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Rivista di educazione, formazione e cultura<br />

2012_XVI_4 - € 9<br />

Educare<br />

al tempo<br />

della crisi<br />

Rivista trimestrale di educazione, formazione e cultura - Registrazione Tribunale di Milano n.187 del 29/3/1997<br />

Sped. in abb. post. 45% ART.2, COMMA 20B, LEGGE 662/96 FILIALE DI MILANO - ISSN 1593-2559<br />

In caso di mancato recapito restituire al mittente presso CMP Padova che si impegna a pagare la tassa di restituzione


Rivista di educazione, formazione e cultura<br />

anno XVI, n° 4<br />

Ottobre, Novembre, Dicembre 2012


<strong>Pedagogika</strong>.it/2012/XVI_4/<br />

Rivista di educazione, formazione e cultura<br />

esperienze - sperimentazioni - informazione - provocazioni<br />

Anno XVI, n° 4 – Ottobre/Novembre/Dicembre<br />

Direttrice responsabile<br />

Maria Piacente - maria.piacente@pedagogia.it<br />

Redazione<br />

Fabio Degani, Marco Taddei, Mario Conti,<br />

Dafne Guida Conti, Nicoletta Re Cecconi, Carlo<br />

Ventrella, Mariarosaria Monaco, Liliana Leotta,<br />

Cristiana La Capria, Serena Bignamini, Emanuele<br />

Tramacere, Massimo Jannone, Coordinamento<br />

pedagogico Coop. Stripes.<br />

Comitato scientifico<br />

Silvia Vegetti Finzi, Fulvio Scaparro, Duccio Demetrio,<br />

Don Gino Rigoldi, Eugenio Rossi, Alfio Lucchini, Pino<br />

Centomani, Ambrogio Cozzi, Salvatore Guida, Pietro<br />

Modini, Angela Nava Mambretti, Anna Rezzara, Lea<br />

Melandri, Angelo Villa<br />

Hanno collaborato<br />

Laura Balbo, Raffaele Mantegazza, Crisitina<br />

Bonino, Alberto Pellai, Jole Orsenigo, Franco<br />

Blezza, Claudio Giunta, Giulio Ferroni, Mario<br />

Ambel, Sergio Premoli, Federica Fenili, Giovanni<br />

Brembilla, Roberto Moretti, Emma Tellatin, Angelo<br />

Romeo, Vanna Iori, Claudia Alemani, Marcello<br />

Morale, Nando Dalla Chiesa.<br />

Fotografie: www.sxc.hu<br />

Edito da StripesNetwork s.r.l - www.stripes.it<br />

Direzione e Redazione<br />

Via G. Rossini n. 16 - 20017 Rho (MI)<br />

Tel. 02/9316667 - Fax 02/45500911<br />

e-mail: pedagogika@pedagogia.it<br />

Sito web: www.pedagogia.it<br />

FaceBook: <strong>Pedagogika</strong> Rivista<br />

Responsabile testata on-line<br />

Igor Guida - igor.guida@pedagogia.it<br />

Progetto grafico/Art direction<br />

Raul Jannone - raul.jannone@studioatre.it<br />

Promozione e diffusione<br />

Fabio Degani, Federica Rivolta<br />

Pubblicità<br />

advertising@pedagogia.it<br />

Registrazione Tribunale di Milano n.187 del<br />

29/3/1997 - Sped. in abb. post. 45%<br />

ART. 2, COMMA 20B LEGGE 662/96 FILIALE DI<br />

MILANO - issn 1593-2559<br />

Stampa: Logo Press - Borgoricco (Pd)<br />

Distribuzione in libreria:<br />

Clueb Distribuzione - Via Marsala, 31 - Bologna<br />

Distribuzione biblioteche, scuole e altri enti:<br />

Ls Distribuzione - Servizio Biblioteche Via Badini<br />

17, Quarto Inferiore (BO)<br />

è possibile proporre propri contributi inviandoli<br />

all’indirizzo e-mail articoli@pedagogia.it<br />

I testi pervenuti sono soggetti all’insindacabile giudizio<br />

della Direzione e del Comitato di redazione e<br />

in ogni caso non saranno restituiti agli autori<br />

Questo periodico è iscritto a<br />

Unione Stampa Periodica Italiana<br />

Coordinamento Riviste<br />

italiane di cultura


<strong>Pedagogika</strong>.it/2012/XVI_4/<br />

s o m m a r i o<br />

5 Editoriale<br />

Maria Piacente<br />

../Dossier/Educare in tempo di crisi<br />

8 Introduzione<br />

10 L'educazione al tempo della crisi<br />

Laura Balbo<br />

14 Costruir su macerie...<br />

Raffaele Mantegazza<br />

20 La crisi può essere una risorsa?<br />

Cristina Bonino<br />

23 Crescere in tempo di crisi:<br />

oltre i limiti, le sfide possibili<br />

Alberto Pellai<br />

32 Educare al desiderio<br />

Jole Orsenigo<br />

38 La rivoluzione di Paestum<br />

Maria Piacente<br />

42 Alla ricerca<br />

del "padre" e della "madre"<br />

Franco Blezza<br />

47 A chi mai può stare a cuore<br />

l’uguaglianza a scuola?<br />

Claudio Giunta<br />

53 Concreta, forte e autorevole:<br />

una scuola a misura di presente<br />

Giulio Ferroni<br />

58 Cinque antitesi paradossali<br />

per uscire dalla crisi<br />

Mario Ambel<br />

../Temi ed esperienze<br />

66 Gli operatori, la crisi<br />

e la risorsa della supervisione<br />

Sergio Premoli<br />

72 Un modello educativo per<br />

la prevenzione dell'HIV con<br />

l'aiuto di Facebook<br />

Federica Fenili, Giovanni<br />

Brembilla, Roberto Moretti<br />

78 Genesi della famiglia<br />

e camici bianchi<br />

Emma Tellatin<br />

85 Società dei consumi<br />

e nuovi modelli culturali<br />

Angelo Romeo<br />

93 Neutralità e saperi di genere<br />

Vanna Iori<br />

../Cultura<br />

99 A due voci<br />

Angelo Villa, Ambrogio Cozzi<br />

103 Scelti per voi,<br />

Libri - Ambrogio Cozzi (a cura di)<br />

Musica - Angelo Villa (a cura di)<br />

Cinema - Cristiana La Capria (a cura di)<br />

114 Arrivati in redazione<br />

117 ../In vista<br />

118 ../In breve<br />

119 Carnet - La redazione consiglia<br />

3


<strong>Pedagogika</strong>.it<br />

4<br />

Rivista di educazione, formazione e cultura<br />

Numero di c/c postale 001003749668<br />

intestato a Stripes Network s.r.l<br />

via Marziale, 9 - 20017 Rho (Mi)<br />

L’abbonamento annuale per 4 numeri è:<br />

€ 30 privati<br />

€ 60 Enti e Associazioni<br />

€ 90 Sostenitori<br />

Insieme alla ricevuta di avvenuto pagamento inviare il coupon presente all’interno della<br />

rivista, una volta compilatolo, al n° di fax 02-45500911 o per posta ordinaria al seguente<br />

indirizzo: Redazione <strong>Pedagogika</strong>.it, via Rossini, 16 - 20017 Rho (Mi)<br />

<strong>Pedagogika</strong>.it è disponibile presso tutte le librerie Feltrinelli d’Italia e in altre librerie il<br />

cui elenco è consultabile sul sito www.pedagogia.it<br />

Per ordini e abbonamenti on line: www.pedagogia.it - ordini@pedagogia.it


<strong>Pedagogika</strong>.it/2012/XVI_4/<br />

Della crisi<br />

di Maria Piacente<br />

Oggi da più parti si sente parlare di crisi, crisi in senso lato: crisi dei valori, crisi<br />

economica, crisi sociale, crisi della famiglia, crisi della coppia, sia di quelle datate<br />

dagli anni e ancora di più delle nuove coppie, crisi nelle e delle relazioni.<br />

Liquidità, polverizzazione, vaporizzazione, incertezze, demotivazione, perdite di<br />

identità e così via sembrano le parole chiave di questo nostro mondo occidentale.<br />

Nessuno degli ambiti prima indicati ne sembra immune e tutti si affannano a<br />

parlarne, a interrogarne contesti e circostanze cercando di dare delle spiegazioni e<br />

delle risposte ai tantissimi perché che avvolgono la parola “crisi” che di per sé non<br />

ha necessariamente un significato negativo.<br />

In effetti le “crisi” dovrebbero aiutare a crescere; anche sul piano psicologico e<br />

fisico abbiamo tutti e tutte sperimentato questo stato, questo rito di transizione:<br />

quanta frustrazione per il brutto anatroccolo prima di diventare cigno!<br />

Ma la sensazione che provo (oddio, sto invecchiando?) è che è diventato difficilissimo<br />

di questi tempi interrogare le difficoltà dello stare al mondo senza individuare<br />

immediatamente qualcosa o qualcuno a cui dare la colpa. Insomma che<br />

quell’esercizio legato alla ricerca della verità sia ormai caduto un po’ in disuso e che<br />

la virtù del coraggio è sempre di più merce rara. Ogni giorno sentiamo discorsi o<br />

leggiamo sui giornali della crisi o delle crisi con le quali dovremmo convivere, dei<br />

limiti che ciascuno di noi è tenuto ad accettare. Insomma svariati punti di vista che<br />

nell’imbarbarimento generale vorrebbero parlarci di pari opportunità, di giustizia<br />

e di cittadinanza per tutti gli individui. Ci sembra, per questo, di potere accedere<br />

a luoghi e contesti che vorremmo abitare, dove pensiamo potrebbe fare capolino<br />

la nostra singolare soggettività, ma in particolare oggi, come dice Salvatore Natoli<br />

(in L’edificazione di sé, istruzioni sulla vita interiore, Laterza 2010,) “Oggi a prevalere<br />

è l’impersonalità della serie. La nostra è una società dell’addestramento, non certo<br />

delle virtù, vale a dire della coltivazione della propria singolare eccellenza. Certo, le<br />

virtù possono anche essere non richieste, ma vicende recenti – e si può dire la storia in<br />

generale – stanno lì a mostrare che laddove mancano le virtù, le società tendono alla<br />

lunga a scomporsi, a disfarsi. O, comunque, si riducono a una condizione in cui non<br />

è bello vivere”.<br />

Credo che sia diventato ormai improcrastinabile per chi desidera davvero lasciare<br />

un segno del suo passaggio, agire in prima persona con la responsabilità,<br />

l’eticità che stare al mondo comporta. Allora Educare al tempo della crisi può diventare<br />

un’opportunità di crescita reale e quindi gli adulti dovrebbero fare propria<br />

quell’assunzione di responsabilità che si nutre della testimonianza umile e sincera<br />

di ciascuno e di ciascuna, dentro e fuori dai contesti espressamente educativi o scolastici,<br />

assunzione di responsabilità a tutti i livelli sociali, ambientali, politici. Non<br />

5


<strong>Pedagogika</strong>.it/2012/XVI_4/Educare_al_tempo_della_crisi<br />

6<br />

possiamo più storcere il naso e sentirci al di sopra delle parti. Noi siamo dentro le<br />

parti e questo agire deve coinvolgere tutti i passaggi d’età; giovani e meno giovani,<br />

dovremmo prendere in mano la nostra vita e tentare di tessere con il nostro lavoro<br />

e le nostre sapienze un mondo più umano, prima di tutto da vivere.<br />

Primum vivere nell’incertezza. La sfida femminista nel cuore della politica è<br />

stato il titolo del convengo di Paestum che tra molte altre cose ha rimesso al centro<br />

il tema della giusta rappresentanza femminile nell’ambito politico per aiutare ad<br />

operare un cambiamento radicale nel nostro Paese, per tracciare qualche percorso<br />

e uscire da questa crisi. Altre sfide sono quelle portate avanti da chi, pur parlando<br />

di crisi e scarsa educatività, recuperando suggestioni antiche di vecchie istanze di<br />

distruzione della scuola, alla Ilich per intendersi, professa invece, come fa Paolo<br />

Mottana nel suo Piccolo manuale di controeducazione, una sincera fiducia in una<br />

riscossa possibile: “Occorre ripensare lo spazio, il tessuto fisico dell’esperienza giovanile,<br />

sgomberarlo, liberarlo, disseminarlo di opportunità di nuovo cimento, di nuova<br />

sperimentazione”.<br />

Occorre, in altre parole, smettere gli abiti di improbabili Cassandre e cimentarsi<br />

a vivere, educare, imparare, agire, anche, come dicevano i nonni, rimboccandosi le<br />

maniche, quelle che intorpidiscono e rallentano azioni e pensieri.


Dossier


<strong>Pedagogika</strong>.it/2012/XVI_4/Educare_in_tempo_di_crisi<br />

8<br />

Educare al tempo della crisi<br />

La crisi economico-finanziaria pone oggi sfide inedite anche per i luoghi<br />

dell’educazione e della formazione; il momento che stiamo attraversando infatti<br />

sta avendo un impatto importante sul welfare, sui diritti ed anche sui processi di<br />

rappresentanza democratica. Ma democrazia, partecipazione, solidarietà non sono<br />

valori innati nell’uomo, bensì prodotti della cultura, cioè dell’educazione. Educare<br />

al tempo della crisi allora può forse voler dire promuovere il ruolo dell’educazione<br />

in relazione alla politica e alla comunità, intendere l’educazione come fondamento<br />

per la costruzione di una nuova visione delle relazioni e dei rapporti di potere.<br />

La crisi che stiamo attraversando è anche una crisi educativa: dopo decenni di<br />

promesse di facile “successo”, è oggi fondamentale ri-educare i giovani e gli adulti<br />

a progettare percorsi, a porsi obiettivi a lungo termine, a ricostruire il valore e la<br />

capacità di fare sacrifici, a recuperare attitudini quali la sobrietà, il risparmio, il<br />

“fare tesoro” di risorse, di esperienze e di relazioni.<br />

Educare in tempo di crisi allora significa soprattutto non farsi travolgere dalle<br />

“passioni tristi” che la accompagnano, significa allenare i giovani alla speranza, al<br />

sogno e al desiderio; e stimolare gli adulti a raccontare le proprie imprese, a costruire<br />

narrazioni generative che siano di esempio per nuove imprese ed avventure per<br />

le nuove generazioni. Educare cioè gli adulti ad avvertire il dovere di essere punti<br />

di riferimento per i giovani, in un momento in cui si sta allargando il divario socioeconomico<br />

tra le generazioni ed aumenta l’ansia per il futuro.<br />

Proprio in un periodo di forte ridimensionamento del welfare e di rischio per la tenuta<br />

della coesione sociale, crediamo sia necessario promuovere una cultura della solidarietà e<br />

del prendersi cura dell’altro: passare dalla concorrenza alla con-curanza, auspicabile anche<br />

in una società competitiva e concorrenziale a livello globale come quella attuale.<br />

Secondo noi quindi il modo migliore di occuparsi di educazione in tempo di crisi<br />

è quello di mettersi alla ricerca delle opportunità di cambiamento, contaminazione,<br />

ibridazione, in essa contenute.


<strong>Pedagogika</strong>.it/2012/XVI_4/Educare_in_tempo_di_crisi<br />

Education in crisis time<br />

Nowadays the economic-financial crisis puts out new challenges also for<br />

the places of education and of pedagogy; indeed the moment that we are going<br />

through has an important impact on the welfare, on rights and also on the processes<br />

of democratic representation. Yet democracy, participation and solidarity are not<br />

innate values in human being, but the products of culture, that is of education. To<br />

educate in crisis time, then, means to promote the role of education in connection<br />

to politics and to community, to consider education as the basis for the construction<br />

of a new relation and connections of power.<br />

The crisis that we are going through is an educational crisis: after decades of<br />

promises of easy “success”, today it is fundamental to re-educate the young and the<br />

adults to plan paths, to set themselves long term targets, to reconstruct the value<br />

and the ability to make sacrifices, to recover attitudes as sobriety, saving, “to treasure”<br />

resources, experiences and relationships.<br />

To educate in crisis time means, then, most of all, not to let oneself be overwhelmed<br />

by the “sad passions” that come with it, it means to train the young to<br />

hope, to dream, to desire; and to spur the adults to tell their deeds, to construct<br />

generative narrations that are the example for new deeds and adventures of new<br />

generations. Educate, then, adults to feel the duty to be points of reference for<br />

young people, in a moment in which the socio-economic gap between generations<br />

continues to widen and increases the anxiety for future.<br />

In a period of great welfare reduction and of risk for social cohesion resistance,<br />

we think it is necessary to promote a culture of solidarity: to move from competition<br />

to take care of other people, that is desirable also in a global competitive society like<br />

the current one.<br />

In our opinion then the best way to deal with education in crisis time is to go<br />

in search for opportunities of change, of cultural fusion and cross, that are in it.<br />

Dossier 9


<strong>Pedagogika</strong>.it/2012/XVI_4/Educare_in_tempo_di_crisi/<br />

20<br />

La crisi può essere una risorsa?<br />

Solo quando la pedagogia leggerà nella crisi una sfida educativa sarà possibile<br />

recuperare le origini del concetto e riconoscere una scelta e una possibilità<br />

formativa-educativa. Occorre ritornare al verbo: solo “separando” e “scegliendo”,<br />

quindi operando un movimento di discriminazione ed elezione, sarà possibile<br />

per la pedagogia ripensare se stessa dentro la crisi considerando tale momento<br />

un’opportunità per una lettura critica e progettuale.<br />

Cristina Bonino*<br />

Educazione e crisi due termini che insieme trasmettono disorientamento, confusione<br />

e preoccupazione. Eppure questo non è solo un tema scelto dalla rivista<br />

<strong>Pedagogika</strong> e dai suoi lettori, questo è un argomento che interessa (o dovrebbe interessare)<br />

tutto il mondo educativo. Il problema è: da dove partire? Come affrontare<br />

la questione senza perdersi in perentorie disquisizioni?<br />

Ecco, noi crediamo che quando non si sa da dove iniziare e si teme di aprire<br />

un discorso vuoto di significato e significati sarebbe opportuno compiere un passo<br />

indietro e riflettere sulle origini dei concetti di base e di come questi siano in relazione<br />

tra di loro.<br />

Pensiamo alla definizione etimologica del termine “crisi”, una parola che oggi<br />

ha invaso non solo il mondo scientifico, politico ed economico, ma ogni tipo di<br />

ambiente da quello accademico a quello popolare. Il termine “crisi”, di derivazione<br />

greca (Krisis), proviene dal verbo greco “separare” e originariamente indicava la<br />

“separazione”. Infatti, il verbo era utilizzato in riferimento alla trebbiatura, cioè<br />

all’attività conclusiva nella raccolta del grano consistente nella separazione della<br />

granella del frumento dalla paglia e dalla pula. Da qui deriva sia il primo significato<br />

“separare” sia quello traslato di “scegliere”.<br />

Il termine crisi iniziò ad essere utilizzato in italiano a partire dal XIV secolo, in<br />

francese dal XVII secolo e in tedesco dal XVIII secolo, in tutti questi casi tale concetto<br />

caratterizzò dapprima situazioni militari in difficoltà per poi denotare circostanze<br />

politiche che esigevano decisioni e interventi concreti e immediati da parte degli attori<br />

coinvolti. Inoltre, è probabile che sia in questo periodo che il termine crisi abbia<br />

iniziato ad essere velato di una connotazione negativa, infatti, concepito come una<br />

perturbazione delle relazioni all’interno di un sistema (o ambiente) il concetto di crisi<br />

iniziò ad indicare qualcosa in grado di mettere in pericolo la sopravvivenza dello stesso<br />

sistema o di una sua parte. L’ulteriore evoluzione ha fatto sì che con tale termine siano,<br />

soprattutto, messi in primo piano i problemi che riguardano l’adattamento di un<br />

sistema in un dato ambiente. Ricordiamo, inoltre, che è proprio in questo periodo che<br />

le discussioni sociologiche si sono maggiormente concentrate sullo studio e sull’analisi<br />

dei meccanismi dei conflitti sociali. D’altronde, sarà la filosofia marxista che, avviando<br />

un’apertura di interesse della storia nei confronti della sociologia, permetterà di guardare<br />

in modo differente ai fenomeni di crisi. Lungo queste evoluzioni terminologiche si


<strong>Pedagogika</strong>.it/2012/XVI_4/Educare_in_tempo_di_crisi/La_crisi_può_essere_una_risorsa?<br />

è accentuato il significato tecnico del termine “crisi” soprattutto in direzione di quella<br />

polarizzazione negativa del vocabolo che esploderà prepotentemente nel 1929 con il<br />

crollo di Wall Street e che conseguentemente, nel secondo Novecento, consoliderà la<br />

sua definizione come qualcosa di sfavorevole e nocivo. E’ solo a questo punto che il<br />

termine “crisi” usato dal modo economico, dalla sociologia e dalla storia ha iniziato ad<br />

interessare anche la psicologia e le altre giovani discipline che studiano l’essere umano e<br />

le sue relazioni sociali. Se leggiamo la definizione di “crisi” dal Dizionario di Psicologia di<br />

Galimberti scopriamo che la crisi “in ambito psicologico si riferisce ad un momento della<br />

vita caratterizzato dalla rottura dell’equilibrio precedentemente acquisito e dalla necessità<br />

di trasformare gli schemi consueti di comportamento che si rivelano non più adeguati per far<br />

fronte alla situazione presente” (ad esempio pensiamo alle fasi di crescita di Erikson in cui<br />

ad ogni fase della vita corrisponde non solo un compito evolutivo, ma anche una crisi<br />

specifica da affrontare e superare, difatti, solo attraverso la crisi è possibile passare alla<br />

fase successiva). Ed ecco che il concetto di crisi, che in passato indicava “una decisione<br />

e una scelta” iniziò da una parte a connotarsi sempre più negativamente indicando “un<br />

deterioramento”, “un turbamento”, “un’incrinatura” o “uno sconvolgimento e rottura”<br />

di un certo status quo, mentre dall’altra incominciò ad indicare stati situazionali “transitori,<br />

normali e utili” in cui si verifica il passaggio da una fase all’altra.<br />

A questo punto, dopo questo veloce excursus sull’evoluzione etimologica del<br />

concetto di crisi, ci chiediamo che interesse e beneficio ne potrebbe trarre la pedagogia<br />

dalla conoscenza delle radici di tale termine. Per meglio orientarci e giungere<br />

così ad una unione terminologica dei due concetti permetteteci un rapido sguardo<br />

anche per il termine “educazione”. Infatti, nonostante tutti conosciamo le radici<br />

di questa parola e il suo principale riferimento alla figura di Socrate, è opportuno<br />

sapere che in questa sede ci siamo soffermati a riflettere soprattutto sul suo doppio<br />

significato: da una parte “educare” come “trarre fuori”, dall’altra “educare” come<br />

“allevare, istruire e accompagnare”.<br />

A questo punto è arrivato il momento di tentare di legare insieme il concetto<br />

di crisi con quello di pedagogia. Per una lettura propositiva e costruttiva rispetto<br />

l’unione di questi due concetti crediamo sia opportuno citare Bertolini il quale<br />

aveva già intravisto nel concetto di crisi un richiamo alla realtà concreta delle cose<br />

soprattutto considerandolo un lento processo di astrazione e polarizzazione negativa.<br />

Forse, solo attraverso “un autentico ripensamento pedagogico della pedagogia” è<br />

possibile permettere e “contribuire in modo decisivo (…) all’assunzione delle sfide che<br />

la crisi del mondo contemporaneo propone”.<br />

Solo quando la pedagogia leggerà nella crisi una sfida educativa sarà possibile<br />

recuperare le origini del concetto e riconoscere una scelta e una possibilità formativa-educativa.<br />

Occorre ritornare al verbo: solo “separando” e “scegliendo”, quindi<br />

operando un movimento di discriminazione ed elezione, sarà possibile per la pedagogia<br />

ripensare se stessa dentro la crisi considerando tale momento un’opportunità<br />

per una lettura critica e progettuale.<br />

Secondo noi la centralità della questione etimologica e la sua definizione pedagogica<br />

sono di vitale importanza per una diversa visione di questa tematica. La riflessio-<br />

Dossier<br />

21


<strong>Pedagogika</strong>.it/2012/XVI_4/Educare_in_tempo_di_crisi/La_crisi_può_essere_una_risorsa?<br />

22<br />

ne sull’origine di questi due concetti, in particolare del termine crisi, può far emergere<br />

un quadro ancora più complesso e sfumato in cui la discussione sulla tematica<br />

di “educare in tempi di crisi” si intreccia da una parte con la storia del termine crisi<br />

e dall’altra con il concetto di educazione. Ma, forse, è proprio all’interno di questo<br />

quadro concettuale che diventa decisiva la maturazione del senso di costruire un<br />

“Educare nella Crisi” come una possibilità e un’opportunità educativa-pedagogica.<br />

In questo contesto teorico-culturale può prendere forma una riflessione sulle risorse,<br />

sulle competenze, sulle possibilità, sulle scelte e sulle decisioni che la pedagogia deve<br />

sostenere in visione di un progetto rivolto al futuro.<br />

D’altronde, l’attenzione al possibile non è il fulcro della riflessione teorica e<br />

dell’impegno pratico della pedagogia in cui diventano essenziali sia le dimensioni<br />

della intenzionalità educativa e sia della progettualità pedagogica? Lasciando in sospeso<br />

questa domanda ci avviciniamo alla conclusione di questo articolo ricordando<br />

che la pedagogia deve sempre partire dalla realtà in cui si trova perché l’educazione<br />

opera innanzitutto nella realtà del Presente e dell’Adesso. E allora, se da una parte<br />

non è sicuramente negando la crisi che è possibile costruire dei progetti educativi<br />

aderenti alla realtà, dall’altra, forse, la pedagogia si ritrova a dover fare un passo<br />

indietro recuperando la storia e le evoluzioni dei concetti che le gravitano attorno.<br />

Solo attraverso una differente riflessione sarà possibile guardare la realtà con occhiali<br />

differenti e sciogliere i nodi che imprigionano, oggi, il movimento educativo.<br />

Ma allora “Educare in tempi di crisi è possibile”?<br />

Non solo è possibile, ma sarà proprio passando attraverso la crisi che la pedagogia<br />

potrà recuperare possibilità educative dimenticate e soffocate da quell’alone<br />

negativo che circonda superficialmente il termine crisi. Come nelle fasi di Erikson<br />

l’educazione si trova in un momento di crisi-passaggio, ma forse sarà proprio attraversando<br />

la transizione ed esperienza di questo momento che la pedagogia svolgerà<br />

e costruirà il suo compito educativo.<br />

*Pedagogista<br />

Bibliografia<br />

Bertolini P., L’esistere pedagogico. Ragioni e limiti di una pedagogia come scienza fenomenologicamente<br />

fondata, Firenze, La Nuova Italia, 1988.<br />

Galimberti U., Dizionario di Psicologia, UTET, Torino, 1994.<br />

Milani L., Competenza pedagogica e progettualità educativa, Editrice La Scuola, Brescia, 2000.


<strong>Pedagogika</strong>.it/2012/XVI_4/dossier/<br />

38<br />

La rivoluzione di Paestum<br />

Educare con la politica delle donne<br />

In mezzo alla grande crisi politica, alla corruzione<br />

che ha invaso e pervaso varie correnti politiche<br />

nel nostro Paese, alla durezza dei molti che quasi<br />

invocano il “Muoia Sansone con tutti i Filistei!”<br />

palpita la “rivoluzione necessaria” delle donne, un<br />

desiderio di cambiamento fatto di “passioni durature”<br />

che, come ha detto Lea Melandri in apertura<br />

delle due giornate dell’incontro Nazionale di Paestum<br />

Primum vivere anche nella crisi: la rivoluzione<br />

necessaria, la sfida femminista nel cuore della politica,<br />

non si è mai spento e che non ha mai smesso di<br />

essere al centro del movimento femminista.<br />

Seppure con diversi accenti e molte contrapposizioni il nucleo palpitante<br />

della politica delle donne è rimasto vivo e vegeto e oggi, con ancora più forza e<br />

consapevolezza, riemerge chiaro.<br />

Forte e chiara è stata, secondo me, la voce del movimento femminista che<br />

dopo quasi quarant’anni si ritrova a Paestum con il desiderio vero di ascoltare ed<br />

ascoltarsi e questo è stato possibile grazie alle modalità organizzative utilizzate, al<br />

clima di fiducia reso possibile anche<br />

dal “passo indietro” che le grandi<br />

femministe storiche presenti hanno<br />

saputo fare. Questo ha permesso di<br />

far dire a delle ragazze “siamo tutte<br />

femministe storiche!” e ad altre di<br />

affermare, con un riconoscimento<br />

non scontato, che tanto è stato<br />

trasmesso alle nuove generazioni! Tanta<br />

storia che dovrebbe lasciare soddisfatte<br />

le più “vecchie” che hanno saputo<br />

“curare” il passaggio delle consegne<br />

testimoniando con le loro pratiche<br />

l’accessibilità a nuove politiche.<br />

Certo il clima che si è respirato dentro l’immensa sala del Centro Congressi<br />

dell’Hotel Ariston di Paestum non ha nulla a che vedere con la politica (?) urlata<br />

e stiracchiata a destra e a manca dalla maggior parte degli uomini che oggi<br />

detengono il “potere del disastro” nel nostro Paese. Perlopiù loro non vogliono<br />

“ascoltare ed ascoltarsi”, vogliono prendere tutto e subito senza ascoltare chi<br />

non condivide, impegnato nella riflessione su quanto potrebbe essere dissennato<br />

rimuovere quel che invece andrebbe interrogato.


<strong>Pedagogika</strong>.it/2012/XVI_4/dossier/La_rivoluzione_di_Paestum<br />

Ma ora è chiaro che a Paestum i<br />

segni si sono lasciati, eccome! Le quasi<br />

mille donne singole o legate a gruppi,<br />

associazioni, arrivate da cento e più città<br />

d’Italia sanno che “qualcosa è cambiato”<br />

perché si sono potute contare: vecchie,<br />

giovani e giovanissime interessate<br />

prima di tutto a vivere la loro vita senza<br />

schizofrenia. Dove l’ambito personale<br />

non è slegato da quello della politica,<br />

dell’economia, del lavoro e della cura.<br />

E noi donne lo sappiamo bene che la<br />

pratica del “partire da sé” sa che la cura non è un ambito domestico. “Cosa vuol<br />

dire portare cura?” si chiedeva Bia Sarasini a Paestum nell’ambito della discussione<br />

avviata tra donne in un gruppo più ristretto; “vuol dire scompaginare il potere!”,<br />

ribaltare le logiche del vecchio potere urlato e imbarbarito.<br />

A Paestum ho chiaramente percepito che qualcosa si è mosso e continua a<br />

muoversi: tutte abbiamo capito che il movimento femminista è vivo e vegeto<br />

e che ha prodotto e sta producendo ancora politica e che in questa politica<br />

noi donne non possiamo più fare a meno di entrarci usando la nostra forza<br />

e le nostre regole. La forza delle donne, come diceva Laura Fortini sempre<br />

a Paestum, “che ha tenuto insieme<br />

questo Paese anche per gli uomini,<br />

fatta di relazioni tra donne; anche se<br />

ora hanno bisogno di Rivoluzione”.<br />

Una rivoluzione che parte dalle<br />

nostre narrazioni politiche all’interno<br />

delle istituzioni; senza trionfalismi,<br />

senza ideologia, ma con quella forza<br />

necessaria con la quale ci siamo tutte<br />

congedate da Paestum, con desiderio<br />

e radicalità.<br />

Temi ed esperienze 39


<strong>Pedagogika</strong>.it/2012/XVI_4/Cultura/A_due_voci<br />

Angelo Villa<br />

A due Voci<br />

Le età della vita orientano e definiscono<br />

taluni generi letterari. Il più noto, ad<br />

esempio, è quello del romanzo di formazione.<br />

Un genere nel quale si annoverano<br />

celebri capolavori dove si narra l’iniziazione<br />

del protagonista alla vita adulta. Una<br />

nuova fase della vita si apre, nel mentre,<br />

sullo sfondo, l’inquietudine che assedia la<br />

figura centrale del racconto celebra il lutto<br />

per la perdita inconsolabile dell’infanzia.<br />

Una stanza della casa<br />

dell’essere è lasciata per<br />

entrare in un’altra.<br />

Ma cosa succede, invece,<br />

nella vecchiaia,<br />

quando è la casa stessa<br />

ad esser prossima a<br />

venir abbandonata? Il<br />

massiccio aumento,<br />

almeno in occidente,<br />

della popolazione anziana<br />

pone una serie<br />

di questioni di varia<br />

natura a questo livello,<br />

di cui, forse, si può<br />

ritrovare un’eco anche<br />

in campo letterario. Si<br />

può ipotizzare, di conseguenza,<br />

la nascita di<br />

un genere che vi faccia<br />

da specchio?<br />

Uno, mi pare, lo si può<br />

già circoscrivere. E’<br />

quello del “memoir”.<br />

Lo scrittore ricostruisce<br />

attraverso ricordi<br />

talune vicende di<br />

quel che ha vissuto. In<br />

gioco non c’è più un<br />

Nella ricostruzione sistematica dell’identità<br />

che è la Recherche proustiana<br />

l’inizio non viene situato nell’infanzia,<br />

non c’è un percorso sistematico rispetto<br />

alla storia, ma nelle incertezze che insidiano<br />

il quotidiano. Le prime pagine<br />

parlano dell’indeterminatezza del dormiveglia,<br />

delle illusioni della coscienza,<br />

dove la percezione di un odore porta al<br />

sovrapporsi dei tempi, allo slittare degli<br />

stessi nella presenza<br />

di sé all’ambiente. Il<br />

qui e adesso si svela<br />

come un precipitare<br />

di tempi passati, in<br />

una ricerca che possa<br />

dare coerenza e<br />

continuità all’esserci<br />

al mondo, all’esserci<br />

stati. Ma i tempi si<br />

sovrappongono il<br />

passato scorre nel<br />

presente, vi proietta<br />

la sua ombra, rende<br />

impossibile liberarsene<br />

e mina la certezza<br />

della presenza.<br />

L’inizio del romanzo<br />

di Gustafsson si<br />

avvicina allo stesso<br />

tema, ma con una<br />

Lars Gustafsson<br />

Le bianche braccia<br />

della signora Sorgedahl<br />

Iperborea, Milano 2012,<br />

pp. 240, € 15,50<br />

radicalità differente<br />

“Supponiamo, perché<br />

assurdo, che io<br />

non sia mai esistito.<br />

Supponiamo che<br />

fosse caduta troppa<br />

neve quella sera... E<br />

così scompaiono da<br />

Ambrogio Cozzi<br />

Cultura 99


<strong>Pedagogika</strong>.it/2012/XVI_4/Cultura/A_due_voci<br />

100<br />

attraversamento, come nel romanzo di<br />

formazione, ma, mi si passi il termine che<br />

non vuole sembrare insensibile, un’uscita.<br />

Il “memoir” rappresenta, infatti, una sorta<br />

di testamento consegnato ai posteri. Operazione<br />

umanamente comprensibile che<br />

comporta, tuttavia, un prezzo, alquanto<br />

esoso, quello cioè di immolare sull’altare<br />

del narcisismo individuale il demone sacro<br />

e bizzarro della finzione.<br />

Più interessante, mi pare invece la posizione<br />

di chi, non rinuncia al suo vecchio<br />

amore, croce e delizia della sua esistenza:<br />

la finzione. E non tradisce così la<br />

sua vocazione letteraria e offre un’altra<br />

versione dell’“uscita”. Più seduttiva e<br />

condivisibile. E’ ragione per cui, legittimandomi<br />

megalomanicamente a puntuto<br />

critico letterario, battezzerei (sic!) il<br />

primo genere di scrittura “agée” , quello<br />

del “memoir” insomma, come espressione<br />

di una letteratura del lascito o del,<br />

doppio sic, del lasciato a cui ne contrapporrei<br />

un’altra, quella che chiamerei<br />

del dono involontario. La finzione e<br />

dunque l’inganno permette allo scrittore<br />

anziano di meglio distillare il senso<br />

implicito di una vita, la sua, of course.<br />

Consegnando così al lettore, appena appena<br />

nascosta dietro il velo che l’inconscio<br />

distende, un dono raro, un dono,<br />

malgré soi, evitando le ambigue insidie<br />

del porsi come vittima o come statua.<br />

Nel regalo che offre e che, ovviamente,<br />

gli sfugge, l’autore allude agli oggetti<br />

che hanno segnato la propria vita, quasi<br />

una confessione, proprio quando la vita<br />

sta per prendere congedo. E’ l’oggetto<br />

che la mano tratteneva presso di sé e<br />

che, nel cedere al sonno o alla stanchezza<br />

(o all’approssimarsi della morte?), lascia<br />

cadere per terra nella speranza che<br />

un’anima curiosa lo raccolga.<br />

questa storia. In realtà prima ancora di<br />

aver fatto in tempo a entrarci. E io con<br />

loro: Io non esisto. Non sono mai esistito.<br />

Tutto qui.” Supponiamo allo stesso<br />

modo che il tempo sia una somma imperfetta<br />

di ricordi e cicatrici: un luogo<br />

remoto dove il possibile non si avvera<br />

mai, e l’assurdo trova sempre una via<br />

per manifestarsi, dove il passato sfuma<br />

nel presente, quasi vi si sovrappone, un<br />

tempo affollato di morti e sopravvissuti<br />

che camminano fianco a fianco sbucando<br />

sull’orlo della memoria, senza<br />

una ragione specifica, creando un altro<br />

tempo, un tempo onirico.<br />

“La memoria sceglie un testo particolare<br />

e io ignoro come chiunque altro il perché.<br />

E perché non il resto? Tutto il resto<br />

che ho senza dubbio dimenticato? Lo<br />

spazio tra i caratteri, dice Wittgenstein,<br />

è parte di ciò che da ai caratteri un senso.<br />

Se qualcuno ricordasse tutto, non gli<br />

rimarrebbe nessun presente in cui vivere.<br />

O vivrebbe in un eterno presente? Ho la<br />

strana sensazione che la memoria scelga<br />

per proprio conto. E mi domando che cos’è<br />

è che vuole. Ricordo la signora Sorgedahl<br />

così bene. Pensate! Nei cinquant’anni che<br />

sono trascorsi, non ho mai fatto stranamente<br />

nessun tentativo di rintracciare la<br />

signora Sorgedahl, non ho neanche cercato<br />

il suo nome nell’elenco del telefono”.<br />

Il tempo è denso e dilatato in questo<br />

romanzo-monologo, non c’è azione, la<br />

trama coincide con il percorso accidentato<br />

dell’esistenza in cui i fili intessono<br />

un arazzo che solo a posteriori assume<br />

senso, non è una storia che si dipana in<br />

un crescendo narrativo è più che altro<br />

un viaggio nella memoria e negli inganni<br />

della memoria. Una memoria filtrata<br />

per certi versi, e per altri sfuggenti come<br />

il senso dell’esistenza, dove la fantasia


<strong>Pedagogika</strong>.it/2012/XVI_4/Cultura/A_due_voci<br />

Lars Gustafsson è un bravo e pensoso scrittore<br />

svedese, nato nel ’36, di cui Iperborea<br />

ha tradotto diversi romanzi di meritato successo.<br />

L’ultima sua pubblicazione nella nostra<br />

lingua è Le bianche braccia della signora<br />

Sorgedahl, un testo che iscriverei all’intero<br />

di quella letteratura “agée” del dono. Un exprofessore<br />

di filosofia a Oxford s’interroga sul<br />

suo angosciante vissuto, quello cioè di non<br />

avere avvertito il senso della sua esistenza, del<br />

suo esserci nel proprio corpo, nel mondo.<br />

Era effettivamente nato?, è questa la dolorosa<br />

domanda con cui si apre il romanzo. E cosa<br />

gli ha regalato poi il senso di un esserci? Il<br />

protagonista del romanzo si guarda alle spalle,<br />

fruga tra pensieri e ricordi alla ricerca di<br />

quell’atto che gli ha restituito a posteriori il<br />

senso di una nascita, lui ossessionato com’era<br />

dalla ricerca di un posto, collocazione che lo<br />

legasse alla vita, sino a dare a quest’ultima il<br />

suo potere sulla morte e sull’inconsistenza,<br />

quantomeno durante la vita stessa. Come o<br />

dove reperire, allora, quest’evento particolare?<br />

L’infelicità e la solitudine erano le fedeli<br />

compagne del protagonista nella sua giovinezza.<br />

Poi, finalmente, un incontro, a tutti<br />

gli effetti, salvifico, quello con una donna di<br />

vent’anni più grande, la signora Sorgedahl:<br />

“era bella? Ricordo i suoi capelli rossi e le sue<br />

mani bianche mani morbide mentre accarezzava<br />

delicatamente il dorso del gatto acciambellato<br />

sulle mie ginocchia. Certo che era bella,<br />

molto bella. La cosa più bella che avessi mai<br />

visto”. Moglie di un ingegnere “insignificante”,<br />

lei è una donna italiana (o, forse, ticinese,<br />

mah?). Il protagonista se ne innamora e lei,<br />

lei… Quel che era destinato ad accadere, accade,<br />

in una sera d’aprile, con buona pace di<br />

T. S. Eliot. Possedere totalmente una donna,<br />

godere di lei, con lei: “Vedere, prima vedere<br />

ma poi percepire, tutte le sue risposte sempre più<br />

intense a tutto quello che riuscivo a inventarmi<br />

e a fare con il suo corpo”. Aggiunge Gustafs-<br />

(o i propri fantasmi?) cerca di sistemare<br />

gli eventi in una ricerca di coerenza,<br />

ma il ricordo duplica l’evento, gli restituisce<br />

un senso altro collocandolo nel<br />

tempo. Il tempo di cui Proust andava<br />

alla ricerca viene qui sezionato, quasi<br />

in una nuova contrapposizione tra<br />

analitici e continentali, se ne cercano<br />

gli snodi, attraverso artifici retorici che<br />

fanno riferimento al campo scientifico<br />

si cerca di trattenerlo di dargli una dimensione<br />

(si veda il capitolo Il funerale<br />

del cosmologo) dove il lavoro di scrittura<br />

sembra riprendere il tentativo di<br />

Strindberg, che lo stesso Gustafsson in<br />

un’intervista così definisce:“In Inferno,<br />

Strindberg non descrive tanto una crisi<br />

personale, quanto la crisi di una visione<br />

del mondo che si condensa nel delirio.<br />

Ma prova, prova a cartografare un’altra<br />

descrizione del mondo... Nell’Inferno di<br />

Stringberg, quindi, come lei ha scritto,<br />

la cosa più sconcertante che si possa riconoscere<br />

è che dietro il velo del delirio,<br />

tutto sembra rispondere al richiamo del<br />

vero”. Allora le digressioni filosofiche<br />

non sono solo digressioni, cercano<br />

piuttosto di rendere conto del rapporto<br />

tra la visione del mondo di oggi e<br />

l’esistenza del singolo, di come questa<br />

sia influenzata dai risultati della scienza,<br />

dalla visione del mondo plasmata e<br />

diffusa dalla scienza.<br />

Ma s’incontra anche altro in questo lavoro<br />

di scavo “tutt’a un tratto, nel mezzo<br />

dell’inquietudine, della sofferenza e<br />

dell’estasi di quella famosa estate, avevo<br />

trovato una crepa che sembrava portare<br />

dentro me stesso… Che cosa è più naturale<br />

da immaginare, più a portata di<br />

mano, del credere che io esisto presso l’altro<br />

allo stesso modo in cui esisto in me<br />

stesso? Ma non dev’essere così”.<br />

Cultura 101


<strong>Pedagogika</strong>.it/2012/XVI_4/Cultura/A_due_voci<br />

102<br />

son: “Mi sembrava come se realmente avessi<br />

ricevuto, alla fine, una risposta alla domanda<br />

se esistevo”. Passati gli anni, il protagonista<br />

fatica a ricordare il viso, ma l’unica cosa che<br />

ricorda è che era memorabile. La risposta era<br />

giunta, questo è l’importante. E, insieme ad<br />

essa, l’insegnamento di una vita…<br />

Questo è quel che sembra suggerire lo scrittore<br />

svedese, scomodando il lavoro della<br />

memoria, nell’epoca in cui, invecchiando,<br />

l’età ci trasforma in pericolosi sentimentali,<br />

specie gli uomini, capaci di far male agli<br />

altri e a sé stessi pur di assecondare la voluttuosa<br />

ingordigia di un cuore che irrompe<br />

nell’esistenza con più forza e arroganza di<br />

quanta non ne avesse nell’adolescenza.<br />

La malinconica coscienza del tempo irrimediabilmente<br />

perduto elargisce al cuore una<br />

spropositata autorevolezza, elevandolo a<br />

esclusivo depositario di una saggezza che pareva<br />

condannata a incarnare la sua più acerrima<br />

nemica. Come se lui, e solo lui, non la<br />

ragione, il sapere o la morale comune, potesse<br />

indicarci quel che ha reso vivibile un’esistenza.<br />

Tocca al cuore custodire il tesoro<br />

di ciò che è contato in una vita, fosse anche<br />

un incontro amoroso dal carattere inequivocabilmente<br />

incestuoso, ma, proprio per<br />

questo unico e meraviglioso. Lì, il tempo,<br />

quest’esattore impietoso appollaiato sulle<br />

nostre fragili spalle come un cupo avvoltoio<br />

su un ramo annerito, sembra, una volta<br />

tanto, sospendersi, dissolversi. E’ l’eternità<br />

che si congiunge all’istante e lo riprende nel<br />

suo grembo, illuminandolo di un bagliore<br />

folgorante. Un attimo prima che l’orologio<br />

riprenda il suo cammino. C’est tout.<br />

Questi interrogativi sull’altro e su se<br />

stesso trovano un punto di precipitazione,<br />

un punto di non ritorno che<br />

segna l’ingresso nella maturità. “Io ero<br />

sostanzialmente solo. Molto solo. Molto<br />

fragile. E spaventosamente forte. Adesso<br />

me ne rendo conto. Essere fragili può<br />

essere in effetti un presupposto per essere<br />

forti”. Una solitudine adulta, dovuta al<br />

fatto che nessuno ci può sostituire, che<br />

le scelte possiamo farle solo noi.<br />

Qualche recensore ha accostato questo<br />

romanzo a L’educazione sentimentale di<br />

Flaubert, ma come ha ben evidenziato<br />

Moretti ne L’inanto dell’indecisione,<br />

il momento culminante nel bordello<br />

in Flaubert è un momento in cui non<br />

accade nulla, tutto viene rinviato. In<br />

Gustafsson “Senza aver fatto in effetti<br />

alcuno sforzo avevo raggiunto le porte<br />

del Paradiso. Sì. Ed erano realmente<br />

spalancate. C’era solo da entrare. E la<br />

permanenza poteva durare all’infinito.<br />

E’ così strano che esitassi?” Ma l’esitazione<br />

non impedisce di andare oltre<br />

per accorgersi che “Non era niente di<br />

straordinario, davvero, ma quell’attimo<br />

non lo scorderò mai”.<br />

Un percorso labirintico nei ricordi,<br />

dove gli eventi ci restituiscono sfumature<br />

perdute, dove la grandinata si sovrappone<br />

all’incontro, a quell’incontro<br />

dove “Mi sembrava come se realmente<br />

avessi ricevuto, alla fine, una risposta alla<br />

domanda se esistevo”.


libri<br />

<strong>Pedagogika</strong>.it/2012/XVI_4/Cultura<br />

a cura di Ambrogio Cozzi<br />

Scelti per voi<br />

libri, cinema, musica<br />

Maria Rosa Cutrufelli,<br />

I bambini della<br />

ginestra,<br />

Sperling & Kupfer per<br />

Edizione Frassinelli,<br />

Milano 2012,<br />

p. 276, € 18,50.<br />

A Portella della Ginestra,<br />

un momento prima<br />

della strage, prima che Salvatore Giuliano<br />

ordini ai suoi uomini di sparare sulla folla<br />

radunata per assistere al comizio della festa<br />

del Lavoro, si apre il romanzo. È il 1947.<br />

Al Sasso Barbato, una specie di podio naturale<br />

che si erge sulla conca di Portella, la<br />

stessa roccia da cui si apprestava a parlare<br />

l’oratore in quella mattina di maggio, il romanzo<br />

si chiude. È il 1972.<br />

Tra questi due momenti si dipanano le vicende<br />

dei protagonisti del romanzo, Enza e Lillo.<br />

Sono loro a raccontare, in prima persona, la<br />

storia di quei venticinque anni, la loro storia e,<br />

insieme, i processi per la strage, capaci al più<br />

di punire qualche esecutore ma impotenti a<br />

identificare i veri mandanti, il coinvolgimento<br />

di politici che non si possono né si vogliono<br />

chiamare in causa, il succedersi delle misteriose<br />

morti le cui circostanze mai saranno chiarite.<br />

Due momenti e un luogo solo, Portella della<br />

Ginestra dominata dal Sasso Barbato, un luogo<br />

dal quale Enza e Lillo non possono che fuggire<br />

via, lontano, ma a cui inesorabilmente devono<br />

tornare. Soltanto prendendo il coraggio di rivedere<br />

il luogo da cui tutto ha avuto inizio e<br />

la piccola lapide, tante volte distrutta, potranno<br />

accettare, senza esserne preda, l’amarezza e la<br />

disillusione di chi non ha avuto giustizia, ma<br />

potranno anche pacificarsi con la propria terra<br />

e provare -forse- a costruire, un futuro comune.<br />

Maria Rosa Cutrufelli propone nel suo ultimo<br />

romanzo una storia densa e appassionante, nella<br />

quale come in altri lavori della scrittrice (La briganta,<br />

La donna che visse per un sogno) la Storia<br />

riveste un ruolo fondamentale. Le vicende dei<br />

protagonisti sono infatti ambientate in un contesto<br />

storico preciso che non costituisce solo uno<br />

sfondo indistinto, ma che si fa materia viva del<br />

raccontare. Rigore storico e capacità immaginativa<br />

si fondono e sanno restituire, con nitidezza<br />

quasi cinematografica, immagini di un’Italia<br />

lontana nel tempo: i viaggi in treno su sedili di<br />

legno, la vita quotidiana in piccole province periferiche,<br />

i colori delle stagioni che si avvicendano.<br />

Le voci che compongono il quadro, come si<br />

diceva, sono quelle di due reduci della strage.<br />

Un bambino e una bambina che diventano<br />

un uomo e una donna. E sono proprio il linguaggio<br />

del pensare di sé e la reazione alla tragedia<br />

che rendono conto della loro differenza<br />

sessuale: un sentire che li accomuna, ma che<br />

marca al contempo il confine e la distanza tra<br />

loro. Per questo ciascuno dei due dovrà farci i<br />

conti da solo e da sola, dovrà cercare il proprio<br />

modo di andare e tornare.<br />

Solo nel primo e nell’ultimo capitolo la<br />

voce narrante non appartiene ai due protagonisti<br />

quasi a richiamare comunque anche<br />

un’oggettività della piccola storia di due<br />

personaggi comuni, costretti dalla grande<br />

Storia a subire un destino imprevisto.<br />

Agisce la costruzione sapiente di una scrittrice<br />

che conosce bene i dispositivi narrativi e li<br />

usa dosandoli con maestria. Ma gioca anche<br />

la passione civile di una donna che si interroga<br />

e interroga lettori e lettrici: quante sono in<br />

questo Paese le stragi di cui non conosciamo i<br />

mandanti? Che ne è dei sopravvissuti, delle loro<br />

esistenze, delle loro disperazioni?<br />

Raccontare diventa allora – anche – un<br />

modo per testimoniare.<br />

Claudia Alemani<br />

Cultura 103


<strong>Pedagogika</strong>.it/2012/XVI_4/Cultura/Scelti_per_voi<br />

104<br />

Angelo Villa<br />

La mano nel<br />

cappello.<br />

Psicoanalisi ed<br />

handicap grave<br />

Stripes Edizioni, Rho<br />

(MI), 2009, pp. 183,<br />

€ 16,00<br />

Un criceto nella ruota, una mano nella gabbia.<br />

Sostenere un incontro impossibile.<br />

Mi chiedevo ragione, mentre leggevo il libro<br />

di Angelo Villa, di una sorta di difficoltà o disagio<br />

che avevo avvertito mentre percorrevo le<br />

prime pagine del testo e che di tanto in tanto<br />

riemergeva, come per non consentirmi di<br />

avanzare troppo rapidamente, spingendomi<br />

a soffermarmi un po’ per guardare meglio e<br />

non dare per scontato il panorama. Un libro<br />

chiaro, scritto anzi con un gusto da narratore,<br />

che talvolta può far sentire il lettore come di<br />

fronte ad un romanzo: come andrà a finire?<br />

Non erano certo un linguaggio troppo astratto<br />

o specialistico, o un argomentare intricato,<br />

o un mio disaccordo con i concetti espressi a<br />

farmi esitare. Al contrario. Dunque cosa?<br />

È con questo interrogativo come guida che tenterò<br />

di dire qualcosa del lavoro di Villa, consapevole<br />

del fatto che - probabilmente per un fatto<br />

più di stile, di modo d’interrogazione, che di sostanza<br />

- qualunque tentativo di entrare nel merito<br />

dei “concetti” non gli renderebbe giustizia.<br />

La mano nel cappello è un libro scritto attorno<br />

all’esperienza quotidiana, si potrebbe dire<br />

anche alla contingenza. Una precisa, approfondita,<br />

talvolta dura indagine della pratica<br />

che mira a interrogarne ogni aspetto: i piccoli<br />

particolari che divengono abitudini condivise,<br />

come i piccoli o grandi soprusi, talvolta rimasti<br />

persino inavvertiti, persi negli automatismi<br />

del fare di ogni giorno, i buoni luoghi comuni<br />

di “integrazione” e “autonomia”, l’affaccen-<br />

darsi riabilitativo che talvolta non lascia spazio<br />

ad altro, satura ogni cosa, non consentendo di<br />

dare accoglimento e ascolto al soggetto, il ruolo<br />

di tutto questo nel mascherare la posizione<br />

dell’operatore, o più in generale del “normale”,<br />

i suoi imbarazzi, le sue difficoltà, la sua<br />

impotenza di fronte all’abisso che lo separa<br />

dal disabile che vorrebbe aiutare.<br />

Il lavoro di Angelo Villa non è una lettura comoda;<br />

punta senza sconti alle finte ovvietà che<br />

minano la pratica, che fanno lievitare l’imbarazzo<br />

da cui vorrebbero proteggere, che aumentano<br />

il disagio (del normale come del disabile) proprio<br />

con quelle azioni, spesso troppe, con cui si<br />

vorrebbe mettere quel disagio in disparte. Come<br />

pensare ad un’autonomia proprio là dove le azioni<br />

stesse, o i giudizi, o i buoni propositi dell’operatore<br />

riempiono ogni spazio, facendo coincidere<br />

l’agire del disabile “riabilitato” con il volere<br />

del normale che educa? Come pensare un’autonomia<br />

senza separazione, se è il normale stesso<br />

a “incollare” il suo giudizio e le sue aspettative<br />

a ciò che chiede al disabile, a voler modellare la<br />

vita di quest’ultimo sulla sua? Si tende appunto<br />

a non pensarla perché, se si tentasse, si finirebbe<br />

per vedere che non ve ne è una la logica; ma proprio<br />

lì sta l’intoppo: posta la domanda una volta,<br />

calata nel proprio quotidiano di “normale”, nulla<br />

si può più dare per scontato e l’interrogativo ha<br />

un costo, brucia, scava.<br />

Eccoci dunque tornati a quella certa scomodità,<br />

difficoltà, disagio di cui avevo fatto accenno<br />

qualche riga sopra. Si tratta solo di questo?<br />

Una lettura che può spingere a interrogativi<br />

scomodi, là dove ci sarebbe stata una certa carenza<br />

nel porsene? Può essere, se è da questa<br />

posizione che si parte.<br />

Vi è probabilmente altro da considerare, tanto<br />

più che La mano nel cappello non è un gesto di<br />

accusa o polemica; nonostante le considerazioni<br />

precedenti, non si avverte nel testo un desiderio<br />

di “mettere il dito nella piaga”, ma piuttosto di<br />

interrogare veramente, senza sconti, l’umanità


<strong>Pedagogika</strong>.it/2012/XVI_4/Cultura/Scelti_per_voi<br />

che sta al fondamento di ogni incontro di cura,<br />

in primo luogo - Villa ne da continua testimonianza<br />

- quella dell’autore stesso, che non esista<br />

a mettere sotto la lente di ingrandimento le sue<br />

proprie impasse e che anzi sembra mirare, col<br />

suo stile e col suo modo di procedere peculiare,<br />

ad una costruzione “in soggettiva”, fondata su<br />

uno sguardo particolare di cui l’autore fa dono<br />

ai suoi lettori, base su cui costruisce anche le sue<br />

considerazioni più astratte e complesse.<br />

Se qui troviamo buona parte del valore e della singolarità<br />

di questo libro, è pur in questo stile così<br />

atipico che intravedo nel contempo parte della<br />

radice del disagio di cui ho posto la questione. Le<br />

molte vignette cliniche, su cui poggia l’indagine<br />

e la riflessione dell’intero testo, possono rievocare<br />

l’esperienza di ciascuno lettore, ma non lasciano<br />

spazio ad alcuna immedesimazione. Tanto più lo<br />

sguardo di Villa si mostra come proprio, singolare,<br />

si fa l’esperienza di una differenza, di una<br />

distanza; se anche le occasioni possono apparire<br />

simili, è la loro lettura, la costruzione che ciascuno<br />

ne ha fatto, se ha potuto tentare, che mostra<br />

un buco in cui si può inciampare ma che solo<br />

può creare le condizioni per un effetto di soggettivazione<br />

per il lettore, a maggior ragione se<br />

ha già lui stesso voluto avventurarsi sul cammino<br />

d’indagine cui l’autore ci invita.<br />

È su questo piano, dove i percorsi diversi di<br />

scrittore e lettore divergono o si sovrappongono<br />

formando figure sempre nuove, che l’esperienza,<br />

anche quella di aprire un libro, può diventare<br />

un’occasione d’invenzione per la propria<br />

pratica. Una teoria la si può amare o odiare, la<br />

si può far propria o respingere, la si può sviluppare<br />

o tentare di confutare. Uno sguardo lo si<br />

incrocia e non è mai una cosa facile; ma questo<br />

incrocio è anche un incontro, pur se mediato<br />

da delle lettere su un foglio di carta.<br />

Un vero incontro - proprio perché scomodo,<br />

in qualche modo impossibile perché sempre<br />

parziale, bucato - è cosa comune che si tenti per<br />

lo più di evitarlo, cosa di cui nel testo si tro-<br />

vano molti esempi. Che si tratti di una lettura<br />

scomoda, come di una persona in difficoltà,<br />

è sempre della distanza incommensurabile<br />

dell’alterità che si tratta, è sempre da questa che<br />

si tenta di ripararsi, è sempre di essa che non<br />

può fare a meno ogni sforzo di soggettivazione,<br />

che sia di un “normale”, di un “disabile”, di un<br />

“operatore-lettore” o di uno “scrittore-analista”.<br />

Senza tale sforzo, tuttavia, ogni azione – un<br />

intervento educativo come un’elaborazione teorica<br />

– rischia di girare a vuoto: l’affannarsi di<br />

un criceto sulla sua ruota che lascia ogni cosa,<br />

in particolar modo se stesso, nel suo triste posto,<br />

pur nella fatica e talvolta con tutte le buone<br />

intenzioni. Se una lettura può contribuire a<br />

trovarsi ad essere un po’ più soggetto e un po’<br />

meno “criceto”, varrà la pena di tentare? Il salto<br />

fuori dalla gabbia non è mai una volta per tutte<br />

e ogni dito che può indicare, testimoniandolo,<br />

che vi sono delle vie di uscita, o che si possono<br />

ricavare, è ben venuto, per quanto una mano<br />

nella “piccola casetta” possa essere inizialmente<br />

un ospite scomodo. Ad ognuno la scelta se<br />

fargli posto.<br />

Marcello Morale<br />

Emmanuel Carrère<br />

Vite che non sono<br />

la mia<br />

Einaudi,<br />

Torino 2011<br />

pp. 240, € 20,00<br />

Si pensa di solito che il<br />

dolore unisca gli individui,<br />

che possa accomunare.<br />

Se però ci soffermiamo sulle esperienze<br />

quotidiane, ci viene facile pensare all’imbarazzo<br />

che ci coglie quando facciamo le condoglianze<br />

a qualcuno. Cominciamo a pensare a che cosa<br />

dovremmo dire, a cercare le parole possibili, per<br />

poi finire spesso nel pronunciare banalità, frasi<br />

Cultura 105


<strong>Pedagogika</strong>.it/2012/XVI_4/Cultura/Scelti_per_voi<br />

106<br />

che ci lasciano insoddisfatti, con un senso spiacevole<br />

di non essere stati in grado di esprimerci,<br />

di poter stare vicini alla persona che ha subito<br />

la perdita. A volte ci limitiamo ad un abbraccio<br />

timido, impacciato, quasi che il gesto potesse<br />

sostituire le parole che non troviamo, che abbiamo<br />

faticosamente cercato rinunciando perché<br />

ne coglievamo l’insufficienza.<br />

Sembra che le parole non siano in grado di<br />

colmare la distanza che ci separa dagli altri,<br />

che la suddivisione tra “noi” e “loro” sia incolmabile.<br />

“Ci siamo noi, puliti e ordinati, risparmiati,<br />

e intorno a noi il cerchio dei lebbrosi,<br />

degli irradiati, dei naufraghi regrediti allo<br />

stato di selvaggi. Soltanto il giorno prima erano<br />

come noi, noi come loro, ma a loro è accaduto<br />

qualcosa che a noi non è accaduto e adesso apparteniamo<br />

a due umanità distinte”.<br />

Durante le feste di Natale del 2004, Emmanuel<br />

Carrère è in vacanza con la famiglia in Sri Lanka.<br />

Sono i giorni in cui lo tsunami devasta le coste<br />

del Pacifico: tra le migliaia di morti c’è anche<br />

Juliette, la figlia di quattro anni di una coppia<br />

di francesi a cui Carrère – accidentale testimone<br />

dello strazio di una famiglia – si lega. Qualche<br />

mese dopo, al ritorno in Francia, un altro lutto:<br />

la sorella della compagna dello scrittore – che casualmente<br />

si chiama anche lei Juliette – ha avuto<br />

una ricaduta del cancro che già da ragazza l’aveva<br />

colpita rendendola zoppa. Ha trentatré anni, un<br />

marito che adora, tre figlie, un lavoro come giudice<br />

schierato dalla parte dei più deboli, e sta morendo.<br />

Da questi eventi parte il testo di Carrère,<br />

da questo incontro con la perdita che divide: noi<br />

siamo ancora qui insieme, possiamo abbracciarci<br />

e contarci senza timore. L’evento tragico ha introdotto<br />

una cesura, per loro nulla sarà come prima,<br />

noi possiamo contare su una continuità con<br />

il prima. Di qui partono le “Vite che non sono<br />

la mia”, dal poter raccontare, dal poter trovare le<br />

parole in una distanza minima ma incolmabile,<br />

dal pensare di poter condividere e nel contempo<br />

in questo atto misurare una distanza enorme,<br />

come quella che misura Philippe, che si ritiene<br />

parte dei pescatori grazie alla sua lunga frequentazione<br />

di quei luoghi in Sri Lanka, ma si ritrova<br />

respinto pur credendosi uno di loro.<br />

L’uso dei tempi nel racconto scandisce questa<br />

operazione, al tempo indicativo presente della<br />

cronaca si contrappone l’imperfetto della necessità<br />

di arrendersi all’accaduto. Ad un passato che<br />

non passa, prolungando la sua ombra sul presente,<br />

si contrappone una necessità che consegni<br />

alla memoria l’evento, operazione imperfetta,<br />

che non si può fare senza residui, senza strascichi<br />

che come cicatrici segnano di nuovo il presente.<br />

Tempi che separando l’evento collocano nell’oggi<br />

l’accaduto e nello ieri l’azione interna, consegnando<br />

al passato la propria storia vissuta sino a<br />

quel momento; si fondono e si sovrappongono<br />

nella narrazione, in cui l’uso dei tempi grammaticali<br />

cerca di introdurre un ordine possibile, una<br />

necessità di poter dire e andare oltre.<br />

Sfuggendo a rappresentazioni retoriche catastrofiste<br />

che sconfinerebbero nell’horror,<br />

Carrère ci rappresenta l’arrivo dell’onda gigantesca,<br />

ma il senso dell’evento ci viene restituito<br />

attraverso il silenzio che cala dopo, la ricerca<br />

di notizie, il vagare a vuoto, l’essere confinati<br />

in assenza di informazioni che possano rendere<br />

conto, raccontare, trovare parole. L’evento<br />

è muto, è accaduto e lascia ora gli strascichi<br />

delle perdite, del dolore che separa.<br />

Al ritorno a Parigi arriva la notizia che Juliette,<br />

la sorella della moglie, è ammalata di tumore e<br />

sta morendo. Il dolore che sembrava lontano<br />

fa irruzione nella vita dell’autore, lo costringe a<br />

fare i conti con questa dimensione dell’esistenza,<br />

a cercare attraverso la scrittura di colmare<br />

questa distanza, a trovare le parole per osare dirne<br />

qualcosa: la vita, la morte, l’amore e il dolore<br />

come elementi essenziali della nostra esistenza<br />

si snodano nel testo. Una storia che cerca di riannodare<br />

i fili prima che sia troppo tardi, prima<br />

che si perda memoria, che le orme sbiadiscano<br />

sino ad essere introvabili.


<strong>Pedagogika</strong>.it/2012/XVI_4/Cultura/Scelti_per_voi<br />

L’incontro con Etienne, collega ed amico di Juliette<br />

da una svolta al racconto, inserisce Etienne<br />

e, attraverso i ricordi e le parole di questi,<br />

Juliette in una dimensione diversa, ci parla di<br />

due magistrati che hanno dedicato la loro vita a<br />

combattere, dalla posizione di semplici giudici<br />

di pace, in difesa di persone sovra-indebitate e<br />

contro il para-strozzinaggio di banche e società<br />

finanziarie. Qui il testo ci offre uno spaccato<br />

della società francese (e anche della nostra),<br />

popolata di figure per cui la giustizia è una chimera,<br />

afflitte dall’impossibilità della giustizia<br />

nell’incontro con la legalità, dalla loro mancata<br />

coincidenza che li consegna ad una solitudine<br />

cui i due magistrati cercano di porre rimedio,<br />

non tanto come novelli don Chisciotte, ma<br />

come soggetti che nell’esercizio della loro professione<br />

cercano di coniugare legalità e giustizia,<br />

cercano nel labirinto delle leggi la possibilità di<br />

ritrovare un equilibrio che possa rimediare allo<br />

sbilanciamento di partenza.<br />

La figura di Juliette assume allora uno spessore,<br />

attraverso le parole di chi la sta perdendo come<br />

amica, di chi per pudore la va a trovare quando<br />

sa di saperla sola, ritroviamo il senso di una presenza<br />

al mondo per una donna che ha saputo<br />

far i conti con la malattia, ha saputo conviverci<br />

conscia che l’esito poteva essere questo, ma ha<br />

rinunciato a perdere subito, senza clamori, in<br />

una quotidianità che è stata segnata da incontri<br />

e passioni vitali. Una donna che attraverso<br />

il lavoro egli affetti ha saputo andare oltre la<br />

malattia, non con spirito titanico e incosciente,<br />

ma come desiderio di lasciare un segno nel<br />

quotidiano, quel segno che ora si ritrova nella<br />

scrittura e viene “raccontato”, “detto” per chi<br />

l’ha conosciuta come memoria e a noi che non<br />

l’abbiamo conosciuta rimane questo scritto per<br />

capire, per interrogarci sulla sua mancanza.<br />

Non è un banale tentativo di rielaborazione del<br />

lutto, è un tentativo di andare oltre l’insensatezza<br />

del lutto. Sherazade sopravvive perché e<br />

finché sa raccontare, l’insensatezza trova nella<br />

parola un senso, una direzione che non cancella<br />

l’esito, ma va oltre l’esito attraverso le parole<br />

dei testimoni, di coloro che possono trovare le<br />

parole per dire che anche questo è stato.<br />

Ambrogio Cozzi<br />

Andrei Makine<br />

Il libro dei brevi amori<br />

eterni<br />

Einaudi, Torino 2012,<br />

pp. 176, € 14,00<br />

In lingua inglese vi è una<br />

distinzione tra history e<br />

story, quasi a significare<br />

una mancata coincidenza<br />

tra lo scorrere del tempo collettivo e gli eventi<br />

che lo scandiscono e il significato che questi<br />

eventi assumono nella vita quotidiana, una<br />

difficoltà insomma a dire che cosa ha creato le<br />

scansioni del tempo, i suoi intervalli. Questa<br />

differenza in italiano viene resa attraverso una<br />

pluralizzazione tra storia e storie, dove la Storia.<br />

Ma che cosa resiste alla Storia e sopravvive<br />

nella memoria dell’altro, di chi attraversa la<br />

Storia? Domanda a cui gli stessi storici di professione<br />

hanno cercato di rispondere, attraverso<br />

la Oral history, un approccio che cercava di<br />

intrecciare storia e storie, incontrando così la<br />

dimensione del ricordo. Ricordo che spesso<br />

sfuggiva alla ricostruzione degli eventi che la<br />

storia aveva prodotto, dove gli eventi venivano<br />

piegati alla ricerca di una coerenza interna,<br />

dove le immagini si confondevano, rifacendosi<br />

ad un’iconografia che non coincideva con<br />

la memoria fotografica degli eventi stessi, li<br />

rielaborava facendo ricorso ad altre immagini<br />

che potessero meglio rendere conto delle emozioni<br />

di cui gli avvenimenti erano intrisi.<br />

Makine ci dice che l’amore, magari breve,<br />

magari colto in un attimo, lascia un’impronta,<br />

un segno nell’esistenza di chi lo vive, procede<br />

Cultura<br />

107


<strong>Pedagogika</strong>.it/2012/XVI_4/Cultura/Scelti_per_voi<br />

108<br />

parallelo e impalpabile rispetto alla Storia che<br />

invece procede seminando torti e ingiustizie,<br />

senza lasciare scampo e tregue nel suo incedere.<br />

E’ come se quell’attimo, quel tempo breve<br />

bucasse la linearità di una storia consegnata<br />

ai documenti, segnata da grandi avvenimenti<br />

che segmentano il tempo, senza render conto<br />

di quel che accade nel soggetto che la attraversa<br />

e vive nella storia. Quell’attimo è un segno<br />

nella vita dell’individuo, un punto di svolta<br />

che illumina la comprensione della storia,<br />

che la fa precipitare nelle storie con una immediatezza<br />

e di ritorno ci restituisce un senso<br />

rispetto alla storia, agli avvenimenti che ci<br />

coinvolgono collettivamente e che risultano illuminati<br />

in modo differente, una lama di luce<br />

che cambia la prospettiva della Storia.<br />

Otto capitoli e otto momenti della vita di un<br />

uomo, dall’infanzia passata in un orfanotrofio<br />

russo negli anni Sessanta, all’età adulta, quando<br />

il sistema in cui inizialmente aveva creduto<br />

si dissolve. E in ciascuna di queste narrazioni<br />

è l’amore di o per una donna a risvegliare un<br />

frammento di coscienza: la giovane senza nome<br />

che sulle tribune per il corteo dell’anniversario<br />

della Rivoluzione d’ottobre piange sommessamente<br />

il compagno morto in un sottomarino,<br />

incrina la fiducia del giovane in quelle<br />

meticolose e vacue messinscena, contrappone<br />

al rumore di quelle sfilate un silenzio ben più<br />

assordante, dove le parole della propaganda risuonano<br />

prive di senso. Maja, la nipote della<br />

«donna che ha visto Lenin», gli svela la brutalità<br />

del leader bolscevico, straccia il velo che copre le<br />

miserie quotidiane. Vika, che vive con la madre<br />

accanto alla fabbrica in cui il padre è costretto<br />

ai lavori forzati, gli apre gli occhi sul carattere<br />

repressivo del regime, con quella mano tesa che<br />

non riesce a raccogliere il fagotto che rotola a<br />

terra tra l’indifferenza delle guardie. Leonora,<br />

con la quale il narratore ormai adulto vede un<br />

film occidentale in cui la chiave di una camera<br />

d’albergo strappa gli applausi, in cui alla smania<br />

erotica fatta di amplessi sudaticci (“per lasciarci<br />

alle spalle i beccamorti di un’ideologia pietrificata<br />

dovevamo correre, con le ali di equilibristi sulla<br />

fune, da un amore all’altro, da un piacere effimero<br />

al successivo”) si contrappongono i gesti amorevoli<br />

di una coppia di anziani coniugi, contrappunto<br />

alla volgarità e al grigiore dell’epoca<br />

brezneviana. Jorka, il compagno di giochi mutilato<br />

dall’esplosione di una granata, che coglie<br />

dei fragili bucaneve da regalare «a qualcuno» e<br />

pochi giorni dopo si avvia verso il bosco ancora<br />

disseminato di mine, quasi a tornare attraverso<br />

il luogo al tempo dove la vita si è spezzata. Kira,<br />

che in un enorme e improduttivo frutteto si<br />

sforza di spiegare gli alti ideali dell’arte e della<br />

lotta al regime, in un luogo dove la grandiosità<br />

coincide con la sterilità, poiché il frutteto generato<br />

dal furore ideologico è disertato dalle api. E<br />

infine quella donna grassa e volgare, espressione<br />

al contempo della vecchia e della nuova Russia:<br />

in gioventù era stata il grande amore di Dmitrij<br />

Ress, il dissidente, il «poeta» che anche nei<br />

lunghi anni trascorsi in un gulag non smise mai<br />

di amarla, che è ancora fermo a quel volto colto<br />

nella giovinezza, che contrappone alla corsa<br />

sfrenata ad arricchirsi di chi in tempo ha saputo<br />

tradire. E qui nella figura finale di Ress il libro<br />

si chiude su un martire della “rivolta contro un<br />

mondo in cui l’odio è la regola e l’amore una strana<br />

anomalia”.<br />

Sbaglieremmo perciò a vedere il testo come<br />

un’antologia di amori impossibili, gli incontri<br />

sono l’occasione anche per aprirsi sulla Storia,<br />

storia di un’educazione politica sullo sfondo<br />

di un regime tanto oppressivo quanto ottuso.<br />

Makine è capace di mostrarci anche le analogie<br />

tra la propaganda e l’ottusità del regime e la<br />

dissidenza dell’intelligentja, entrambi governati<br />

e guidati dalla volontà di omologare, entrambi<br />

accomunati dai confini rigidi dell’appartenenza,<br />

senza rendersi conto della loro solidarietà<br />

di fondo, della riduzione di ogni domanda di<br />

senso al silenzio. allora l’accesso alla verità deve


<strong>Pedagogika</strong>.it/2012/XVI_4/Cultura/Scelti_per_voi<br />

sfuggire all’ideologia, non passa attraverso essa,<br />

ma attraverso lo sguardo amoroso.<br />

“Intuivo che la verità non stava né dalla loro<br />

parte né nel campo opposto, tra i contestatori.<br />

Mi appariva semplice e luminosa come quella<br />

giornata di febbraio, sotto gli alberi appesantiti<br />

dalla neve. La bellezza umile del volto femminile<br />

dalle palpebre abbassate rendeva ridicole le<br />

tribune e chi le occupava, e la pretesa degli uomini<br />

di ergersi a profeti della Storia. La verità<br />

era espressa dal silenzio di quella donna, dalla<br />

sua solitudine, dal suo amore così grande che<br />

perfino il bambino sconosciuto che scendeva i<br />

gradini ne era rimasto abbagliato per sempre”.<br />

In questo quadro allora l’amore si pone come<br />

un punto di sovversione, un incontro al quale<br />

non ci si può sottrarre, attraverso il quale si<br />

assumono nuove prospettive e nonostante la<br />

precarietà della vita, quei momenti rimangono<br />

come incancellabili, dove ogni incontro rappresenta<br />

un’intuizione che lega la storia personale a<br />

quella della Russia. Un’intuizione che assume a<br />

volte valore a posteriori, in un tempo altro che<br />

le dota di significato e illumina gli eventi in altro<br />

modo, replicando gli incontri nel tempo e<br />

configurando il tempo di un’altra storia:<br />

“Mi ci vollero molti anni anche per imparare a<br />

riconoscere, dietro una breve storia di tenerezza<br />

adolescenziale, la felicità luminosa che la mia<br />

amica e sua madre mi avevano trasmesso con<br />

tanta discrezione. Mi ricordavo certo della loro<br />

ospitalità, della dolcezza con cui avevano attorniato<br />

il giovane ragazzo selvatico che ero, un essere<br />

indurito dalla brutalità e dalla violenza. Con<br />

l’età, mi rendevo sempre più conto che la pace che<br />

grazie a loro regnava in un luogo così desolato, sì,<br />

quella serenità indifferente alla bruttezza e alla<br />

volgarità del mondo, era una forma di resistenza,<br />

forse perfino più efficace dei sussurri di protesta<br />

che avrei udito negli ambienti intellettuali di<br />

Leningrado o di Mosca. La rivolta di quelle due<br />

donne non era appariscente…”<br />

Ambrogio Cozzi<br />

Grazia Giurato<br />

Ancora ci credo<br />

La Tecnica della Scuola,<br />

Catania 2012, pp.153<br />

I libri. Santo cielo, i libri...<br />

Perché si scrivono? Perché<br />

fare torto alla natura, ai<br />

boschi della Finlandia o<br />

alle foreste dell’Amazzonia<br />

solo per togliersi il piacere di scrivere e pubblicare?<br />

Perché farlo se non sei Dostoevskij o Proust,<br />

Leopardi o Joyce? Già: perché ha scritto questo<br />

libro – agile, fragile – Grazia Giurato? Posto in<br />

questi termini, l’interrogativo può produrre<br />

solo un sentimento di imbarazzo. Anzi, finisce<br />

per avere un suono sgradevolmente ricattatorio.<br />

Perché nessuno mai potrebbe rispondere “sì,<br />

sono io il nuovo Dostoevskij” e sentirsi dunque<br />

a posto con la coscienza per avere compensato<br />

l’umanità, una volta di più colpita nel suo<br />

ecosistema, con un nuovo, prezioso gioiello di<br />

letteratura e spiritualità.<br />

Scrivere può essere un gesto di arroganza. Può<br />

tradire l’ambizione di spiegare il mondo così<br />

come nessuno lo ha mai spiegato. O di offrire<br />

potenza di romanzo o a soavità di poesia a un’epoca<br />

impoverita nella bellezza e nelle arti. Poi<br />

però c’è Grazia. Che scrive senza arroganza. Ci<br />

sono le donne come lei che cercano solo di ricomporre<br />

storie lunghe e difficili, percorse dalla<br />

dignità di chi non piega mai la schiena e se è costretta<br />

a farlo giura dentro di sé che non dovrà<br />

accadere mai più. Né a lei né a quelle come lei.<br />

Scrivere diventa allora un modo per offrirsi con<br />

discrezione e al tempo stesso con un’ombra di<br />

orgoglio. Mi avete conosciuta così. Molto o poco<br />

abbiamo condiviso, ma forse questo episodio<br />

non lo sapevate. Forse questo retroscena che mi<br />

sta inchiodato nell’anima o nelle retine degli occhi<br />

non lo conoscevate. Perché non ve l’ho mai<br />

raccontato per timidezza. O per sovrappormi<br />

ai vostri racconti, alle vostre confessioni. Perché<br />

Cultura<br />

109


<strong>Pedagogika</strong>.it/2012/XVI_4/Cultura/Scelti_per_voi<br />

musica<br />

110<br />

volevo ascoltarvi perché parlo tanto – e Grazia<br />

parla tanto – ma c’è sempre un momento in cui<br />

mi fermo. Un momento in cui capisco che voi<br />

avete più bisogno di me di parlare. Oppure ho<br />

taciuto di me e del mio passato, delle immagini<br />

che più mi inquietavano, anche del bene che ho<br />

fatto a una donna o a una famiglia sconosciuta,<br />

perché cose diverse urgevano. Altro che le mie<br />

paturnie, le mie emozioni private. Dovevamo difendere<br />

Catania e la Sicilia dagli sfregi della mafia<br />

e dei cavalieri del lavoro, ve li ricordate vero?, li<br />

applaudivano in tanti poi è finita come è finita.<br />

Quella storia che non si può seppellire, con un<br />

giornalista a fare da vittima sacrificale per una<br />

città intera. E che doveva fare, Grazia, mettersi<br />

a raccontare allora del padre scomparso dopo la<br />

battaglia del Don, la madre bella e schiacciata<br />

con il viso contro il cuscino e donne giovani e<br />

anziane a popolare una casa e a far mestieri di<br />

donna sempre per compiacere un “lui”, qualunque<br />

ne fosse la provenienza?<br />

E fossero solo Catania e la Sicilia... L’Italia<br />

addirittura si è dovuta difendere, avviata<br />

– irreversibilmente, sembrava – a perdere<br />

onore e giustizia A settant’anni e più grazia<br />

di è dovuta mettere a marciare e a manifestare<br />

in strada. “Dovuta”, poi...<br />

Dovuta niente, lo ha voluto fare, perché per molte<br />

altre, anche più giovani di lei di generazioni,<br />

non c’era proprio alcun dovere. Con un fazzoletto<br />

colorato intorno ai capelli grigi a chiedere<br />

legge uguale per tutti o pace nel mondo per i via-<br />

Leonard Cohen<br />

Old ideas<br />

Columbia, 2012<br />

€ 18,90<br />

Menù ricco, anzi ricchissimo, questa volta! Iniziamo<br />

dai ritorni, dai grandi classici, da quegli<br />

li di Roma. E che avrebbe dovuto fare? Mettersi<br />

allora a raccontare storie di stupri lontani, incesti<br />

terribili, donne uccise quasi davanti a lei, tanto<br />

son mafiose, insomma gli incubi e le prove della<br />

sua vita? O narrare della sua fede conquistata nel<br />

confronto aspro e inesauribile con le cose e con<br />

gli uomini? O di don Piro e don Resca? Non<br />

poteva. Perché Grazia, matura e ormai anziana<br />

ragazzina aveva altro da fare.<br />

Poi, a un certo punto, chissà in che minuto, ha<br />

pensato che però qualche traccia fosse giusto lasciarla.<br />

O magari ha deciso che la doveva lasciare.<br />

Anche se non era agitata dalle passioni e dalla<br />

letteraria, sovrumana potenza di Dostoevskij.<br />

Tracce, sassolini bianchi di una Pollicina adulta.<br />

Vita di una donna che ha amato le donne e per<br />

le donne si è battuta, che ha conosciuto il senso<br />

totale, antropologico, che ha in certi momenti<br />

il lavaggio dei calzini. Che dalla sua condizione<br />

di donna è partita mille volte per ritornarci<br />

ogni volta più ricca, perché mai chiusa alle altre<br />

condizioni. Che ha fatto della vita una battaglia<br />

generosa e anche spigolosa.<br />

È questo, in fondo, il libro che avete tra le<br />

mani. Segno di modestia e non di arroganza.<br />

Rimedio di lunghi silenzi passati, custoditi<br />

sotto la vitalità scoppiettante della parola.<br />

Un piccolo libro nato da qualcosa che<br />

più che alla umana vanità assomiglia alla<br />

timida fierezza di chi ha vissuto a testa alta.<br />

Nando Dalla Chiesa<br />

Bruce Springsteen<br />

Wrecking ball<br />

Columbia, 2012<br />

€ 18,90<br />

autori che insensibili all’incedere impietoso<br />

del tempo continuano a sfornare prodotti di


<strong>Pedagogika</strong>.it/2012/XVI_4/Cultura/Scelti_per_voi<br />

Artisti vari<br />

Chimes of freedom.<br />

The songs of<br />

Bob Dylan<br />

Universal, 2012<br />

€ 27,90<br />

indubbia qualità. Per l’occasione ne annoveriamo<br />

tre e, scusate se è poco, di primissima<br />

scelta. Ecco il primo: Leonard Cohen. Onestamente,<br />

mettetevi la mano sul cuore: si può<br />

parlar male del sublime ebreo errante canadese,<br />

il sensibile testimone di un’esistenza nella<br />

quale trovano voce gli umori più profondi<br />

della nostra incerta umanità? Ovviamente no,<br />

e noi non lo faremo. Il signorile vecchietto ha<br />

superato da molte lune l’età pensionabile, ma<br />

non demorde, quasi che, alla faccia di Landini,<br />

dovesse confermare le più ardite e futuriste<br />

tesi dei tecnocrati di osservanza montiana. E<br />

così facendo sforna un capolavoro dei suoi di<br />

rara e semplice bellezza, di toccante intensità.<br />

Old ideas è il titolo dell’album, come a dire o,<br />

meglio, a ribadire che cocciutamente le idee a<br />

cui Cohen rimane fedele sono sempre le stesse…<br />

Ai critici che gli rimproverano di usare<br />

solo tre accordi, lui ribatte che sono ingiusti,<br />

puntualizzando, non senza ironia, che ne conosce<br />

almeno cinque! L’uomo, si sa, ha classe<br />

da vendere, pare una sorta di Bataille in versione<br />

cantautorale. Un mistico libertino capace<br />

come pochi di intrecciare sapientemente<br />

grandi temi tra di loro, da Dio alla sessualità,<br />

alla morte… Old ideas contiene solo dieci canzoni,<br />

ma è un album, mi verrebbe da dire, sinceramente<br />

autentico. Si sente Cohen dietro le<br />

sue parole, la sua musica, nulla appare artefatto<br />

o costruito strumentalmente. Lui canta con<br />

l’anima, quasi parlasse, alla fine, mettendosi a<br />

nudo con semplicità. Chi possiede oggi quel<br />

tocco, quella grazia, quell’onestà? Old ideas è<br />

una sorta di testamento spirituale unico nel<br />

suo genere. Imperdibile.<br />

Neil Young, Crazy horse<br />

Americana<br />

Warner Bros, 2012<br />

€ 20,90<br />

Veniamo al secondo ritorno, quello del Boss.<br />

Wrecking ball è il nuovo cd di Bruce Springsteen.<br />

La critica si è alquanto divisa sul giudizio.<br />

C’è chi ha gridato al capolavoro, così come c’è<br />

stato chi ci è andato più cauto. Personalmente,<br />

il Boss non se n’abbia a male, sarei più d’accordo<br />

con i secondi. Indubbiamente si tratta<br />

di un bel disco rock impreziosito da sonorità<br />

irlandese, ma, a mio parere, nulla aggiunge o<br />

nulla toglie al grande cantautore americano.<br />

E’ un disco di Springsteen, nel senso più letterale<br />

del termine. La tautologia, alquanto idiota<br />

per la verità, pretende indicare quel che mi<br />

pare l’essenza del problema. In TV ho sentito<br />

Ligabue, lo Springsteen padano, tesserne le<br />

lodi. Appunto, ho pensato tra me e me. Forse,<br />

mi son detto, non è affatto un caso. Ligabue<br />

non mi piace perché mi dà l’impressione che<br />

faccia sempre la medesima canzone. Fatte le<br />

debite differenze, mi sembra l’accusa che indirizzerei<br />

anche al Boss e a quest’album. A molti,<br />

il cd del Boss è apparso epico, a me, in tutta<br />

sincerità, un po’ tronfio, pesante… Wrecking<br />

ball, la “palla che distrugge”, vuole esser un<br />

album impegnato, come si dice una volta. Sociale,<br />

popolare, a suo modo, politico, contro<br />

gli squali di Wall Street, i “grassi banchieri”, gli<br />

affamatori dell’America che lavora, della “working<br />

class”. Da questo punto di vista, il cd è<br />

anche vigoroso, forte, trascinante… Rimango<br />

un po’ perplesso di fronte a tanto ardore. Sarà,<br />

ma qualcosa mi resta indigesto, si trattasse di<br />

un giovane squattrinato e rabbioso che si prodiga<br />

a cantare simili brani ne sarei entusiasta,<br />

ma Springsteen è (giustamente) ricco. Anzi,<br />

probabilmente ricchissimo, e quindi…<br />

a cura di Angelo Villa<br />

Cultura 111


<strong>Pedagogika</strong>.it/2012/XVI_4/Cultura/Scelti_per_voi<br />

112<br />

Terzo ritorno è quello dell’immenso Bob. Preciso,<br />

non sua “bobbità” in persona. Amnesty<br />

International per celebrare i suoi cinquant’anni<br />

di attività ha chiamato un sacco di artisti a reinterpretare<br />

qualcosa come più di settanta canzoni<br />

di Dylan. Ne è uscito un cofanetto di quattro<br />

cd. C’è di tutto, nel senso pieno della parola. Sia<br />

in termini di qualità che di quantità. Andando<br />

da cantanti celebri, da Sting a Adele tanto per<br />

dirne due, a altri pressoché sconosciuti, passando<br />

da versioni originali a altre, poco o nulla creative<br />

o, peggio ancora, forzatamente stravolte in cerca<br />

di un’invenzione che non trovano. Occorre<br />

pur ammetterlo, l’impresa non è facile. Provate<br />

voi a rifare “Like a rolling stone” o “Mr. Tambourine<br />

man” senza scadere nel già sentito, nel<br />

dilettantismo o senza lasciarsi prendere la mano<br />

da un esasperato narcisismo… Non, non è facile.<br />

Onore, dunque, al merito e all’impegno,<br />

aldilà dei risultati che tuttavia nel loro insieme<br />

sono più che buoni. Ah, dimenticavo, il cd porta<br />

il titolo di una bellissima canzone di Dylan<br />

che viene riproposta dal grande vecchio alla fine<br />

della maratona canora: la splendida “Chimes of<br />

freedom”. Ovviamente, il cofanetto costa, ma<br />

per il suo contenuto, nonché per la causa che sostiene,<br />

io lo consiglio. Ne vale la pena, in attesa,<br />

ovviamente, dell’ultima fatica del nostro schizofrenico<br />

e proprio per questo inarrivabile profeta:<br />

Tempest. Nel frattempo, giusto per rimanere<br />

sull’argomento, ne approfitto per consigliare<br />

una lettura in tema: Un’aria da Dylan di Enrique<br />

Vila-Matas, edito da Feltrinelli. Intrigante e delizioso<br />

romanzo, ottimamente scritto, traboccante<br />

di rimandi e suggestivi echi letterari, non ultimo<br />

quello a Amleto. Decisamente originale, imperdibile<br />

per chi ama Borges.<br />

Ultimo ritorno è, infine, quello del vecchio Neil<br />

Young, the loner. Ha pubblicato un cd che è stato<br />

fonte di un certo dibattito con il mio “pusher”<br />

di fiducia. Più di una volta, lui me lo ha proposto,<br />

dicendomi: “fidati, te l’assicuro!”. Io tiravo<br />

in lungo, storcevo il naso, fiutavo l’inganno. Tra<br />

me e me mi dicevo: “è solo una furbata per mantenersi<br />

al centro della scena, l’ultima spiaggia<br />

per un artista a corto ormai di idee, quel che ha<br />

dato, ha dato e, donc, forgettiamoci o’ passato!”.<br />

E invece no! Maledetto Neil e maledetto pure il<br />

“pusher”. Alla fine di un estenuante tira molla<br />

ho ceduto e ho acquistato Americana che non è<br />

la ristampa della celebre antologia di Vittorini. E,<br />

mannaggia, ho fatto bene. Il cd inizia con “Susanna”<br />

e termina con… “God save the queen”,<br />

ma il canadese è d’altra pasta dei Sex pistols. Risultato:<br />

un gran bel disco, per nulla scontato, dal<br />

sound corposo e sanguigno, impreziosito dalla<br />

voce inconfondibile dell’autore di “Heart of<br />

gold”. Neil suona e canta con passione e sentimento,<br />

rifà pezzi tradizionali infondendoci nuova<br />

linfa. Lo affiancano, come in tutte le sue maggiori<br />

imprese, i fidatissimi Crazy horse, i quali,<br />

come loro per primi ammettono, non saranno<br />

i più grandi musicisti sulla faccia della terra, ma<br />

suonano con l’anima e si sente. Chapeau a Neil<br />

e a suoi compari.<br />

Angelo Villa<br />

di Ursula Meier<br />

Sister<br />

Svizzera, Francia<br />

2012<br />

Distribuzione: Teodora<br />

Film e spazio-<br />

Cinema<br />

Produzuibe: Archipel<br />

35, Vega Film in coproduzione<br />

con RTS<br />

Radio Télévision Suisse, Bande à part Films<br />

Il gioco invertito delle parti<br />

A raccontare questa storia di infanzia negata arriva<br />

una favola grigia che, come tutte le favole,<br />

funziona in ogni tempo (anche in tempo di crisi)<br />

e, come ogni grigio, stempera il colore vivo<br />

del cambiamento.<br />

cinema a cura di Cristiana La Capria


<strong>Pedagogika</strong>.it/2012/XVI_4/Cultura/Scelti_per_voi<br />

Il film tratteggia una condizione che sta lì, ferma,<br />

senza evolvere, senza mutare e senza neppure essere<br />

corretta. Chi va al cinema perché della storia<br />

vuole sapere come va a finire, sappia che il film<br />

va a finire come è iniziato. Ma ciò che conta è<br />

cosa viene mostrato e soprattutto come.<br />

L’inquadratura di apertura è per il primo piano<br />

di un water su cui sta appollaiato un ragazzino<br />

che ficca nello zaino diversi oggetti da neve, indossa<br />

un passamontagna, su di esso un casco,<br />

ancora una tuta da sci, delle calzature professionali,<br />

anche gli occhiali antinebbia. Ma lui non<br />

sa neppure sciare; sa rubare però. Quando esce<br />

dal bagno si porta fuori, sulle piste di una stazione<br />

sciistica svizzera, dove ci sono quelli ricchi<br />

che fanno la bella vita, che se la spassano sulla<br />

neve. A costoro il ragazzino sottrae sci e accessori<br />

che poi rivende per guadagnarsi da vivere. A fine<br />

giornata prende la funivia e scende a valle, a casa<br />

sua, una zona nuda occupata da case popolari e<br />

da terreno incolto. Ogni giorno è sempre lo stesso<br />

spostarsi dalle zone basse e stagnanti di casa<br />

sua alle alture biancheggianti delle piste turistiche,<br />

dall’inferno al paradiso. La desolazione del<br />

paesaggio interiore del protagonista sta tutta in<br />

un rapporto smembrato con la sorella, una sbandata<br />

di circa il doppio dei suoi anni. Nessun altro<br />

vive nella loro casa. Lui porta avanti la baracca,<br />

lei un po’ lavora un po’ no, se la spassa con dei<br />

bellimbusti, beve volentieri alcolici.<br />

La trama della storia sta concentrata sugli zampilli<br />

di amore feroce, bugiardo, traditore, squilibrato<br />

che la “sister” del titolo mostra al fratello, che poi<br />

fratello non è. Lo veniamo a sapere a metà della<br />

storia che Simon, il nostro giovane ladro, chiama<br />

sorella colei che invece è sua madre, ma che sua<br />

madre non voleva diventare. L’impalcatura mentale<br />

che ci siamo costruiti fino a metà storia e ci<br />

ha fatto immedesimare nelle carni di un piccolo<br />

orfano con una sorella debosciata si devono riadattare<br />

a una nuova visione: un bambino chiama<br />

sorella la donna che sa essere sua madre a cui egli<br />

stesso fa da padre. L’esasperante stravolgimento<br />

dei ruoli è devastante per chi vede questo ritratto<br />

disegnato con mano delicata e asciutta.<br />

Senza fare fracasso scenografico, ogni fotogramma<br />

ci trasferisce il dolore assordante di un preadolescente<br />

che della giovinezza ha solo la pelle e<br />

la corporatura, un piccolo adulto che non ride e<br />

non gioca. Senza amici, senza parenti toglie oggetti<br />

a chi ne ha tanti per darne un po’ a sé e a colei<br />

che di lui poco si cura. Gli adulti nel film sono<br />

di sue categorie: quelli a cui Simon ruba gli oggetti<br />

e quelli a cui Simon vende gli oggetti rubati.<br />

Poi c’è la madre/sorella, dissipata nello sguardo a<br />

cui Simon, almeno una volta nel film, chiede di<br />

fargli fare il bambino, implorando un abbraccio<br />

di mamma nella notte fonda. Ma lei non vuole.<br />

Allora lui le mette sotto il naso 200 bigliettoni.<br />

Lei gli concede l’abbraccio e si prende i soldi.<br />

Non una sbavatura retorica nell’esposizione<br />

filmica che riduce all’osso le parole e anche<br />

la visione delle componenti emotive derivate<br />

dai gesti degli interpreti che ruotano intorno<br />

a se stessi senza cambiare strada, senza scappare,<br />

senza fermarsi. Continuano imperterriti<br />

il drammatico gioco delle parti invertite. Fino<br />

a che Simon ci prova a cambiare, a sfuggire al<br />

meccanismo, a rimanere una notte, da solo, lì,<br />

sulla montagna del paradiso. Però dopo, per<br />

la paura e il freddo piange e all’alba corre per<br />

ritornare a casa, la sola, l’unica casa che conosce.<br />

Mentre è sulla funivia che scende, dal vetro<br />

incrocia lo sguardo di una donna che è nella<br />

funivia che sale. E’ sua sorella che sta andando a<br />

cercarlo. E ancora una volta le loro strade si incrociano<br />

ma le direzioni sono opposte. E siamo<br />

di nuovo al punto di partenza. E anche se io<br />

spettatrice ho imparato il segreto della relazione<br />

tra i due personaggi continuo a voler chiamare<br />

la donna “sister”, non mamma. Anche questo,<br />

alla fine del film, non cambia. Ma quegli sbagli<br />

di amore cui ho assistito sono immagini, meravigliosamente<br />

squilibrate, che si incastrano<br />

nella memoria. Da vedere per reagire.<br />

Cristiana La Capria<br />

Cultura 113


<strong>Pedagogika</strong>.it/2012/XVI_4/Cultura<br />

114<br />

ARRIVATI_IN_REDAZIONE<br />

Enrico Miatto<br />

Giovani verso il futuro<br />

Cleup, Padova 2012, pp. 240, € 17,00<br />

Il volume entra nel merito della doppia transizione che i giovani sono chiamati<br />

a sperimentare, quella verso l'età adulta e quella dalla scuola al lavoro. Il vertice<br />

osservativo mantiene una cifra squisitamente pedagogica integrando i contributi<br />

forniti da altre scienze umane nell'interpretazione dell'età giovanile. Il testo si<br />

compone di tre parti. Nella prima, tema centrale è sì la transizione, ma anche il<br />

progetto di vita verso l'autonomia. Nella seconda parte viene approfondito il tema<br />

della transizione scuola-lavoro rispetto alle implicazioni teoriche...<br />

Albert Bandura<br />

Adolescenti e autoefficacia<br />

Centro Studi Erickson, Trento 2012, pp. 84, € 10,00<br />

Tra i più importanti progressi nella storia della psicologia, il concetto di<br />

autoefficacia ha dato un contributo decisivo alla descrizione di fenomeni<br />

quali la motivazione, l'apprendimento, l'autoregolazione e il successo<br />

scolastico. Questo saggio fondamentale di Bandura, padre della teoria<br />

cognitiva e del costrutto di autoefficacia, spiega come le credenze sulle proprie<br />

capacità personali influiscano sulla vita degli adolescenti, condizionandone<br />

il rendimento scolastico, i rapporti familiari, la regolazione emotiva e la<br />

propensione a comportamenti a rischio.<br />

Pino Tossici<br />

Cento giorni sul comò<br />

Book Salad, Anghiari 2012, pp. 160, € 12,00<br />

Il libro è la storia di Peppino, un bambino impertinente, imprevedibile e<br />

sognatore alle prese con una famiglia scombinata e una madre decisamente<br />

impegnativa. Piena di flashforwards che ci riportano all'attualità del<br />

quotidiano, è ambientata negli anni '50 e '60 di un'Italia uscita a pezzi dalla<br />

guerra, un paese che si andava ricostruendo con orgoglio e fatica e che stava<br />

vivendo un periodo di straordinaria prosperità che verrà ricordato come<br />

l'epoca del boom economico. Con leggerezza, compassione e ironia ma anche<br />

con grande coraggio, l'autore racconta la sua storia di formazione...<br />

Assunta Sarlo, Francesca Zajczyk<br />

Dove batte il cuore delle donne?<br />

Laterza, Roma-Bari 2012, pp. 156, € 12,00<br />

C'è uno scandalo, in Italia, che fa ancora poco scandalo. Lo scandalo<br />

sta nei numeri molto bassi della presenza delle donne nelle stanze<br />

decisionali della politica. Sta in quella media del 19 per cento che ci pone<br />

al cinquantaquattresimo posto nella classifica mondiale della presenza delle<br />

donne nei parlamenti nazionali. E sta nel ritardo particolarmente accentuato<br />

rispetto agli altri Paesi europei. L'Italia non è un paese per donne: a dirlo sono<br />

i numeri esigui della presenza femminile nelle istituzioni...


<strong>Pedagogika</strong>.it/2012/XVI_4/Cultura/Arrivati_in_redazione<br />

Diemoz Erika<br />

A morte il tiranno. Anarchia e violenza da Crispi a Mussolini<br />

Einaudi, Torino 2011, pp. 377, € 32,00<br />

Tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento gli anarchici italiani rappresentarono<br />

una minaccia terroristica globale. Sia per l'importanza politica dei loro bersagli<br />

(miravano ai primi ministri come alle teste coronate), sia per la risonanza sociale<br />

della loro propaganda (si battevano per il trionfo di una giustizia proletaria), furono<br />

le bestie nere delle polizie di tutto il mondo. [...] Ma chi erano i cattivi della favola, e<br />

chi i buoni? Quali le forze del progresso, e quali della reazione? Muovendo dall'Italia<br />

liberale per approdare all'Italia fascista, il libo di Erika Diemoz ritrova i fili nascosti che<br />

mantennero unita questa trama storica di anarchia e di violenza.<br />

Lella Ravasi Bellocchio<br />

L'amore è un'ombra<br />

Mondadori, Milano 2012, pp. 159, € 17,00<br />

Le mamme non hanno sempre ragione, non sono sempre buone; spesso, nella<br />

vita quotidiana, fanno del male, più o meno involontariamente, ai propri<br />

figli e a volte possono arrivare persino a ucciderli in maniera efferata. Quante<br />

sono le madri che non vogliono saperne di lasciare il privilegio della bellezza<br />

alle proprie figlie? Quante vedono i figli come prolungamento narcisistico<br />

di sé? Quante, sigillate nel proprio dolore, sono incapaci di prendersi cura<br />

dei bambini? Leila Ravasi Bellocchio, analista, in questo libro mostra il lato<br />

nascosto e taciuto della maternità...<br />

Bruno Rossi<br />

L'organizzazione educativa<br />

Carocci, Roma 2011, pp. 224, € 23,00<br />

Nell'economia dell'intangibile alla persona si guarda come alla principale risorsa<br />

generativa di valore. Il soggetto (pluri)competente è posto al centro della vita<br />

organizzativa ed è accreditato variabile indipendente di vantaggio in direzione<br />

della capacità trasformativa, della produttività creativa e della qualità. La<br />

valorizzazione, la cura e lo sviluppo del capitale umano vengono a costituirsi<br />

pertanto come compiti organizzativi irrinunciabili. L'apprendimento è stimato<br />

variabile critica e ineliminabile per lo sviluppo aziendale.<br />

Edith Piaf<br />

Mio azzurro amore<br />

Archinto, Milano 2012, pp. 105, € 15,00<br />

1951: ha inizio la tormentata passione tra la più grande cantante francese di tutti<br />

i tempi e Louis Gérardin, famoso ciclista, più volte campione di Francia, un atleta<br />

come Marcel Cerdan, il grande amore della Piaf scomparso tragicamente in un<br />

incidente aereo - un lutto dal quale la cantante pensava di non riprendersi più.<br />

Poi, quando Gérardin entra nella sua vita, Edith è subito travolta. Letteralmente<br />

soggiogata da quest'uomo sposato, lo supplica di divorziare, vuole costruirgli<br />

una casa, dargli un figlio, offrirgli la propria fortuna, avviargli un'attività...<br />

Cultura 115


<strong>Pedagogika</strong>.it/2012/XVI_4/Cultura/Arrivati_in_redazione<br />

116<br />

Guillermo Rosales<br />

La casa dei naufraghi<br />

Fandango Libri, Roma 2011, pp. 110, € 15,00<br />

William Figueras, scrittore cubano inviso al regime, uomo passionario che coltiva<br />

le illusioni nel buio della sua mente, è in fuga dalla cultura, dalla musica, dalla<br />

letteratura, dalla televisione, dalla storia e dalla filosofia di Cuba. Nelle tasche non<br />

ha nient'altro che le edizioni rilegate dei Romantici inglesi, e a Miami qualche<br />

parente che possa ospitarlo. Ma William è malato di nervi, e dopo l'esilio le voci<br />

che sente rimbombano forte nella testa. Talmente tanto, che la zia che l'accoglie<br />

deve arrendersi. La “casa” in cui viene deportato è una clinica ai confini con la realtà.<br />

Manuel Cruz<br />

L'amore filosofo<br />

Einaudi, Torino 2012, pp. 235, € 25,00<br />

L'idea dell'amore, presente nel discorso filosofico fin dalle origini, si è evoluta<br />

adattandosi ai contesti storici e sociali, assumendo diverse forme e funzioni, senza<br />

perdere mai il proprio ruolo di primo piano nella sfera dei condizionamenti<br />

culturali. Ma come si legano queste forme dell'idea dell'amore all'esperienza<br />

amorosa? Come hanno amato i filosofi che riflettono sull'amore? Manuel Cruz<br />

ricostruisce le vicende esistenziali di alcune grandi figure della storia del pensiero,<br />

di cui è noto non solo l'interesse verso l'amore in quanto tema, ma anche il<br />

coinvolgimento personale nelle relazioni amorose.<br />

Matteo Rizzato, Davide Donelli<br />

Io sono il tuo specchio<br />

Edizioni Amrita, Torino 2011, pp. 120, € 11,50<br />

Scoperti dal professor Giacomo Rizzolatti, che firma la prefazione di questo<br />

libro, i neuroni specchio sono una delle scoperte più straordinarie delle<br />

neuroscienze contemporanee; in sostanza, si tratta della spiegazione scientifica<br />

del perché comprendiamo a livello profondo il comportamento altrui. Questo<br />

agile libro mira proprio a far conoscere a tutti, con un linguaggio chiarissimo e<br />

molte brillanti vignette, sia il contenuto scientifico essenziale di tale scoperta,<br />

sia, cosa ancora più importante, le sue ripercussioni nella nostra vita...<br />

Anna Granata<br />

Intercultura. Report sul futuro<br />

Città Nuova, Roma 2012, pp. 216, € 18,00<br />

Solo da pochi decenni, per effetto dell'immigrazione e della globalizzazione, la<br />

società italiana sta sperimentando l'incontro con la differenza (culturale o di altra<br />

natura). È un fenomeno troppo recente per cui la nostra società fatica ancora ad<br />

accettare di essere divenuta una società multiculturale e multireligiosa, al pari di<br />

altri Paesi europei. Scopo del libro è contribuire a diffondere l'idea che la pluralità<br />

è oggi la norma entro la nostra società. In questo ambito, l'approccio interculturale<br />

può costituire una straordinaria risorsa in campo educativo...


<strong>Pedagogika</strong>.it/2012/XVI_4/In_vista<br />

Donne in movimento<br />

Un tema non solo particolarmente interessante,<br />

ma anche di grande attualità è stato affron-<br />

tato nel numero 112 di quest'anno della rivista<br />

Lettera internazionale, interamente dedicato alle<br />

Donne in movimento.<br />

Al centro le donne e, in particolar modo, la<br />

loro capacità di appartenere a mondi diversi e di<br />

“interpretare” ruoli diversi nella vita di ogni giorno.<br />

Una versatilità, questa, tanto fisica quanto<br />

mentale che mette alla prova la cultura patriarcale<br />

dominante e che consente alle donne di elaborare<br />

il dolore e di trasformarlo in forza tramite la<br />

condivisione di esso con le altre donne. É proprio<br />

a questa capacità femminile che Biancamaria<br />

Bruno, la direttrice della rivista, fa riferimento<br />

all'interno del suo editoriale scrivendo: “Al centro di questa visione del mondo, c'è<br />

la forza che viene dall'essere nomade – cioè la capacità di portarsi dietro le proprie<br />

radici aeree, la capacità di essere in un mondo, ma anche in un altro e in un altro<br />

ancora. Di portare con sé il dolore e la violenza che si sono subiti, ma senza che ciò<br />

significhi silenzio e rinuncia alla vita”.<br />

Tra i molti contributi interessanti indichiamo:<br />

Nuove riflessioni sul dominio maschile, di Pierre Bourdieu;<br />

Donna nomade e plurale, di Rosi Braidotti;<br />

Ricordi di una donna, memorie degli italiani, conversazione tra Agnese Moro e<br />

Biancamaria Bruno;<br />

Una storia tra tante, di Manuela Dviri;<br />

Disobbedisco e ti porto al mare, di Michela Mastrodonato;<br />

Donna italiana: digitale o analogica? intervista di Biancamaria Bruno a Massimiliano<br />

Mazzarella;<br />

Il viaggio delle donne è appena iniziato... di Marina Calloni;<br />

Attraversare le frontiere, di Anna Zoppellari;<br />

Le donne del Mediterraneo. Tra primavere arabe e crisi, di Rita El Kahyat;<br />

Immaginario post-sovietico: una prospettiva di genere, di Madina V. Tlostanova;<br />

La questione della donna nell'Argentina, di Gina Lombroso;<br />

Un ponte fra tanti mondi, di Gloria Anzaldúa;<br />

Per una frontiera invisibile, di AnaLouise Keating.<br />

in_vista<br />

In Vista 117


in_breve<br />

<strong>Pedagogika</strong>.it/2012/XVI_4/In_breve<br />

118<br />

Novità Stripes edizioni – ottobre<br />

Collana Polis<br />

Fabio Lucchini (a cura di)<br />

Prefazione di Fabio Cavalera<br />

Società in rivolta.<br />

Alle radici del disagio collettivo nel<br />

XXI secolo<br />

Anno 2012, Pagine 200<br />

Dopo la breve illusione delle ripresa<br />

economica globale, il costante peggioramento<br />

degli indici borsistici, l’erosione<br />

del potere d’acquisto e la consistente<br />

perdita di posti di lavoro preannunciano<br />

un futuro prossimo carico di incertezze.<br />

Mentre cresce il fronte dell’insoddisfazione<br />

sociale, muta anche l’obiettivo<br />

degli strali popolari: non più il delinquente<br />

o l’immigrato riottoso all’integrazione,<br />

ma i “poteri forti”, incapaci di<br />

gestire il sistema globale e le sue risorse<br />

finanziarie e tecnologico-ambientali.<br />

Tuttavia, è bene precisare che scagliare<br />

anatemi e additare nuovi responsabili<br />

serve a poco, se non a fomentare la rabbia<br />

sociale, a stressare pericolosamente<br />

i nervi già tesi della coscienza collettiva.<br />

Come ha insegnato lo straordinario<br />

e terribile ventesimo secolo, l’unica via<br />

per uscire dalla crisi complessiva che sta<br />

investendo il nostro mondo è cercare di<br />

comprendere, evitare semplificazioni e<br />

operare per il necessario cambiamento.<br />

Con i contributi di:<br />

Fabio Lucchini, Gianni Silei, Anne Power,<br />

Guido Martinotti, Marco Lombardi,<br />

Paolo Bellini, Vincenzo Marino,<br />

Salvatore Licata.<br />

Collana <strong>Pedagogika</strong><br />

Barbara Mapelli, Stefania Ulivieri<br />

Stiozzi (a cura di)<br />

Uomini in educazione.<br />

La scomparsa di un genere<br />

Anno 2012, Pagine 190<br />

Se si parla di uomini in educazione, si<br />

parla, soprattutto, di un’assenza, un assenza<br />

che non stupisce. Le professioni<br />

educative appartengono a quell’area di<br />

lavori definiti lavori di cura e della cura<br />

se ne occupano le donne.<br />

Si tratta ancora di una serie di stereotipi,<br />

di un problema di culture tradizionali<br />

che non corrispondono più alla<br />

realtà e alle necessità del nostro tempo.<br />

Un problema culturale, come tale superabile,<br />

perché le culture, anche le più<br />

tenaci, si possono trasformare, adeguare<br />

alle nuove domande. Basta che queste<br />

domande si cominci finalmente a porsele.<br />

Domande serie, che chiedono lo<br />

sforzo di superare l’ovvio, il già dato,<br />

l’invisibilità delle evidenze.<br />

Ed è urgente farlo perché le assenze maschili<br />

in educazione creano problemi<br />

gravi, soprattutto tra chi è più giovane<br />

e viene educato o educata in un mondo<br />

tutto femminile e cresce nella convinzione<br />

che a prendersi cura siano sempre<br />

e soltanto le donne, che gli uomini non<br />

sanno, possono o vogliono farlo e quindi<br />

si occupano di altro.


<strong>Pedagogika</strong>.it/2012/XVI_4/Cultura/Carnet<br />

Carnet - La redazione consiglia<br />

Eventi, festival, incontri di interesse in giro per l'Italia<br />

RomaEuropaFestival 2012<br />

26 settembre - 25 novembre<br />

Roma<br />

43 spettacoli tra teatro, musica , danza<br />

ed arte e numerosi incontri con autori<br />

ed artisti. “All that we can do”, tutto<br />

quello che noi possiamo fare, è l'invito<br />

che il Romaeuropa Festival rivolge<br />

quest'anno al suo pubblico, sensibile<br />

all'urgenza della creazione artistica<br />

contemporanea, protagonista di una<br />

società che cambia.<br />

Info: http://romaeuropa.net/festival.html<br />

Giornata internazionale dei diritti<br />

delle persone con disabilità 2012<br />

3 dicembre 2012<br />

Varie Città<br />

Il 3 dicembre ricorre la “Giornata<br />

Internazionale dei diritti delle persone<br />

con disabilità” come stabilito dal<br />

“Programma di azione mondiale per<br />

le persone disabili” adottato nel 1982<br />

dall’Assemblea generale dell’ONU.<br />

L’evento ha lo scopo di promuovere la<br />

diffusione dei temi legati alla disabilità<br />

per sensibilizzare l’opinione pubblica<br />

ai concetti di dignità, diritti e<br />

benessere delle persone disabili accrescendo<br />

la consapevolezza dei benefici<br />

che possono derivare dall’integrazione<br />

delle disabilità in ogni aspetto della<br />

vita sociale.<br />

MIRÓ! Poesia e luce<br />

5 ottobre 2012 - 6 aprile 2013<br />

Genova<br />

Palazzo Ducale ospita una rassegna<br />

esaustiva dell’opera di Joan Miró<br />

(1893-1983), il grande artista catala-<br />

no che lasciò un segno inconfondibile<br />

nell’ambito delle avanguardie europee.<br />

La mostra presenta oltre 80 lavori mai<br />

giunti prima nel nostro Paese, tra cui<br />

50 olii di sorprendente bellezza e di<br />

grande formato, ma anche terrecotte,<br />

bronzi e acquerelli.<br />

info: http://www.mostramiro.it<br />

Vermeer.<br />

Il secolo d’oro dell’arte olandese<br />

27 settembre 2012 - 6 gennaio 2013<br />

Roma<br />

Per la prima volta a Roma una rassegna<br />

su Johannes Vermeer, massimo<br />

esponente della pittura olandese del<br />

XVII secolo. La mostra delle Scuderie<br />

del Quirinale include una preziosa selezione<br />

di opere di Johannes Vermeer<br />

- rarissime e poco distribuite nei musei<br />

di tutto il mondo - e all'incirca cinquanta<br />

opere degli artisti olandesi suoi<br />

contemporanei.<br />

info: http://www.scuderiequirinale.it<br />

Festival Verdi 2012<br />

1 - 28 ottobre<br />

Parma<br />

Ritorna ad Ottobre (mese in cui ricorre<br />

l'anniversario della nascita), l'annuale<br />

appuntamento in onore del grande<br />

maestro Giuseppe Verdi.<br />

Il Teatro Regio di Parma, celebrerà il<br />

grande maestro con 2 grandi opere:<br />

L'Otello<br />

in data 1, 5, 12, 18, 26 ottobre;<br />

La battaglia di Legnano<br />

in data 6, 9, 13, 20, 27 ottobre.<br />

info: http://www.teatroregioparma.org/<br />

verdifest/index.htm<br />

Carnet<br />

119


<strong>Pedagogika</strong>.it/2012/XVI_4/Cultura/Carnet<br />

120<br />

Diario di provincia<br />

6-10 novembre 2012<br />

Milano<br />

In una scena vuota, poche luci efficienti<br />

ma scarne, un solo attore, Oscar De<br />

Summa, e la sua voce danno vita ad<br />

uno spettacolo che dipinge lo scorcio<br />

di una vita di provincia opprimente,<br />

da cui si può solo fuggire per sentirne,<br />

forse, la mancanza. Niente, non succede<br />

niente, solo la depressione da calura<br />

estiva. La noia è la sovrana di un regno<br />

bruciato, in cui uomini e donne indugiano<br />

senza concludere nulla, rassegnati.<br />

Stare nella piazza deserta a guardare<br />

le cosce delle donne, bere e rubare alla<br />

luce del sole: questo è il Sud raccontato<br />

da Oscar De Summa, questa è la Puglia<br />

amata e odiata. Al Teatro Sala Fontana<br />

in Via Gian Antonio Boltraffio 21.<br />

MILANoLTRE 2012<br />

3 ottobre – 2 dicembre 2012<br />

Milano<br />

La danza protagonista della ventiseiesima<br />

edizione di MilanOltre. Tre le<br />

opportunità per il pubblico: spettacoli,<br />

incontri, workshop. Tre le sezioni tematiche:<br />

Vetrina Italia, con le realtà più interessanti<br />

della scena italiana, e i profili<br />

dedicati a due compagnie di fama internazionale,<br />

la Spellbound Contemporary<br />

Ballet diretta da Mauro Astolfi e la<br />

compagnia catalana Gelabert/Azzopardi<br />

Companyia de Dansa. Al Teatro Elfo<br />

Puccini, e alla DanceHaus di Milano.<br />

Festival della scienza<br />

25 ottobre – 4 novembre 2012<br />

Genova<br />

È un punto di riferimento per la divulgazione<br />

della scienza. È un’occasione di<br />

incontro per ricercatori, appassionati,<br />

scuole e famiglie. È uno dei più grandi<br />

eventi di diffusione della cultura scien-<br />

tifica a livello internazionale. Incontri,<br />

laboratori, spettacoli e conferenze per<br />

raccontare la scienza in modo innovativo<br />

e coinvolgente, con eventi interattivi e<br />

trasversali. 11 giorni in cui le barriere fra<br />

scienze matematiche, naturali e umane,<br />

verranno abbattute e la ricerca si potrà<br />

toccare, vedere, capire senza confini.<br />

Il Barbiere di Siviglia<br />

9 dicembre 2012<br />

Milano<br />

Il barbiere di Siviglia, opera buffa in<br />

due atti di Gioachino Rossini, è l'apertura<br />

di una stagione, InCanto in<br />

Musica, premiata da un caldo consenso<br />

di pubblico, che ha apprezzato non<br />

solo la qualità degli allestimenti e degli<br />

interpreti, ma anche le due principali<br />

novità della scorsa edizione: l'aggiunta<br />

dell'orchestra ed il servizio di accompagnamento<br />

a casa al termine dello<br />

spettacolo. In particolare Il barbiere di<br />

Siviglia è arricchito dalla presenza nel<br />

cast di veri specialisti del repertorio<br />

rossiniano. Al Teatro Sala Fontana in<br />

Via Gian Antonio Boltraffio 21.<br />

Festival dei popoli<br />

10-17 novembre 2012<br />

Firenze<br />

L'associazione Festival dei Popoli organizza<br />

a Firenze il principale festival internazionale<br />

del film documentario in<br />

Italia con convegni e tavole rotonde che<br />

sono considerati parte integrante della<br />

manifestazione. Lo spirito originario<br />

del Festival dei Popoli è di essere testimone<br />

e promotore delle innovazioni e<br />

delle tendenze che investono il cinema<br />

del reale: un cinema estremamente mobile<br />

ed innovativo che descrive il mondo<br />

che ci circonda con originalità e<br />

partecipazione emotiva.<br />

info: http://www.festivaldeipopoli.org/

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