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La struttura fondiaria del Granducato di Toscana alla fine dell'ancien ...

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Vivarelli Colonna, ben noti in <strong>Toscana</strong> per le loro attività nel campo <strong>del</strong>la<br />

lavorazione <strong>del</strong> ferro. Va in<strong>fine</strong> da sé che nella geografia <strong>di</strong> questo segmento<br />

<strong>del</strong>la possidenza toscana non poteva mancare la città <strong>di</strong> Prato, con<br />

impren<strong>di</strong>tori quali i Mazzoni, i Martini e gli Zarrini 38 .<br />

Se si passa ad esaminare la grande proprietà non nobiliare, non si può non<br />

rilevare come i titolari degli 89 patrimoni segnalati nella Tab. 4 siano in gran<br />

parte assimilabili ai «nuovi nobili». Molti <strong>di</strong> essi sono infatti uomini d'affari,<br />

anche in questo caso attivi prevalentemente a Livorno. Non per niente<br />

troviamo fra loro un nutrito drappello <strong>di</strong> membri influenti <strong>del</strong>la «nazione<br />

ebraica» – da Attias a Bacry, da Franchetti a Mortera Levi, da Tedeschi a<br />

Uzielli – nonché banchieri e mercanti come Castelli, Dupouy, Gamba, Taddei,<br />

Tommasi e Tobler. Nella capitale agiscono invece uomini <strong>del</strong> negozio e <strong>del</strong>la<br />

finanza quali Buccellato, Carovana, Martini Bernar<strong>di</strong>, Morelli e Orsi, il<br />

commerciante <strong>di</strong> grano Alessandro Corsi, i locan<strong>di</strong>eri Schneiderff, i mercanti<br />

<strong>di</strong> paglia Francesco Papini e Pasquale Benini e manifattori lanieri come i Fossi.<br />

Anche in questo gruppo compare una sola famiglia senese, quella dei Pozzesi,<br />

potenti titolari <strong>del</strong>l'appalto <strong>del</strong>le poste. Molti altri sono tuttavia possidenti, per<br />

lo più locali, con una forte presenza <strong>di</strong> proprietà <strong>del</strong>la Maremma e <strong>del</strong>la<br />

montagna, collegate spesso tra loro nel contesto <strong>del</strong>l'allevamento transumante:<br />

Carchi<strong>di</strong>o a Talamone, Expecoy e Palanca a Orbetello, Ghio a Scansano,<br />

Giuggioli e Stefanopoli a Grosseto, Moris a Massa Marittima, Biozzi a Bagno<br />

<strong>di</strong> Romagna, <strong>La</strong>nducci a Pieve S. Stefano. Ad essi, peraltro, andrebbero<br />

aggiunti anche «nuovi nobili» come i Collacchioni <strong>di</strong> S. Sepolcro, che<br />

possiedono a Pieve S. Stefano, a Manciano e a Orbetello, Stefano Cherici, i cui<br />

beni pure spaziano dall'arco appenninico <strong>alla</strong> Maremma, e Filippo Bonaccorsi<br />

<strong>di</strong> Tredozio, nobilitato nel 1829 in concomitanza con il matrimonio <strong>del</strong>la figlia<br />

Anna con Bettino Ricasoli.<br />

<strong>La</strong> crescente permeabilità <strong>del</strong> ceto nobiliare alle forze nuove <strong>del</strong>l'economia<br />

e <strong>del</strong>la finanza è chiarita appunto dalle politiche matrimoniali, che segnalano<br />

come anche la <strong>Toscana</strong> stia lentamente entrando nel «secolo <strong>del</strong>la borghesia».<br />

Per questa via, nel corso <strong>del</strong> tempo, i Magnani si imparentano con i marchesi<br />

Gerini, i Mozzi, i Guicciar<strong>di</strong>ni e gli Strozzi Alamanni; i Giuntini con i Velluti<br />

Zati, i Gherardesca, gli Strozzi, gli Alessandri e i Corsini; i Toscanelli con i<br />

Peruzzi e gli Altoviti Avila; gli Schneiderff con i Garzoni Venturi e i Niccolini;<br />

i Pozzesi con i Bianchi Ban<strong>di</strong>nelli e gli Ugurgeri. I figli <strong>di</strong> Pietro Cesare<br />

Papanti, che per ottenere la nobilitazione aveva dovuto superare forti<br />

perplessità perché in odore <strong>di</strong> usura 39 , sposano in<strong>fine</strong> rampolli degli Agostini<br />

Della Seta, dei Capponi, dei Ridolfi e dei Dal Borgo.

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