Una stagione a Orolai - Sardegna Cultura
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pecore, un cavallo e vuoi essere compreso nella lista dei<br />
poveri? Aoh! Giustizia maledetta.<br />
Qui si trovarono tutti d’accordo; anche Stefano in<br />
cuor suo; ma gli piaceva recitare il contrario standosene<br />
muto e con un sorriso sarcastico a fior di labbra. Accadde<br />
lì per lì una cosa strana, quasi paurosa. Fecero<br />
causa comune con Nicola, Antonio e Bernardo imprecando<br />
e minacciando. E che avevano fatto bene persino<br />
a sequestrare il bambino, gridavano.<br />
Cardellino vide a questo punto il vecchio servo farsi<br />
di nascosto il segno della croce; se ne accorse anche Nicola<br />
che, afferrato d’impeto un tizzone acceso, glielo scagliò.<br />
Fu Stefano a deviarlo: il tizzone urtò contro la parete<br />
di frasche della capanna mandando scintille: e già Nicola<br />
imprecava di nuovo di vergogna, e insieme di rabbia.<br />
Nonostante la <strong>stagione</strong> iniqua, anche quell’anno in<br />
quei villaggi non lasciavano passare le domeniche di<br />
carnevale senza mascherarsi da buoi e bifolchi: da mamuttones.<br />
Cardellino finalmente, come gli spettava di diritto,<br />
in una di quelle domeniche, ebbe la sua vacanza. <strong>Orolai</strong><br />
era in subbuglio e in scompiglio. Anche l’aria di neve<br />
aizzava chi stava per strada ad agitarsi per vincere il<br />
freddo.<br />
Dopo avere riabbracciato sua madre, andò da Elena<br />
per recarle i saluti dello zio Bernardo. Era curioso, strada<br />
facendo, di vederla come fosse cambiata. Ma fu deluso:<br />
Elena era andata in città in cerca di farsi assegnare<br />
alla Maternità e Infanzia un corredino per suo figlio<br />
che era vicino ad arrivare. Pensò al grembo di sua madre<br />
e al battesimo, ai due battesimi: due feste con dolci<br />
fatti in casa e pane soffice, non biscotto, come quello<br />
dell’ovile: e corse da Domenico. Lo trovò in casa che<br />
era sul punto di uscire.<br />
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Andarono dunque insieme a vedere i mamuttones.<br />
C’era sempre più aria di neve. Aria di tempesta.<br />
I mamuttones erano tutti incappottati e ciascuno<br />
con la faccia coperta da una maschera di corteccia o di<br />
sughero. Parte formavano un armento col campano al<br />
collo, con una bandoliera di sonagli e con la vita stretta<br />
da cinghie e da funi; parte la facevano da bifolchi che<br />
seguivano quell’armento tenendo in pugno le redini e il<br />
pungolo. Erano neri, luttuosi, bestie e uomini: un armento<br />
di prigionieri che a colpi ritmici di spalla scotevano<br />
campani e bubboli e battevano il passo insieme,<br />
tristi, rassegnati, come dicessero: è finita. I bifolchi erano<br />
incomprensibilmente tristi non meno dei prigionieri,<br />
come condannati a guidarli per tutta l’eternità. Lo<br />
stesso pubblico assisteva al loro passaggio, come a quello<br />
di un funerale.<br />
Più tardi Cardellino poté anche sorridere: alcuni<br />
bambini, come se non appartenessero al villaggio di<br />
<strong>Orolai</strong>, si erano improvvisati mamuttones, ma senza<br />
campani né bubboli né cinghie: gridavano in coro: dindon,<br />
din-don con bandoliere di frittelle cotte nell’olio<br />
di lentischio. Sulla sera cominciò a nevicare, e <strong>Orolai</strong><br />
diventò quasi bello.<br />
Fu una nevicata massiccia.<br />
Non c’era forse più niente da fare quell’anno. Si doveva<br />
morire tutti, e basta. Stefano non usciva più dalla<br />
capanna e occupava il suo tempo a preparare col coltello<br />
maschere di sughero. Lavorava con veleno aiutandosi<br />
con le ginocchia e ingegnandosi con la mano sinistra.<br />
Suo padre e gli altri due uomini avevano abbandonato i<br />
greggi al loro destino: ci pensasse Martino, se voleva;<br />
scomparivano e riapparivano misteriosamente e ogni<br />
volta si provavano le maschere di Stefano. Cardellino ne<br />
avrebbe voluto avere una anche per sé; ma non tardò a<br />
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