indispensabili l’adesione sincera e
il coinvolgimento effettivo del Consiglio
so e sollecitare una riflessione pastorale
su di essa.
Si esamina l’opportunità di articolare
la parrocchia in vari settori, prevedendo
per ciascuno l’animazione e la formazione
di Centri di ascolto.
La nostra equipe provinciale è a disposizione
per informazioni, richieste di
missioni.
p. Mimmo Casulli
convento S. Leone Magno
70032 Bitonto (Ba)
cell. 3351524800
e-mail: framica@libero.it
23

24
Primo piano
È in occasione del progetto dell’edificazione
della nuova Chiesa parrocchiale di
S.Francesco d’Assisi in Fasano, che il parroco
don Antonio ci ha convocati. Il suo
desiderio era quello di offrire alla comunità
la grazia di rinascere insieme all’edificio
visibile: di sentire rivolta a ciascuno di
loro la chiamata ad essere pietre vive per
l’edificio santo che è la Chiesa. L’edificio
del culto cristiano è solo “luogo” – certo
il più splendido e magnifico possibile –
dove è reso visibile come i fedeli siano il
Corpo di Cristo! «La Comunità riunita
nella fede, nella carità, nell’ascolto della
Parola è il primo sacramento della presenza
del Signore in mezzo ai suoi» (CEI,
Il giorno del Signore, 9): così il progetto
della ‘nuova Chiesa’ voleva essere il momento
di grazia in cui tutti si potessero
riconoscere come Chiesa, popolo, Corpo
di Cristo nato dalla Pasqua.
Venuti da molti conventi di Puglia e Molise,
noi Frati Minori, con alcuni dei postulanti
e suore di diversi istituti, abbiamo
accolto il mandato dal pastore della
diocesi, S.Ecc. Mons. Domenico Padovano,
che ci ha inviati nel Signore a raggiungere,
in ogni luogo, uomini e donne
per render loro noto l’Amore crocifisso e
risorto, e soprattutto, risvegliare la comunità
cristiana presente al suo perenne
mandato missionario, chiamandoci “gli
esperti” venuti per aiutarla a svolgere la
sua vocazione propria di “assemblea mis-
Capitolo nazionale
Chiuso Capitolo
Missione popolare
Parrocchia S. Francesco d’Assisi
Fasano (Br) 27 Febbraio – 9 Marzo
Pietre vive
per un edificio santo!…
una comunità che rinasce
di fr. Amedeo Ricco
sionaria”. Sospinti dall’audacia e dalla
fiducia degli inviati dal Risorto, abbiamo
raggiunto le famiglie nelle loro case,
i giovani e i ragazzi nelle scuole e nelle
strade, invitando ciascuno a prendere tra
le mani con verità la sua vita e a cercare
con noi la via che porta a quella vera:
Cristo. Tutti abbiamo invitato e a tutti
offerto, come ambasciatori del Signore,
momenti di grazia: per i bambini e i loro
genitori, ogni mattino in parrocchia, la
preghiera “Buongiorno Gesù” prima della
scuola, accolta con grande entusiasmo
dai fanciulli, ma ancor più…dai genitori!;
la visita, mattutina alle scuole, in collaborazione
con i docenti disponibili, e serale
nei luoghi d’incontro dei giovani, dove
abbiamo incontrato la giovinezza spesso
deturpata dall’indifferenza e dalla sconsideratezza,
ma anche assetata di senso,
pronta a destarsi ogniqualvolta si senta
raggiunta dalla vita vera, dall’irruzione
avvolgente del Vangelo; le varie catechesi
per gli adulti, per i giovani e gli incontri
per i fidanzati, senza dimenticare i Centri
di ascolto nelle famiglie della parrocchia;
e infine le varie celebrazioni e i momenti
di festa per ogni età in parrocchia e ai
Portici.
Pur non mancando il rifiuto iniziale di
molti, ad ogni passo abbiamo riconosciuto
la presenza del Regno tra noi, del Vivente
in noi che ci amiamo (così come
cantavamo e danzavamo sotto il cielo di
Fasano nell’Inno della Missione “Gesù
vive in me!”): da noi e dalla parrocchia
sale a Dio la lode per questa missione!

p. Tonino Polignone
Vedevamo crescere la Chiesa in noi, tocchiavamo
con mano “quanto è bello che
fratelli vivano insieme!”: noi missionari, e
la gente insieme a noi, vedevamo quanto
fosse bello donarsi in mezzo anche all’indifferenza
e gettare il seme della Parola
nella terra, accettando che sarebbe dovuto
morire nel silenzio, nell’apparente infecondità
e spreco…per poi lentamente
crescere, inaspettatamente, e divenire un
albero grandioso! È stata una vera conversione
quaresimale: per noi prima che
per la comunità. Credere, credere che il
seme cadrà in terra fertile, sprecarlo nelle
arature del mondo, nei solchi scavati
dalla lama della disperazione, della dissipazione
del dono della vita, della fame
di autenticità addormentata nel divertimento.
Donarsi completamente cioè a
Chi totalmente ci amò. Senza sconti. E di
segni piccoli e splendidi ne abbiamo visti,
pur in mezzo alla pena provata davanti
allo spettacolo davvero doloroso di giovani
abbandonati a sé stessi nell’alcool, nel
sesso scaduto a banalità, nella droga, fin
dai 13 anni, come stile di vita: vite superficiali
in caduta libera! Abbiamo visto sì
‘il vuoto’ in tante vite, che pur affamate
d’Infinito, cercandolo altrove, divorano
tristezza, ma anche piccoli, intensi, raggi
di sole che sfidando l’addensarsi delle
nubi si facevano strada in esse, come un
bisogno di risveglio. In alcuni la sete di
verità non ha resistito, e la bellezza di
Cristo, vivente nella comunità dei fratelli,
ha lasciato una scia, una traccia, un
profumo che ora difficilmente potranno
ignorare. Sono nate, insomma, domande
di vita…proprio nella morte. Che dire
poi della speranza che abita in molte giovani
coppie di fidanzati della parrocchia
travolti anche loro dall’appello di Cristo,
insieme alle famiglie? La grande speranza
poi che questa rinascita sia stata davvero
il senso della missione, ci è venuta
nella celebrazione finale, dal Vangelo del
ritorno alla vita di Lazzaro. Gesù viene a
offrirsi come l’unica possibilità di vità, e
chiede di fidarsi di lui: “Io Sono la Vita…
Credi tu questo?”. Se vogliamo fidarci egli
Carissimi Missionari
sto’ partecipando con due miei figli al
“Buongiorno Gesù” ed ho notato che oltre
all’entusiasmo dei piccoli, c’è anche quello
dei genitori, che mettendo da parte l’imbarazzo,
cantano e animano le canzoni per dimostrare
la loro gratitudine, me compresa!
Come genitore posso dire che all’uscita
della chiesa, mi sento appagata dal tacito
amore d’aver ricevuto e donato, solo con lo
stare assieme a tanta gente che condivide la
mia stessa emozione.
Nei nostri visi ho visto l’amore puro, una
bellezza interiore che difficilmente si in-
è l’unico che può spezzare la tristezza,
farci uscire da quella morte che ci abita,
darci già qui la vita nuova! E poi piange,
piange con la sua Chiesa per la “morte”
intima di tanti suoi amici, fratelli…ordinando
alla Chiesa di non porre mai la pietra
sepolcrale su di loro, ma di toglierla,
anche con fatica, perché lui possa tirarli
fuori con la sua Parola! Se noi crediamo,
vediamo che il Regno non conosce sconfitte,
ma solo massi di disperazione da noi
posti per impedire a Cristo di ridarci la
vita vera! Se noi crediamo e amiamo sperando,
vedremo anche l’impossibile: che
i morti tornino alla vita, alla beatitudine
che è Cristo.
È così abbiamo contemplato nei nostri
passi per le vie di Fasano la più grande avventura
della storia umana: la venuta del
Verbo nella carne, l’umanità di Dio. Ma
soprattutto il “come”, il “quando” tutto
questo si fà strada nella storia: nell’intesa
contra. Lo state trasmettendo con l’allegria,
con le parole, ma soprattutto con lo
sguardo di chi veramente ha incontrato
Gesù. E’ inutile dire che, chi soffrirà di più
della vostra partenza saremo noi genitori! I
bambini hanno il dono della spensieratezza
e purezza, non hanno ancora conosciuto
conosciuto le cattiverie che nascondono i
grandi: rancori, invidie, ipocrisie, pettegolezzi.
Loro hanno tanto amore dentro che
non avranno difficoltà ad esprimerlo in altre
occasioni, anche se questa esperienza li
ha arricchiti molto!
Omelia per le esequie di p. Tonino Polignone
Primo piano
tra lo Spirito e la Chiesa, di cui Maria è
l’icona. Quando la Chiesa, donna che Dio
ama, si fa spazio in cui Dio può venire
quando vuole, e agire come vuole, dicendo
con lo Spirito “Vieni!”.
Quando la Chiesa si “dedica” tutta a Lui
bandendo da sé ogni egoismo, ogni paura
che innalzi palizzate dinanzi ai sogni
sconfinati di Dio. Quando vive la vera
“devozione”.
Quando non osa impedire a Dio di fare
l’impossibile: di farsi creatura, di abitare
in noi, per entrare nei nostri sepolcri, lì
dove tace la luce, lì dove siamo spacciati,
lì dove lasciamo morirci senza speranza o
lì dove per ribrezzo lasciamo che marciscano
dei nostri fratelli…e, come lui solo
può, tirarci fuori, colmarci di gioia, liberamente,
concretamente, per una follia
che è amore!
Quando la Chiesa si spalanca a Dio sussurando
“Eccomi”. Come Maria.
Per noi adulti questo è più difficile, abbiamo
bisogno anche noi di una guida costante
perché spesso ci perdiamo, quindi mi
chiedo: “Per quanto tempo sapremo custodire
l’amore che abbiamo ricevuto? Continueremo
a vedere nel volto del prossimo
l’amore di Dio?”.
A volte venire solo a messa non basta!
…Grazie per quello che ci avete donato e
vi auguro che il Signore vi aiuti sempre a
seguire il cammino d’amore.
Una mamma
25

26
Anno Paolino
La nostra Provincia religiosa da alcuni
anni organizza Corsi itineranti di formazione
permanente. Degli ultimi cinque
Corsi, tre sono stati tenuti in Terra Santa,
nella terra santificata dalla presenza e
dalla vita di Gesù, della Madonna e degli
Apostoli; e due in Turchia, sui passi di
San Paolo.
All’ultimo Corso, che è durato 13 giorni,
dal 24 gennaio al 5 febbraio, eravamo
una ventina. Per la precisione: 16 frati,
appartenenti alle varie Fraternità della
nostra Provincia, e tre sacerdoti diocesani.
Rappresentavamo tutte le età: giovani,
adulti e anziani..
E’ stata un’esperienza meravigliosa,
sotto tutti gli aspetti, e che ripeteremmo
volentieri, anche subito. Siamo ritornati
arricchiti e soddisfatti, più di quanto
avremmo potuto immaginare e lo diciamo
in tutti i toni, suscitando il desiderio
anche negli altri. Le lezioni sono state
tenute lungo l’itinerario, in luoghi particolarmente
significativi e, talvolta, sul
pullman, con generale soddisfazione. I relatori
sono stati molto interessanti e sono
riusciti a soddisfare anche i palati più
sofisticati ed esigenti. Si sono alternati:
Padre Massimo Fusarelli OFM, Segretario
generale per la Formazione e gli Stud del
nostro Ordine, che ci ha parlato sui Padri
della Chiesa, sul Monachesimo Orientale
e sui primi Concili Ecumenici della Chie-
sa; Padre Tecle Vetrali OFM, Direttore
dell’Istituto Ecumenico di Venezia, che ci
ha parlato delle Chiese dell’Apocalisse e
sul Dialogo Ecumenico; Padre Domenico
Bertogli OFM Cap. - Parroco della Parrocchia
Cattolica di Antiochia, che ci ha
presentato un panorama de “Le prime Comunità
cristiane”; P. Ruben Tierrablanca
OFM, Guardiano del Convento francescano
di Istambul, che ci ha illustrato tutto
l’itinerario paolino; e P. Gwenolé Jeusset
OFM, che ci ha tenuto due magnifiche relazioni
sul Dialogo Interreligioso.
Sono intervenuti anche il Vescovo di Padova,
Mons. Antonio Mattiazzo, e il Vescovo
di Anatolia, Mons. Luigi Padovese, che
ci hanno parlato di San Paolo, della sua
conversione e del suo straordinario apostolato
fra le genti.
QUI E’ COMINCIATA L’AVVENTURA
La straordinaria avventura è cominciata
la mattina del 24 gennaio, all’aeroporto di
Bari-Palese, alle ore 9.00, dove abbiamo
preso un aereo dell’Alitalia, che ci ha trasportati
a Roma e da dove, alle ore 13.05,
sempre con un aereo dell’Alitalia, abbiamo
spiccato il volo per Istambul, dove siamo
giunti alle 16.35.
Subito dopo la sistemazione in albergo
ci siamo recati alla Chiesa Siriana Ortodossa
di Tarlaba, dove abbiamo avuto la
gioia di partecipare a una Celebrazione
Centro Missionario Francescano
Sui passi di San Paolo • 24 gennaio -5 febbraio
un’avventura
2008
indimenticabile
di p. Angelo M. Marracino
Ecumenica a conclusione dell’Ottavario
di Preghiere per l’Unità dei Cristiani. Una
celebrazione bellissima, ricca di colori, di
incenso, di canti, di preghiere e, forse, soprattutto
di calore umano. A conclusione
della celebrazione, che ci ha ricreati spiritualmente
e che ricorderemo sempre con
viva soddisfazione, abbiamo preso parte
ad un lieto e abbondante ricevimento offerto
dai cristiani ortodossi a tutti i partecipanti.
L’unione con la Chiesa cristiana
Ortodossa sembrava già bella e fatta.
Il giorno dopo, 25 gennaio, alle ore 8.30,
abbiamo ripreso l’aereo e, dopo circa mille
Km di volo, siamo atterrati ad Adana,
una città di 2 milioni e mezzo di abitanti,
nella parte sud orientale della Turchia,
nel cuore dell’antica Cilicia, quasi ai confini
della Siria. Lì ci attendeva un pullman
nuovo di zecca che, in meno di un’ora,
ci ha trasportati a Tarso, città natale di
San Paolo, dove abbiamo trascorso una
giornata intera col desiderio di scoprire
o di riscoprire il vero volto dell’Apostolo
delle Genti e di mettere i piedi dove li ha
messo lui.
Nella mattinata, dopo aver ascoltato
una brillante conferenza di Mons. Luigi
Padovese, Vescovo di Anatolia, sulla conversione
di San Paolo, di cui quel giorno
ricorreva la festa, abbiamo concelebrato
l’Eucaristia, presieduta dallo stesso Ecc.
mo Vescovo. Nel pomeriggio, dopo aver

visitato il pozzo detto di San Paolo, abbiamo
partecipato, con i pochi cattolici e con
i pochi cristiani siri ortodossi e protestanti
presenti nella città di Tarso, abbiamo
partecipato ad una Solenne Celebrazione
Ecumenica, presieduta dal Vescovo di
Padova. Gli facevano corona il Vescovo di
Anatolia, Mons. L. Padovese; tre Vescovi
Siri Otodossi e un Pastore protestante.
Anche questa celebrazione è stata molto
bella e, sotto certi aspetti, commovente:
vivacissima nei canti e ricca di gesti significativi.
Anch’essa si è conclusa con
un simposio, servito dalle suore, che ci ha
fatto sentire discepoli dello stesso Cristo e
fratelli fra di noi.
A Tarso abbiamo provato tanta gioia, ma
anche (perché non dirlo?) tanta tristezza.
Tanta gioia per aver avuto il privilegio di
trascorrere una giornata intera nella città
natale dell’Apostlo Paolo e per di più nel
giorno in cui si celebrava la festa liturgica
della sua conversione e, ancora di più,
nel secondo millennio della sua nascita;
tanta tristezza per non aver trovato nella
città dove egli è nato nessun “segno”
concreto che richiamasse alla mente il
grande Convertito e il grande Apostolo di
Cristo. Non una basilica, non un monumento,
non una strada a Lui intitolata,
non un rudere che parlasse di Lui, non
DI SORPRESA IN SORPRESA
La mattina del 27 gennaio, sebbene fosse
domenica, ci siamo alzati per tempo, abbiamo
celebrato la Santa Messa, abbiamo
fatto una abbondante colazione e abbiamo
ripreso il viaggio. Meta: la Cappadocia,
che è una delle regioni più caratteristiche
della Turchia e più ricche di storia,
di arte e di fede.
Nel primo pomeriggio eravamo già in
albergo. Una mezz’ora per sistemarci e
rinfrescarci il viso e siamo risaliti di nuovo
in pulman per la visita ai luoghi più
significativi. Abbiamo incominciato dalle
città sotterranee, che sono una delle ricchezze
culturali di maggiore rilievo della
Cappadocia.
Lo scopo di queste città, era soprattuto
quello di assicurare alla gente del luogo,
in caso di pericolo, rifugi provvisori
dove potessero nascondersi e difendersi
da nemici esterni che, in quel tempo, non
una lapide che ricordasse la sua nascita o
la sua conversione. Niente di niente.
Dopo una giornata spiritualmente intensa,
la sera di 25 gennaio ci siamo trasferiti
a Iskenderum, una città di quasi un
milione di abitanti, dove abbiamo cenato
e passato la notte.
La mattina dopo ci siamo recati ad Antiochia,
dove i discepoli di Gesù per la prima
volta furono chiamati “cristiani”.
Questa città, che una volta era considerata
la “Regina dell’Oriente” e che ha
dato i natali a uomini che hanno avuto
una missione determinante nella vita e
nella storia della Chiesa, ha richiamato
alla nostra mente: San Luca (l’autore del
Terzo Vangelo e degli Atti degli Apostoli),
il martire Sant’Ignazio (il primo che usò
l’espressione “chiesa cattolica”), San Giovanni
Crisostomo (Bocca d’oro, Vescovo
di Costantinopoli e Primate della Chiesa
d’Oriente), Teodoreto (ultimo teologo
della Scuola Antiochena), San Simeone lo
stilita e tanti altri.
Di questa città abbiamo visitato innanzitutto
la “Grotta di San Petro”. Scavata nella
roccia sul fianco occidentale del monte
detto della Croce, una delle tre montagne
che sovrastano Antiochia, è uno dei pochi
vestigi del cristianesimo. Qui, secondo la
tradizione, si riuniva la primitiva comu-
erano soltanto possibili, ma reali. Esse,
infatti, erano collegate, attraverso gallerie
segrete, con tutte le case intorno e
potevano essere raggiunte subito, senza
correre nessun rischio.
Nelle città sotterranee abbiamo visto
abitazioni, stalle, depositi per viveri, cantine,
chiese e perfino camere sepolcrali.
In quei luoghi sotterranei vi erano anche
camini di aerazione, sistemi di comunicazione
fra i vari piani, trabocchetti e massi
rotondi, che potevano essere usati, al
momento opportuno, come porte.
Io e qualche altro ci siamo fermati coraggiosamente!
- al primo piano, perché
i corridoi e le scalinate erano eccessivamente
scomodi e pericolosi, ma la maggioranza
sono scesi al secondo, al terzo e
anche al quarto piano e quando sono risaliti
non trovavano aria abbastanza per
respirare.
Prima di ritornare in albergo abbiamo
Anno Paolino
nità cristiana con Barnaba, Paolo e Pietro,
che si fermò ad Antiochia per qualche
anno prima di recarsi a Roma.
Di questa città abbiamo visitato anche i
resti del porticciuolo, da dove salparono
Paolo e Barnaba per il primo viaggio apostolico
(Atti, 13,4). Poco lontano di lì abbiamo
ammirato anche il grandioso tunnel
costruito dagli Imperatori Vespasiano
e Tito per deviare il corso di un torrente
che minacciava di ostruire il porto.
Nel pomeriggio dello stesso giorno, abbiamo
visitato, a 18 Km da Antiochia, i
resti del Monastero di San Simeone il giovane,
uno stilita vissuto negli anni 521-
592. Egli trascorse gran parte della sua
vita su una colonna eretta al centro del
Monastero, a circa 500 metri di altitudine.
La colonna emerge ancora oggi fra le
rovine, producendo, in chi la guarda, una
impressione enorme.
A conclusione della giornata abbiamo visitato
la Chiesa parrocchiale cattolica dei
Santi Pietro e Paolo, dove abbiamo ascoltato
una documentata relazione del Parroco,
Padre Domenico Bertogli OFMCap.
, su Le prime comunità cristiane e dove
abbiamo celebrato la Santissima Eucaristia.
Quindi, felici e contenti di aver visto
tante cose, siamo ritornati a Iskenderun
per la cena e il pernottamento.
dato anche uno sguardo, a distanza, a due
paesini molto importanti della zona, per i
personaggi che vi sono nati: a Nazianzo,
paese natale di San Gregorio Nazianzeno;
e a Nissa, paese natale di san Basilio il
Grande e di San Gregorio Nisseno.
In Cappadocia siamo rimasti, come era
previsto, due giorni, perché le “cose” da
vedere erano tante e un giorno non era
sufficiente.
La mattina del 28 gennaio, infatti, abbiamo
lasciato di buon’ora l’albergo, che si
trovava a 1200 metri di altitudine, e siamo
saliti fino a quota 1500-1600 metri.
Dopo aver celebrato la Santa Messa in
una delle cappelle rupestri della zona, ci
siamo fermati per una mezz’ora a contemplare
il paesaggio circostante: un
paesaggio fiabesco, mai visto prima!
Dappertutto paesini incantevoli, pieni di
chiese e di monasteri risalenti a periodi
diversi! Soprattutto innumerevoli forma-
27

28
Anno Paolino
zioni geologiche, di forme singolari, comunemente
chiamate “camini delle fate”.
Formazioni geologiche col cappello o senza
cappello! Formazioni geologiche con
un solo cappello o con più cappelli! Formazioni
geologiche ritte, come torri campanarie
o leggermente inclinate, come la
torre di Pisa! Molte formazioni geologiche
a forma di guglie, altre invece a forma di
funghi, altre ancora a forma di piramidi!
Le cose più belle, però, le abbiamo viste
nella Città Museo di Goreme, nella quale
abbiamo trascorso tutta la mattinata e una
parte del primo pomeriggio, percorrendo
per lungo e per largo i camini delle fate di
quel Museo all’aperto e visitando almeno
una decina di chiese rupestri.
Nelle chiese rupestri abbiamo potuto
ammirare pregevoli affreschi, realizzati
in modi diversi: o con l’ocra rossa direttamente
sulla roccia, senza intonaco e
calce, o con la tecnica dell’affresco sull’intonaco
fatto di calce, di sabbia e di paglia
messa sulla roccia.
pazientemente atteso. Le stesse emozioni
le abbiamo provate durante la celebrazione
della Santa Messa. Risuonavano nelle
nostre orecchie e soprattutto nel nostro
cuore le parole di Gesù alla Madre: “Ecco
tuo figlio!”; e quelle rivolte da Gesù a Giovanni:
“Ecco tua Madre”.
Quando il Padre Cappuccino, a cui è affidata
la custodia di quel piccolo-grande
Santuario, ci ha detto che, a cominciare
da Pasqua, arrivano ogni giorno migliaia
di pellegrini , ci siamo sentiti dilatare il
cuore per la gioia .Ancora di più quando ci
ha detto che la Madonna ha le sue devote
anche fra le donne islamiche, che spesso
vanno a visitare “la Maria”, come dicono
loro.
Durante la giornata abbiamo visitato anche
i resti dellantica Basilica di San Giovanni,
l’antica città di Efeso, la Basilica
del famoso Concilio e la vastissima e interessantissima
zona archeologica..
Al termine della giornata ci siamo trasferiti
a Izmir, da dove il giorno dopo siamo
partiti per visitare la zona archeologica
di Pergamo; e da dove la sera abbiamo
preso l’aereo per Istambul.
A Istambul siamo rimasti per tre giorni:
dalla sera dl 1° febbraio a mezzogiorno del
I temi delle immagini sono tratti tutti
dalla Sacra Scrittura, soprattutto dal Vangelo
e dalla vita di Gesù. Abbondano le immagini
della Madonna.
La sera, quando siamo ritornati in albergo,
eravamo stanchi, ma soddisfatti. Avevamo
visto “cose” diverse da quelle che di
solito si vedono nei pellegrinaggi e nelle
gite turistiche.
Dopo la cena ci è stata offerta la possibilità
di vedere “La Cerimonia Dei Dervishi
Rotanti” e, nonostante la stachezza, abbiamo
colto a volo l’occasione e ci siamo
andati
LE SORPRESE NON FINISCONO MAI
Il giorno 29 gennaio (giorno in cui dovevamo
visitare la città di Iconio e le Moschee
Sufi ; giorno in cui dovevamo incontrarci
con un “Dede” o con un capo di comunità
sufi) la prima prima sorpresa l’abbiamo
avuta la mattina, quando siamo usciti
per prendere il pulman e abbiamo trovato
sulla strada un spesso manto di neve. Ciò
5.. Sono stati tre giorni stupendi, durante
i quali abbiamo avuto come punto di riferimento
il Convento francescano di Santa
Maria Draperis. In Convento abbiamo fatto
tutto: in Convento abbiamo celebrato
la Santa Messa, in Convento abbiamo fatto
il pranzo e la cena e in Convento sono
stati tenuti gli incontri di di riflessione e
di studio., Ci è sembrato quasi di stare a
casa nostra. La Fraternità religiosa, attenta
e discreta, ci ha messi a nostro completo
agio e non ci ha fatto mancare niente.
Il Corso non poteva avere una migliore
conclusione, anche se negli alberghi siamo
stati ugualmente bene, sotto tutti gli
aspetti.
La città di Istambul - l’antica Costantinopoli
è una città enorme (15 milioni di
abitanti!) e di essa non solo siamo riusciti
a farci una idea complessiva, ma siamo
riusciti anche a vedere i monumenti più
importanti.
Abbiamo visitato accuratamente la Basilica-Museo
di Santa Sofia, la Chiesa-Museo
di San Salvatore in Campo (in Xora) e
la Moschea Blu.
Durante la nostra permaneza a Istambul
abbiamo fatto anche una escursione
alla città di Nicea, che si trova al di là del
nonostante siamo riusciti a partire e a fare
una trentina di chilometri. Dopo di che,
anche per le notizie che ci giungevano
sullo stato della strada che dovevamo percorrere,
siamo stati costretti a fermarci e
a prendere posto in un albergo del luogo,
dove siamo rimasti bloccati per un giorno
intero.
Nel pomeriggio del giorno 30 gennaio,
dopo aver fatto una lunga coda alla prima
area di servizio, dove si erano ammassati
centinaia di automezzi (pullman, camion,
autobili, ecc.), la polizia ci ha dato, finalmente,
il permesso di proseguire e così
abbiamo potuto raggiungere Pamukkale,
da dove, il giorno dopo, ci siamo recati ad
Efeso, passando per Laodicea.
Giunti ad Efeso, ci siamo recati subito a
visitare la Casa della Madonna, nella quale
abbiamo dato sfogo ai nostri sentimenti
di amore e di devozione. E’ stato, forse,
il “momento” più alto di tutto il nostro
pellegrinare in terra turca. Certamente il
più ardentemente desiderato e il più im-
Mare di Marmara e che abbiamo raggiunto
prendendo il traghetto.
A Nicea abbiama visitato la Basilica di
Santa Sofia, dove si è svolto uno dei più
impotanti Concili della Chiesa, quello
appunto detto di Nicea Durante la nostra
permanenza a Istambul abbiamo partecipato
anche, il 2 di febbraio, alla Giornata
per la Vita Consacrata, che si è svolta nella
Chiesa dei Padri Domenicani.
Durante la nostra permanenza a Istambul,
infine, siamo stati ricevuti dal Patriarca
Ecumenico Greco-Ortodosso di
Costantinopoli. E’ stato molto amabile con
noi e ha avuto espressioni di grande stima
e di vivo apprezzamento per San Francesco
e per tutta la Famiglia Francescana.
L’incontro si è concluso con lo scambio di
doni e con piacevole simposio.
Il Corso è stato bene organizzato “cui
onor, onor!” e ben condotto dall’inizio alla
fine. Un plauso di cuore a Padre Leonardo
Civitavecchia, a Padre Michele Centola e
al responabile dell’agenzia turca Oznur.
Una lode a parte va alla guida turistica
Cevat, che è stata veramente brava: attenta,
rispettosa, preparata. Sapeva tutto
e dava le sue spiegazioni con delicatezza,
precisione e chiarezza.

pellegrini e forestieri
“Guardare in alto”:
chiamati
alla Santità
Ostensione del corpo di San Pio da Pietralcina
“L’emozione
e mi manca
non ha voce
un pò il respiro…”
di Renato Matteo Imbriani
“L’emozione non ha voce e mi manca un
po’ il respiro…”, frase di una celeberrima
canzone può sintetizzare i sentimenti di
un’intensa giornata vissuta all’insegna
di un grande evento della fede cristiana
ossia la solenne concelebrazione, presieduta
da S. Em. Rev.ma il sig. Card. Josè
Saraiva Martins, Prefetto della Congregazione
delle Cause dei Santi, in occasione
dell’ostensione del corpo di San Pio da
Pietrelcina.
Una celebrazione molto composta e partecipata
che ha spento ogni polemica
della vigilia in merito all’esumazione e
ricognizione del corpo di padre Pio che è
opportuno ricordare fa parte della prassi
canonica nei confronti delle spoglie dei
santi.
L’apertura della tomba è stata preceduta,
il 28 febbraio, dall’insediamento del
Tribunale istituito e presieduto per l’occasione
dall’arcivescovo di Manfredonia
– Vieste - San Giovanni Rotondo, mons.
Domenico D’Ambrosio, delegato dalla
Santa Sede per il Santuario e le Opere di
Padre Pio. Contestualmente è stata nominata
anche la commissione dei periti
per l’esumazione e la ricognizione canonica,
tra i quali membri spicca la figura
di Nazzareno Gabrielli, biochimico e
perito del Vicariato di Roma per la conservazione
dei santi, che ha già trattato
i corpi di numerosi santi e beati, tra cui
Giovanni XXIII e Chiara d’Assisi. Dopo gli
adempimenti del caso, nella stessa serata
del 28 febbraio, è stato rimosso il blocco
monolitico di marmo verde che sovrastava
la tomba di Padre Pio, simbolo per un
quarantennio della devozione di milioni
testimonianza dei chierici
Eventi
di fedeli accorsi nel santo luogo di sepoltura
del santo frate di Pietrelcina.
Il 2 marzo invece è stato il giorno
dell’esumazione e ricognizione vera e
propria, fortemente voluta dalla Provincia
dei Frati Minori Cappuccini, le parole
del Ministro Provinciale, Fra Aldo Broccato,
hanno motivato questa intenzione:
“la riesumazione del corpo di san Pio,
mentre ci fa guardare da vicino le sue
spoglie mortali, pur preziose e care al nostro
cuore di uomini, devoti e confratelli,
deve spronarci ad alzare lo sguardo verso
l’alto, verso la luce della vita di Dio che in
Cristo si è manifestata nella sua morte e
risurrezione”.
La solenne concelebrazione del 24 aprile
presieduta dal cardinal Martins è stata
tutta all’insegna di questo “guardare in
alto” attraverso le lenti dell’umile frate
di Pietrelcina. Questa nostra epoca di
29

30
Eventi
transizione, ha ribadito il cardinale nella
sua omelia, caratterizzata da una nuova
visione del mondo, dell’uomo e della sua
storia e, nei paesi opulenti, da una diffusa
indifferenza religiosa, ha bisogno più
che mai di un forte richiamo alla santità
cristiana. La santità cristiana è dono di
Dio e impegno dell’uomo, è la vita di Dio
Trinità in noi e di noi in Dio. La santità
è anche “mistero” e l’avvicinarsi, il conoscere
meglio Padre Pio, il “santo della
gente”, oggi ancor più accessibile grazie
alla nuova sistemazione del suo corpo,
L’abito francescano cappuccino che indossa
san Pio da Pietrelcina è stato confezionato
dalle suore clarisse cappuccine di
clausura del Monastero della Risurrezione
di San Giovanni Rotondo.
I mezzi guanti e le calze sono quelli che
Padre Pio aveva nell’armadio a muro nella
cela in cui è morto, tra gli indumenti
non ancora utilizzati.
La stola è in forma e foggia relativa ad
anni precedenti il Concilio Ecumenico
Vaticano II (e quindi stilisticamente coeva
agli anni della vita di Padre Pio) è stata
strutturata come una “broccatura” (ricamo
in oro sovrapposto ad evidenziare un
disegno preesistente del tessuto) su pura
seta di colore bianco ghiaccio. La stoffa
(cinque metri), tessuta negli anni Sessanta,
fu acquistata nel 1987 e conservata in
vista di eventi eccezionali. Il ricamo evidenzia
i particolari dei melograni (simbolo
della fecondità ministeriale nella Chiesa)
e dell’uva (simbolo della gloria della
vita eterna). La stola è arricchita da 312
pietre di cristallo di rocca fumèe (quarzo
morione) e sferule d’oro. La ricca frangia
è interamente costruita alternando
elementi gemmati in canutiglia e fiocchi
d’oro. Il lavoro per ideare e confezionare
il paramento supera le 200 ore.
richiede da parte nostra l’umiltà di riconoscerne
“il mistero”.
Celebrazione dell’Eucarestia, ministero
della riconciliazione, direzione spirituale,
consiglio e vicinanza spirituale
e materiale a quanti erano nel bisogno,
furono questi i mezzi con cui Padre Pio
profuse con generosità i suoi doni naturali
e soprannaturali. Oggi il santo frate
cappuccino, che visse anche fisicamente
il mistero del Dio crocifisso, continua a
richiamare milioni di persone assetate di
religiosità, donandogli conforto e con-
La composizione del corpo di San Pio da Pietrelcina
La stola è stata realizzata da X Regio (Decima
Regio), un’azienda di Treviso fondata
nel 1987 e che ha curato l’abbigliamento
liturgico di Papa Giovanni Paolo
II (64 paramenti), di Papa Benedetto XVI
(42 paramenti) e ha creato paramenti per
importanti eventi quali il Grande Giubileo
del 2000, la dedicazione della chiesa
di San Pio da Pietrelcina in San Giovanni
Rotondo e le ricognizioni canoniche di
San Piero Damiani, del beato Gregorio X
e di San Pio da Pietrelcina. Anche i parametri
indossati dal card. Josè Saraiva
martins per la messa del 24 aprile 2008 a
San Giovanni Rotondo sono stati ideati e
realizzati dalla stessa azienda.
La maschera di silicone che copre il volto
di San Pio da Pietrelcina è stata realizzata
da Gems Studio. Fondata a Londra
nel 1885 l’azienda è specializzata nella
creazione e nella fabbricazione di statue
e manichini realistici per musei e mostre
culturali. Produce un’ampia gamma di
statue, sia statiche che dotate di animazione,
lavorando su ordinazione. Tra i
loro clienti annoverano alcuni tra i musei
più importanti del mondo in vari Paesi
Europei, Stati Uniti, Canada, Giappone,
Israele, Singapore, Hong Kong, Corea del
Sud.
versione, facendo riecheggiare le parole
di Gesù: «Padre, voglio che anche quelli
che mi hai dato siano con me dove sono
io» (Gv 17,24).
Con la celebrazione del 24 aprile si è
inaugurato un intenso periodo di pellegrinaggio
per venerare il corpo di Padre
Pio. Colgo l’occasione per ringraziare il
Ministro Provinciale Padre Pietro Carfagna
per avermi dato la possibilità di essere
“giornalista accreditato” di Azione
Francescana e testimone di questo grande
evento della fede.
Il reliquiario
di San Pio da Pietrelcina
Il reliquiario, opera del maestro Goudji,
georgiano naturalizzato francese, è
composto di tre elementi: il piedistallo,
il basamento, il baldacchino che copre
il basamento.
Il piedistallo
Simbologia: le quattro colonne rappresentano
i quattro Evangelisti; le tre
sfere identificano la santissima Trinità;
l’elemento centrale è composto da otto
rami, segno della Nuova Alleanza.
Materiale: ferro battuto e calcare duro di
Beauce (località: Pontijou, vicino Blois).
Fin dal Medioevo, la maggior parte dei
castelli e delle chiese della Valle della
Loira sono stati costruiti con la stessa
pietra.
Il basamento
Simbologia: rappresenta la Gerusalemme
celeste, con le sue dodici porte; le
gemme incastonate ricordano le dodici
pietre, citate dall’Apocalisse, come fondamento
della Gerusalemme celeste.
Materiale: pietra di Pontijou e 768 grammi
di oro 18 carati per le colonne.
Il baldacchino
Simbologia: è una costruizione destinata
a proteggere e a mettere in risalto
il corpo del Santo; è composto da dieci
colonne sormontate da capitelli in
argento, ciascuno con una colomba in
rilievo, riferimento a San Francesco di
Assisi. Su un frontone, c’è una croce
d’argento, con pietre incastonate, i cui
colori rappresentano: il blu, lapislazzuli,
il velo della Santa Vergine; il rosso, il
diaspro, il sacrificio di Nostro Signore.
Sull’altro frontone, c’è l’Agnello Mistico
dell’Apocalisse di San Giovanni con il
suo stendardo.
Materiale: pietra di Pontijou, pietra di
Marmara, sodalite, lapislazzuli, diaspro
e 19.454 grammi di argento massiccio
di prima scelta.
Il baldacchino è illuminato dall’interno
da cinque punti di fibre ottiche.
Peso totale dell’opera: 600 chili.
Dimensioni: altezza m. 2,10; lunghezza:
m. 2,50; larghezza: m.1.

Vita di famiglia
Celebrato il Congresso Internazionale Beato Giovanni Duns Scoto
Lo Scotismo nel Mezzogiorno d’Italia
Bitonto - S. Medici • Bari - Università • 25-28 Marzo 2008
In occasione del VII Centenario della
morte del Beato Giovanni Duns Scoto
(1308 - 2008) organizzato dal Centro
Studi personalisti e scotisti di Castellana
Grotte si è celebrato un Convegno
internazionale allo scopo di evidenziare
la diffusione del pensiero di Scoto nel
Meridione. Molti i relatori da varie Univerità
italiane e straniere tra cui Orlando
Todisco del Seraphicum di Roma, Herbert
Schnaider, Accademia Duns Skotus
di Colonia, Stefano Cecchin, Accademia
Mariana di Roma, William Duba (Università
di Friburgo), che ha parlato di
Landolfo Caracciolo, p. Giovanni Lauriola
(presidente del Centro Studi), che
ha illustrato la figura di p. Diomede
Scaramuzzi. Da segnalare l’intervento
di Francesco Fiorentino (Università di
Salerno), che ha portato alla luce l’opera
del francescano Gugliemo di Alnwick,
che da Vescovo di Giovinazzo (BA), tra il
1329 e il 1333, interviene come media-
tore tra una disputa tra il Papa Giovanni
XXII e il re di Napoli Roberto d’Angiò e
la moglie Sancia, attestando la presenza
delle dottrine di Scoto nel Mezzogiorno
d’Italia ad appena 10-15 anni dalla sua
morte.
PEREGRINATIO RELIQUIA DEL BEATO GIOVANNI DUNS SCOTO
Nel corso del Centenaio il “Centro Duns Scoto” di Castellana prosegue nell’animazione della Peregrinatio della Reliquia del Beato.
Questi i luoghi raggiunti finora.
• Capurso (BA), Santuario Madonna del Pozzo
• Toro (CB), Convento S. Maria di Loreto
• San Nicandro G. (FG), Parrocchia S. Maria delle Grazie
• Commenda di Rende (CO), Parrocchia S. Antonio
Prossimamente la Reliquia sarà accolta a Manfredonia, Monte S. Angelo, Andria e Molfetta
Raduno Mondiale Confraternite
La Pia Unione Gioventù Antoniana di Foggia a Lourdes
La Pia Unione Gioventù Antoniana con sede a
Foggia presso la Chiesa di San Pasquale Baylon
ha partecipato al Primo Cammino Internazionale
delle Confraternite nel 150° anniversario delle
apparizioni al Santuario Mariano di Lourdes: una
folta rappresentanza della Pia Unione insieme ad
altre Confraternite provenienti dalla Puglia hanno
partecipato al Cammino confraternale internazionale.
I confratelli e le consorelle, accompagnati
dall’Assistente Padre Bernardino Cataneo, hanno
preso parte alle toccanti celebrazioni programmate
dal comitato organizzatore e presiedute da
monsignor Brambilla, vescovo ausiliare di Roma
e assistente della Confederazione delle Confraternite
delle Diocesi d’Italia e dall’arcivescovo di Monaco,
monsignor Barsì. Profonda emozione hanno
suscitato la processione aux flambeaux, quella
Eucaristica e la celebrazione Eucaristica del pellegrinaggio
nella Basilica sotterranea dedicata a
S. Pio X, sempre accompagnate dal canto dell’Ave
Maria sarda. Durante la Via Crucis, così come nelle
processioni, i confratelli hanno intonato i canti
penitenziali e le laude.
Gaetano Valentini
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32
Vita di famiglia
FESTA DELLA PROVINCIA 2008
e GIUBILEI RELIGIOSI
E SACERDOTALI
5 maggio, Monte S. Angelo (Fg)
dall’Omelia
di fr. Pietro Carfagna, ofm
Ministro Provinciale
1. Luogo di grazia. Siamo qui pellegrini
come Francesco otto secoli fa – nella prossimità
della ricorrenza dell’apparizione dell’Arcangelo
Michele – in questo luogo di grazia e
luogo giubilare: « Terribilis est locus iste: hic
domus Dei et porta coeli ». Con l’apparizione
al Vescovo di Siponto e il toro inginocchiato
all’apertura della grotta, l’intervento di San
Michele segnerà la fine dei culti pagani ed
idolatrici e l’avvento definitivo del cristianesimo
sul Gargano e nella Daunia.
Qui si rinnova il mistero della redenzione, attraverso
il perdono e la riconciliazione: «ubi
saxa panduntur, ibi peccata hominum dimittuntur
». E da allora – da quindici secoli – Re
e regine, Imperatori e Papi, crociati e santi,
come S. Anselmo, Bernardo di Chiaravalle,
Guglielmo da Vercelli e Giovanni da Matera;
San Francesco, San Tommaso d’Aquino
e Santa Brigida, S. Alfonso de’ Liguori, San
Camillo De Lellis, e tanti altri – ma anche il
Vescovo Guido di Assisi, e Ortolana, la Mamma
di Chiara: sono arrivati qui per ripartire
GIUBILEI SACERDOTALI 2008
25 ° di Ordinazione Sacerdotale
fr. Lorenzo RICCIARDELLI (19.11.1983)
50 ° di Ordinazione Sacerdotale
fr. Francesco TARONNA (13.04.1958)
70 ° di Ordinazione Sacerdotale
fr. Giacomo MELILLO (29.06.1938)
riconciliati e ricolmi di un nuovo spirito e di
un rinnovato slancio apostolico.
2. Ripartire con San Michele
In san Michele si attua la profezia del Salmo....
“Egli darà ordine ai suoi angeli di custodirti in
tutti i tuoi passi”, a cui fa eco san Francesco:
“Gli angeli combattono con noi nel campo
di battaglia tra il bene e il male”. Francesco
celebrava con particolare devozione la Quaresima
in preparazione alla festa di san Michele
perché – diceva – “ci accompagna nell’ultimo
viaggio incontro al giudizio finale”... E allora
anche noi vogliamo ripartire con la certezza
che San Michele ci difende, ci sostiene in un
cammino di ostacoli e quindi di lotta contro
le forze del male. San Michele ci assicura che
queste forze non prevarranno.
3. Nella fedeltà giubilare
E’ propria in questa capacità di affrontare gli
ostacoli e le prove della vita, nonché la disponibilità
a farsi rinnovare continuamente dal
mistero della redenzione che celebriamo su
questo altare il segreto della fedeltà nella vita
consacrata e nel ministero sacerdotale. Nel
contesto del cammino della “grazia delle origini”,
siamo chiamati a riparare la Chiesa a
partire, sull’esempio di San Michele, proprio
dalla difesa della fede, non solo sapendo dare
ragione della nostra speranza (1Pt 3,15), ma
nell’impegno a garantire la purezza della fede
di fronte ad ogni relativismo e riduzione delle
sue esigenze.
Lasciamoci allora provocare in particolare
della fedeltà di p. Giacomo, di p. Francesco e
di p. Lorenzo che celebrano rispettivamente
70, 50 e 25 anni di ordinazione sacerdotale.
Con loro siamo chiamati a continuare a servire
la Chiesa in un cammino di fedeltà facendo
attenzione alla specificità del sacerdozio e al
suo ruolo unico nella vita della Chiesa.
La gente avverte la necessità del sacerdote:
almeno nel nostro Sud, il sacerdote gode di
una vasta popolarità, è stimato ed è ricercato,
soprattutto quando è anche figlio del Poverello
di Assisi.
Ma lasciamoci provocare anche dalla fedeltà
alla vita di consacrazione e alla vocazione
Francescana di p. Giovanni Lauriola, p. Teofilo
Iasenza, p. Luigi Cassano, p. Bernardino
Cataneo e p. Fulgenzio Corcelli che ricordano
il loro 50° e 60° di Vestizione Religiosa – di p.
Angelo Iasenza, p. Nicola De Michele, fr. Bernardino
Loverro e p. Alfonso Sciscenti che
celebrano il 50° e il 60° e il 70° di professione
temporanea; e, infine, di p. Mario Villani e p.
Guglielmo Lauriola (che sta in California) e
che ricordano il 50° e il 60° di Professione
Solenne.
Tutti ci richiamano alla radicalità della consacrazione
sponsale con la professione dei
consigli evangelici e all’osservanza del Vangelo
alla maniera di Francesco “sine glossa”,
per riparare la casa del Signore, attraverso la
gioia della fraternità, la testimonianza della
minorità francescana e l’impegno ad essere
testimoni e strumenti di dialogo e di pace...
Con San Michele impegnati nella sfida contro
il Maligno, che si esprime oggi nel relativismo
e nell’indifferenza religiosa che nega ogni cittadinanza
alla fede, questa celebrazione giubilare
ci avverte che solo una forte fedeltà a
Cristo e al nostro Serafico Padre, ci renderà
messaggeri autentici ed efficaci di speranza.
Auguri a tutti i festeggiati e ancora tanti anni
di fecondità sacerdotale e di vita gioiosa nella
fraternità francescana!
AUGURI AI NUOVI DIACONI
fr. Guarino Valentino
e fr. Michele Sardella
18 Maggio Capurso (Ba)
Santuario S. Maria del Pozzo

Tra i santi che hanno illuminato e continuano ad illuminare
la terra, ricordiamo questa sera un uomo che molti secoli fa,
proveniente da un paese lontano, approdò sulle coste pugliesi
e, dopo aver vissuto in diversi luoghi, giunse infine
in questa città, il cui nome rimase per sempre intrecciato
alla sua esperienza umana e spirituale: il Beato Giacomo
da Bitetto.
Un uomo di molti secoli fa. Era nato, infatti, agli inizi
del 1400, il secolo che vide l’Italia avviarsi verso quello
splendido periodo della storia che è giustamente chiamato
«Rinascimento»: una vera rinascita spirituale e
culturale sotto tutti gli aspetti, una vastissima diffusione
internazionale di progetti e di valori, un primato civile
dell’Italia a tal punto che qualche studioso ha detto
che in quel periodo l’intera Europa non era altro che
una provincia italiana.
Il Rinascimento celebra il trionfo della bellezza e
dell’armonia, dell’intelligenza e della libertà, della creatività
umana e del progresso. Potrebbe sembrare, questo,
un discorso fuori posto. Che c’entra il nostro caro Beato
con il Rinascimento?
In un’epoca di splendore, infatti, egli visse in umiltà e nascondimento;
in una società che andava progressivamente
Bitetto (BA) - Festa del Beato Giacomo • 27 aprile 2008
scoprendo il fascino della ricchezza e del
benessere, egli si chinò verso le realtà più
povere; in un contesto che incominciava
a valorizzare il fasto e l’abbondanza, egli
visse in uno stile di sobrietà ed essenzialità.
Giacomo da Bitetto, dunque, potrebbe
quasi sembrare un contestatore del suo
tempo, anziché un suo rappresentante.
In realtà il Beato Giacomo costituisce
l’«altra faccia» del Rinascimento, quella
che forse non appare immediatamente,
ma che esiste in profondità e, come l’acqua
che scorre sotto terra, produce ancora
oggi abbondanti frutti. Il volto più
autentico del Rinascimento, infatti, è il
movimento francescano: con Francesco
d’Assisi era iniziato quella profonda rinascita
della Chiesa e della società e grazie
alla vita e alla predicazione dei francescani
una nuova mentalità si andava diffondendo
nel mondo...
Giacomo entra, dunque, a pieno titolo
in questa corrente di rifioritura e, se
non realizzò grandi opere di cultura o
di arte, compì l’opera più grande di tutte,
cioè un’esistenza interamente vissuta
nell’amore: collaborò a costruire la
«civiltà dell’amore». Mentre gli artisti
rinascimentali creavano la bellezza, egli
vedeva in ogni volto e in ogni avvenimento
la bellezza di Dio; mentre i poeti cercavano
l’armonia, egli diventava in ogni
circostanza seminatore di pace e di con-
Vita di famiglia
Illuminò il suo tempo con l’umiltà
la sobrietà e la solidarietà
dall’omelia di Mons. Michele Di Ruberto
Segretario della Congregazione
per le Cause dei Santi
Mons. Di Ruberto
cordia; mentre gli scienziati si aprivano
sempre più alla conoscenza della natura,
egli si addentrava con semplicità nella
conoscenza e nel servizio delle persone
che quotidianamente incontrava. E, cosa
ancora più rara e meravigliosa, tutto ciò
egli lo fece da una posizione di assoluto
nascondimento: infatti, all’interno della
sua comunità francescana, fra Giacomo
esercitò i ruoli più modesti e quasi invisibili,
essendo di volta in volta cuciniere,
ortolano, uomo di fatica, questuante. Soprattutto
grazie a questo ultimo incarico,
I frati del Beato con il Nunzio del Sudan Mos. Leo Boccardi
egli ebbe la possibilità di entrare in contatto
con molte persone di ogni ambiente
sociale: nei confronti di tutti ebbe tanta
carità, disponibilità e affetto che, nelle
sue visite per la raccolta, non era tanto
lui a ricevere quando erano gli altri a ricevere
da lui.
33

34
OFS
Laici francescani
precari per Vocazione
Una personale esperienza all’insegna del privilegio della minorità
di Luigi Ianzano
A differenza dei religiosi, che professano
la povertà radicale, i francescani secolari
sono impegnati a cercare «una giusta relazione
coi beni terreni, semplificando le
proprie materiali esigenze», «pur nell’apprezzamento
attento e amoroso delle realtà
create», nella costante preoccupazione
di imitare Cristo, il quale «fiducioso
nel Padre scelse per Sé e per la Madre sua
una vita povera e umile». Consapevoli di
essere amministratori e non padroni dei
beni ricevuti, sono chiamati a «purificare
il cuore da ogni tendenza e cupidigia di
possesso e dominio»: perciò gestiscono le
proprietà in modo sostenibile, in armonia
col soddisfacimento dei naturali bisogni
personali e familiari, assumendo uno stile
di povertà adeguato allo stato laicale.
Dunque, poiché «mediante il lavoro e
i beni materiali devono provvedere alla
propria famiglia e servire la società», i
terziari «hanno un modo peculiare di
vivere la povertà evangelica». Un modo
che va evidentemente anzitutto trovato,
calato in ogni singola realtà individuale,
compreso e attuato; per farlo «si richiede
un forte impegno personale, lo stimolo
della Fraternità mediante la preghiera e
il dialogo, la revisione comunitaria della
vita, l’ascolto delle indicazioni della Chiesa
e delle istanze della società». Questa
predisposizione interna di distacco dalle
cose materiali permette di «vedere il
mondo con gli occhi dei poveri e rinnovare
le loro speranze».
Benedetto XVI, nella recente pubblicazione
editoriale sul Gesù storico, riflettendo
sulla prima Beatitudine evangelica
(«Beati i poveri in spirito»), volgendo
l’attenzione «a quella figura nella storia
della fede che ha tradotto tale Beatitudine
nell’esistenza umana in modo più intenso:
Francesco d’Assisi» – il quale «con
la fondazione del Terz’ordine ha accetta-
to la distinzione tra l’impegno radicale e
la necessità di vivere nel mondo» – vede
«il senso» del Terz’ordine in quell’«avere
come se non si avesse» che costituisce
«la sfida forse più difficile».
Lo stile di vita sobrio e la povertà di
spirito preludono alla condizione della
minorità, una scelta che consiste nel volgere
le spalle ad un mondo fatto di benessere,
sicurezza e prestigio sociale, per
«assumere la nuda e fragile umanità dei
minori, la loro povertà, la loro solitudine
e nullità». A tanto si arriva dapprima
nutrendo sensibilità verso i poveri, ma
poi facendosi poveri, per poter guardare
la realtà coi loro stessi occhi, dunque da
una prospettiva privilegiata.
Chi professa la Regola Ofs, dunque,
cambia status sociale, meglio collocandosi
nella sua città e nella società tra quelli
che non contano (i minores contemporanei
di Francesco), che il mondo etichetta
come inferiori e priva di piena dignità,
autorevolezza, «diritti da far valere
o rivendicazioni da portare avanti». «E
chi tra di essi è maggiore – raccomanda
Francesco – si faccia come il minore»!
Oggi il Signore concede a me, indegno
seguace di Francesco, il privilegio della
minorità. Trentaduenne, laureato in Legge,
perfezionando e specializzando, figlio
della generazione sessantottina del posto
fisso buono e giusto, erede di stipendiati
statali in pensione, residente a Sud, coniugato
e neopapà, ma soprattutto terziario
francescano, con la premura di
intraprendere strade compatibili con la
Regola professata, oltre a concentrare le
forze per realizzare la vocazione dell’insegnamento
secondario – che dovrebbe
garantire alla famiglia, nel lungo periodo,
una migliore prospettiva secondo le
logiche del secolo – vado sperimentando
gli àmbiti lavorativi più disparati e preca-
ri, in un territorio che non offre troppa
grazia di scelta. Tra questi, ha lasciato il
segno l’esperienza dell’assistenza geriatrica,
occasione forte scaturita dal tempo
forte del Servizio civile in qualità di
Obiettore di Coscienza in un Istituto per
anziani e inabili.
A seguito, insomma, di un radicale mutamento
di prospettiva, generato e alimentato
dal cammino francescano, col
coraggio (a quattro mani) di scelte un
tempo impensate, mille miglia lontane
dai progetti esaltanti di «quando ero nei
peccati», mi ritrovo – minore tra i precari
– a sperimentare la «dolcezza» di
«ciò che mi sembrava amaro». Così, non
solo ho avuto la preziosa opportunità di
rivivere l’abbraccio col lebbroso, tramutando
finalmente l’amaro in dolcezza, ma
soprattutto ho indossato i panni del minor
di oggi, sottoconsiderato con latente
disprezzo. È questa infatti la condizione
di chi si occupa, suo malgrado, della cura
di anziani non autosufficienti: di regola
nessuno svolge un simile lavoro se non
costretto dalla drammatica assenza di alternative
meno degradanti, a meno che
non si proponga di vivere autenticamente
la Regola della minorità, confidando nella
forza dello Spirito, in cui ogni timore o
vergogna umana perde consistenza.
Tanto mi ha dato il contatto con i fratelli
indigenti, che ho preferito continuare
quel lavoro finché ne ho avuto la possibilità,
e ringrazio mille volte per questo.
Povero tra i poveri, ho letto negli occhi
dei lebbrosi di oggi la pienezza della gratitudine,
e soprattutto in ognuno di essi
– coi loro stessi occhi – ho riconosciuto
il Signore, l’ho servito, ripulito, baciato,
amato. Ho provato piena realizzazione nel
prendermi cura nientemeno che del Signore
in persona; una commozione pari,
in determinati momenti, a quella di veder
in sala parto i miei figli venire alla luce.
«Quelli che erano maiores nella vita, seguendo
Francesco diventavano minores
volontari», si legge nel Dizionario Francescano.
Ma chi si fa minore per scelta?
Chi si lascia scadere agli occhi del mondo?
Chi, se non gli uomini e le donne essenziali
che vivono serenamente la precarietà
della condizione umana, con maturità
e responsabilità, attenti a non cedere alla
tentazione di ergersi, testimoni della virtuosa
speranza cristiana, in piena disponibilità
all’azione dello Spirito.
Perché si teme la precarietà? Perché si
ha il terrore della minorità. La precarietà
minaccia il livello di benessere acquisito:
perciò viene strenuamente combattuta.
Chi sogna un avanzamento in prestigio se
lo gioca, e i maiores rischiano la minoritas.
Non è un nostro problema, dunque:
la precarietà che tanto spaventa la società
contemporanea non nuoce gravemente ai
francescani secolari, precari per vocazione.

Testimonianze
La testimonianza
di un ex cappellano ospedaliero
di Padre Urbano Giambitto
Quando divenni cappellano dell’ospedale
“San Giacomo” di Torremaggiore
(Foggia), nel 1985, pensavo proprio di
aver “trovato la mia strada” e con questa,
il modo più adeguato di aiutare i malati.
Il compito del Cappellano è, infatti,
di annunziare la Buona Novella e di comunicare
l’Amore redentore di Cristo a
quanti soffrono nel corpo e nello spirito.
L’accoglienza in comunità fu buona: il
cappellano che mi aveva preceduto aveva
lavorato bene e aveva lasciato un buon
ricordo. Ma non ci fu molto tempo per...
sognare. Pochi giorni per abituarmi, ed
eccomi...disponibile. Ricordo la mia prima
chiamata, fu dal reparto di medicina;
il tempo di fare mente locale e fui sulla
soglia dell’Unità Coronarica. I medici e
gli infermieri erano attorno al letto del
malato, affannato; era molto grave. Un
grande disagio mi prese. Che fare? Fermarmi
a pregare? Offrirmi per quel che
sapevo? Che potevo fare? Mi accorsi che
nessuno mi aveva insegnato, in casi del
genere, che cosa dovevo fare. Ma lo imparai
col tempo. Mi confrontai con altre
difficoltà: oltre alla cura spirituale del
malato, al cappellano si richiede di essere
l’animatore della Comunità ospedaliera,
di favorire il dialogo con la chiesa parrocchiale
e diocesana, di promuovere il
volontariato. Ma tra questi impegni, e ciò
che il cappellano realmente fa o può fare,
c’è spesso un forte divario che crea in
lui sensi di colpa o tensione. Ma imparai
anche che, se da una parte la vita ospedaliera
di un Pastore di anime può apparirgli
disagevole, dall’altro - e di ciò sono
fortemente convinto - essa è fonte di meravigliose
opportunità pastorali. Abitualmente
il cappellano incontra i malati due
volte al giorno; il contenuto della visita
ai malati si esprime in una risposta alle
loro necessità. Queste si configurano con
bisogno di appoggio, di incoraggiamento,
di consolazione, di imparare a trovare
nella fede il coraggio per affrontare la malattia
e...bisogno di Sacramenti. E’ forte,
nell’esperienza umana della sofferenza, la
presenza di Cristo nella fede e nella speranza!
Certo l’avvicendamento rapido dei
malati, nel breve spazio di un periodo di
ricovero e di cura, ostacola il cappellano
nella continuità dell’approccio pastorale
che egli desidererebbe. Ma bisogna dire,
peraltro, che l’atmosfera stessa dell’ospedale
è divenuta oggi, più che per il passato,
refrattaria o indifferente alla ricezione
dei valori religiosi, ma ciò non deve scoraggiare.
Tante volte basta un piccolo “seme” caduto
in un terreno che nessuno avrebbe
immaginato produttivo, perché cresca
una rigogliosa “pianta”. Può anche accadere
che il cappellano sia criticato ed
attaccato: ricordo di un ammalato, un
omone grosso ed arrabbiato con tutti:
medici, infermieri, inservienti, persino...
con Dio. Acido e tagliente con tutti, non
risparmiava neanche me...Ed io a rispondergli
a tono, a difendere tutti e...me stesso.
Vinsi la “battaglia” ma avevo perso lui.
Avrei dovuto capire che mi voleva semplice
“schermo” per proiettare la sua angoscia.
E’ un bene che l’Operatore Pastorale
sia messo a dura prova, o che sperimenti
che la propria dedizione è impotente di
fronte al dolore.
E’ attraverso le “crepe” dell’anima che si
fa strada la luce del Signore. Ma conservo
nel mio cuore tanti momenti di tenerezza...Ricordo
una bambina, con sempre la
mamma accanto, sui dieci anni, del reparto
di Chirurgia, ammalata di cancro.
Mi ero affezionato a lei: era diventata
mia amica. Prima di morire, mi sussurrò
all’orecchio, con la sua debole voce: “Sto
andando in cielo. Vuoi recitare una Ave
Maria con me?” Mi ero scottato: quel dolore,
quella morte, mi bruciava dentro.
Ho trascorso nell’ospedale quasi vent’anni,
e ho imparato a non piangere più, a
non ridere, ma solo a capire. A capire che
la vita non è un problema da risolvere,
ma un mistero da vivere. In un luogo
come l’ospedale, il cappellano non coltiva
il successo, ma la calda relazione umana,
perché emerga il volto del Dio della Misericordia
e dell’Amore.
35

Q
uando ascoltiamo la parola di Dio,
prima veniamo illuminati nel cuore,
per poter poi camminare sul retto sentiero.
Mentre camminiamo, dobbiamo tenere
in mano la lampada accesa, il che avviene
quando mostriamo al prossimo le opere
buone, fatte con retta intenzione, la quale
deve illuminare ogni nostra azione.
Sant’Antonio di Padova
La Reliquia di S. Antonio di Padova dal 10 al 13 giugno 2008
nella Chiesa di San Pasquale in Foggia
In caso di mancato recapito, rispedire al mittente, che si impegna a pagare quanto dovuto per legge. Grazie!
Curia Provinciale OFM - Convento San Pasquale - 71100 Foggia