Cari lettori... - La Rocca - il giornale di Sant'Agata Feltria - Altervista

La 2011
NOTIZIARIO DI STORIA E ATTUALITÀ SANTAGATESE n. 0 in attesa di registrazione - Redazione Sant’Agata Feltria, Comitato dei Beni Culturali
Fax 0541/929744 - Grafica e fotocomposizione: il Ponte - Stampa: La Pieve poligrafica editore, V. Verucchio - email: info@teatromariani.it
Cari
Sommario
2
Indossò la prima maglia rosa
3
Attualità
4
La Norma Vicini
5
Come ci si divertiva negli anni ’60
6
I musicisti della famiglia Casotti
7
Adottata un’opera d’arte
8
27 febbraio 1882
9
Fotocronaca
10
Una proposta indecente
11
Ninà e Urciola
12
Rocca Pratiffi nella storia
LA ROCCA
È UN’INIZIATIVA
Comitato dei Beni storiCi
e Culturali di s. agata Feltria
Cari lettori...
lettori, sono molti i progetti
e i programmi che abbiamo avviato
e che in questo 2011 vorremmo
portare avanti.
Oltre al giornale che ci permette di
dialogare con voi e con gli amanti del
nostro territorio, il Comitato dei Beni
culturali di S. Agata Feltria gestisce la
programmazione del Teatro Angelo
Mariani, in accordo con il Comune. E
questo ha significato nel 2010 ben diciannove
tra spettacoli, commedie, mostre
e convegni, e un
traguardo ancora più
importante nel 2011.
Questa nostra attività
teatrale ha come fiore
all’occhiello la Filodrammatica
“I Nuovi
Minatori”, che mette
in scena ogni anno una
nuova commedia di carattere
locale (quest’anno
abbiamo messo in
scena “Ninà e Urciola”,
due personaggi ai quali
è dedicato un racconto che vi proponiamo
nelle pagine interne).
Abbiamo poi in programma per il 2011
l’avvio di due progetti molto ambiziosi:
gli itinerari di San Francesco, e un ricordo
di Padre Agostino da Montefeltro, il
nostro grande concittadino. Sul tema
di tornare a fare vivere i luoghi francescani
abbiamo organizzato a dicembre
un incontro pubblico in accordo con
Parrocchia e Monastero Suore Clarisse,
e altri ne faremo, così da arrivare a
organizzare dei percorsi e a festeggiare
degnamente, nel 2013, l’ottocentesimo
anniversario del passaggio di San Francesco
nei nostri luoghi. Quanto a Padre
Agostino, vorremmo organizzare nel
2011 almeno un convegno, in accordo
con l’Ordine religioso fondato dal Padre
(Figlie di Nazareth), e se possibile
vorremmo organizzare una mostra, per
ricordare il 90esimo anniversario della
sua scomparsa.
Tra gli appuntamenti più importanti
che ci aspettano nel 2011 c’è poi
l’apertura di un museo archeologico a
S. Agata Feltria. È questo un progetto
al quale lavoriamo da diversi anni e
che finalmente si sta materializzando.
Al momento sono pronte due sale che
contiamo di inaugurare nei primissimi
mesi del 2011 (non mancate!).
16 dicembre 2010. S. Agata F. sotto la neve
Abbiamo pensato di mettervi al corrente
di queste, che sono solo una parte
delle iniziative che abbiamo in cantiere,
per chiedervi – se possibile – una mano:
abbiamo bisogno di volontari che vogliano
condividere con noi queste progettualità.
Abbiamo bisogno di attori
per la Filodrammatica, di persone che
ci aiutino a tenere aperto e visitabile il
Teatro e presto anche il museo, abbiamo
bisogno di persone che condividano
con noi il piacere e anche la voglia
di fare di Sant’Agata un paese che vive
e propone iniziative interessanti, di crescita
e di relazione.
Scriveteci (info@teatromariani.it) oppure
veniteci a trovare nella sede del
Comitato Beni Culturali, in piazza Garibaldi
a S. Agata Feltria, o in Teatro. Vi
aspettiamo!

La Rocca
Indossò la prima maglia rosa
In lutto il mondo del ciclismo per
la morte di Dario Beni: nel 1909
vinse la tappa inaugurale del primo
giro d’Italia
Il mondo del ciclismo è in lutto per la
morte di Dario Beni, un autentico pioniere
dello sport delle due ruote.
Dario Beni aveva 80 anni: era nato a
Roma il 18 gennaio 1889. Colsela sua
prima vittoria ciclistica nel 1907 al Giro
della Sicilia, per dilettanti: al traguardo,
invece della consueta medaglia, Beni
chiese venti lire di premio. I dirigenti
di allora, scandalizzati, lo trasferirono
d’autorità tra i professionisti.
Campione italiano su strada nel 1909 e
nel 1911, vinse complessivamente ventotto
“classiche” tra le quali un Giro di
Romagna e tre Roma-Napoli-Roma.
Nel 1909 Dario Beni si iscrisse al primo
Giro d’Italia, quello vinta da Ganna. Il
romano - che gareggiava da indipendente,
non essendo ancora accasato con
la Bianchi - si recò sino a Milano, sede
della partenza, in bicicletta perché non
aveva i soldi per il viaggio.
Toccò a lui l’onore di indossare la prima
maglia rosa della storia: Beni si aggiu-
Neppur la pioggia, caduta
nel pomeriggio per
un paio d’ore (quindi
quando ormai in tanti avevano
preso d’assalto il centro del paese)
ha sciolto l’entusiasmo e dissolto
l’odore del tartufo.
Parliamo della Fiera Nazionale
del Tartufo, che domenica 3
ottobre a Sant’Agata Feltria ha
visto il primo dei cinque “round”
di ogni domenica del mese. “Circa
25mila sono state le presenze
- spiega l’assessore al turismo
- contate grazie a coperti e vendite.
Anche la nostra area camper,
circa 120 posti, era piena”. Come pieni
erano i vasti parcheggi centrali che già
in mattinata erano esauriti.
“Questa prima domenica ha visto tanti
visitatori, nonostante solitamente il
RICORDI
dicò, infatti, la Milano-Bologna di 397
chilometri, tappa inaugurale del Giro, e
ripetè il successo nella frazione conclusiva
Torino-Milano di 206 chilometri.
Interrotta l’attività nel 1915 per parte-
2
Inverno 2010-2011
In questa foto del 1909, Dario Beni mentre si disseta nel corso del primo Giro d’Italia
primo giorno di fiera ne abbia meno
degli altri, e avessimo la concorrenza di
un evento gastronomico a Cesena”.
Mentre il tendone ha sfornato centinaia
di piatti a base di tartufo, le bancarelle,
tutte selezionate fra artigianato e
cipare alla prima guerra mondiale, Beni
riprese la sua attività nel 1919 come
pistard. Successivamente divenne organizzatore
e dirigente.
Tratto da un articolo del 1969
La “star”: mezzo chilo di bianco pregiato
Un momento della Fiera edizione 2010
gastronomia, hanno fatto affari, ci
spiegano: “il tartufo è stato venduto
molto anche perché quest’anno
è a prezzi inferiori da altri anni”.
E anche il “super tartufo” ha già
un “papà” pronto a grattarlo. Parliamo
del pezzo grosso della fiera
dello stand Marini-Azzolini di Acqualagna:
poco più di mezzo chilo
di tartufo bianco pregiato, che ha
trovato un acquirente tedesco.
Valore circa 1.500 euro, è il più
grosso che quest’anno, finora, si è
trovato in Italia, ci spiegano.
Ed è già una star: anche una televisione
giapponese, domenica
ospite di Sant’Agata Feltria, non si è
lasciata sfuggire l’occasione di riprenderlo.
Tratto da un articolo
de il Resto del Carlino (cr)

Inverno 2010-2011
Sant’Agata è uno dei paesi prediletti
da Maria: qui, infatti, l’immagine
della Madonna dei Cappuccini
mosse più volte prodigiosamente gli occhi,
nel febbraio del 1797 e nel giugno
del 1850.
Mercoledì scorso, a chiusura dell’Anno
Mariano, hanno avuto luogo cerimonie
religiose di particolare solennità e nel pomeriggio,
alla presenza di un gran numero
di fedeli, è stata inaugurata e benedetta
una statua in marmo collocata in un
SOTTOSCRIZIONI
ATTUALITÀ
Abbellito il colle
dei Cappuccini
Ecco cosa scriveva Mario Valli sul Carlino nel 1954
piccolo giardino appositamente costruito
a cura di benefattori, e recinto con un sobrio
muretto in pietra a “mosaico”.
È un’altra degna opera che va aggiunta
al complesso dei lavori eseguiti in questi
ultimi anni (nuova facciata e restauri al
Santuario, via crucis ed illuminazione del
viale) che, tutti assieme, hanno arricchito
il colle dei Cappuccini e lo hanno praticamente
consacrato a Maria.
Mario Valli, Il Resto del Carlino
12 dicembre 1954
La statua della Madonna che si trova all’esterno del Convento dei frati Cappuccini è
ancora in attesa di essere sistemata in un luogo più consono di quello attuale.
Per la nuova collocazione ed i lavori necessari si attendono offerte di associazioni, gruppi
e singoli. Padre Giacomo che ha sinora portato a termine gran parte dei lavori di restauro
della Chiesa e del Convento, aspetta fiducioso.
Urbini Luigi Livry Gargan (F)
Rossi Rosalba Sant’Agata Feltria
Sabatine Manzi Janice Cranberry - USA
Zanotti Elena Forlì
Vicini Franco Sant’Agata Feltria
Cappelli Primo Limbiate MI
Alessandri Gianni Roma
Urbini Giuseppe Sant’Agata Feltria
Alessandri Rino Genova
Sorbini Bruno Pesaro
Gorrieri Ugo San Leo
Reggiani Cosimo Modena
Paolucci Edgardo Sant’Agata Feltria
Masini Michelle Sant’Agata Feltria
Mariani Sincero Sant’Agata Feltria
Ospici Luigi Sant’Agata Feltria
Mordini Gilberto Sant’Agata Feltria
Vicini Giovanni Sant’Agata Feltria
Rinaldi Vallino Sant’Agata Feltria
Mariani Eva Novafeltria
Buda Pietro Ravenna
Masini Alessandro Sant’Agata Feltria
Ugolini Antonello Sant’Agata Feltria
Sartini Fosco Sant’Agata Feltria
Bossari Flora Sant’Agata Feltria
Guidi Guido Sant’Agata Feltria
Riceputi Mario Sarsina
Flenghi Lorenzo Rimini
Rinaldi Piero Bologna
Cappelli Marcello Cjhambave (Aosta)
3
La Rocca
La Rocca, il giornale
del tuo paese
Grazie ai volontari che hanno provveduto
a scrivere e distribuire il giornale, grazie al
lavoro di redazione di Enzo Liverani che
tra l’altro digita gli articoli e cura l’archivio
dei sottoscrittori, a Paola Boldrini che
distribuisce la Rocca dal primo numero, a
Mario Nalin che si occupa della tipografia
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Dellamea che distribuisce il giornale e
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di piazza Garibaldi, ad Arrigo Bonci che
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La Rocca
PERSONAGGI
La Norma Vicini
Mi piace molto ricordare
Sant’Agata Feltria, sempre.
Ricordo tante cose della mia
infanzia e della mia gioventù, belle, piene
di fascino e gioia, forse perché ero
giovane e tutto era patinato di rosa.
Ci sono però dei ricordi che riguardano
le persone, tante persone che oggi non
ci sono più. Molte erano veri e propri
personaggi carismatici che diventavano
simboli del paese e se non ci fossero stati,
sarebbe stato un guaio.
Ricordo Evandro, Narra, Giannetto,
Manzi, la Marietta... e tanti altri ancora.
Loro erano molto anziani quando io
abitavo in paese.
Ci sono cari amici più giovani, che purtroppo
non ci sono più ma che restano
nel mio cuore perché fanno parte di
me: Grazia Peruzzi, Valter Valli, Tonino
Sampaoli, Angelo Masini... !!!!
Voglio parlare di alcuni di loro perché
fanno parte delle mie radici e della mia
cultura. Ricordare fa bene, ci fa rivivere
momenti lieti, e da gioia al cuore.
Proprio ora mi è venuta in mente la
Norma, mamma dell’ Anna Vicini. Chi
non ricorda la Norma? Piccola rotondetta
senza denti e buffa. Era simpatica
e ci faceva davvero ridere.
Una sera durante una festa di “Bentornati
a casa” in piazza, avevamo prenotato
io, la Donatella e l’Anna, un tavolino
nelle prime file. Quella sera l’ingresso
era a pagamento perché venivano distribuiti
degli assaggi di saraghina. Si
pagava 1.500 lire a persona.
La Norma che era una comica, quando
iniziarono a distribuire i piatti con il
pesce si agitava e chiedeva: “qua, qua …
Spegni la luce che arriva Pippo
Una ventina di anni fa, quando
comprai la casa di campagna,
in cantina sopra uno scaffale,
tra damigiane e vecchie bottiglie, trovai
anche una cassa che conteneva dei
piatti antichi; i vecchi proprietari per
non farli rompere li avevano avvolti
uno per uno con fogli di un giornale
piemontese.
Presi i piatti che erano ancora belli interi
e riposi la cassetta con i fogli (che
per il tempo e l’umidità erano diventati
quasi illeggibili); il titolo di un articolo
però, mi incuriosì tanto. Portava
la data 18 aprile 1948 e iniziava così:
“Spegnete la luce che passa Pippo”.
L’articolo però era illeggibile.
Mi ripromisi di investigare per sapere
chi fosse Pippo, ma il tempo è tiranno
e passa velocemente; in un batter d’occhi
sono passati vent’anni e finalmente
mi è ritornato alla mente di Pippo e
ho appagato così la mia curiosità: ora
so chi era Pippo, arrivava anche in Piemonte!
Tra il 1943 e il 1944 ogni tanto, di
sera specialmente, si sentiva il rombo
di un aereo che a volte gettava volantini,
oppure faceva un giro dimostrativo
sopra al paese, a volte invece lanciava
un bengala che per un certo periodo
illuminava tutta la zona e poi spariva
per qualche tempo, per riapparire
improvvisamente sempre nella stessa
maniera.
La gente del paese di Sant’Agata Feltria
ne parlava per alcuni giorni: chi
diceva che fosse un burlone che voleva
divertirsi alle nostre spalle, altri pensavano
ad una spia, altri affermavano
fossero tedeschi che controllavano i
movimenti dei partigiani, ma nessuno
sapeva dare una spiegazione plausibile;
lo avevano chiamato Pippo. Non
so per quale motivo, ma anche in Piemonte
da tutti era chiamato Pippo.
La spiegazione del giornalista al quale
mi sono rivolto è questa: Gli alleati
dopo aver liberato il sud dell’Italia facevano
decollare questi aerei per le varie
zone ancora occupate dai tedeschi
per tener desta l’attenzione del popolo
e alta la tensione e il nervosismo nei
soldati tedeschi, poi man mano che la
linea del fronte avanzava, gli aerei si
spostavano di conseguenza; quando
venivano a sorvolare il nostro paese,
questi aerei decollavano dall’aeroporto
di Falconara.
Questa è la spiegazione del giornalista.
Non so, però quanto sia fondata.
Lino Cappelli (Rumagna)
4
Inverno 2010-2011
non ci avete servito!”. Arrivavano con
dei piatti e li lasciavano sul tavolo. La
Norma un po’ lo mangiava, poi nascondeva
il resto sotto il tavolo e ricominciava:
“qua, qua… siamo senza mangiare!”
Arrivavano allora altri camerieri e altro
pesce.
Io, la Doni e l’Anna non riuscivamo
a mangiare per ridere. La Norma alla
fine aveva accaparrato tanto pesce da
sfamare una famiglia intera, quando
dal fondo della piazza si sentì un gran
clamore: brontolavano perché avevano
avuto poco da mangiare! Ci fu un po’
di trambusto, ovvio, ma la Norma diceva:
“Ho paghet 1.500 french per entrè e
adess a voi magnè”.
Le piaceva davvero mangiare! Ricordo
che l’Anna raccontava che da giovane
aveva fatto una indigestione di ciliege
perché aveva ingurgitato tutto, ossi
compresi. Indigestione è dire poco,
stette tanto male che il dottore aveva
ipotizzato il peggio. Lei aveva udito tutto.
Rimasta sola in casa, pensò che se doveva
morire, era meglio farlo a pancia piena,
quindi si era alzata e si era mangiata
un piatto abbondante di tortelli che era
rimasto. Non disse niente a nessuno,
ma i familiari, la sera, non trovando la
teglietta di tortelli da nessuna parte, si
chiesero dove fossero finiti. Intuendo
chi poteva essere stato si preoccuparono
ancora di più per la sua salute, ma l’erba
dei tortelli gli fece da purgante quindi
in pochi giorni si ristabilì e ritornò in
piena forma.
La Norma era una persona buona e simpatica,
di quelle che rendono un borgo
“unico”; ma nel mio paese ci sono stati
tanti personaggi che hanno reso veramente
“unica” la nostra comunità.
Lucia Vicini

Inverno 2010-2011
A
Sant’Agata, in paese, si ballava
qualche volta nella sala del “Ristorante
Perlini”.
D’estate invece, col caldo ballavano
all’aperto, nel giardino fuori dal Circolo
CRAL, che era sulla destra all’inizio
della piazza Garibaldi.
In Carnevale organizzavano anche un
paio di Veglioni (si ballava dalle 8-9 di
sera fino alle 5 della mattina) nel “Teatro
Mariani” che all’epoca era anche
adibito a sala cinematografica. In queste
occasioni c’erano orchestre formate
da 5-7 elementi, erano cose in grande...
Ma a me piace ricordare i piccoli balli
che si facevano in campagna nelle case
private, anche perché di queste ho ricordi
ben precisi.
Negli ultimi anni ‘50 e primi anni ‘60
(prima non posso ricordare, dopo, mi
sono trasferita) l’inverno a Sant’Agata
era lungo e freddo, faceva tanta neve.
Noi bambini, che abitavamo in campagna,
quando c’era molta neve e i grandi
non riuscivano ad aprire la strada (“fè la
rotta”), stavamo a casa da scuola.
Le ragazze chiuse in casa ricamavano il
corredo, facevano le lenzuola e le federe
col gigliuccio o con l’orlo a giorno,
lavoravano interminabili pizzi all’uncinetto
da mettere sempre alla biancheria
per il corredo.
Le mamme e le nonne lavoravano ai
ferri per fare calze per tutti e maglie ‘da
sotto’ (come pizzicavano…!)
Gli uomini accudivano al bestiame poi
si radunavano in qualche casa a chiacchierare
o a giocare a carte.
I ragazzi, come giovani puledri, scalpitavano,
avevano il fuoco nelle vene e
non essendosi affaticati per i lavori dei
campi, volevano divertirsi.
Allora organizzavano in qualche casa il
ballo ‘la veglia’. Per la musica non c’erano
problemi; c’era Armando che abitava
a Scavolo che “suonava” la fisarmonica e
veniva sempre volentieri. Qualche giorno
prima del ballo i giovani si dividevano
in gruppetti e andavano nelle case
dei dintorni, dove sapevano c’erano le
ragazze, per invitarle al ballo.
Chiedevano il permesso ai genitori, che
subito non acconsentivano (non stava
bene!), si facevano un po’ pregare, ma
alla fine capitolavano. Il giorno del ballo,
nel pomeriggio prima che la neve
ghiacciasse, due ragazzi partivano con
un somaro per Scavolo, facevano salire
Armando con la sua fisarmonica in
spalla sulla bestia, poi adagio adagio, facendo
attenzione che non scivolassero,
arrivavano a destinazione.
Poco prima delle otto cominciavano ad
arrivare gli invitati. Le ragazze erano rigorosamente
accompagnate dalle madri
che per tutta la serata stavano sedute
appoggiate al muro e controllavano la
situazione (per modo di dire, poiché alcune,
facevano anche qualche pisolino).
Anche le mie sorelle di 20 e 16 anni
e mia cugina anch’essa ventenne si recavano
a ballare. Il nonno, prima che
uscissero di casa, le controllava che fossero
in ordine, ben vestite e coi capelli
in ordine. Le scarpe col tacco le avevano
in una borsa a parte; ai piedi gli scarponi
per camminare sulla neve, che toglievano
prima di entrare nella… sala.
Ricordo anche che la mamma - di solito
era lei che le accompagnava - prima
di partire di casa, faceva il suo sermone:
- Mi raccomando, il tango si balla a
passetti stando abbastanza distanti dal
5
La Rocca
LETTERE ALLA ROCCA
Come ci si divertiva a Carnevale
Vittorio Piacenti
e la moglie Alba Bernardini
durante un veglione
nel Teatro
ragazzo, non rimanendo sempre su di
un mattoncino.
Io non riuscivo a capire perché ci volesse
questa precauzione per ballare il
tango. Poi più grande, l’ho capito!
Poco dopo mezzanotte tutto finiva,
ognuno tornava alla propria abitazione
e Armando ritornava a Scavolo.
Il giorno dopo le sorelle e la cugina si
chiudevano nella camera sotto, parlottavano
della serata trascorsa e, per far
sì che non andassi anch’io ad ascoltare,
legavano il battente della porta con uno
spago. Io allora mi mettevo a urlare e a
dar calci alla porta. Il nonno allora mi
chiamava: - Angelina vieni che giochiamo
a carte (anche se poveretto di voglia
ne aveva ben poca… avrebbe preferito
tirare qualche boccata dalla sua pipa),
facciamo rubamazzo o briscola?
Essendosi intromesso il nonno capivo
che per me non c’erano speranze, smettevo
di fare i capricci e giocavamo a carte.
Naturalmente vincevo sempre io.
Altre volte mi rabboniva la zia preparandomi
il croccante o altre cose che mi
piacevano.
(Continua)
Angelina Urbini

La Rocca
STORIA DELLA MUSICA
Filippo e Pompilio Casotti
Filippo, “bella gloria di stirpe nata
ai musici numeri” è scritto su
un manifesto affisso nel 1842 al
Teatro di Sant’Agata; ha fama di “raro
professore di oboè per Romagna e Toscana”.
È stato chiamato dal Mariani. È
arrivato in compagnia dei suoi amici, i
famosi fratelli fiorentini Bimboni: Giovanni
è clarinettista e Giovacchino si
esibisce con il bimbonifono, trombone
verticale a 7 cilindri di sua invenzione.
Il Battistini dice fiorentino anche il Casotti,
probabilmente perchè nato in Toscana,
anche se in quegli anni fa parte
della Filarmonica di Cesena (vedi Raggi:
cronache del teatro di Cesena, anni
1841-43). Cesira, figlia (o nipote) di
Agostino. È pubblicata una sua musica
da ballo Schottisch nelle Ricreazioni di
Pompilio. Il più noto dei figli di Agostino
Casotti è Pompilio, che nasce il
21 giugno 1810. Ne parleremo in seguito...
Non conosciamo luogo e data di morte,
né se abbia lasciato figli e dove.
Affascinante è la vita di questo migrante
di famiglia santagatese che ha vissuto i
momenti più salienti del Risorgimento
e dell’Unità d’Italia, coinvolto per lo
meno con le sue musiche, e sappiamo
quanto abbia contato la musica nei moti
patriottici: andiamo a
rileggerci le cronache di
Angelo Mariani sobillatore
di folle nel teatro
della Milano asburgica
(Evviva Mariani!! pag.
11 e 43). Scrive Verdi a
Mariani: come vanno le
crome e le semicrome di
Cialdini e Garibaldi?...
Quelli sono maestri! E
che opere! Che finali! A
colpi di cannone! Sembra
che Pompilio sia
ben inserito nel mondo
di quella borghesia toscana
liberale che dapprima
vicina ai sovrani
illuminati come Leopoldo
e il primo Pio IX,
li ha poi visti rinnegare
tutte le aperture liberali
del ’48. Vede i sovrani
tornare con le armate
austriache che si macchiano
del sangue dei
patrioti, (ripristinano)
la pena di morte, la cui
abolizione è fra i punti
programmatici del
suo ambiente di amici
di Guerrazzi, che se ne
faranno poi promotori
appena raggiunta l’unità
d’Italia.
Ciò che sappiamo dalle
note recuperate è il
cambiamento, dopo
una generazione, di una
famiglia che con la migrazione passa da
posizioni conservatrici antigiacobine
(Giuseppe) a una militanza liberal-democratica,
che a Livorno arriva a sostenere
anche finanziariamente i rivoltosi
veneziani e le spedizioni garibaldine
nello Stato Pontificio.
Ben diversa è la posizione dei parenti
rimasti a Sant’Agata.
Con Carlo Casotti dovrà vedersela un
Luigi Vicini di sentimenti se non garibaldini
perlomeno auspice dell’unità
d’Italia, prima di diventare padre Agostino
da Montefeltro. E su un versante
anche solo storico-letterario un Guido
6
Inverno 2010-2011
Continua la storia dei musicisti santagatesi scritta per la Rocca da Franco Dall’Ara
Gioacchino Bimboni;
a lato, il bimbonifono, da lui stesso
inventato e suonato nel 1842 con Mariani
Paggetti sarà costretto
ad allontanarsi dal paese,
perchè anche nello
studio della storia il potere
“codino” non può
accettare neppure la
messa in dubbio di certezze
consolidate dalla
tradizione. È perciò che
i Casotti, figli di Agostino,
non sono più tornati
a Sant’Agata, a parte
la fugace apparizione di
Filippo nel 1842?
Concludiamo la serie
dei Casotti con Felice
nato il 1 luglio 1825; figlio
di Francesco, e cugino
di Pompilio. Dal
1846 al 1852 è al Liceo
per la musica Santa Cecilia
di Bologna: 2 anni
di armonia e 3 di contrappunto.
Nel 1851 compone un
Qui tollis, brano del
Gloria in excelsis, a basso
solo con orchestra, che
Mattei Gentili dice edito
a Roma sotto il nome
di Alfonso Rubbi, in
realtà opera di “altro
feretrano dilettante di
musica che giovincello
la compose quando studiacchiava
l’armonia”, il
nostro Felice appunto
(Rubbi frequenta il Liceo
bolognese fra 1848
e 1851, nei corsi di corno e tromba).
Oltre il Rubbi, Faustino Vitali è studente
(di contrappunto) a Bologna,
negli anni 1850-53. Anche Vitali è un
personaggio che avrà a che fare con
Sant’Agata, ma dopo il 1865.
Felice nel 1859 vince il concorso per
direttore della banda musicale di Longiano.
E di qui dovebbero continuare le
ricerche, come da Cesena e dintorni per
Filippo.
Ricordiamo infine Giuseppe Celli, che
nell’ottobre del 1858 è chiamato a Talamello,
dove istituisce una Banda Comunale,
di cui è il primo maestro. F. D.

Inverno 2010-2011
ADOTTATA UN’OPERA D’ARTE
Il quadro seicentesco
della chiesa dei Barberini
Domenica 28 novembre a S.
Agata Feltria si è compiuto
un piccolo grande miracolo:
miracolo della volontà, dell’impegno,
della generosità di tanti, che unendo
le loro forze hanno permesso di raccogliere
il denaro necessario a portare a
termine il lavoro di restauro di un’antichissima
opera d’arte del nostro paese,
la tela raffigurante l’Annunciazione, di
autore ignoto, risalente al Seicento e
custodita all’interno dell’oratorio della
S.S. Annunziata in località Barberini.
Su invito di un piccolo gruppo di famiglie
del luogo, e sotto l’egida del Comitato
dei Beni Culturali di S. Agata
Feltria, oltre 250 persone si sono ritrovate
presso il tendone ristorante delle
Fiere Autunnali e del Natale, messo a
disposizione dalla Pro Loco, per prendere
parte ad un pranzo comunitario
realizzato con l’aiuto e il lavoro di tanti
volontari: ognuno ha donato parte del
proprio tempo e lavoro e portato “in
dote” le personali e peculiari abilità,
dall’organizzazione dei tavoli al servizio,
dalla preparazione delle portate
in cucina fino alla cura dei molteplici
particolari, indispensabili per la buona
riuscita dell’iniziativa.
Al termine della giornata è stato bello
constatare che tanto impegno aveva
dato i suoi frutti, e che la somma necessaria
al restauro del quadro era stata
raccolta, a dimostrazione che la condivisione
e l’aiuto reciproco permettono
di conseguire importanti risultati, in
questo caso consentendo di assicurare
alle future generazioni un’opera importante
sotto il profilo artistico e del culto,
altrimenti destinata all’oblio e alla
probabile scomparsa.
Con l’auspicio che simili iniziative incontrino
sempre il favore dei santagatesi,
le famiglie dei Barberini ringraziano
tutti coloro che con la loro generosa
offerta hanno reso possibile la consegna
dell’opera alla restauratrice Letizia Bruscoli
di Pesaro, il cui lavoro riporterà
(si spera in tempi brevi) l’opera al suo
splendore originario, offuscato dal trascorrere
del tempo e dall’incuria.
7
La Rocca
Sopra, immagine del quadro da restaurare; sotto, un momento del pranzo comunitario

La Rocca
Ciò annunciavanmi stamane,
fra la veglia ed il sonno, alcuni
squilli e trilletti di trombe e clarini
usciti a salutare il giorno nascente
ed a sperdere al vento l’eco ed il frastuono
delle ultime danze tenutesi la scorsa
notte dalla Società del defunto Carnevale,
nella Sala Maffei.
Non può davvero negarsi, come già io vi
pronosticava, che anche fra noi il Carnevale
1882 sia trascorso abbastanza gajo e
vivace, mercé le indefesse cure della Società
Condomini del Teatro Mariani, e
della Società del Carnevale. Difatti oltre
ai piacevolissimi trattenimenti periodici
dati dalla Compagnia Comica Osti e
Gandini, passata oggi co’ suoi Penati al
Teatro Comunale di Sogliano al Rubicone,
avemmo nelle sere del 13, 20 e 21
febbrajo tre graziosi veglioni al Teatro,
rallegrati da brillanti mascherate e dalla
più gioconda spensieratezza.
Però il punto culminante della stagione
(passi la frase) fu la splendida ed incantevole
Soirèé favorita il 18 febbrajo dalla
gentilissima famiglia Fabri di Ravenna
alla più eletta Cittadinanza Santagatese.
Chi in ebbe mai occasione di assistere
alle feste di Casa Fabri non sa né può
capacitarsi come in un piccolo Paese di
montagna, quale è il nostro, feste di tal
genere siano possibili, nonché facili e
STORIA
Era il 27 febbraio 1882
Il Senatore Cosimo Fabri e Giuseppe Raggi, medico e poeta
frequenti.
Non è a dire come il buono ed il meglio
del Paese attratto dalla proverbiale
cortesia e cordialità dei padroni di casa
accorresse volonteroso a tale genialissimo
convegno, a farvi mostra e pompa
di ciò che ognuno possedeva in grazia,
spirito ed avvenenza, il tutto ravvivato
e confortato dalla vista di un copioso ed
appetitosissimo buffet ricolmo d’ogni
ben di Dio, fornito dalle più rinomate
pasticcerie e bottiglierie di Milano e di
Napoli!
Inaugurato il museo a Casteldelci
Con una bella iniziativa coordinata
dalla Società di Studi Storici Montefeltrani,
ed in particolare dal Presidente
prof. Alessandro Marchi, alla
quale hanno preso parte l’Università
di Urbino, la Provincia di Rimini, il
Comune di Casteldelci e la Sovrintendenza
dell’Emilia Romagna, è stato
aperto al pubblico il rinnovato museo
archeologico di Casteldelci.
Nella foto, un momento della conferenza
di presentazione del museo.
8
Inverno 2010-2011
Ieri a sera poi avemmo la gran cena sociale
imbandita per cento e due coperti,
nella maggior Sala del Palazzo Comunale,
splendidamente servita dalla Trattoria
Grifoni.
Tutto procedette col massimo ordine in
mezzo ad una vivacità sorprendente e
piacevolissima.
Pronunciarono discorsi di circostanza il
Presidente della Società del Carnevale,
il Dott. Cav. Cosimo Fabri ed il socio
Buffoni Francesco, tutti fragorosamente
applauditi.
Il leggiadro e lepidissimo poeta Dott.
Giuseppe Raggi, degno di stare a fianco
dei più riputati verseggiatori del giorno,
ebbe ieri a sera, come sempre, momenti
felicissimi, ed i suoi brindisi strapparono
all’attonito auditorio applausi entusiastici.
Levate le mense si diè passo alle danze,
le quali si protrassero fino a giorno, finché
i rintocchi dell’Ave annunciarono
alle instancabili coppie danzanti la fine
di un’ultima notte di piacere, dedicate
in esequie, alla memoria del già defunto
Carnevale.
Pace a Lui, pace a Lui finché non torni
Aff.mo H - Il Segretario per le cose
allegre PIF
D.S. - È aperta una sottoscrizione fra i
Soci del Circolo Cittadino per una festa
da farsi a mezza quaresima.
da una cronaca da S. Agata Feltria
pubblicata il 27 febbrajo 1882

Inverno 2010-2011
Sotto: Il prof Claudio Vicini, mentre riceve il premio “Città di
S. Agata”. Vicini di origini santagatesi, è Primario di Otorinolaringoiatria
di Forlì e docente in svariate Università.
Musica a teatro, una delle iniziative teatrali del mese di novembre
2010
Simoncini e Valli 1929, classe di ferro
FOTOCRONACA
9
La Rocca
Sotto: Un momento della premiazione di Antonio Berloni
per “50 anni di attivita”. Aggiungiamo un sentito ringraziamento
da tutta S. Agata Feltria.
Sopra e sotto, alcuni momenti dell’incontro conviviale
“Adottiamo un’opera d’arte santagatese” (v. articolo a
pagina 7) di domenica 28 novembre 2010

La Rocca
Nessuno ricorda più il suo nome
anagrafico e neppure quando e
perché fosse giunto a Sant’Agata
Feltria. La tradizione orale ci ha tramandato
solamente il soprannome:
“Ninà”.
Era il tipico popolano squattrinato,
privo di istruzione, ma furbo ed arguto,
pronto ad approfittarsi dell’altrui
stupidità. Sfaccendato, aspettava l’opportunità
di un lavoro o di un’attività
che l’avesse arricchito in breve tempo.
Intanto si arrangiava cercando di sbarcare
il lunario.
Addormentarsi a pancia vuota non era
un’impresa facile, così, quasi inconsapevolmente,
imboccò la strada della disonestà.
Si era specializzato nei furti di galline
diventando l’acerrimo nemico di tutte
le ‘azdore’ che curavano con amore i
loro pollai, fonte di sostentamento delle
famiglie.
La sua fama di spietato ‘pollaiolo’ aveva
varcato i confini comunali.
Il comandante dei gendarmi di
Sant’Agata Feltria, soprannominato “La
Rossa” nonostante gli sforzi compiuti e
le notti insonni, non era riuscito ad acciuffarlo.
Conscio di essere diventato lo zimbello
dei paesani e con il timore di essere rimosso
dal comando, arricciava sempre
più il naso aquilino meditando la riscossa.
Di statura bassa, tarchiato, con
una testa bitorzoluta ricoperta da ciuffi
di capelli rossicci, indossava una divisa
militare troppo stretta per le sue spalle
‘tracagnotte’ e troppo lunga per le sue
gambe corte.
Rispetto alla sua mediocre statura, il
berretto e la sciabola d’ordinanza apparivano
troppo grandi e sproporzionati.
Per evitare che la punta della lama
strisciasse in terra, era costretto ad appoggiare
sull’elsa, come contrappeso, la
mano destra.
Le avverse condizioni climatiche aveva-
PERSONAGGI
Ninà e Urciola
Una proposta indecente
Ripubblichiamo il racconto di Manlio Flenghi (che Rocca ha già pubblicato nel 2002).
Da questo racconto è nata la nuova commedia della filodrammatica di S. Agata “I
Nuovi Minatori” presentata in teatro il 29 dicembre 2010.
no compromesso i raccolti determinando
una scarsità di prodotti alimentari,
già peraltro razionati, causa la guerra in
atto.
Quel giorno Ninà non era riuscito a
guadagnare quel tanto per potersi sfamare
per cui aveva deciso di provvedere
al pasto nel modo meno faticoso.
Lo allettava l’idea di ‘profanare’ il pollaio
della signora Mariuccia, universalmente
ritenuto il più fornito del circondario.
La Mariuccia era una donnina esile ed
asciutta, tenace, dal carattere autoritario,
con due occhi che, all’occorrenza ,
ti fulminavano.
Spaventata dalle voci delle ricorrenti
ruberie, aveva adottato tutti gli accorgimenti
possibili a difesa del proprio. Aveva
eretto uno steccato intorno al pollaio;
la porta di accesso era stata rinforzata e,
al calar della sera, vi incatenava un cagnaccio
nero, pronto a mordere chiunque
si fosse avvicinato.
Di notte si alzava al minimo rumore
sospetto per accertarsi di persona che
tutto fosse in ordine.
Era andata anche dal brigadiere “La
Rossa” per farsi consigliare e per sollecitarlo
ad una vigilanza più incisiva. Ma
tutte queste misure precauzionali si sarebbero
rivelate del tutto inutili se…
Il ladruncolo, che ne sapeva una più
del diavolo, nottetempo era riuscito a
penetrare nel pollaio e già con il sacco
aperto, allungava le mani per acciuffare
le paffute pollastrelle, quando sentì
due forti braccia bloccargli le mani e un
paio di manette stringergli i polsi: erano
i gendarmi che lo aspettavano, appostati
proprio là dentro.
Dal buio una voce rintronò soddisfatta:
«Ti abbiamo preso, furfante! Questa
volta la pagherai per tutte!»
Era il comandante che ancora non riusciva
a credere di aver catturato la “Primula
Rossa” dei pollai.
Mentre veniva trascinato fuori, Ninà
passò davanti alla Mariuccia. La don-
10
Inverno 2010-2011
na, tutta impettita e a braccia conserte,
scuotendo il capo, con un’occhiataccia,
gli manifestò tutto il suo biasimo.
Il giorno seguente, la notizia si diffuse
rapidamente di bocca in bocca. Il malvivente
venne scortato in tribunale dallo
stesso brigadiere che, gongolando fra la
gente che lo applaudiva, raccolse il suo
momento di gloria.
Il giudice, conoscendo bene Ninà, non
ci mise meno di cinque minuti per
ascoltare le parti e quindi emettere la
seguente sentenza: «In nome del popolo
italiano. L’anno del Signore 1943, condanniamo
Ninà alla pena della reclusione
per un periodo di anni due da scontarsi
nelle carceri mandamentali della
Rocca Fregoso in Sant’Agata Feltria».
La sentenza fu applaudita dai santagatesi
che ebbero anche modo di sfogare la
loro ira. Ninà fu ricoperto di vituperi,
brutture, sputacchi e sterco.
Fu il giorno più infausto e più lungo
della sua vita; si sentì veramente un
uomo fallito, anzi, un verme.
All’imbrunire fu portato nelle carceri.
Vi era un solo custode, oriundo di Pesaro,
che si chiamava Orcioli, detto Urciola.
Magro, con due enormi mustacchi
castani, aveva due occhi rotondi di
triglia che lo facevano sembrare allampanato.
La misera paga non bastava a sostentare
la sua famiglia composta dalla moglie
Maddalena e da otto figli; spesso gli accadeva
di togliere qualche briciola persino
dai miseri pasti che somministrava ai
detenuti. In questo periodo però, l’unico
detenuto era Ninà.
Tutti i santagatesi pativano per il perdurare
della carestia, quindi anche il pasto
del carcerato fu ulteriormente ridotto.
Una mattina, preso dagli spasimi della
fame, Ninà cominciò ad urlare e a sbattere
la porta della cella.
«Che ti prende?» sogghignò il carceriere
spazientito da tale frastuono.
«Ho i crampi allo stomaco e se non
mangio a sufficienza, finirò per ammalarmi
e morire. Vedo che tu non stai
meglio di me e scommetto che pure i
tuoi figli sbadigliano per la fame. Voglio

Inverno 2010-2011
farti una proposta. Questa sera lascia la
porta della cella aperta; mi calerò da una
finestra del piano di sotto e sgattaiolerò
nel buio senza farmi vedere. Concedi
alla mia abilità il tempo necessario e poi
farò rientro. Ricordati! Domani è l’ultimo
giorno del mese: tua moglie verrà
quassù sulla Rocca per fare le pulizie.
Sarà l’occasione per cucinare e stare a
tavola tutti insieme!»
Subito Urciola rimbeccò: «Io non scendo
a patti con i galeotti! Non voglio fare
la tua stessa fine!»
Il sole lambiva le cime più alte del monte
Fumaiolo e dei Mandrioli. La Rocca,
rispetto al sottostante paese già immerso
nella penombra, accarezzata dagli ultimi
raggi, si stagliava fiera dei suoi mille
anni, verso il cielo, riverberando tutto
intorno un’atmosfera magica entro la
quale turbinavano remote immagini di
Nibelunghi e Celti.
Urciola, dopo aver finito l’ultimo giro
d’ispezione, si era soffermato in silenzio
davanti alla porta della cella. All’improvviso
infilò la chiave nella toppa
della serratura. Nel silenzio si distinsero
nettamente gli scrocchi metallici del
chiavistello che girava su se stesso ed il
lieve cigolio della porta che si apriva.
Ninà che non si era mosso ed aveva trattenuto
il respiro, udì il carceriere allontanarsi
frettolosamente per raggiungere
la guardiola. Disteso sul pagliericcio,
osservava le pareti della cella sulle quali
avanzavano le ombre della sera che,
come bocche fameliche, ingoiavano
l’ultima e tremolante luce del giorno.
Quando ogni rumore si spense, il dete-
PERSONAGGI
nuto si levò in piedi coi nervi tesi come
un soldato che attende l’ordine dell’attacco.
Uscì dalla cella e con un canapo,
lasciato appositamente dal carceriere, si
calò dalla finestra.
Oltrepassata la cantonata fortificata
della Rocca, Ninà venne illuminato dai
raggi della luna. Fu un attimo; nessuno
vide o sentì nulla. Si lasciò cadere a peso
morto giù nell’orto dei Fabbri e, dopo
una breve corsa, era già al riparo di una
siepe.
La Mariuccia, dopo la cattura del ladro,
si era alquanto rassicurata e, abbandonata
ogni precauzione, stava dormendo
profondamente.
Questa volta Ninà potè terminare quello
che, suo malgrado, aveva lasciato incompiuto.
Con tutta la calma entrò nel pollaio e,
aperto il sacco vi infilò in rapida successione
una… due… tre… quattro…
cinque… sei galline. Poi si dileguò nella
notte. Non era trascorsa un’ora quando,
attraverso la stessa finestra fece ritorno
nella fortezza con il bottino.
Immaginare la faccia della Mariuccia,
alla scoperta del furto, gli procurava
grande soddisfazione e si sentiva ripagato
di tutte le umiliazioni patite per colpa
di quella donna.
Di prima mattina, come erano soliti fare
l’ultimo giorno di ogni mese, Urcioli, la
Maddalena ed i suoi figli si incamminarono
in fila indiana verso la Rocca. La
signora trasportava le attrezzature per
la pulizia delle carceri. Chi avrebbe sospettato
che all’interno dei secchi, erano
nascoste le pentole e tutto l’occorrente
11
La Rocca
per cucinare?
Entrati nella Rocca e rinchiuso il portone,
corsero nella cella di Ninà che li
stava aspettando mostrando loro il sacco
con la refurtiva. Si guardarono in faccia
scambiandosi sorrisi di complicità.
Le galline furono subito spennate, fatte
a pezzi e cucinate: tre furono messe a
bollire in pentola e le altre, infilate nello
spiedo.
Frattanto i figli erano riusciti a mettere
in sesto una tavola proprio nella cella di
Ninà e l’avevano apparecchiata con le
umili stoviglie della famiglia.
La stanza, imbandita, aveva perso
l’aspetto di tetra e buia prigione. Ninà
si sentiva euforico e felice; il profumo
che proveniva dalla stanza attigua, dove
la signora stava con grande impegno cucinando,
lo riportava a rivivere alcuni
momenti felici della giovinezza. Poteva
essere circa mezzogiorno quando la cuoca
portò in tavola tutto quel ben di Dio.
Tutti si misero a tavola alla maniera di
una famiglia patriarcale riunitasi a festeggiare
un evento eccezionale.
Banchettarono allegramente fino a consumare
tutto il cibo.
Alla fine Urciola, la moglie, i figli maggiori
e Ninà rassettarono le stanze per
non lasciare alcuna traccia del festino.
Mentre la signora e i figli si accomiatavano
salutandolo, Ninà li apostrofò con
questa frase che è rimasta nella tradizione
popolare: «Fatemi sapere che cosa si
commenta giù in piazza, se anche questa
volta si dice che il furto lo ha compiuto
Ninà!»
Manlio Flenghi
Lapide dei caduti
santagatesi
di tutte le guerre

La Rocca
DOCUMENTI STORICI
Descrizione della Rocca Pratiffi
nel territorio di Sant’Agata Feltria
l’anno 1706
Il Castello della Rocca nel territorio
di Sant’Agata, è luogo esposto
all’oriente di bonissima aria, da
una parte gode alquanto di collina,
dove sono buoni terreni dotati di alberi
fruttiferi e vigne. Dall’altra parte ha poi
una pianuretta di mezzo miglio incirca
da ogni parte, dove pure sono terre
tutte in coltura per la maggior parte di
buona qualità e li campi dotati di rovere
e altri alberi da frutto; confina poi a
questo lito di gran quantità di terre e
producono gran quantità di herbe, che
servono a li pascoli d’ogni sorte di bestiame
per tutto l’anno; dal canto della
collina già detta intorno a detto castello,
dopo questa, vi sono selve piene di legnami
da taglio come anco altri pascoli
per i bestiami e queste s’estendono alla
longezza e largezza quasi d’un miglio.
Il territorio di detto castello confina
da una parte con quello della Penna e
confina nello fiume detto Marecchia,
dall’altra parte con la Petrella Stato di
Ravenna e con Monte Benedetto, con
Sant’Agata, con il castello di Pereto e di
Caioletto, come ancora una parte con il
Stato di Fiorenza che lo divide il fiumicello
detto Sonatello.
Questo castello già grande, e si crede
antichissimo come si vede dalle vestigia
di gran quantità di macerie che vi sono
da ogni lato di quello, prende il nome
di Rocca per esservi in già stata una fortissima
rocca fortezza, per essere circondata
di mura interamente fabbricate
di dura pietra di travertino, e poi per
andarci dentro si conosce la forma di
cinque porte senza la scala segreta, della
quale pure se ne ritrova adesso qualche
parte, come anco d’altri segni che fusse
fabbrica di fortezza.
Dicono ancora che fussero doi luoghi
separati, e che uno si domandasse Pratiffi
e l’altro Rocca e per questo si vede
che anco(ra) ritiene questi doi nomi
come detto.
Era già questo Castello di nomeroso
popolo ma hora è ridotto in pocho e fa
solamente doicento e trentatre in circa.
Nel castello detto della Roccha vi ha-
Benvenuto Don Eugenio, nuovo Parroco
di S. Agata Feltria.
bitano di presente, nelle loro proprie
abitazioni, da dodeci famiglie.
Nel luogo detto POZZALE VILLA
di questa Cura vi habitano li sig(no)ri
Mazzini con altre tre famiglie loro lavoratori
e questo luogo fu già dei Sig(no)
ri Morosini (?) Notabili Urbinati e fu
assegnato per dote a una signora di
quella Casata.
Nella villa detta VALBONA vi abitano
tre famiglie. Nella villa detta SEL-
VA GROSSA una famiglia. Nella villa
detta IL VICO tre famiglie. Al Molino
delle MONACHE DI S. AGATA una
famiglia. Nella villa detta IL “CAPA-
NACCIO” una famiglia. Nella villa
detta “CA’ DI ROSALINO” una famiglia.
Alla RINOSCELLE habita una
famiglia. Nella villa detta “CALBERIO”
habitano tre famiglie. A Ca’ di BOT-
TORIGO una famiglia. Nella villa detta
CERTOLONGO una famiglia. Nella
villa detta “HORTALE” tre famiglie.
se volete sapere dove è Finita l’antiCa
Cella di san FranCesCo, non perdete
il prossimo numero de la roCCa
12
Inverno 2010-2011
Nella villa “CA’ MARINELLO” una
famiglia. Nella villa detta le “CHISU-
RACCE” una famiglia. Nella villa detta
“RIOTORTO” tre famiglie. Nella villa
detta “COLBARONCI” una famiglia.
Nella villa detta “POGGIO DEL
CUCCO” una famiglia. Nella villa detta
“S. ANDREA” tre famiglie.
In questo territorio della Rocca vi sono
poi altre dieci case hora disabitate.
In questo medesimo luogo vi sono
quattro chiese.
La prima, la Parrocchiale dentro il suddetto
Castello in honore di San Donato
Vescovo e Martire e si celebra la festa e
Solennità di questo ai sette di agosto…
La seconda chiesa detta di S. Vincenzo;
chiesa antica con chiostro delle Monache
di S. Chiara di Sant’Agata, arricchita
con grandissima dote e stabili
numerosissimi de intorno… Qui già
abitavano le Moniche di Sant’Agata et
anco si vedono le vestigia del Monistero
e s’ha per tradizione che partite da
S. Anthimo venissero nel Castello della
Rocca, dove ancora si vedono parti delle
abitazioni…
La terza chiesa è la miracolosissima Madonna
detta di Fontescarino; chiesa di
bellissima fabbrica con diverse Capelle
sostenute con colonnati da ogni parte
e una Capella con la cupola molto alta
dove è l’Altare Maggiore della Santissima
Vergine con bellissimo basamento a
pro e nella muraglia l’immagine della
beatissima Vergine fatta a stucco e colorita
di belli colori…
La quarta chiesa è di S. Carlo di Pozzale,
Capelle de Signori Mastini, dove la
chiesa è piccola con un solo altare…
Fatto lì 20 marzo 1706
Io Giovanni Barberini Parrocho della
Chiesa di San Donato
della Rocca Pratiffi come sopra.
Mano Propria
Tratto dagli atti del IV Convegno
di Studi Storici tenutosi
a Sant’Agata Feltria il 19-9-1998.
Relazione di Manlio Flenghi