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Morte biomedica e società<br />

Ma al di fuori dell’ambito biomedico, la critica alla ridefinizione del criterio di morte<br />

fu forse ancora più tagliente. Uno dei primi ad avanzare seri dubbi fu il filosofo del<br />

“principio di responsabilità”, Hans Jonas: egli sostenne che, per quanto non fosse<br />

contrario allo sviluppo dei trapianti in sè, ciò che lo preoccupava nella nuova<br />

definizione erano le conseguenze scivolose che un’anticipazione della dichiarazione di<br />

morte avrebbe implicato nell’erosione di quei diritti (umani) che agli ambigui “morti<br />

viventi”, tenuti in vita al solo scopo dell’espianto, non erano più attribuibili. Ma<br />

l’argomento più interessante era quello che si scagliava contro l’identificazione<br />

semplicistica di un criterio biomedico con una definizione culturale di morte, cosa che<br />

avrebbe comportato un grave scollamento tra il sapere normativo e il vissuto della<br />

gente che di esso viveva o moriva. Jonas, riprendendo Aristotele, sostenne che alcune<br />

cose, fra cui la morte, sono sfuggenti ad una definizione precisa, e così devono<br />

rimanere, indefinite (Jonas, 1991).<br />

In molti contesti nazionali, il temuto trauma non si è sentito se non marginalmente 55 . In<br />

pochi altri, invece, esso si è tradotto in un largo dibattito nazionale, dai vari esiti 56 . Lo<br />

studio dell’antropologa Margareth Lock (Lock, 2002) rema a favore dell’importanza<br />

della riformulazione locale di un concetto pensato come universale, nel contesto della<br />

biomedicina di matrice occidentale. Nel suo studio comparato tra Stati Uniti e<br />

Giappone, tra analisi culturalista del dibattito specialistico e mass-mediatico e indagine<br />

etnografica della pratica dei trapianti da donatori in morte celebrale, mostra come le<br />

difficoltà giapponesi ad accettare la (ormai relativamente) nuova pratica chirurgica, si<br />

55 In Italia la morte celebrale è legge dal 1993 (legge 578/93, Norme per l’accertamento e la<br />

certificazione di morte). In base ad essa il momento centrale dell’accertamento della morte risiede nel<br />

rilievo della cessazione delle funzioni dell’intero encefalo. Anche la Chiesa Cattolica Romana ha<br />

accettato questa riformulazione del criterio senza difficoltà. Estremamente rado è stato il dibattimento<br />

pubblico e sporadiche le critiche di specialisti. Una critica recente è quella avanzata dalla storica Lucetta<br />

Scaraffia dalle pagine dell’Osservatore Romano, nella quale ventila le contraddizioni etiche a cui<br />

potrebbe andare incontro la Chiesa Cattolica in quanto storico baluardo del diritto alla vita. Anche<br />

Scaraffia, poi, come Jonas, nota come una definizione tecnica non possa sostituire un dibattito etico di<br />

vasta portata sulla morte e il morire, L’Osservatore Romano, 3 ottobre 2008, “I segni della morte. a<br />

quarant’anni dal rapporto di Harvard”.<br />

56 Per un resoconto storico del difficile dibattito in Germania e Danimarca si veda Defanti, 2007. Per il<br />

Giappone, l’antropologa Margareth Lock, la quale unisce un approfondito resoconto del dibattito ad<br />

un’analisi etnografica estremamente interessante (Lock, 2002).<br />

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