Una stagione a Orolai - Sardegna Cultura
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come fanno i morti ogni notte, almeno quelli dei nostri<br />
paesi che hanno questa abitudine, lo avrai sentito dire.<br />
Camminando camminando, mi addormentai. Quando<br />
mi svegliai, ero in un convento: e facevo domande a<br />
me stesso, come se io fossi un altro: in che modo sei diventato<br />
frate e quando, Stefano? Questo è l’altro mondo,<br />
mi rispondevo. Questa è l’infermeria del paradiso.<br />
Insomma non facevo che parlare a me stesso, e io mi<br />
ascoltavo come se dovessi rispondere. Meglio non so<br />
spiegartelo. Passò tanto tempo e sentivo i frati cantare…<br />
Poi mi raccapezzai: il delirio della febbre era passato:<br />
mi dissero dopo un lungo riposo che la guerra era<br />
terminata e che potevo tornare. Mi rimisi in marcia e<br />
cammina cammina arrivai al mare. Lì mi presero sul<br />
piroscafo e per mare e per terra arrivo a <strong>Orolai</strong>. Mi aveva<br />
preceduto a cavallo, indovina chi? Non lo indovineresti<br />
mai: mastro Giovanni. Spero che tu sappia come è<br />
fatto. E allora, secondo i suoi ordini, mangiavamo erba:<br />
era una magnifica <strong>stagione</strong> di trifoglio: e mio fratello e<br />
gli altri pastori se lo lasciavano rubare dalle donne e<br />
non avevano il cuore di denunciarle, per pascolo abusivo,<br />
secondo la legge… Che cosa resti a fare qui, Stefano,<br />
mi dico alla fine. Qui, a breve scadenza, ci lasci<br />
quella pelle che hai riportato bene o male dall’Ucraina.<br />
Ed ecco che vengo a sapere di certi posti disponibili<br />
nelle miniere. Dico: lì ci si seppellisce vivi, ma si guadagna,<br />
si mangia, ci si diverte pure. È così che presi e mi<br />
feci minatore. Altro cristiano nato con la camicia, il<br />
minatore. Un diavolo condannato. Un borghese in<br />
trincea. Sempre odore di morte sente il minatore: ogni<br />
momento a chiedersi: sarò vivo nel tempo che conto fino<br />
a dieci? C’erano i turni: chi entrava di notte, chi di<br />
giorno. Io entravo di giorno e così, addio sole. È un<br />
brutto momento quando ti accorgi che la notte non è<br />
più notte e il giorno non è più giorno, sempre le ossa<br />
rotte, sempre la morte intorno. Questa è la canzone del<br />
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minatore, e non fa allegria a cantarla. Non ero io il solo<br />
contadino per la verità che dopo la guerra avesse tentato<br />
quell’altra guerra. Negli stanzoni eravamo in tanti.<br />
Nei momenti più tristi, stesi a letto, si pensava alle nostre<br />
case e, con tutto che esse sono quello che sono, le<br />
sospiravamo mille volte perché almeno lì, nei nostri<br />
paesi, c’era un fuoco a cui parare le mani. Basta. Ma,<br />
ora che ci ripenso, in miniera almeno si mangiava e si<br />
poteva fare anche qualche passo più lungo di quello<br />
della gamba di un contadino. Di turno in turno, di<br />
rimpianto in rimpianto; un giorno ci chiamano e ci dicono:<br />
dovete avere pazienza, il carbone non si vende<br />
più, colpa della crisi, che è la malattia degli affari, delle<br />
vendite e delle compere. A casa, a casa, si smobilita. Era<br />
un secondo dopoguerra per tanti di noi: soprattutto<br />
per i minatori improvvisati come eravamo noi, pastori,<br />
contadini, pescatori che avevamo lasciato chi questo<br />
paese chi quello… Mi fa uno di Terra: «A passo a passo<br />
arriviamo a Terra che ha il mare vicino e anche le peschiere.<br />
Ci siamo improvvisati minatori, potremo fare<br />
anche più facilmente i pescatori. Lì c’è il fiume con le<br />
trote e le anguille. C’è una peschiera con le capanne a<br />
riva. Li conosci i tucul?» mi chiese. Lui che aveva fatto<br />
la campagna contro il Negus diceva non c’era grande<br />
differenza tra gli uni e le altre. Ora lo so anch’io che cosa<br />
sono i tucul. Somigliano molto a queste nostre capanne.<br />
Arrivati là: «Di chi è questo mare?» gli chiedo.<br />
«È d’un tale che l’affitta ai pescatori» mi risponde. Dico:<br />
«È come Prospero Sio che al mio paese affitta il suo<br />
mare d’erba». Come questo succeda e glielo lascino fare<br />
oggi che è oggi non l’ho ancora compreso: un re antico,<br />
pare, glielo ha permesso. E chi non aveva per pescare<br />
l’autorizzazione dai suoi agenti non pescava e, chi sì,<br />
questi del pescato gli doveva versare un quarto. Hanno<br />
un santo da pregare anche i pescatori. San Pescoso, ah,<br />
ah! Allora il mio amico mi fa: «Conosco un minatore<br />
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