Contesa tra Achille e Agamennone - Paulu Maura

violare con empia mano la tua persona, nessuno degli Achei,
anche se dovessi parlare di Agamennone che vanta d’essere il più
possente di tutto l’esercito.»
Calcante:
«Il Dio non si duole per mancanza di sacrifici e di voti ma per
l’oltraggio che l’Atride ha fatto al suo sacerdote rifiutando il
riscatto e negando la libertà alla figlia. Questa è la colpa e non
altra, per questo l’arciere divino ci ha inflitto tanti lutti ed altri ne
darà fintanto che la donzella non venga liberata e rimandata
all’amato padre. E senza riscatto alcuno. Così solo potremo
sperare di placare il Dio.»
Si alzò tosto Agamennone, infuriato:
«Profeta di sciagure, mai dalla tua bocca è uscita parola a me
gradita. Al tuo cuore maligno fu sempre dolce predire disastri e
le tue parole come le tue azioni sono vuote di onore. E ora, tra
gli Achivi, vai cianciando, che Apollo li avvelena sol per colpa
mia, sol perché ho rifiutato il riscatto di Criseide. Ella è bella e
brava nei lavori domestici e certo, io bramo di tenerla mia
schiava fino alla vecchiezza. Tuttavia, se questo è il meglio, per la
salvezza del mio popolo io la libererò, ma preparatemi tosto un
compenso, poiché non è giusto che io solo tra i Greci resti senza
ricompensa, proprio ora che mi vedo sfuggire dalle mani una si
tanta preda.»
Gli risponde pronto Achille:
«La tua avarizia è pari alla tua grandezza, famoso Atride, qual
ricompensa pretendi dai magnanimi Achei? e come possono
dartela? Le spoglie sono già state tutte divise e non è giusto
ricomporle per farne una nuova divisione. Orsù rimanda la
prigioniera al Dio e più larga, ne avrai tre volte e quattro,
ricompensa da noi, se Giove ci concede un giorno di
saccheggiare l’eccelsa Troia»
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