Aperta la mostra su don Marella - La Rocca - il giornale di Sant ...

3/2008
NOTIZIARIO DI STORIA E ATTUALITÀ SANTAGATESE n. 3 reg. trib. ps nr. 427 - Dir. Resp. G. Dall’Ara. Redazione Sant’Agata Feltria
Fax 0541/929744 - Grafica e fotocomposizione: il Ponte - Stampa: La Pieve poligrafica editore, V. Verucchio - email: gda@glomanet.com
Sommario Aperta la mostra
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xxx su don Marella
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ROCCA È UN’INIZIATIVA
Comitato Fiere
ed iniziative Promozionali
In piazza Garibaldi è
stata inaugurata la mostra
su Don Marella.
Don Marella fin dagli anni
’30 con alcuni volontari
aprì mense, accolse orfani
e abbandonati, raccolse indumenti
e cibo; e quando
un gruppo di donne volenterose
e disposte a vivere in
comunità lo affiancarono,
diede vita ad una Congregazione
religiosa, sotto la
guida di Caterina Elkan,
un’ebrea convertita e con
la Regola del Terz’Ordine
Francescano.
Proprio a Caterina Elkan
S. Agata F. dedicò l’istituto
scolastico (oggi purtroppo
tenuto in stato di abbandono).
La mostra documenta
in particolare il legame
tra Padre Marella e
S. Agata Feltria.
A S. Agata infatti nel 1950
don Marella fondò una Colonia Agricola
nel Convento di San Girolamo, dove
istituì anche un ritiro per ragazzi non
abbienti, nonché una Scuola di Arte e
Mestieri. L’Opera di padre Marella rimase
a San Girolamo, sino al mese di
giugno del 1972. Oggi il suo ricordo è
vivo a Bologna, in Emilia e in tutte le
regioni dove operano le case da lui fondate.
La mostra organizzata dal Comitato
per i beni culturali di S. Agata è un
ricordo, e una testimonianza all’uomo e
al suo messaggio di carità.
Finalmente ci siamo riusciti. La mostra su Don Marella programmata da
molto tempo, seppure in maniera ridotta, è oggi aperta e visibile in piazza
Garibaldi a S. Agata Feltria. Dopo il no del Comune all’utilizzo della sala
mostre di Palazzo Celli, Curia e Parrocchia hanno messo a disposizione un
ambiente a pianterreno nel palazzo Valli. Vi aspettiamo.

La Rocca
Lo scorso 28 febbraio, ad Albona
d’Istria, oggi Labin, per iniziativa
della Comunità degli italiani e
del Circolo Culturale Istria di Trieste, si
è tenuta una cerimonia per ricordare le
185 vittime della tragedia mineraria avvenuta
quello stesso giorno del 1940.
Nell’occasione è stato presentato il libro
“Arsia 28 febbraio 1940” che ricostruisce,
con una ricca documentazione inedita,
quella che è stata a tutti gli effetti
la più terribile tragedia mineraria italiana.
A Marcinelle, in Belgio, nel 1956
le vittime provenienti dall’Italia furono
centotrentasei. Tenuto conto che l’Istria
Tavolicci, frazione del comune
di Verghereto posta all’incrocio
tra le province di Pesaro, Arezzo
e Forlì, cui appartiene, era una minuscola
comunità contadina costituita da
un’ottantina di persone raggruppate in
non più di dodici famiglie. Il piccolo
borgo viveva in uno stato di quasi totale
isolamento, raggiungibile soltanto
attraverso impervi sentieri e mulattiere.
Durante la guerra Tavolicci si venne a
trovare nel territorio operativo della Linea
Gotica.
Il 22 luglio del 1944, soldati della
Wehrmacht, in collaborazione con alcuni
reparti italiani della Guardia Nazionale
Repubblicana, raggiungevano
l’abitato e, dopo aver sparato e lanciato
bombe dentro le case in fiamme, fucilavano
gli uomini e massacravano il
resto della popolazione. Il bilancio fu
drammatico non solo per il numero
delle vittime – 64 – ma anche per l’abbondanza,
fra di loro, delle donne (25)
e dei bambini sotto i dieci anni (19),
segno di un massacro indiscriminato.
Ancora oggi, fra l’altro, privo di una
spiegazione esauriente e protetto dalla
reticenza dei sopravvissuti e della ricostituita
comunità, chiusa nel dolore e
nel silenzio. Tavolicci, infatti, nel luglio
1944, non rivestiva alcuna importanza
di rilievo dal punto di vista militare e
per il suo evidente isolamento e per il
blando rapporto con i gruppi partigiani
operanti nella zona. Nonostante questo
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Anche un santagatese vittima
della tragedia mineraria di Arsia
Tavolicci
non appartiene più all’Italia, per effetto
del Trattato di pace del 1947, la disgrazia
è stata in pratica dimenticata.
Ad Arsia, oggi appartenente alla Croazia,
persero la vita, fra gli altri, anche
minatori originari della Valmarecchia
che si erano trasferiti in Istria, dove erano
offerte migliori condizioni di lavoro.
Presso il Museo popolare di Albona
(Narodni muzej Labin), è stato custodito
un fascicolo in cui è rilegata tutta
la documentazione sulla sciagura del 28
febbraio. Dall’elenco delle vittime risulta
che i minatori deceduti, provenienti
distacco dalla resistenza locale, lo stesso
Mussolini, in una lettera indirizzata all’ambasciatore
tedesco in Italia, Rahn,
giustificava la strage, per un supposto
aiuto dato ai partigiani.
«La frazione di Tavolicci è stata completamente
distrutta dalle SS tedesche che
hanno ucciso oltre 70 persone; donne e
bambini sono stati bruciati insieme alle
case mentre gli uomini venivano uccisi
a colpi di arma da fuoco. Da fonte sicura
è risultato che la rappresaglia è dovuta
alla iniziativa di un maresciallo delle
SS germaniche in quanto in altra epoca
in detta frazione avrebbero trovato asilo
elementi ribelli».
Neppure l’individuazione del reparto
responsabile ha aiutato a far luce sull’episodio.
Documenti tedeschi, segnalano
la partecipazione di tedeschi
e italiani, mentre gli archivi italiani
rivelano la presenza sul territorio, nei
giorni della strage, di un distaccamento
di SS italiane provenienti da Sarsina
e di soldati della GNR di Sant’Agata
Feltria. Un’ipotesi, sinora ritenuta attendibile,
addita proprio questi ultimi
soldati, colpiti da un attacco partigiano
alla loro caserma il 2 aprile 1944, come
gli autentici responsabili dell’eccidio: si
tratterebbe dunque di una rappresaglia,
organizzata da soldati fascisti desiderosi
di vendicare sui civili la morte dei loro
commilitoni. [f.p.]
Tratto da “Percorsi della memoria”
BC 2005 Bologna
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dalla Valmarecchia erano:
Francesco Alessi, nato a Pennabilli il 25
gennaio 1912; Primo Antonini, nato a
San Leo il 22 gennaio 1907; Giovanni
Guerra, nato a San Leo il 5 aprile 1907,
Salvatore Crudi, nato a Mercatino Marecchia
il 21 marzo 1896; Primo Manuelli,
nato a Mercatino Marecchia il
6 luglio 1910; Primo Lombardi, nato
a Urbino il 5 gennaio 1895 ed Emilio
Mosconi, nato a Sant’Agata Feltria il 17
gennaio 1909.
Tratto da un articolo di Aldo Viroli
apparso su “La Voce” del 31 marzo 2008
Maggio/Giugno 2008 Maggio/Giugno 2008
SOTTOSCRIZIONI
Sabba Ulderico, Sant’Agata Feltria
Ristorante Perlini, Sant’Agata Feltria
Para Paola, Sant’Agata Feltria
Cleo Daniela, Sant’Arcangelo di R.
Torri Sandra, Sant’Agata Feltria
Rossi Daniele, Sant’Agata Feltria
Giovanetti Renzo, Pesaro
Vicini Leda, Sant’Agata Feltria
Flenghi Marta, Sant’Agata Feltria
Ristorante Ciccioni, Pereto di Sant’Agata
Para Lorenzina, Pontemessa
Bartolini Virginia, San Donato di
Sant’Agata
xxx
La mostra di nonna Lucia
in via Battelli
Durante l’ultima Fiera Nazionale
del Tartufo, in via Battelli, nella
cantina del palazzo Farini,
(sicuramente poco segnalata e pubblicizzata),
nonna Lucia Giuliani, aiutata
dalle figlie, ha allestito una rassegna di
bambole, tutte rigorosamente abbigliate
come in un defilé di gran moda.
Gli abitini delle bambole, tutti opera
dell’estro e della fantasia di nonna Lucia,
avevano come sfondo l’imponente
sagoma della nostra Rocca Fregoso, una
copia perfetta, un colpo di genio dell’artista
Nazzareno Flenghi, coadiuvato
dalle figlie di nonna Lucia: Maddalena,
Veronica e Monica. Se pur trascurata
da chi gestisce la fiera, la mostra è stata
visitata da oltre 2000 persone e 1300
hanno firmato il registro delle presenze,
ammirati dagli abiti, uno diverso dal-
ELEZIONI POLITICHE 2008 - CAMERA
SEZIONI
PD
Veltroni
Italia
dei
Valori
Di
Pietro
Sinistra
Arcobaleno
Bertinotti
Altri Unione
Sinistra Critica,
P.C. dei Lavoratori
Partito Socialista
l’altro, di questa “Sfilata di stelle” (così
Lucia ha intitolato la sua rassegna), e
il sorriso delle nonne, delle mamme e
dei loro bimbi, hanno reso felice questa
nonna che si è sentita così ripagata dallo
sforzo sostenuto.
Iniziative come queste dovrebbero venire
sostenute, invece vengono sistematicamente
snobbate dagli enti preposti,
vuoi perché non sanno valutarne il valore,
vuoi per semplice ignoranza.
Oggi la cultura, la diffusione della cultura,
non viene presa in giusta considerazione,
si pensa più a far cassa che ad
acculturare i giovani e poi ci lamentiamo
di ciò che succede nel mondo.
Se questo accade in un paese piccolo
come il nostro… figuriamoci…
Benito Nalin
di
Centro
Casini
PDL
Berlusconi
Lega
Nord
Bossi
La Destra
Santanchè
Botticelli Cassio, Sant’Agata Feltria
Botticelli Manuela, Rimini
Botticelli Cristiana, Rimini
Botticelli Margherita, Roma
Paci Renzo, Sant’Agata Feltria
Rinaldi Nello, Sant’Agata Feltria
Paci Luciano, Sant’Agata Feltria
Ricci Luigi, Limbiate
Cappelli Armando, Sant’Agata Feltria
Cappelli Silvia, Sant’Agata Feltria
Bartolini M. Grazia, Sant’Agata Feltria
Garattoni Ferdinando, Sant’Agata F.
Valli Decio, Sant’Agata Feltria
3
Altri
PLI
Unione Dem. Cos.
FN
Aborto no grazie
Per il bene Comune
S. Agata 1 124 17 9 1 + 1 + 1 37 99 36 20 1+1+0+2+0
S. Agata 2 151 18 10 4 + 2 + 2 45 138 40 14 0+0+0+4+0
S. Donato 85 4 7 1 + 3 + 0 13 56 20 6 2+0+1+3+2
Sapigno 138 12 15 1 + 2 + 0 10 67 20 13 2+0+0+1+0
P. Guidi 56 3 1 1 + 2 + 1 10 10 28 7 1+0+0+0+2
Pereto 69 9 1 1 + 2 + 0 16 16 74 6 1+0+0+2+1
Totale 623 63 43 9 + 12 + 4 131 432 129 58 7+1+1+12+5
% su
voti validi
39,94% 4,04% 2,76 1,60% 8,40 29,62 8,27 3,72 1,65%
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Borghesi Teresa, Sant’Agata Feltria
Sergio Lolletti, Forlì
Ada Bartolini, Verucchio
Paolo Antimi, Vezzi Portio SV

La Rocca
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Pirro Ricchi da Mercato Saraceno a S. Agata
Lo storico ravennato
Piero
Raggi ha rintracciato
e ci ha fatto
pervenire un biglietto
da visita con foto (v.
immagine in questa
stessa pagina) di Pirro
Ricchi, che risulta
essere stato Segretario
Comunale di S.
Agata Feltria. Il gesto
dell’amico Raggi è un
invito a saperne di più
di questo personaggio
del passato. Ecco allora
cosa è emerso dalle
nostre ricerche. Pirro
Ricchi era originario
di Mercato Saraceno. Nel 1897 fu tra coloro che accolsero
il proclama di Ricciotti Garibaldi, che Antonio Fratti lesse a
Forlì per reclutare volontari per la guerra greco-turca. Pirro
partì da Ravenna con altri 46 volontari romagnoli di fede garibaldina.
La sua avventura durò poco perché un mese dopo
fu firmato l’armistizio tra Grecia e Turchia, e dovette così fare
ritorno in Italia. Dell’epopea filo-ellenica dei risorgimentali
romagnoli rimase il ricordo di un gruppo chiassoso e gioviale,
che – dicono gli storici - sembrava prendere parte ad una
scampagnata anziché ad un’azione pericolosa di guerra. Un
ricordo funestato dal lutto per la morte di Antonio Fratti “caduto
come un eroe di Sparta per la libertà della Grecia” (si
veda su quest’ultimo la lapide nel loggiato del Comune di S.
Agata).
Altre notizie su Pirro si trovano nel bel libro che Edoardo Turci
dedica a Mercato Saraceno (“Storia di Mercato Saraceno”, Ed
il Ponte Vecchio, 2003), dal quale si apprende che Ricchi era
un dirigente repubblicano, seguace della “religione” di Mazzini,
fieramente avverso alla Chiesa (al punto che prendere
parte ai riti religiosi era motivo sufficiente per l’espulsione dal
partito). Nel 1900 lo troviamo Presidente del circolo “Giuseppe
Mazzini” di Mercato Saraceno. Sotto la sua Presidenza fu
inaugurata la Casa repubblicana di Mercato nel Foro Boario
(5 novembre 1905). Ricchi dovette avere dei rapporti stretti
con il santagatese Francesco Buffoni che fu invitato dai repubblicani
di Boratella ad inaugurare nell’ottobre del 1906 la casa
repubblicana.
A S. Agata visse diversi anni, esercitando l’attività di Segretario
comunale, e frequentando il locale “Gabinetto di Lettura” e la
Società di Mutuo Soccorso. Il nostro giornale ha già fatto cenno
a lui nel 2003 quando è stata pubblicata la storia di Don
Carlo Bonaccorsi, sacerdote controverso che all’inizio del ‘900
si trovò a reggere in via provvisoria la Parrocchia di S. Agata
Feltria generando molti malumori. Nel 1903 Don Bonaccorsi
scrivendo al Vescovo sulla situazione in paese aveva sostenuto
che contro di lui era in atto una vera strategia allo scopo
di allontanarlo. A guidare la cordata a lui contraria sarebbe
4
stato proprio il Segretario
Comunale Pirro
Ricchi, che egli definì
“nemico di Dio, di
Gesù”, un uomo che
“si vergognava di essere
stato battezzato”.
Don Bonaccorsi per
rispondere alle accuse
che da più parti
gli venivano mosse,
nel gennaio 1908
scrisse un libello nel
quale definiva l’Assessore
marco Para
come “il piccolo Zar
di S. Agata” e il nostro
Ricchi come un
minuscolo “Pier delle
Vigne” (come il lettore ricorderà Pier delle Vigne era il politico
al servizio dell’imperatore Federico II, reso celebre da Dante
Alighieri). In particolare don Bonaccorsi sostenne che fu Pirro
Ricchi a spingere i soci del Mutuo Soccorso di S. Agata
a pronunciarsi ufficialmente contro la sua presenza in paese.
A seguito di quella decisione del Mutuo Soccorso anche la
Giunta Comunale si pronunciò per l’allontanamento di Bonaccorsi
dal paese. E anzi giunse a vietare qualsiasi processione
se guidata da don Bonaccorsi. Alla fine il braccio di ferro tra
Ricchi, e don Bonaccorsi però fu vinto da Ricchi, e il sacerdote
fu costretto nel 1909 a far affiggere in paese dei manifesti di
“formale, spontanea e pubblica ritrattazione”.
Mi auguro che queste note frammentarie stimolino qualcun
altro a fare una ricerca nell’archivio storico comunale per saperne
di più. G.D.
Appello per le strade
L’appello rivolto al Prefetto ha funzionato. La percorribilità
della strada per Novafeltria è notevolmente
migliorata. Ecco il testo dell’appello che
200 cittadini di S. Agata Feltria hanno firmato, dopo che
richieste precedentemente rivolte alle autorità locali e alla
Provincia di Pesaro si sono rivelate inutili.
Egr. Sig. Prefetto, Facciamo presente che lo stato in cui si
trova la strada provinciale S. Agata Feltria – Novafeltria è di
grave pericolo per la sicurezza di chi la percorre. Frane sulle
quali non si interviene adeguatamente, buche e avvallamenti
rendono problematica la guida agli automezzi (automobili,
pullman, camion, scooter…), e alle persone che li guidano.
Dopo aver inutilmente fatto presente la situazione alle Autorità
locali e provinciali competenti, ci appelliamo a Lei, nella
veste di rappresentante del Governo centrale nel territorio
della provincia, affinchè la strada torni ad essere percorribile
senza pericolo. I cittadini di S. Agata Feltria.
Maggio/Giugno 2008 Maggio/Giugno 2008
Martignòn !!! La trimèva
la pora geinta: “Ma chèsa!”
la giva mi burdèll la mà da s’ l’èra.
È prit ad sam Martèin
u’ s fèva è sègn dla cròcia.
Dò per dò i camnèva
s’ì muschètt a tracòla
quatèr carabignir, l’èra ormai nòta.
Lò Martignòn, è bandit,
l’èra masèt t’la machia;
un lup da cima è Mònt
è fèva còm’un lamènt
che è pareva d’un òm
e ui arspundeva i chèn
d’ la Corta ed’ Chempròss.
Dentra i stalett al trimèva al pigre
ch’a gli èra me sicur.
Còm un lup, lò e’ fugiva
i fantèsmi di mort ad Sandunèt.
E cmincèva a bufé:
per la strèda’d Pedmònt,
l’èra già nòta, a tradimènt è fò
culpit al spali: l’èra i su’ stéss cumpagn.
Abandunèt sla strèda
forsi è d’mandè pietà prima ‘d murì
m’e’ nost Signor. Sla cròcia
Crèst l’èva perdunèt mi su sichèri.
Cùm l’era bèla c’la burdèla
cl’a pùrteva a bè i bùa,
ma l’èbie ad Maien.
L’ai tnèva pea la cavèzza
e la v’niva aventa, pièn pièn;
la’ièva i pia schèlz
e la mota lai pasèva tra’l dite.
Ma dòs la ièva una gabèna
logra de su bà. Parò cum la mav’deva,
la ridiva, si su bèi dint,
rèd davente t’la pèrta at ciòra;
al su guèncie e e su barbet
i fèva tre fusette
bele, che lìi deva un bèl culor
e la su riseta la fèva e stess armor
dl’aqua d’la surgenta
c’la scapèva dè còp.
I su occh i brilèva da là cùntantezza
che è còr ui dèva,
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Martignon
di Alvaro Masi
Martignon !!! Tremava
la povera gente: “In casa!”
diceva ai bambini la mamma che era sull’aia.
Il parroco di San Martino
si faceva il segno della croce.
Due a due camminavano
con i moschetti a tracolla
quattro Carabinieri, era ormai notte.
Lui Martignon, il bandito,
era nascosto nella macchia;
un lupo dalla cima del Monte
emetteva un lamento
che assomigliava a quello d’un uomo
e gli rispondevano i cani
della Corte e di Caporosso.
Negli ovili tremavano le pecore
che erano al sicuro.
Come un lupo, lui fuggiva
i fantasmi dei morti di San Donato.
Cominciava a nevicare:
per la strada di Piedimonte
quando era già buio, a tradimento fu
colpito alle spalle, erano i suoi stessi compagni.
Abbandonato sulla strada
forse chiese pietà prima di morire
a nostro Signore. Sulla croce
Cristo aveva perdonato i suoi sicari.
L’èbie - La pila
di Riziero Angeli
Com’era bella quella fanciulla
che portava a bere i buoi,
nella pila di Maiano.
Li teneva per la cavezza
e veniva avanti, piano piano;
aveva i piedi scalzi
e la mota gli entrava tra le dita.
Addosso aveva una giubba
logora di suo babbo. Però appena mi vedeva
rideva, coi suoi bei denti,
radi davanti, nella parte superiore;
le sue guance e il suo mento
formavano tre fossette
belle, che le davano un bel colore
e la sua risata faceva lo stesso rumore
dell’acqua della sorgente
che usciva dal coppo.
I suoi occhi brillavano dalla contentezza
che il cuore gli dava.
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La Rocca

La Rocca
Maria Cappelli ci ha inviato una foto che ritrae il nonno Federico
Cappelli (a 87 anni suonava ancora la chitarra).
FOTOCRONACA
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Maggio/Giugno 2008
Maria Cappelli ci ha inviato una foto che ritrae il nonno Federico Cappelli (a 87
anni suonava ancora la chitarra).
la Chiesa di San Donato nel 1941
Nello Rinaldi ci ha inviato una foto che ritrae da sinistra tutti i fratelli del babbo di Nello:
Lazzaro, Egisto, Agostino ed Elisabetta Rinaldi. Anni ‘30.
Maggio/Giugno 2008
Dalla Tripolitania
Sant’Agata Feltria. Reduci dalla Tripolitania, con l’automobile
che fa servizio da Svignano di Romagna al
nostro paese, giunsero ieri circa alle ore 20 i soldati
Bonoi Mario , Vicini Luigi e Simoncini Luigi della classe del
1888, ed appartenenti al glorioso 93.0 fanteria.
Furono accolti da immenso popolo che faceva ressa intorno
alla vettura, dal canto di fanciulli e fanciulle e dal suono della
musica cittadina. A stento si potè giungere in corteo al paese
che fu percorso inneggiando all’Italia, all’esercito ed ai valorosi
giovani, sotto una pioggia di fiori e di cartellini tricolori,
e si sostò dinnanzi al Comune. Dal direttore delle scuole, sig.
Antonio Gualdrini, e da alcuni giovani furono pronunciate le
parole di saluto, di lode e di plauso ai reduci, inspirate tutte
a caldi sentimenti patriottici.
articolo tratto dal “Giornale del Mattino” del 14 maggio 1912
Un sabato pomeriggio del 1965.
“Dove ci ritroviamo domani?
Sentiamo con la Carla?”
“No, c’è sua mamma a casa..” Durante
i weekend invernali degli anni ’60, la
gioventù santagatese si incontrava nelle
case di alcuni ragazzi o ragazze quando
i genitori non erano presenti, per ascoltare
musica, ballare e stare assieme. Ma
spesso e volentieri capitava che la mamma
o la nonna rimanessero sedute in un
angolino a controllare la situazione e
sorvegliare le ragazze.
Giunse poi la voce che era disponibile
una stanza sotto “il voltone” di Via
Giannini, e ad alcuni ragazzi venne
l’idea di utilizzarla come luogo per ritrovarsi,
senza dover ogni volta chiedere
in prestito la casa a qualcuno, e magari
doversi svagare sotto gli occhi vigili delle
mamme all’erta.
xxxx
Fu allora che nacque l’“Happening. Lì
non c’erano questi problemi, perché
l’ingresso era severamente vietato agli
adulti! La stanza venne così tappezzata
di giornali, sia per insonorizzare
l’ambiente, sia soprattutto per rendere
“cool” quell’ambiente che all’epoca era
veramente all’avanguardia! Divenne
per i giovani un ritrovo intimo e allo
stesso tempo l’atmosfera accattivante lo
rendeva, a suo modo, ribelle e un po’
trasgressivo: cuscini in terra, divanetti,
luci soffuse, create dalle abat-jour
puntate contro il muro a mo’ di luce
psichedelica e dal fumo di sigaretta. E
poi la musica della radio (amplificata
collegando il segnale dell’altoparlante
con l’amplificatore del basso), dove si
ascoltava la Hit Parade oppure Gianni
Boncompagni e Renzo Arbore su Bandiera
Gialla. Ognuno aveva il suo com-
7
La Rocca
Solite discordie
Sant’Agata Feltria. Nello scorso marzo, la Curia Vescovile
di Pennabilli, indiva un concorso per la parrocchia
di S. Agata per rinuncia fatta dello stesso Economo
spirituale, certo Don Carlo. Il popolo accolse questo fatto
con vero entusiasmo, perché tutto ciò veniva a togliere la
fonte principale delle continue discordie, che da tanto tempo
dilaniano questo paese.Ma il nostro caro D. Carlo, a dispetto
dei Santagatesi, non lascia né la parrocchia né il di
lavoro all nostro ospedale ove gli vennero praticate le prime
cure. L’infelice versa in pessime condizioni.
Nello stesso luogo poche ore dopo l’accaduto, vennero a
diverbio due giovani operai, uno dei quali, certo Ugolini
Michele estratto un coltello , ferì un minatore accorso per
quietare i due giovani paese. Ai ricorsi, alle istanze dei paesani
il Vescovo piange, e mons. Vicario pare una tigre e infuria
come Giove tonante e… e nulla di più!
Cronaca triste- Ieri circa le 8 ant. certo Rinaldi Mauro bracciante-minatore,
mentre stava lavorando nella strada che
dovrà congiungere il nostro paese colla Romagna, per lo
scoppio di una mina venne colpito al cranio da un grosso
macigno. Il disgraziato venne raccolto e portato dai compagni
forsennati.
articolo tratto dal “Giornale del Mattino” del 14 maggio 1912
L’ “Happening” santagatese
pito: “Fabio, tu porti il giradischi” “Tu
Enzo ricordati l’amplificatore” “Walter,
porti tu le birre e le coca-cole?” “Maurizio,
mi raccomando il registratore!” E
così Maurizio registrava le canzoni che
Gino, con il suo orecchio musicale e la
sua “Meazzi”, trasformava in partiture
per poter poi far le prove con “I Timidi”.
E naturalmente le ragazze, la Fiorella,
la Wally, la Donatella, la Grazia, la
Gabriella, che tra un lento e uno shake
trascorrevano quei pomeriggi ballando
tra loro e con i filarini o ascoltando gli
ultimi successi dei Beatles, dei Rokes, e
dei Dik Dik che velocemente stavano
soppiantando gli ormai vetusti Dallara
e Modugno.
Emanuela Liverani
(da un racconto dei suoi genitori)

La Rocca
L’era e tèmp de front. Aiaveva ott
ann e mez. Andeva ma la scola
te palaz de Cumun ad Surbèn; a
feva la terza elementera. E mi maestri
l’era e pori Andrea Versari ad Sàrsna,
cu saria pu advantet Generèl ad Brigata
dl’Esercit Italièn.
L’aveva, allora, vintitri enn.
Uz’giva spess ma nun sculèr, che uvleva
lascè la scola par pudè fè carriera militèra,
e acsè un fet, fin a meritès la mudaja
d’argent me valor militèr.
Dop la scola arturnèva a chesa a pè,
passand par un santèr cuiè ancora, custeggèt
da una selva ad spèn bienc che
quand i’era in fior l’era ‘na belezza avdè
e i mandeva un’udor che mai; tutt una
salida, che dalla Funtanaccia la porta,
in mez’ora, ma la Cassandra. Un borg
ad chèsi puretti, a meza costa di Mungiol,
t’la Parochia ad Surbèn, che da dusent’ènn
agli era stèti tirate su sla mota e
sa di sess ad fium, purtet su si mull.
Ui stèva sètt famèie ad cuntadèn e dò
padrunèli. Ancora i’inglis e i’americhen
iera adlà dall’aipa (in Tuschèna). Ma
Cadcandoif ad Muntpedri, i tedesc iaveva
pustèt una bateria ad cannun antiaerea.
Par mis e mis, ogni vòlta cu’santiva l’armor
(anca sun’s’avdiva) dun aeroplano
a passè sovra la nostra zona, te càdèn
de Savio fra Sàrsna e Muntcastel, chi
cannun i spareva pr’aria dal granati par
butèl giò.
Argl’i’arveva te cèl ad una certa altezza
e al sciùpèva s’una gran bota e mentri
a’lasù us’avdiva dal nuvletti bienchi, par
tera, tra al pianti e tutt’intorna as’santiva
una piogia ad scheggie cal cascheva
da partutt e lis’infilèva tla tera una spana
sotta.
I mè genitor i’era sempre te chèmp par
fè al faccendi: sappè e grèn, custodì al
viti, intricèli, dèi è sulfat e tant elt lavur.
Mu me, dop fat i compit, um’tuchèva
badè al pigri cl’in’andes a fe de dan.
IN ROMAGNOLO
“E’ Ramiròn” – Il Lamierone
Massimo Scarani ci ha inviato questo racconto di Stefano Giannini che si riferisce ad
un episodio del passaggio del Fronte (1944) quando i Tedeschi da Montepetra colpirono
un aereo inglese che andò a cadere dalle parti di Sapigno.
An’avemi sol dò e du agnel, ma u’iera
da stè attènti listess.
Appéna che i cannun i cmanzeva a sparè
ma’i aeroplani, ànca se i era elt che mai,
mè a scapèva a chèsa par la gran paura
cum feva cal scheggi cli’santiva a fisciè
quand agliavniva giò.
Ièva voia i mè a dim cu’n’gnera pericle,
caieva da ristè e che l’era un chès sovra
mèlla che una scheggia la’m fuss cascheta
propria ma doss.
Però me ancora ogg ansò di se lor, e ènca
dielt cuntadèn, iera di curagius a ristè
all’apert dòchiera o l’era d’incusciènt;
parchè al scheggi al cascheva davvera!
Infatti in chi dè an raccuièt un calcedri
pin; tra znini e grosi, al sarà stèti quing
chèl. A’gliò tnuti tla suffetta fin’altran.
All’ora, vèst che ogni volta a lasceva al
pigri sciolti e a curiva a chesa, e mi bà,
bonanma, um fet un cappanèl sotta e
ciares gross (l’era un ciares grand come
una rora, u feva dal ciarise muroni grosi,
grosi e dolci cum è mel) e ul cuprèt
sun’ramiron ad lata.
Un dè, l’era vers agl’ong e mezz, una bèla
giurnèta ad sol, tun mument us’santet
un’armor d’aeroplano cu’v’niva da Samper
vers nun. I cannun da Munpetri i
cmanzet a sparè dal gran cannunèti che
è cèl u’dvantet subit pin ad nuvletti tondi
e bienchi.
Me a curret subit te capan sotta e ramiron.
U’cmanzet a caschà al scheggi tutt’intorna,
lis’santiva a piov sovra al pienti.
E mi Bà e la mi Mà i’era te fond de
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canter làrg, de mez, chi zapèva e grèn,
e a lè i ristet.
A lè sotta, arparèet de ciarès e da e ramiron
am santiva sicur. Invece, poc dop,
mèntri l’aeroplano (a’savesmi po’ che
l’era un ricugnitor americhèn e pilota
un canades) u vuleva sovra Sarsna, no
tant’alt, u’santèt giù me ciaris un fisch, e
tun mumènt una scheggia lerga quattar
diti, s’una gran sleppa la furett e ramiron
e las’piantèt par tera passand sun
sèbil a una spana da la mi testa.
Alora me, terrorizet, sa di gran rugg, a
curret cumè’un levri a chesa ad Luisèn,
l’era un cuntadèn d’Inofri che l’aveva set
fioli femne, tutti burdeli a schela, la più
granda l’aveva 13/14 enn (Par curiosità
al fioli als’ciamèva: Taresa, Cisira, Delina,
Maria, Vincènza, Rusina, Adriana).
Lor i’era arparèt tut ad chesa.
Mè e cal burdeli, spaventèt ma curios, a
guardesmi da la finestra te ciel, mèntri
l’aeroplano l’era sovra la Giesa ad Armagnèn.
Al cannunati al rampiva l’aria.
All’impruvvisa , te mez ad’cl’inferni ad
boti, avdèsmi l’aeroplano a fè de fum
ner e a sbassès tut da secc e tun’mumènt
u caschet lascand una stressa ad foc.
U’s’sciantet par tera fra do chèsi luntèni
da nun un kilometro in linea d’aria,
sovra e foss ad Gambon tla parocia ad
Sapègn.
Intènt de cel uvniva giò, pien pien, un
gran paracadut biènc. U’iera e pilota
tachèt. Allora avdèsmi ben che vers’lu
i spareva, sampri da Monpèdri, s’la mitraglia.
Us’avdiva bèn parchè al paloti al lasceva
una tracia luminosa rossa. A capismi
subit, maravièt e sgumènt, che e pori
pilota il’vleva mazè. E acsè u futt. Una
vera barbaria!
Intènt l’aroplano us bruseva. U duret a
brusè tut e dè e tut la nota.
Dop a savesmi che un cuntadèn de post,
urvet te foss ando’clera caschet e pilota
prèma di tedesch e u’vdet che l’era
mort. Allora u taiet a pezz e paracadut
par pudè fè di lanzol pre lett.
E post pracis do’cu’caschèt l’aeroplano
l’è ciamèt e puder dl’inferni.
Maggio/Giugno 2008 Maggio/Giugno 2008
(seconda e ultima parte)
E
così fuggendo verso Riomaggio
(quel ruscello che viene dai monti
della Cella) eglino allorché lo
videro di sì gran velocità correre, vicendevolmente
ci spararono dietro 14 stiopettate
senzachè, per grazia del cielo, ne
venisse mai colpito fuorché da una palla
di sbiascio accanto un orecchio.
Nullostante con tutta vermenza dell’intrapreso
suo corso, montando sù
per Terra rossa, vocabolo di quel fondo
da cui si và verso Rosciano, giunto su
quel pianaretto che ivi si trova, fermossi
alquanto sia per pigliar un respiro, che
per vedere se gli venivan dietro i satelliti;
quand’ecco, che appena fermato e
fissato l’occhio nella sbirraglia, i quali
ci eran venuti dietro un pezzo, sentissi
d’improvviso fischiare una palla accanto
la testa. A questo sibile tutto si atterrì,
e fece atto di cadere a terra, ma perchè
non venne colpito in nessuna parte, incontinente
sen fuggì.
Eglino, che di continuo c’aveano l’occhio
addosso, quando videro quello
schiamazzo credettero che fosse restato
colpito e caduto tramortito per terra:
corsero a tutta possa in quel luogo,
ma ce lo hanno ancora da trovare. Così
confusi e rimasti con tanto di naso, sen
ritornarono via, e andarono alla Tomba
dove il loro Caporale gli attendeva,
avendo ancor egli veduto tutto il successo.
Quivi giunti si reficiarono alquanto, e
rendute poscia le dovute grazie al Signor
Antonio Baldassarri, se ne partirono pel
suo destino. Dopo alquanto spazio di
tempo Battistella ritorna a casa: ma verso
il meriggio nel tempo che attendeva
a mietere il suo grano, credendosi già
d’esser sicuro per allora, ed era nel campo
presso la fossa del Molino, quando,
alzando un momento la testa, di bel
nuovo si vidde circondato e attorniato
da un’altra Squadra (di Bagno).
Perilchè vedutosi al improvviso in tal
modo nuovamente rinserrato in mezzo
senza poter essere avvisato da nessuno,
disse: “Vè vè, oh anime f. che possano
A CURA DI F. VICINI
Batzin contro Napoleone
essere ammazzati: sono qui un’altra volta!”.
E nel dir così saltò via anche allora
dal mezzo di essi, che né anche questi lo
poterono arrestare: ma nel fuggire, dalla
gran velocità del corpo ch’avea preso,
diede inavvedutamente una tal panzata
in un portone aperto, cui li diede un
tal urto a respinta, che lo portò indietro
quattro o cinque passi, quasi riportandolo
presso i seguaci sgherri: allora già
si tenne per preso, e disse: “Oh mo sì,
che ci sono!”.
Ma in un subito riavendosi, non se gli
fermò certo le mosche sulle gambe, che
di volo si può dir, più che di galoppo
saltò lesto lesto il guado, e fuggì egli
verso la busca del Fanante, quà nella
parte di Sapigno.
Vedendo essi ancora vano ogni loro attentato
che, quantunque avessero corso
molto era nondimeno impossibile poterlo
arrivare; gli spararon dietro anche
loro molte stiopettate, ma non lo colsero
(Volevano dir che portasse indosso
qualche segreto per sua illesione, ma lui
forte negava), parimente ci attizzarono
dietro un cagnolo che seco loro avevano,
il quale avendolo assalito oltre la
detta busca del Fanante, e sentendosi
da quello morsicar le gambe, a tal atto
gli diede un colpo con il coltello che teneva
in mano, e dalla fretta e velocità
del correre, non pose mente se venisse
colpito sì o nò; ma restò ferito e morto,
perché non ritornò più. Seguendo
egli più che di galoppo il camminare,
quandochè giunto fu a dritto Gambaccio,
avendo però sempre tenuta la via
del Fanante, ed essendo dico giunto
in quel luogo detto, “l’acqua sotto”, fu
incontrato da Dom.co Pandolfi di Savignano,
gli disse: “Cosa hai fatto, che
hai il coltello insanguinato?”.Lui rispose:
“Non ho fatto nulla”. “E come nulla,
se hai insanguinata la cortella?”.“Ho
ammazzato un animale”, così egli allora
soggiunse. Diffatti, se non s’incontrava
in lui, non si era accorto ch’avesse il
coltello in mano, e che fosse nemmeno
insanguinato.
Fermò quivi il corso, e l’uno l’altro salutandosi
senz’altro dire, cominciò allo-
9
La Rocca
ra a camminar di buon passo, e giunse
fino a Casaibone, casale nel territorio di
Majano sopra la Marazzana, indove ci
aveva i suoi parenti, e vi stette alquanti
giorni. Di poi non si fidava di ritornare
tanto sovente a casa, ma ci veniva rare
volte, e vi si fermava poco, ma fuggitivo,
contumace, e refrattario sen vivea
fra boschi e selve agguisa d’uomo selvatico
fiero animale. Durò q.sto modo di
vivere adunque così fuggiasco lo spazio
di sette anni continui, finchè venne poi
un perdono generale a tutti i disertori
dall’anno 1804 in poi, i quali si erano
ammogliati prima o nel tempo della
loro diserzione.
Questo generale perdono fu concesso
mediante il parto dell’Imperatrice Maria
Luisa seguito l’anno 1811, di cui il
contenuto era questo: “Che tutti i disertori
dall’anno 1804 erano assicurati
in qualunque luogo, senza essere molestati
dalla forza militare, sotto pretesto
e condizione però, che si andassero a
presentare ai Ragionati in palazzo, per
cassare i loro nomi”. Rappresentossi
Battista Bartolini, e d’allora, cioè dal
1811 in poi fu sempre sicuro, abitò
tranquillamente nell’epoche venture
con la sua moglie e famiglia, non essendo
più molestato da nessuno. Ecco
adunque, che il Bartolini portò vittoria
in questa guerra, non volendo né per
amore né per forza servir Napoleone
infame e scelerato.
Dal manoscritto di Bernardo Docci di
Sapigno riportato anche su “Sarsina Napoleonica”
di Vittorio Tonelli – Grafiche
Galeati, Imola – 1980 (la prima parte
è stata pubblicata a pag. 9 della Rocca,
n.2 2008)

La Rocca
FOTOCRONACA
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Maggio/Giugno 2008 Maggio/Giugno 2008
La commedia vista da Omar Cappelli Feste centenarie della B. V.
di S. Donato
La casa-museo Tavolicci
Mariolino Nalin ha rintracciato un vecchio numero del “Montefeltro”del 1955 dedicato
a San Donato. Enzo Liverani lo ha sintetizzato così per i lettori della Rocca.
I
nostri genitori lo hanno sentito
ripetere dai nonni nelle lunghe serate
invernali quando, fanciulli, si
rifugiavano, prima del sonno, fra le loro
ginocchia.
Non era la solita magica fiaba che affascina
e ha sempre affascinato i bambini
trasportandoli con la fantasia nel
meraviglioso mondo dei sogni; era la
testimonianza di un avvenimento reale
compiutosi davanti ai loro occhi, un
fatto che aveva lasciato tutti pensosi,
poiché si era maturato in maniera così
inspiegabile e repentina.
Nel settembre del 1855 infieriva nella
nostra zona il “Cholera morbus”
che mieteva molte vite specie nella
Parrocchia di San Donato.
Morivano tutti. Il colera bussava a
turno inesorabilmente ad ogni porta
e la rassegnazione a morire era
ormai sentimento comune: fanciulli,
giovani, vecchi erano, raccapricciante
a dirsi, fatalmente convogliati
verso l’irreparabile fine.
Chi poteva fermare l’impeto della
morte?
Lasciamo parlare i nostri avi.
In quei giorni, venne a predicare a
San Donato un Santo religioso cappuccino
(il documento non accenna
né al nome né al convento di provenienza),
che rianimò la fiducia di
tutti e affermò che l’immagine della
B. V. delle Grazie era miracolosa e
avrebbe fatto cessare il Colera, anzi
proferì queste precise parole: «Chi è
morto è morto, non ne morrà più
nessun altro».
Sempre i nostri avi ci additano la
Madonna e con voce emozionata,
tremante dicono: «Dal giorno in
cui noi ci siamo rivolti a Lei supplicandola
di salvarci, il colera ha
cessato di schianto il suo mortifero
dilagare».
Da quel giorno la devozione dei
Sandonatesi verso la Madonna delle
Grazie, divenne sempre più intensa e a
Lei si ricorreva in ogni generale e personale
necessità.
Tre generazioni – cento anni – sono trascorsi.
Cosa dovevamo fare noi per dimostrarle
la nostra filiale riconoscenza?
Ci siamo riuniti in gran numero nella
Canonica e ci siamo proposti di sodalizzare
per la perfetta riuscita dei festeggiamenti
centenari, con il sentimento che
ci consolida fratelli e ci stringe attorno
a Tanta Madre, doverosi di esprimerle il
nostro grazie.
Saluto di
un minatore
alla Madonna
Ave Maria! Quando un dì il colera
solo regnava in questo bel villaggio;
cessò il flagello appena una preghiera
ti volsero i nostr’avi e il loro omaggio.
La vita rifiorì e la speranza
che grande è la tua gloria e la possanza.
Ave Maria! Le campane a festa
a Te osannando squillan come allora;
cantan le tue glorie e le tue gesta
lontan spandendo l’eco, o gran Signora.
Ogni Sandonatese a Te s’inchina,
fedeli ognor t’incoroniam Regina!
Regina Tu sarai dei nostri lari,
ti offriamo i nostri bimbi e i nostri cuori.
Proteggi ovunque vanno i nostri cari.
Conserva i nostri bravi minatori
che van sotterra ad incontrar la morte!
Tornino a sera ai figli e alla consorte.
Quando il cammino avremo terminato
su questa valle lacrimosa e infida,
raccogli il nostro spirto a Te votato,
presso Gesù, Tu ci sarai da guida.
Così sempre felici in Paradiso
Verremo a contemplar il tuo bel viso.
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La Rocca
Abbiamo pensato alla corona
Era giusto che finalmente la regina del
Cielo, la nostra bella Madonna delle
Grazie (delle Grazie, perché ce ne ha
fatte e ce ne fa sempre tante) avesse il
capo sormontato da una artistica corona
d’oro (quella primitiva l’avrebbe disdegnata
qualsiasi regina della terra!).
La preparazione spirituale alla festa, un
numero appropriato di SS. Messe, un
solenne Pontificale del nostro Vescovo,
Mons. Antonio Bergamaschi, una schola
cantorum più affiatata e completa,
formavano le insopprimibili esigenze
della circostanza.
E il corpo bandistico? Siamo sinceri,
non poteva mancare!
L’illuminazione della chiesa, delle
vie del paese e infine, detto tra parentesi,
due fuochi d’artificio dovevano
completare la solennità che
abbiamo voluto fosse degna di tal
nome sotto ogni aspetto.
I ringraziamenti
Il nostro grazie non si limita ai confini
di S. Donato; raggiunge, direi
con slancio particolare, i Sandonatesi
che sono sparsi un po’ in tutta
Italia, non solo, ma varca i confini
della Patria e si estende con effusione
a quelli dell’America, della Francia,
del Belgio, del Lussemburgo.
Tutti hanno risposto al richiamo
materno, tutti hanno contribuito
ad onorare la Madre Comune.
Su tutti la Madonna volga benevole
il suo sguardo e tutti protegga nel
nostro viaggio terreno.
Il Comitato per i Festeggiamenti

La Rocca
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Maggio/Giugno 2008
Percorso turistico consigliato da Enzo
Ristorante “Tre Castagni” – Botticella – “Villa Verde” San Patrignano
Ville di Monte Benedetto – Bivio Monte San Silvestro
Lago Saraceno – “Spuntona” – Ristorante “Tre Castagni”
Dal Ristorante “Tre Castagni”
(alt. 785 mt.) «1», pieni di
brio, ci avviamo verso la restaurata
Fonte del Maestro, (dove vi
consiglio vivamente di bere a garganella…)
e percorriamo la strada provinciale
Santagatese verso Novafeltria, per circa
500/600 mt. fino a Botticella «2». Arrivati
alla pizzeria “il Borgo”, lasciamo la
provinciale ed entriamo nella frazione.
Nel tratto in discesa, notiamo, a destra,
la bella chiesina del borgo; si prosegue
per Villa Verde (Comunità di San Patrignano)«3»,
l’attraversiamo rimanendo
ammirati dalla pulizia e l’ordine dominante.
Sulla nostra destra, si erge, rigoglioso, il
nostro Mont’ Ercole (mt. 938 s.l.m.).
Fatti circa 500 mt. (la strada asfaltata si
è nel frattempo tramutata in mulattiera)
incontriamo un bivio; a sinistra si
prosegue per Torricella e Sartiano, a destra
un viottolo si addentra nel bosco, e
noi, intrepidi, prendiamo quest’ultimo.
I primi 50 mt. sembrano piuttosto difficoltosi,
poi per fortuna, il tracciato
migliora, sempre però in leggera salita.
Si percorre il sentiero in mezzo al bosco
per circa mt. 1500, ed arriviamo ad una
casa abbandonata (o almeno sembra
tale) «4». L’altitudine della località viene
segnalata sui mt. 784 s.l.m.
Alla nostra sinistra ammiriamo la valle
del Marecchia e tutto il gruppo del
Monte Carpegna (alt. 1415 mt.) con
tanti piccoli paesi appollaiati alle sue
pendici: Pennabilli domina su tutti.
In lontananza le sagome inconfondibili
di Maioletto, San Leo e San Marino.
Sotto di noi, nel versante del comune
di Sant’Agata, si fa notare, affascinante,
il borgo medioevale di Petrella Guidi; il
tutto molto suggestivo.
Proseguiamo la stradina per un altro
chilometro circa; il percorso nel frattempo,
più facile da percorrere, è sempre
riparato dal sole grazie alla folta vegetazione.
A destra notiamo un prato, attraversato
da una scorciatoia (potrebbe esserci un
po’ d’erba alta bagnata dalla rugiada,
specialmente la mattina). Lasciamo la
sterrata e prendiamo questa scorciatoia
che ci riporta, dopo circa 100 mt., di
nuovo nel bosco. Il cammino si ripresenta
un po’ più faticoso ma incantevole,
grazie a piante di castagno davvero
eccezionali sia per dimensione che per
magnificenza.
Percorriamo questo sentiero per
600/800 mt. A sinistra appaiono le Ville
di Monte Benedetto (alt. 810 mt.)
«5».
Non entriamo nel paesello, ma proseguiamo
a destra, nel sentiero segnalato
(ma alquanto stretto), che dopo 50 mt.
sbuca nella strada rotabile, detta “Panoramica”,
nei pressi del bivio per Monte
S. Silvestro, quello con le due antenne
RAI.
Fatti 100 mt. di robusta salita, arriviamo
al bivio suddetto. Non incamminiamoci
verso il monte delle antenne,
ma imbocchiamo il viottolo che ci fa
rientrare nel bosco, e dopo 100 mt. abbiamo
il piacere di scoprire un punto di
ristoro, con tanto di panchine e tavolo.
Dopo la meritata sosta, seguiamo l’indicazione
che ci suggerisce la località
“Spuntona”.
Fatti 200 mt. scorgiamo, segnalato da
apposito cartello, il lago Saraceno «6»
(segnalato ma … senz’acqua!) mt 822
s.l.m.
Proseguiamo lungo il comodo sentiero
per circa 1500 mt, accostiamo un ponte
di ferro dell’acquedotto del Senatello e
raggiungiamo così uno spazio aperto,
dove i proprietari hanno provveduto ad
innestare decine di castagni, e da dove
finalmente possiamo rivedere il sole
e il seducente panorama di Sant’Agata
(“…e quindi uscimmo a riveder le
stelle” direbbe Dante… e il mio amico
Migliarini!).
Per arrivare alla “Spuntona” mancano
ancora 200 mt.
La sorpresa che ci attende non è di quelle
che bramavamo fiduciosi: la “Fontana
della Spuntona” «7» non esiste più !!!
Molto rammaricati e alquanto assetati
(…ve lo dicevo prima, di bere a garganella!),
percorriamo, in lieve salita, la
vecchia strada provinciale che, fatti 50
mt. raggiunge la casa di Ivo Masini, ora
abitata da ospiti svizzeri, e dopo 400
mt. ci riporta ai “Tre Castagni”«1» da
dove eravamo partiti circa due ora prima,
e dove finalmente possiamo toglierci
la sete… pagando.
Enzo Liverani