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La Parabola n. 22 di Giugno 2011 - Aiart

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<strong>La</strong> famiglia,<br />

un grande<br />

valore,<br />

ma <strong>di</strong>fficile<br />

da vivere<br />

Le <strong>di</strong>fferenze<br />

<strong>di</strong> gender<br />

si stanno<br />

rimodellando<br />

solo per questioni personali (le vicende in<strong>di</strong>viduali <strong>di</strong> vita), ma soprattutto<br />

per il fatto che la famiglia la si fa in due, la coppia, e poi coi figli,<br />

laddove ciascuno vuole e deve affermare la propria personalità” 51 . Il<br />

problema, dunque, è cominciare a vivere la famiglia come luogo dove<br />

la <strong>di</strong>fferenza non è un ostacolo o un fasti<strong>di</strong>o da eliminare (cosa concretamente<br />

impossibile), ma è piuttosto riconosciuta e vissuta come una<br />

con<strong>di</strong>zione feconda, generativa: eppure tanto i me<strong>di</strong>a quanto il sistema<br />

formativo (scuola, altre agenzie educative) tendono a far finta che<br />

questa <strong>di</strong>fferenza non esista.<br />

In realtà le <strong>di</strong>fferenze <strong>di</strong> gender non stanno scomparendo, si stanno rimodellando.<br />

Quello che però avviene nei me<strong>di</strong>a è che essi “giocano”<br />

con queste <strong>di</strong>fferenze, con una totale irresponsabilità nei confronti del<br />

loro pubblico. Pensiamo per es. alle pubblicità a stampa <strong>di</strong> moda, che<br />

giocano su una tendenza alla cancellazione delle <strong>di</strong>fferenze <strong>di</strong> gender<br />

quando non sulla proposta <strong>di</strong> un’identità sessuale ambigua e del tutto<br />

costruita 52 . Se però si guarda al <strong>di</strong> là della superficie, si vede che queste<br />

stesse immagini pubblicitarie tendono a ripetere, per altri versi, alcuni<br />

banali stereotipi culturali, come quello dell’identificazione fra donna e<br />

oggetto da acquistare, a cui abbiamo già accennato nel capitolo<br />

precedente, o la conservazione <strong>di</strong> tratti ben <strong>di</strong>versi per la caratterizzazione<br />

dell’uomo e della donna nel ruolo che assumono -per es. se attivo o<br />

passivo- nell’immagine rappresentata 53 . Gli stu<strong>di</strong> femministi arrivano a<br />

identificare una <strong>di</strong>versa natura dello “sguardo” con cui vengono rappresentati<br />

uomini e donne nelle immagini pubblicitarie: “Nonostante le<br />

contrad<strong>di</strong>zioni della cultura patriarcale e le opportunità offerte da un<br />

modo alternativo <strong>di</strong> guardare, l’economia visiva dominante è ancora<br />

organizzata secondo linee <strong>di</strong> gender tra<strong>di</strong>zionali: gli uomini guardano<br />

le donne, le donne guardano se stesse mentre vengono osservate dagli<br />

uomini” 54 . Gli uomini sono sempre rappresentati come attivi, impegnati<br />

in attività <strong>di</strong> vario tipo, anche quando la loro immagine deve pubblicizzare<br />

un profumo o un dopo-barba: sono solo le donne che possono essere<br />

rappresentate come pure “icone”, come oggetti da contemplare mentre<br />

semplicemente si lasciano guardare.<br />

Mentre sopravvivono, un po’ nascosti, ma fortemente attivi, questi<br />

stereotipi semplificatori dei ruoli, quello che invece non sembra presente<br />

nelle rappresentazioni me<strong>di</strong>ali è la questione del relazionarsi reciproco<br />

dei sessi, soprattutto nella assunzione <strong>di</strong> ruoli familiari che riguardano<br />

ancora la stragrande maggioranza della popolazione. <strong>La</strong> proposta<br />

culturale per i giovani, quella “globalizzata” che supera i confini<br />

nazionali per assumere un modello <strong>di</strong> “giovane universale”, tende verso<br />

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