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il secchio - Alcova creativa

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La Scapigliatura<br />

di Maria Grazia Tolfo<br />

L'Osteria del Polpetta e l'Ortaglia<br />

mattina <strong>il</strong> portinaio Prevosti accompagna nello studio dove stavano i due amici un elegante<br />

signore, che dovendo fare dei regali aveva avuto l'indicazione di rivolgersi ai due soci. Il Fontana<br />

esclama allora trionfante: "Vedi che c'è <strong>il</strong> Signore?", e l'altro di rimando: "Sì, basta togliergli la<br />

maiuscola!".<br />

Em<strong>il</strong>io Praga visto da Roberto Sacchetti "Em<strong>il</strong>io Praga, idealista inconscio, ma incorreggib<strong>il</strong>e, che<br />

diceva "la lirica è la sola arte vera perché inut<strong>il</strong>e", non sdegnava, nei giorni di sconforto e di<br />

bisogno, <strong>il</strong> mestiere letterario; macchinava di far vivere la sua poesia purissima a spese del<br />

giornale e del teatro, "trastulli ed intelligenze inferiori". Progettista sfrenato ed impenitente,<br />

scoccava de' tiri scellerati alla supposta buaggine del pubblico e quando credeva aver trovato<br />

l'idea di qualche nuova, fenomenale mistificazione, strizzava l'occhio maliziosamente e con<br />

una perfidia estremamente ingenua esclamava: "Ah mio buon pubblico, tu hai a portare l'arte<br />

come la mula porta l'arcivescovo: ora ti metterò io la cavezza!". Il guaio è che lui s'invaghiva di<br />

quelle sue burle, ci profondeva <strong>il</strong> sangue vivo del cuore, le ricchezze del suo grande talento ed<br />

era lui stesso la prima, l'unica vera vittima delle sue infernali ciurmerie. Il pubblico recalcitrava e<br />

fischiava invariab<strong>il</strong>mente i suoi drammi. Credereste che lui ne soffrisse. Ma che! artista sempre,<br />

abbandonava lui primo la causa dell'autore!, mentre la burrasca imperversava in teatro e gli<br />

attori rientravano barcollanti, sbalorditi dagli urli e cacciati dai proiett<strong>il</strong>i lanciati dalla platea,<br />

Praga si contorceva dalle risa, e pigliava uno spasso infinito dal comico della propria disgrazia;<br />

non serbava rancore al pubblico, anzi gli acquistava stima per lo spirito che aveva dimostrato<br />

accoppando <strong>il</strong> suo aborto. Fallito <strong>il</strong> tiro, ne mulinava un altro.<br />

Una volta fece in collaborazione con Arrigo Boito una commedia intitolata, credo, Le madri<br />

galanti, e fu recitata al Carignano di Torino da una compagnia la cui prima donna era<br />

analfabeta e bisognava metterle in gola la parte. I due poeti confidavano tanto nel successo<br />

che avevano portato con sé, per la rappresentazione, le loro famiglie. Subito al primo atto<br />

scoppiò <strong>il</strong> finimondo. Arrigo Boito, bravo fino alla temerità, s'era avanzato tra le quinte più sulla<br />

scena, e là, le mani nelle tasche dei calzoni, una sigaretta sfatta tra le labbra sott<strong>il</strong>i, gli occhi<br />

aguzzi luccicanti dietro gli occhiali, ritto, impassib<strong>il</strong>e sfidava l'uragano. Praga venne a prenderlo<br />

per <strong>il</strong> braccio dicendo: "Vieni prima che ci accoppino" e discesero al vicino caffè del Cambio,<br />

dove cenarono allegramente mentre a due passi si faceva della commedia l'estremo<br />

scempio.<br />

Em<strong>il</strong>io Praga scrisse parecchi libretti per musica, e in questi sovente lo aiutò <strong>il</strong> Boito, perché <strong>il</strong><br />

poeta delle Penombre, capace di passare una notte intorno al congegno di una strofa, non<br />

poteva assolutamente far cosa che richiedesse l'attività continuata e regolare di qualche<br />

settimana. Respinto dal teatro, si rivolgeva al giornale: aveva nella stampa degli amici<br />

dispostissimi a pubblicare qualunque cosa sua, perché gli volevano bene e perché <strong>il</strong> suo nome<br />

era pur sempre un valore. Si metteva con ardore a imbastir novelle e racconti per appendice:<br />

era sicuro del fatto suo, avrebbe guadagnato tesori, ci contava, e ne disponeva: offriva<br />

generalmente ai suoi più intimi, a Boito, a Fontana, a Torelli di collaborare con lui. Il mestiere non<br />

era cosa per lui: l'arte ci s'inf<strong>il</strong>trava a sua insaputa, ci metteva, come dissi, troppo del suo, gli<br />

costava più fatica delle sue liriche migliori e tirati i conti questa pretesa letteratura alimentare non<br />

serviva che ad alimentare le sue <strong>il</strong>lusioni. In quindici anni menò a fine, credo, due novelle<br />

pubblicate dal Pungolo: nel 1867 cominciò nell'appendice della Platea un romanzo, le<br />

Memorie del Presbiterio. Alla settima appendice <strong>il</strong> romanzo fe' una sosta: <strong>il</strong> giornale morì e Praga<br />

vendette <strong>il</strong> romanzo incominciato al Pungolo. Per nove anni di seguito, ad ogni Natale, egli<br />

portava al Fortis lo scartafaccio e ne riceveva una cinquantina di lire, poi passato <strong>il</strong> primo<br />

dell'anno lo ritirava per finirlo, l'allungava di un paio d'appendici e lo lasciava lì. Veniva una cosa<br />

ineguale, stravagante, stiracchiata dalle idee più lontane e diverse, ma ricca d'immagini, di<br />

<strong>il</strong> <strong>secchio</strong>

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