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Anteprima pdf - Pedagogika

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<strong>Pedagogika</strong>.it/2012/XVI_4/Cultura/Scelti_per_voi<br />

che sta al fondamento di ogni incontro di cura,<br />

in primo luogo - Villa ne da continua testimonianza<br />

- quella dell’autore stesso, che non esista<br />

a mettere sotto la lente di ingrandimento le sue<br />

proprie impasse e che anzi sembra mirare, col<br />

suo stile e col suo modo di procedere peculiare,<br />

ad una costruzione “in soggettiva”, fondata su<br />

uno sguardo particolare di cui l’autore fa dono<br />

ai suoi lettori, base su cui costruisce anche le sue<br />

considerazioni più astratte e complesse.<br />

Se qui troviamo buona parte del valore e della singolarità<br />

di questo libro, è pur in questo stile così<br />

atipico che intravedo nel contempo parte della<br />

radice del disagio di cui ho posto la questione. Le<br />

molte vignette cliniche, su cui poggia l’indagine<br />

e la riflessione dell’intero testo, possono rievocare<br />

l’esperienza di ciascuno lettore, ma non lasciano<br />

spazio ad alcuna immedesimazione. Tanto più lo<br />

sguardo di Villa si mostra come proprio, singolare,<br />

si fa l’esperienza di una differenza, di una<br />

distanza; se anche le occasioni possono apparire<br />

simili, è la loro lettura, la costruzione che ciascuno<br />

ne ha fatto, se ha potuto tentare, che mostra<br />

un buco in cui si può inciampare ma che solo<br />

può creare le condizioni per un effetto di soggettivazione<br />

per il lettore, a maggior ragione se<br />

ha già lui stesso voluto avventurarsi sul cammino<br />

d’indagine cui l’autore ci invita.<br />

È su questo piano, dove i percorsi diversi di<br />

scrittore e lettore divergono o si sovrappongono<br />

formando figure sempre nuove, che l’esperienza,<br />

anche quella di aprire un libro, può diventare<br />

un’occasione d’invenzione per la propria<br />

pratica. Una teoria la si può amare o odiare, la<br />

si può far propria o respingere, la si può sviluppare<br />

o tentare di confutare. Uno sguardo lo si<br />

incrocia e non è mai una cosa facile; ma questo<br />

incrocio è anche un incontro, pur se mediato<br />

da delle lettere su un foglio di carta.<br />

Un vero incontro - proprio perché scomodo,<br />

in qualche modo impossibile perché sempre<br />

parziale, bucato - è cosa comune che si tenti per<br />

lo più di evitarlo, cosa di cui nel testo si tro-<br />

vano molti esempi. Che si tratti di una lettura<br />

scomoda, come di una persona in difficoltà,<br />

è sempre della distanza incommensurabile<br />

dell’alterità che si tratta, è sempre da questa che<br />

si tenta di ripararsi, è sempre di essa che non<br />

può fare a meno ogni sforzo di soggettivazione,<br />

che sia di un “normale”, di un “disabile”, di un<br />

“operatore-lettore” o di uno “scrittore-analista”.<br />

Senza tale sforzo, tuttavia, ogni azione – un<br />

intervento educativo come un’elaborazione teorica<br />

– rischia di girare a vuoto: l’affannarsi di<br />

un criceto sulla sua ruota che lascia ogni cosa,<br />

in particolar modo se stesso, nel suo triste posto,<br />

pur nella fatica e talvolta con tutte le buone<br />

intenzioni. Se una lettura può contribuire a<br />

trovarsi ad essere un po’ più soggetto e un po’<br />

meno “criceto”, varrà la pena di tentare? Il salto<br />

fuori dalla gabbia non è mai una volta per tutte<br />

e ogni dito che può indicare, testimoniandolo,<br />

che vi sono delle vie di uscita, o che si possono<br />

ricavare, è ben venuto, per quanto una mano<br />

nella “piccola casetta” possa essere inizialmente<br />

un ospite scomodo. Ad ognuno la scelta se<br />

fargli posto.<br />

Marcello Morale<br />

Emmanuel Carrère<br />

Vite che non sono<br />

la mia<br />

Einaudi,<br />

Torino 2011<br />

pp. 240, € 20,00<br />

Si pensa di solito che il<br />

dolore unisca gli individui,<br />

che possa accomunare.<br />

Se però ci soffermiamo sulle esperienze<br />

quotidiane, ci viene facile pensare all’imbarazzo<br />

che ci coglie quando facciamo le condoglianze<br />

a qualcuno. Cominciamo a pensare a che cosa<br />

dovremmo dire, a cercare le parole possibili, per<br />

poi finire spesso nel pronunciare banalità, frasi<br />

Cultura 105

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