Anteprima pdf - Pedagogika
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<strong>Pedagogika</strong>.it/2012/XVI_4/Cultura/A_due_voci<br />
100<br />
attraversamento, come nel romanzo di<br />
formazione, ma, mi si passi il termine che<br />
non vuole sembrare insensibile, un’uscita.<br />
Il “memoir” rappresenta, infatti, una sorta<br />
di testamento consegnato ai posteri. Operazione<br />
umanamente comprensibile che<br />
comporta, tuttavia, un prezzo, alquanto<br />
esoso, quello cioè di immolare sull’altare<br />
del narcisismo individuale il demone sacro<br />
e bizzarro della finzione.<br />
Più interessante, mi pare invece la posizione<br />
di chi, non rinuncia al suo vecchio<br />
amore, croce e delizia della sua esistenza:<br />
la finzione. E non tradisce così la<br />
sua vocazione letteraria e offre un’altra<br />
versione dell’“uscita”. Più seduttiva e<br />
condivisibile. E’ ragione per cui, legittimandomi<br />
megalomanicamente a puntuto<br />
critico letterario, battezzerei (sic!) il<br />
primo genere di scrittura “agée” , quello<br />
del “memoir” insomma, come espressione<br />
di una letteratura del lascito o del,<br />
doppio sic, del lasciato a cui ne contrapporrei<br />
un’altra, quella che chiamerei<br />
del dono involontario. La finzione e<br />
dunque l’inganno permette allo scrittore<br />
anziano di meglio distillare il senso<br />
implicito di una vita, la sua, of course.<br />
Consegnando così al lettore, appena appena<br />
nascosta dietro il velo che l’inconscio<br />
distende, un dono raro, un dono,<br />
malgré soi, evitando le ambigue insidie<br />
del porsi come vittima o come statua.<br />
Nel regalo che offre e che, ovviamente,<br />
gli sfugge, l’autore allude agli oggetti<br />
che hanno segnato la propria vita, quasi<br />
una confessione, proprio quando la vita<br />
sta per prendere congedo. E’ l’oggetto<br />
che la mano tratteneva presso di sé e<br />
che, nel cedere al sonno o alla stanchezza<br />
(o all’approssimarsi della morte?), lascia<br />
cadere per terra nella speranza che<br />
un’anima curiosa lo raccolga.<br />
questa storia. In realtà prima ancora di<br />
aver fatto in tempo a entrarci. E io con<br />
loro: Io non esisto. Non sono mai esistito.<br />
Tutto qui.” Supponiamo allo stesso<br />
modo che il tempo sia una somma imperfetta<br />
di ricordi e cicatrici: un luogo<br />
remoto dove il possibile non si avvera<br />
mai, e l’assurdo trova sempre una via<br />
per manifestarsi, dove il passato sfuma<br />
nel presente, quasi vi si sovrappone, un<br />
tempo affollato di morti e sopravvissuti<br />
che camminano fianco a fianco sbucando<br />
sull’orlo della memoria, senza<br />
una ragione specifica, creando un altro<br />
tempo, un tempo onirico.<br />
“La memoria sceglie un testo particolare<br />
e io ignoro come chiunque altro il perché.<br />
E perché non il resto? Tutto il resto<br />
che ho senza dubbio dimenticato? Lo<br />
spazio tra i caratteri, dice Wittgenstein,<br />
è parte di ciò che da ai caratteri un senso.<br />
Se qualcuno ricordasse tutto, non gli<br />
rimarrebbe nessun presente in cui vivere.<br />
O vivrebbe in un eterno presente? Ho la<br />
strana sensazione che la memoria scelga<br />
per proprio conto. E mi domando che cos’è<br />
è che vuole. Ricordo la signora Sorgedahl<br />
così bene. Pensate! Nei cinquant’anni che<br />
sono trascorsi, non ho mai fatto stranamente<br />
nessun tentativo di rintracciare la<br />
signora Sorgedahl, non ho neanche cercato<br />
il suo nome nell’elenco del telefono”.<br />
Il tempo è denso e dilatato in questo<br />
romanzo-monologo, non c’è azione, la<br />
trama coincide con il percorso accidentato<br />
dell’esistenza in cui i fili intessono<br />
un arazzo che solo a posteriori assume<br />
senso, non è una storia che si dipana in<br />
un crescendo narrativo è più che altro<br />
un viaggio nella memoria e negli inganni<br />
della memoria. Una memoria filtrata<br />
per certi versi, e per altri sfuggenti come<br />
il senso dell’esistenza, dove la fantasia