Diario di un italiano d'Austria sul fronte orientale. - Ad Undecimum
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<strong>Diario</strong> <strong>di</strong> <strong>un</strong> <strong>italiano</strong> d’Austria<br />
<strong>sul</strong> <strong>fronte</strong> <strong>orientale</strong><br />
Questo è stato per me <strong>un</strong> periodo fort<strong>un</strong>ato<br />
<strong>sul</strong> <strong>fronte</strong> dei ritrovamenti <strong>di</strong> materiale<br />
ine<strong>di</strong>to inerente la prima guerra mon<strong>di</strong>ale<br />
con protagoniste persone già residenti nel<br />
Friuli <strong>orientale</strong>. Mi sono imbattuto proprio<br />
recentemente in <strong>un</strong> <strong>di</strong>ario che racconta dettagliatamente<br />
le rocambolesche vicende <strong>di</strong><br />
<strong>un</strong> fante <strong>di</strong> lingua italiana, residente nel com<strong>un</strong>e<br />
<strong>di</strong> San Vito al Torre, che vestiva la<br />
<strong>di</strong>visa austro-<strong>un</strong>garica sui campi della Galizia<br />
(1). Oltre al <strong>di</strong>ario è stato possibile reperire<br />
presso la nipote (Br<strong>un</strong>a Mauro), residente<br />
a San Giorgio <strong>di</strong> Nogaro, anche altro<br />
materiale. Il memoriale, scritto con padronanza<br />
<strong>di</strong> linguaggio, getta ulteriore luce<br />
<strong>sul</strong>le con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong>sagevoli in cui versavano<br />
i soldati austro-<strong>un</strong>garici in Galizia.<br />
Dopo quasi novanta anni possiamo ora narrarvi<br />
le sue vicende aggi<strong>un</strong>gendo, grazie alle<br />
nostre conoscenze, ulteriori notizie riferenti<br />
il paese, il suo nucleo familiare, il quadro generale in cui egli ha vissuto.<br />
Virgilio Foschian è il nome dell’estensore del piccolo <strong>di</strong>ario <strong>di</strong> guerra. Dopo<br />
lo scoppio della guerra contro la Serbia e quin<strong>di</strong> subito dopo l’allargamento del<br />
<strong>fronte</strong> con l’entrata in guerra della Russia dello zar Romanov, il nostro Foschian<br />
conobbe in lontani territori la terribile esperienza della guerra. Era stato inquadrato<br />
come soldato semplice nel reggimento <strong>di</strong> fanteria nr. 27 (K.k: Landewehr - Territoriale)<br />
che aveva la propria sede a Laibach (Lubiana) (2).<br />
Virgilio Foschian fotografato in Russia a Kirsanov.<br />
Il passaggio verso l’interno<br />
dell’impero dei richiamati era stato festeggiato dalle folle assiepate nelle<br />
stazioni ferroviarie e nelle piazze dei paesi… Era opinione <strong>di</strong>ffusa che questa<br />
(1) Il regno <strong>di</strong> Galizia e Lodomiria era molto esteso (78.497 Km 2) e contava 8 milioni <strong>di</strong> abitanti <strong>di</strong><br />
cui il 55% era d’origine polacca, il 42% russa e solo il 3% tedesca. Di questi il 46% erano cattolici,<br />
il 43% greco-cattolici, l’11% israeliti. Leopoli (Lemberg, Lwów, Lwiw) era la capitale amministrativa,<br />
Cracovia la principale città d’arte.<br />
(2) Meglio chiamato come K.k. Landwehrinfanterieregiment «Laibach» Nr.27 - I.r. 27° reggimento <strong>di</strong><br />
Fanteria «Lubiana». I suoi soldati indossavano <strong>un</strong> berretto con <strong>un</strong>a penna <strong>di</strong> gallo cedrone. Le<br />
«Edelweiss» invece la portavano <strong>sul</strong>la giubba.
Virgilio Foschian a Laibach poco prima <strong>di</strong> partire per il<br />
<strong>fronte</strong> <strong>orientale</strong>.<br />
guerra dovesse durare poco ma<br />
essa invece si <strong>di</strong>mostrò come<br />
tutte le altre, l<strong>un</strong>ga e terribile.<br />
L’inverno rigi<strong>di</strong>ssimo, la mancanza<br />
<strong>di</strong> raccor<strong>di</strong> stradali, la inadeguata<br />
dotazione personale dei<br />
soldati e l’insufficiente supporto<br />
logistico (forniture alimentari<br />
e belliche) portarono allo<br />
sbando centinaia <strong>di</strong> migliaia <strong>di</strong><br />
soldati. Dopo alterne <strong>di</strong>sfatte il<br />
«nostro» venne fatto prigioniero<br />
dai russi il 28 <strong>di</strong>cembre del<br />
1914. In seguito venne inviato<br />
insieme a numerosi altri prigionieri<br />
austro-<strong>un</strong>garici nei lontani<br />
campi <strong>di</strong> prigionia all’interno<br />
dell’impero russo. Egli,<br />
dopo alc<strong>un</strong>i trasferimenti, si stabilì<br />
nel famoso campo <strong>di</strong> Kirsanov<br />
(3) (località del Governatorato<br />
<strong>di</strong> Tambow) ed in quello<br />
<strong>di</strong> Cistopolie (Tchistopal, località<br />
che si trova nel Governatorato<br />
<strong>di</strong> Kazani). Nel primo dei<br />
due campi «soggiornarono» in<br />
con<strong>di</strong>zioni molto <strong>di</strong>fficili numerosi<br />
friulani fra cui i maestri<br />
Angelo e Vittorio Fabris <strong>di</strong> Terzo,<br />
Giovanni Gratton <strong>di</strong> Ruda,<br />
Domenico Rizzatti <strong>di</strong> Fiumicello,<br />
Francesco D’Elia <strong>di</strong> Aquileia.<br />
Tra le migliaia <strong>di</strong> prigionieri<br />
c’era anche chi nutriva delle<br />
simpatie per l’Italia tanto che con il tempo venne avviata <strong>un</strong>a certa attività irredentista<br />
con l’intento <strong>di</strong> ampliare sempre più il proselitismo.<br />
In questa ottica a Kirsanov ebbe luogo la celebrata «Festa dello Statuto» il 4<br />
(3) A Kirsanov morì per tubercolosi polmonare Domenico Cossar <strong>di</strong> San Martino <strong>di</strong> Terzo (il 23 marzo<br />
del 1916). Nello stesso luogo ri<strong>sul</strong>tano altresì deceduti i seguenti militari austro-<strong>un</strong>garici <strong>di</strong> lingua<br />
italiana residenti, prima della guerra, nel Litorale: Giovanni Gallas <strong>di</strong> Medea, Giuseppe Visintin<br />
<strong>di</strong> Farra, Erminio Boscarol <strong>di</strong> Ronchi. Un monumento venne eretto a «Perenne memoria» degli<br />
irredenti morti in prigionia.<br />
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giugno del 1916 (2 pom.) a cui <strong>un</strong>a improvvisata orchestra (con <strong>di</strong>rettore Paolo<br />
Gallovich) e l’ausilio <strong>di</strong> <strong>un</strong> coro <strong>di</strong> convinti «irredentisti» (<strong>di</strong>retto dal maestro<br />
Pio Furlanelli) <strong>di</strong>edero la solennità e l’ufficialità necessaria. Il programma della<br />
giornata viene descritto minuziosamente su <strong>un</strong>a cartolina postale acquistata in<br />
Russia dal Virgilio Foschian.<br />
Dopo che lo zar Nicola (alleato dell’Italia) ebbe «offerto» la propria <strong>di</strong>sponibilità<br />
a «cedere» i prigionieri austro-<strong>un</strong>garici <strong>di</strong> lingua italiana all’Italia, venne organizzata<br />
<strong>un</strong>a spe<strong>di</strong>zione in Russia con scopo <strong>di</strong> ricercare questo consistente gruppo<br />
e convincerne i componenti a «cambiare ban<strong>di</strong>era». Tra le persone che preferirono<br />
sottoscrivere <strong>un</strong> impegno <strong>di</strong> fedeltà all’Italia anziché rimanere fedeli agli<br />
Asburgo ci fu il nostro Foschian il quale utilizzò <strong>un</strong>o dei pochi convogli che vennero<br />
allestiti ad Arcangelo per far rientro in Italia prima del grande gelo. Da Kirsanow,<br />
via Mosca tramite la tradotta ferroviaria, gli ex prigionieri austro-<strong>un</strong>garici<br />
gi<strong>un</strong>sero ad Arcangelo per poi arrivare in Inghilterra (Glasgow), e attraverso la<br />
Francia gi<strong>un</strong>gere in Italia (Torino). Arcangelo è <strong>un</strong>a località a nord della Russia<br />
che si affaccia <strong>sul</strong>l’Oceano glaciale artico ed all’epoca era l’<strong>un</strong>ica base <strong>di</strong> partenza<br />
(o arrivo), utilizzabile dalla Russia e le nazioni a lei alleate. Grazie all’utilizzo<br />
del piroscafo del Lloyd Austriaco «Koerber», poi chiamato H<strong>un</strong>tspiel» nell’aut<strong>un</strong>no<br />
del 1916 poterono partire circa 4000 «irredenti». Il primo scaglione,<br />
formato da 1700 persone tra cui anche Edmondo Serravalle <strong>di</strong> Fiumicello, partì<br />
da Arcangelo il 24 settembre del 1916 <strong>sul</strong> piroscafo austriaco, che per ironia della<br />
sorte era stato varato a Trieste nel 1903.<br />
Veduta <strong>di</strong> Kirsanoff (Kirsanov).<br />
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Panorama della città <strong>di</strong> Torino nel 1916.<br />
L’esperienza del Foschian è analoga a quella <strong>di</strong> numerosi militari austro-<strong>un</strong>garici<br />
aquileiesi ed aiellesi. In occasione della «Rotta <strong>di</strong> Caporetto» nella zona <strong>di</strong><br />
Aquileia tutti quegli ex militari austro-<strong>un</strong>garici che avevano giurato fedeltà all’Italia<br />
e che nel 1916 avevano potuto tornare nelle proprie <strong>di</strong>more con i convogli<br />
artici fuggirono. Da «L’Isonzo» <strong>di</strong> Gorizia del 13.1.1930 veniamo a sapere<br />
che anche Edoardo Baldas <strong>di</strong> Domenico <strong>di</strong> Crauglio (anni 37) aveva optato per l’Italia<br />
potendo quin<strong>di</strong> far ritorno nello stesso anno nel suo paese d’origine, come,<br />
secondo il Perini, altri tre craugliesi: Giuseppe Spessot, Pietro Castellan e Giovanni<br />
Andrian. Virgilio Foschian non visse in prima persona le successive vicende che<br />
si svolsero in Russia quali «La Rivoluzione d’Ottobre», la nascita del Corpo<br />
C.I.E.O. con i Battaglioni Neri e Rossi, l’utilizzo della Transiberiana per il viaggio<br />
<strong>di</strong> ritorno a Vla<strong>di</strong>vostock e la Concessione Italiana <strong>di</strong> Tientsin in Cina.<br />
Dalle lettere in possesso dei parenti ri<strong>sul</strong>ta altresì che il 21 ottobre del 1916 il<br />
«nostro» si trovava già a Torino. Dopo averne ottenuto il permesso, alc<strong>un</strong>i mesi<br />
dopo rientrò nel paese nativo <strong>di</strong> Crauglio in qualità <strong>di</strong> civile e potè quin<strong>di</strong> svolgere<br />
liberamente la sua professione <strong>di</strong> falegname. Per spostarsi oltre il territorio<br />
del suo Com<strong>un</strong>e doveva com<strong>un</strong>que richiedere <strong>un</strong>o speciale lasciapassare firmato<br />
oltre che dal podestà (Attilio Pinzani) anche dalle autorità militari (Presi<strong>di</strong>o <strong>di</strong><br />
Crauglio, 14° Reggimento Fanteria) e dal Commissario Civile (Crispo Moncada).<br />
Gi<strong>un</strong>sero però i giorni bui <strong>di</strong> Caporetto (fine ottobre del 1917) che costrinsero<br />
Virgilio Foschian ad allontanarsi nuovamente dalla sua casa e dalla Bassa. Seguì<br />
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la fila <strong>di</strong> carriaggi militari e civili oltre il Piave e si stabilì in Toscana (eletta a<br />
patria <strong>di</strong> adozione) (4).<br />
Tra le lettere che si sono salvate dalle vicende belliche e dai trasferimenti <strong>di</strong> <strong>di</strong>mora<br />
dopo la fine delle ostilità (Gra<strong>di</strong>sca, San Giorgio <strong>di</strong> Nogaro ecc.), meritano <strong>di</strong><br />
essere ricordate due dal contenuto schietto e sincero. La prima spe<strong>di</strong>ta da Torino da<br />
Virgilio (21 ottobre 1916) ed in<strong>di</strong>rizzata a Crauglio presso l’abitazione <strong>di</strong> Paolina<br />
Michelutti (fidanzata): «Torino 21/X 1916. Ieri ho ricevuto la roba con le fotografie<br />
che mi fecero molto piacere, ma resto che scrivi tante monade e che non sei<br />
buona <strong>di</strong> scrivermi qualche cosa per mia madre, fai tu come mia madre non esistesse.<br />
Io volevo avere <strong>un</strong>a fotografia <strong>di</strong> mia madre e nipotini. Tu non mi <strong>di</strong>ci ti mando<br />
questo, quello ecc. Non mi spieghi nulla io ho tante altre cose interessanti <strong>di</strong> sapere<br />
riguardo acciò che lasciai casa siccome tu hai tutto saprai tutto e se non vuoi fare<br />
a nome <strong>di</strong> mia madre fa come tu fossi la padrona attendo lettera l<strong>un</strong>ga e seria<br />
e tanti baci e saluti. Virgilio (5)» e la seconda in<strong>di</strong>rizzata a Bice (datata 31 ottobre 1916,<br />
nipote, 1904/1999) da cui trapelava sempre lo stesso bramoso desiderio <strong>di</strong> sapere<br />
tutto ciò che accadeva nel suo paese e nel suo ambiente familiare (6). Un’altra interessante<br />
lettera appare in quella «friulanista» convinto Achille Tellini (ma anche<br />
naturalista, geologo, folclorista, nato e deceduto a U<strong>di</strong>ne, 1866/1938 anche lui<br />
esperantista) datata Bologna 28.2.1917: (…”Vado raccogliendo quanti più posso libri,<br />
opuscoli, fogli <strong>di</strong>alettali in genere, sia del friulano che del veneto… Conosco<br />
il Forum Juli che possiedo quasi tutto. Degli scrittori attuali in friulano conosco<br />
solo il Lorenzoni liberato, grazie all’E. dall’internamento francese… Altri conoscerei<br />
volentieri a con<strong>di</strong>zione però che non siano ostili per proposte all’intendere della grafia.<br />
Es. nel friulano poiché costoro saranno acerrimi nemici degli innovatori, e<br />
che l’Autorità non voglia trovare anche questa corrispondenza linguistica, sfor-<br />
(4) Dello stesso argomento trattano i saggi <strong>di</strong> Camillo Medeot apparsi su «Iniziativa Isontina» con il titolo<br />
<strong>di</strong>: «Prigionieri friulani a Novi Zavòd» e «Trentaquattro cervignanesi a Orlov»; «Un friulano<br />
nelle terzine giocose <strong>di</strong> <strong>un</strong> istriano». Dello stesso autore inoltre: «Friulani in Russia e in Siberia<br />
1914/1919», Benno Pelican, U<strong>di</strong>ne 1978.<br />
(5) Archivio Foschian-Mauro, San Giorgio <strong>di</strong> Nogaro. La cugina <strong>di</strong> questi, Enrica Foschian <strong>di</strong> Crauglio,<br />
visse, suo malgrado, l’amara esperienza dell’internamento in Italia. Esiste infatti presso l’Archivio<br />
Centrale <strong>di</strong> Stato <strong>di</strong> Roma <strong>un</strong>a scheda a suo nome (Comando Supremo, Sgac, b. 257). Allo scoppio<br />
della guerra con l’Italia ri<strong>sul</strong>ta che fosse occupata in qualità <strong>di</strong> cuoca e che avesse compiuto da poco<br />
i 27 anni. Negli scarni documenti romani (A.C.S.R.) non si fa cenno al motivo dell’internamento.<br />
Disponiamo com<strong>un</strong>que dei nominativi dei suoi compaesani che subirono la stessa sua sorte: Pietro<br />
Michelutti, <strong>di</strong> 53 anni, consigliere com<strong>un</strong>ale <strong>di</strong> professione conta<strong>di</strong>no, internato ad Ascoli Piceno<br />
perché: «Austriacante pericoloso»; Francesco Rossi <strong>di</strong> anni 42, bracciante con negozio <strong>di</strong> coloniali,<br />
internato a Foggia e a Firenze per aver: «Sparlato»; Antonio Venturin <strong>di</strong> anni 63 internato ad<br />
Ascoli Piceno perchè: «Sospetto <strong>di</strong> spionaggio, militava nel partito cristiano-sociale»; Antonio<br />
Rossi <strong>di</strong> anni 60 internato ad Irgoli, in Sardegna.<br />
(6) Ibidem. Questo il suo contenuto: «Torino, 31/X 1916. Cara Bice! Ricevuta oggi la tua cartolina con<br />
molto piacere, ora che sei guarita credo non trascurerai <strong>di</strong> scrivermi. Io voglio sai che tu mi scriva<br />
sempre, che mi fa tanto piacere ricevere notizie <strong>di</strong> voi. E tu che sai scrivere bene puoi contentare il<br />
tuo zio che da si l<strong>un</strong>go tempo non vede voi e la cara mamma. D<strong>un</strong>que scrivi e domani giorno dei morti<br />
assieme alla nonna deponi <strong>un</strong> fiore <strong>sul</strong>la tomba del papà e del nonno anche a mio nome. Bacia la<br />
nonna e i fratelli. Virgilio».<br />
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Davanti alla chiesa <strong>di</strong> San Giusto a Trieste <strong>un</strong> folto gruppo <strong>di</strong> Esperantisti (a. ’20).<br />
zandosi a vedere tra le righe la politica. O auguri ke si finisi prest <strong>di</strong> bati e ke la<br />
pàs a torni a venì tra keste benedete int invelenade. E se no, ke almankul ’a lasin<br />
in pas i studjos ke calin da l’alt kestris begis e kesc kontrátsc’, tininsi in <strong>un</strong>e spese<br />
serene dulà ke no ’l rive il s<strong>un</strong>sur des armis e l’eko des krudeltat e des injusticiis<br />
humanis… (7)”; e <strong>un</strong>a del podestà <strong>di</strong> Tapogliano Ettore Tommasini spe<strong>di</strong>ta dalla<br />
«Pension Piccar<strong>di</strong>» <strong>di</strong> Firenze datata 28.4.1918 nella quale com<strong>un</strong>ica al Foschian,<br />
in quel mentre a Crauglio, la sua intenzione <strong>di</strong> trovare lavoro ad <strong>un</strong>a ventina <strong>di</strong><br />
operai, profughi della Bassa friulana, per poter migliorare le loro con<strong>di</strong>zioni economiche<br />
e chiedeva inoltre notizie più precise su Luigi Cian, Fumo, Zorba <strong>di</strong> Campolongo<br />
e Luigi Tomasin, Pietro Bazeu, Luigi Comar <strong>di</strong> Tapogliano, che avrebbero<br />
potuto essere interessati all’impiego offerto (8). Il podestà <strong>di</strong> San Vito al Torre, At-<br />
(7) Ibidem. Achille Tellini si trasferì dal suo Friuli a Bologna verso il 1908 dove svolse <strong>un</strong>a attività<br />
commerciale. Da questa città ass<strong>un</strong>se l’incarico <strong>di</strong> rappresentante dell’Associazione Esperantista<br />
<strong>un</strong>iversale. Anticlericale, <strong>di</strong> tendenza liberale, serbava astio verso gli Austriaci. Nonostante questo<br />
però, forse a causa del suo carattere estroverso, fu preso <strong>di</strong> mira dalle autorità militari italiane durante<br />
il conflitto che volevano internarlo. Documenti d’Archivio testimoniano che fu preso <strong>di</strong> mira<br />
da parte delle autorità italiane. Con l’evento al potere del fascismo sostenne la «friulanità» contro<br />
il nazionalismo fascista. Ritornò a U<strong>di</strong>ne nel 1927. Più o meno nelle stesse con<strong>di</strong>zioni, guarda<br />
caso, si trovava anche lo stu<strong>di</strong>oso Giovanni Lorenzoni (1884/1950). Infatti quest’ultimo subì l’internamento<br />
in qualità <strong>di</strong> citta<strong>di</strong>no <strong>di</strong> <strong>un</strong>a nazione avversa (in questo caso a cura delle autorità militari<br />
francesi) dato che si trovava in Francia (Montpellier) allo scoppio della prima guerra mon<strong>di</strong>ale.<br />
Raffaella Sgubin ne fa <strong>un</strong> breve accenno in «Tre riviste e tre uomini che hanno aperto la strada<br />
alla Filologica» su «Friûl <strong>di</strong> soreli jevât», Società Filologica Friulana, Gorizia 1989, pag. 63.<br />
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tilio Pinzani, gli scrisse da Bologna il 16 marzo 1917 per chiedergli gli in<strong>di</strong>rizzi a<br />
lui noti dei profughi <strong>di</strong> Crauglio, S.Vito e Nogaredo e anche dei paesi vicini aggi<strong>un</strong>gendo<br />
<strong>di</strong> aver visto Giuseppe Spessot e Carlo Mreule (9). Con il «Foglio <strong>di</strong> via<br />
per profughi» del 6 <strong>di</strong>cembre 1918 il «nostro» fece ritorno definitivamente a casa<br />
da S. Casciano - Val <strong>di</strong> Pesa (Firenze) e nel 1919 convogliò a nozze con l’amata Paola<br />
Michelut(ti). Tre anni dopo (il 27 agosto del 1923) gli venne rilasciato dalla<br />
«Cattedra Italiana <strong>di</strong> Esperanto» - Istituto Regionale della Venezia Giulia il <strong>di</strong>ploma<br />
<strong>di</strong> insegnante d’esperanto che seguiva l’«Attestato assolutorio» della Dirigenza<br />
della Scuola Popolare <strong>di</strong> Ajello del 15 luglio 1905. Alc<strong>un</strong>i ritagli <strong>di</strong> giornale,<br />
ottimamente conservati, testimoniano come negli anni Venti si fosse cercato <strong>di</strong><br />
<strong>di</strong>ffondere nell’ambito aiellese l’Esperanto. Nel 1928 nella sede del Dopolavoro<br />
<strong>di</strong> Aiello, presenti Achille Zandegiacomo, Raffaello Vannucchi, il podestà Umberto<br />
Michieli Zignoni e il docente Virgilio Foschian, iniziò <strong>un</strong> nuovo corso (gratuito)<br />
<strong>di</strong> lingua ausiliaria <strong>un</strong>iversale d’esperanto (1928). Per ultimo segnaliamo che il<br />
XIV Congresso Nazionale <strong>di</strong> Esperanto si svolse a U<strong>di</strong>ne dal 28 al 30 luglio del 1929.<br />
La sua famiglia prima della guerra era composta oltre che dal padre Bartolomeo<br />
e dalla madre Giuseppina Simeon anche dai fratelli Casimiro, Luigia, e<br />
da <strong>un</strong> fratello che ci sfugge il nome. A sua volta Casimiro era padre <strong>di</strong> Enrica<br />
Foschian.<br />
Per avere maggiori informazioni su <strong>di</strong> lui non ci siamo limitati ad interpellare<br />
i suoi più stretti famigliari ma abbiamo cercato qualc<strong>un</strong>o che potesse averlo<br />
conosciuto personalmente e questi non poteva che essere il popolare Mario Brandolin<br />
<strong>di</strong> Aiello (cl. 1911, originario <strong>di</strong> Crauglio ed ora residente ad Aiello nella locale<br />
Casa <strong>di</strong> Riposo). A lui ci siamo rivolti imme<strong>di</strong>atamente per sapere qualcosa<br />
<strong>di</strong> più <strong>sul</strong>l’autore <strong>di</strong> questo breve <strong>di</strong>ario <strong>di</strong> guerra. Da Brandolin abbiamo saputo<br />
che il nostro Virgilio abitava a Crauglio (Crauì) <strong>sul</strong>a strada che puarta a Daèl (dulà<br />
che cumò sta Zampar). In zoventût faseva ’l daziar e insegnâva l’esperanto a<br />
Daèl in tal Dopolavoro (tal Ventennio) dulà che cumò ’l è la butega <strong>di</strong> Zamparin<br />
(visìn il peck Orso). Veva <strong>un</strong> fra<strong>di</strong> <strong>di</strong> non Miro (Casimiro) che faseva ’l gendarmar<br />
a Gar<strong>di</strong>s’cia. Vevin i Foschian <strong>un</strong>a cjasuta e <strong>un</strong>a lobia che dopo cul timp a<br />
jè crollada. Dato che nel <strong>di</strong>ario si accenna ad <strong>un</strong>o Spessot abbiamo pensato <strong>di</strong><br />
chiedere <strong>un</strong> ulteriore sforzo al nostro interlocutore. Così ci ha risposto Mario:<br />
«Un Spessot che pol essi chel citât tal raccont a veva <strong>un</strong>a ostaria in timp <strong>di</strong> uera<br />
e dopo (1925?) chista le lât migrant a Fiume. Carlo Foschian ’l era sò santul<br />
e faseva ’l maringon <strong>di</strong> mistir. Che volta a era <strong>un</strong>a cooperativa <strong>di</strong> maringons che<br />
dopo la uera (la prima) jè lada strucia. Barba Bepo Foschian invesi <strong>di</strong>rigeva ’l<br />
coro da parochia <strong>di</strong> Crauì».<br />
Abbiamo dato quin<strong>di</strong> <strong>un</strong>’occhiata alle Guide Commerciali della Contea <strong>di</strong> ini-<br />
(8) Ibidem. Vari com<strong>un</strong>i friulani invasi dagli austro-<strong>un</strong>garici si attivarono in profuganza dopo l’ottobre<br />
del 1917 per dare <strong>un</strong> minimo <strong>di</strong> assistenza ai propri citta<strong>di</strong>ni. Su tale argomento molto interessante<br />
appare il lavoro dell’Accademia U<strong>di</strong>nese <strong>di</strong> Scienze Lettere ed Arti: «I Friulani durante l’invasione»,<br />
U<strong>di</strong>ne 1999.<br />
(9) Ibidem.<br />
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zio secolo che potessero interessare il suo<br />
paese d’origine. Con Nogaredo e S.Vito,<br />
nel 1913 il Com<strong>un</strong>e contava 1766 abitanti.<br />
All’epoca la podestaria era condotta dal<br />
cattolico Edoardo de Moschettini, segretario<br />
Olivo Ponton. Della chiesa parrocchiale<br />
<strong>di</strong> Crauglio, de<strong>di</strong>cata a S.Canziano,<br />
era vicario don Ermanno Rosin (detto Mano,<br />
1880/1944). In <strong>un</strong> paese così piccolo<br />
(Crauglio) trovare dati e riferimenti sugli<br />
appartenenti al ceppo Foschian non è stato<br />
particolarmente <strong>di</strong>fficile. Giuseppe Foschian<br />
fu tra i promotori della costituenda<br />
Banda <strong>di</strong> Crauglio (17.02.1901) che si contrapponeva<br />
a quella già esistente, <strong>di</strong> tendenza<br />
liberale. Si trattava com<strong>un</strong>que <strong>di</strong><br />
<strong>un</strong>a passione <strong>di</strong>ffusa in famiglia dato che<br />
anche Casimiro e Bartolomeo Foschian<br />
erano impegnati nella banda locale (Casimiro<br />
fu <strong>di</strong>rettore per <strong>un</strong>a trentina d’anni).<br />
Restando in tema Giuseppe Foschian si<br />
occupava anche del coro parrocchiale egli<br />
fu inoltre socio promotore della Società<br />
Agricola Operaia Cattolica dello stesso<br />
paese (suo il rivestimento dell’organo inaugurato<br />
nel 1897). Nel 1908 il Giuseppe ri-<br />
Scodella modellata in Russia durante la prigionia<br />
(dal 24.12.1914 al 09.10.1916).<br />
coprì la carica <strong>di</strong> vice-presidente nella «Società Agricola operaia <strong>di</strong> Mutuo Soccorso».<br />
Di mestiere i Foschian facevano i falegnami (maringons) e del locale Consorzio<br />
fra falegnami (1909) ri<strong>sul</strong>ta che facessero parte sia Casimiro che Giuseppe<br />
Foschian. Per <strong>un</strong> certo numero <strong>di</strong> anni la falegnameria Foschian aveva avuto<br />
alle sue <strong>di</strong>pendenze quasi <strong>di</strong>eci operai (10).<br />
Dai ricor<strong>di</strong> degli anziani del paese ri<strong>sul</strong>ta altresì che in occasione della «Rotta<br />
<strong>di</strong> Caporetto» delle truppe italiane la loro abitazione aveva ciapât fûc.<br />
Giorgio Milocco<br />
(10) Giuliano Foschian, nato a Crauglio nel 1882, esercitò la professione <strong>di</strong> fotografo negli anni che<br />
vanno dal 1902 al 1905.<br />
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<strong>Diario</strong> <strong>di</strong> guerra <strong>di</strong> Virgilio Foschian (19.12.1914/10.3.1915)<br />
Insegnante <strong>di</strong> Esperanto, nato a Crauglio, San Vito al Torre, il 25 marzo 1892,<br />
morto a San Giorgio <strong>di</strong> Nogaro il 21 marzo 1976.<br />
19 <strong>di</strong>cembre 1914: riceviamo l’or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> partire per la Galizia; alla sera vado a<br />
fare <strong>un</strong> poco <strong>di</strong> provviste tutto in confusione per la notizia inaspettata; nella stessa<br />
sera ci cambiano <strong>di</strong> caserma e passiamo l’ultima notte in <strong>un</strong> convento fuori <strong>di</strong><br />
Lubiana.<br />
20 <strong>di</strong>cembre 1914: mi alzo alle quattro con <strong>un</strong> poco <strong>di</strong> caffè; ci rechiamo in caserma<br />
dove ci <strong>un</strong>iamo alle altre compagnie; dopo <strong>un</strong>a rivista e <strong>un</strong> <strong>di</strong>scorso d’occasione<br />
del maggiore, al suono della banda ci rechiamo alla stazione dove, alle 8<br />
antimeri<strong>di</strong>ane, tra il grido della folla e il suono della banda, partiamo. Passiamo<br />
il 21 e il 22 abbastanza bene; in ogni stazione si riceveva tè o zuppa, vino, ecc. La<br />
sera del 22 smontiamo a Bartfach, cittadella tutta devastata. Dopo <strong>un</strong>’ora <strong>di</strong> marcia,<br />
con tempo pessimo, arriviamo in <strong>un</strong> mulino dove pernottiamo (8 giorni prima<br />
ci avevano dormito i Russi).<br />
23 <strong>di</strong>cembre 1914: incomincia il calvario: si cammina ore e ore con <strong>un</strong> fango<br />
indescrivibile. Dopo 13 ore <strong>di</strong> marcia, avviliti e stanchi, arriviamo in <strong>un</strong> villaggio<br />
dove, dopo aver atteso per ore nella pioggia, troviamo <strong>di</strong> passar la notte sotto<br />
<strong>un</strong>a tettoia <strong>di</strong> paglia <strong>un</strong>o sopra l’altro.<br />
24 <strong>di</strong>cembre 1914: ripren<strong>di</strong>amo la marcia e riceviamo l’or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> risparmiare i<br />
viveri perché sarà <strong>di</strong>fficile provvedersi. Siamo in Galizia. Per le strade, rese quasi<br />
impraticabili causa il continuo passaggio <strong>di</strong> pesi, ai fianchi delle strade piene<br />
<strong>di</strong> carogne putride, <strong>di</strong> carri sfasciati (orrendo a vedersi), a mezzogiorno abbiamo<br />
<strong>un</strong> piccolo pasto in costa <strong>di</strong> <strong>un</strong>a montagna. Qui troviamo <strong>un</strong> altro Battaglione <strong>di</strong><br />
Graz (IIIr) che si avvia allo stesso destino; dopo mangiato <strong>un</strong>a fleischconserve (carne<br />
in scatola) con <strong>un</strong> poco <strong>di</strong> cumis (pane nero) cascato più volte nel fango, senza<br />
nemmeno sedersi <strong>un</strong> momento causa il fango, ripren<strong>di</strong>amo la marcia. Di lontano<br />
si sente il rombo del cannone; alla sera arriviamo in <strong>un</strong>a cittadella tutta in <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>ne:<br />
case bruciate, ponti saltati in aria. Qui dormiamo in <strong>un</strong> fienile: siamo<br />
sfiniti; per le case si vede qualche piccolo albero <strong>di</strong> Natale; alle 8 <strong>di</strong> sera vengono<br />
a chiamare per manasa (rancio), ma pochi si sentono <strong>di</strong> poter andare; alla mattina<br />
ci svegliano <strong>di</strong> soprassalto con <strong>un</strong>a confusione indescrivibile: allarm! allarm!<br />
ci alziamo, pren<strong>di</strong>amo tutto e an<strong>di</strong>amo in piazza dove tutti erano pronti; pren<strong>di</strong>amo<br />
<strong>un</strong> poco <strong>di</strong> caffè, carichiamo il fucile.<br />
25 <strong>di</strong>cembre 1914 (Natale in<strong>di</strong>menticabile): noi come genieri riceviamo l’or<strong>di</strong>ne<br />
<strong>di</strong> andare innanzi come farpatrulle (in avanscoperta); camminiamo circa 2 ore<br />
fuori dal paese: ness<strong>un</strong>a novità; solo in <strong>un</strong> prato ve<strong>di</strong>amo l’artiglieria intenta ad<br />
appostare i pezzi: qui <strong>un</strong>a pattuglia <strong>di</strong> cavalleria ci ann<strong>un</strong>cia il nemico a pochi<br />
80
chilometri; arriviamo su <strong>un</strong> fiume. Qui abbiamo l’or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> prepararci le dec<strong>un</strong><br />
(Deck<strong>un</strong>g, ricovero sotterraneo, trincee coperte). Si manda <strong>un</strong>a patrulla (pattuglia<br />
in ispezione): i Russi sono in vista <strong>sul</strong> monte <strong>di</strong>rimpetto a noi; qui si mettono<br />
due compagnie in prima linea e <strong>un</strong>a <strong>di</strong> riserva <strong>sul</strong> bosco soprastante. Noi pure<br />
terminate le dec<strong>un</strong>, sotto gli occhi del nemico, passiamo come riserve. Incominci<br />
qualche srpnel (shrapnel o schrapnell) da parte della nostra artiglieria: noi siamo<br />
tranquilli nel bosco: mi metto a scrivere <strong>un</strong>a cartolina, ma <strong>un</strong>o, due e poi tre srpnels<br />
nemici caduti sopra <strong>di</strong> noi, mi fanno perdere il filo. Pochi minuti dopo ve<strong>di</strong>amo<br />
i primi feriti: due friulani. Il fuoco cresce sempre più; finalmente verso<br />
sera, il fuoco rallenta e cessa. Noi ci prepariamo <strong>un</strong>a dec<strong>un</strong> per tre per passarvi la<br />
notte: sten<strong>di</strong>amo a terra rami <strong>di</strong> pino e riceviamo l’or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> poter dormire dandoci<br />
cambio, ma è freddo e fame. Finalmente sentiamo <strong>un</strong> carro: è la cucina che,<br />
approfittando della calma si avvicina alla «svarlinio»: <strong>un</strong>o alla volta scen<strong>di</strong>amo<br />
attraverso l’acqua e riceviamo <strong>un</strong> poca <strong>di</strong> carne e zuppa. Detto fatto il carro deve<br />
ritirarsi: è scoperto dai Russi i quali fanno <strong>un</strong> fuoco d’inferno, ma l’or<strong>di</strong>ne è<br />
<strong>di</strong> non rispondere al fuoco. Quando il fuoco cessa è l’or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> ritirarsi. Si cammina<br />
2 ore: sono le <strong>di</strong>eci <strong>di</strong> notte. Arriviamo in cima al monte sovrastante dove<br />
si domina tutta la vallata. Qui abbiamo l’or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> non risparmiare fatica. Lavoriamo<br />
tutta la notte con la promessa che il giorno dopo riposeremo.<br />
26 <strong>di</strong>cembre 1914: alla mattina seguente, quando tutto è terminato, viene <strong>un</strong>a<br />
pattuglia <strong>di</strong> cavalleria con no so che meld<strong>un</strong> (rapporto). Il fatto è che dobbiamo<br />
ritirarci <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>natamente chi più può; camminiamo tutta la giornata dopo due<br />
notti che si lavorava senza dormire; verso le 4 dopo passati <strong>di</strong>versi altri reggimenti<br />
tutti in ritirata, ci fermiamo in fianco alla strada. Senza fare in tempo a levarci<br />
il peso dalle spalle, viene il generale e abbiamo l’or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> metterci <strong>di</strong> nuovo<br />
in marcia. Dopo 2 ore arriviamo su <strong>un</strong> prato dove ritrovo 2/3 commilitoni<br />
miei, <strong>un</strong>ici superstiti della mia compagnia. Qui riceviamo in premura <strong>un</strong> poca <strong>di</strong><br />
zuppa immangiabile e poi saliamo <strong>un</strong> monte. Arrivati in cima, aiutati da pionieri<br />
<strong>di</strong> battaglione, lavoriamo tutta la notte a preparare la dec<strong>un</strong>. Qui si lavora e si<br />
dorme in pie<strong>di</strong> tanta è la stanchezza; <strong>di</strong> più comincia a nevicare e in poco tempo<br />
il monte è tutto bianco. Per quella sera dobbiamo sospendere il lavoro perché siamo<br />
sorpresi dal nemico. Dobbiamo correre in dec<strong>un</strong>. Quella notte fu <strong>un</strong>a vera<br />
pena: avevamo le dec<strong>un</strong> ai pie<strong>di</strong> del monte; l’acqua scolava e in breve le dec<strong>un</strong><br />
furono allagate. Ogni tanto si sentivano tiri e così, con le gambe in acqua tremando<br />
dal freddo, sentivamo che i Russi erano a pochi passi da noi. Nelle dec<strong>un</strong><br />
regnava <strong>un</strong> silenzio <strong>di</strong> morte: solo <strong>di</strong> quando in quando qualc<strong>un</strong>o russava e i comandanti<br />
avevano <strong>un</strong> buon daffare a tener sveglia con tutto il pericolo che minacciava<br />
ogni momento. Si sentiva <strong>un</strong> Tenente e il zügfuhrer (maresciallo) sottovoce<br />
raccomandare attenzione che i Russi avanzano a destra e a sinistra. Ogni momento<br />
si manda <strong>un</strong>a patrulla a qualche <strong>di</strong>stanza davanti a noi per avere <strong>un</strong>a informazione<br />
<strong>sul</strong> numero del nemico; patrulle che più volte si salvarono a stento dovendo<br />
tornare in dec<strong>un</strong> fra 2 fuochi. Tutta la notte fu <strong>un</strong> continuo fuoco.<br />
81
27 <strong>di</strong>cembre 1914: domenica: finalmente il fuoco cessò: riceviamo subito l’or<strong>di</strong>ne<br />
<strong>di</strong> uscire; scendere a lavare i fucili resi inadoperabili dal fango; poi tutti si mettono<br />
all’aperto per rinforzare la posizione; scendono nel paese vicino a prendere tavole<br />
per ripararsi dalla pioggia, mentre io e altri pionieri siamo chiamati a preparare dec<strong>un</strong><br />
per il Battaglion Comandant Maschinengewehr (armi automatiche) ecc. Terminato<br />
il lavoro, io e <strong>un</strong> altro (è ripreso il fuoco <strong>sul</strong> monte opposto a noi) deci<strong>di</strong>amo<br />
<strong>di</strong> scendere nell’altro paese per procurarci qualche cosa da mangiare non avendo<br />
mangiato che <strong>un</strong> poco <strong>di</strong> cumis ma, incontrata <strong>un</strong>a patrulla, siamo obbligati a<br />
scendere nella dec<strong>un</strong> fra i fischi delle pallottole nemiche dovendo scendere la china<br />
in pieno bersaglio del nemico. Durante la nostra assenza i nostri posti sono occupati<br />
da altri e noi dobbiamo buttarci dove possiamo, sicchè io resto allo scoperto;<br />
mi riparo <strong>un</strong> poco con la seltna (coperta <strong>di</strong> tela) e mi rassegno a passare la notte<br />
nell’acqua ora cresciuta nevicando continuamente. Appena notte il fuoco riprende<br />
forza. Noi rannicchiati nell’acqua, sfigurati dal fango, pieni <strong>di</strong> fame e battendo<br />
i denti, non fa paura la morte, ma la si brama. Io mi sono ficcato in <strong>un</strong>a dec<strong>un</strong> del<br />
primo zug (drappello, plotone): qui su <strong>di</strong>eci, 3 possono sparare; gli altri fucili, causa<br />
il fango non f<strong>un</strong>zionano più; gli ufficiali raccomandano risparmio <strong>di</strong> m<strong>un</strong>izioni<br />
in caso <strong>di</strong> sturm (assalto). Abbiamo le mani inservibili: non si è in caso <strong>di</strong> aprire il<br />
patrontas (tasca delle m<strong>un</strong>izioni); la prima compagnia fa sturm: restano <strong>di</strong>versi morti;<br />
noi facciamo <strong>un</strong>a cinquantina <strong>di</strong> prigionieri. Incomincia a far chiaro.<br />
28 <strong>di</strong>cembre 1914: sentiamo che la prima compagnia ha subito molte per<strong>di</strong>te:<br />
sono fatti prigionieri molti <strong>di</strong> più: il primo tenente, il tenente, il fenerich e quasi<br />
tutte le sarse. I Russi alla sinistra ci passano. Si fa <strong>un</strong> poco <strong>di</strong> tregua: speriamo <strong>di</strong><br />
poter fare qualche passo, <strong>di</strong> uscire da quella posizione, ma <strong>di</strong> lì a pochi minuti si<br />
sente <strong>di</strong> nuovo: dec<strong>un</strong>! dec<strong>un</strong>! I Russi avanzano; ripren<strong>di</strong>amo il fuoco con <strong>un</strong> ultimo<br />
sforzo al quale i Russi cedono ritirandosi. Il fuoco cessa per <strong>un</strong>’ora circa: la<br />
gioia si mostra <strong>sul</strong> volto <strong>di</strong> tutti. Il tenente manda per prendere fleishconserve,<br />
ma non si arriva a ricever tutti che comincia a farsi sentire il rombo del cannone;<br />
incomincia <strong>un</strong>a pioggia infernale <strong>di</strong> granate che ci terrorizza. Si sentono urla <strong>di</strong><br />
qua e <strong>di</strong> là <strong>di</strong> aiuto; il fuoco continua così tutto il giorno; le granate cadevano<br />
sempre più vicine e ogni momento siamo coperti da <strong>un</strong>a pioggia <strong>di</strong> fango causato<br />
da granate cadute a pochi metri da noi; io mi faccio con la testa sotto la dec<strong>un</strong><br />
essendo allo scoperto perché la tela piena <strong>di</strong> neve non serviva più a niente. Passa<br />
tutto il giorno senza ness<strong>un</strong> or<strong>di</strong>ne, solo tutti sconcertati dal fracasso: chi piange;<br />
chi prega; altri gemono. Le granate cadono sempre più vicine e ogni tanto si<br />
vedono le tavole delle dec<strong>un</strong> vicine saltare in aria. Finalmente <strong>sul</strong>l’imbr<strong>un</strong>ire il fuoco<br />
rallenta, ma i Russi sono da tutte le parti alle calcagna. Fa notte: sentiamo il tenente<br />
gridare: II compagnia! Pochi minuti dopo usciamo dalle dec<strong>un</strong>, non ve<strong>di</strong>amo<br />
che qualche ferito che chiama aiuto; scen<strong>di</strong>amo carponi il monte fra i fischi<br />
delle pallottole; a qualche centinaio <strong>di</strong> metri chi poteva si era ritirato in furia<br />
approfittando dell’oscurità. Io con altri compagni, vedendo impossibile la fuga,<br />
essendo circondati da tutte le parti, entriamo in <strong>un</strong>a casa per scaldarci e sfa-<br />
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marci essendo <strong>un</strong> freddo irresistibile, inzuppati come eravamo. Ma quando quasi<br />
tutto è pronto il caffè: e la polenta, che quei buoni conta<strong>di</strong>ni, ci facevano, la casa<br />
viene circondata da patrulle russe: entrano e dobbiamo cedere le armi con tutto<br />
quello che ci restava per sfamarci. Così pieni <strong>di</strong> fame e <strong>di</strong> freddo, dobbiamo seguirli<br />
<strong>sul</strong> monte dove si erano già fortificati alla parte opposta delle nostre dec<strong>un</strong>.<br />
Qui parlano con <strong>un</strong> ufficiale dal quale ricevono or<strong>di</strong>ni. Noi li seguiamo sempre<br />
ed arriviamo in <strong>un</strong>a casa dove troviamo molti altri <strong>di</strong>sgraziati e <strong>di</strong>versi feriti:<br />
qui passiamo la notte su <strong>un</strong> forno.<br />
29 <strong>di</strong>cembre 1914 - Prigioniero: alla mattina an<strong>di</strong>amo nel paese vicino: qui con<br />
quei pochi sol<strong>di</strong> che abbiamo si procura <strong>di</strong> trovare qualcosa da sfamarci, ma le case<br />
sono tutte piene <strong>di</strong> militari russi e non si trova niente. Qui paghiamo 1 K (copeco,<br />
Kopev centesima parte del rublo) per star in parte <strong>di</strong> <strong>un</strong>a pagnocca nera in<br />
7. Una patata come <strong>un</strong>a noce 2/3 sol<strong>di</strong>. Verso le 8 partiamo scortati da 8 Russi. Camminiamo<br />
tutto il giorno. Alla mezzanotte arriviamo in <strong>un</strong> paese col fango fino<br />
agli occhi. Qui dobbiamo rassegnarci ad andare a dormire (dopo circa 45 Km. <strong>di</strong><br />
strada) senza niente. Si cammina sempre attraverso monti e neve dovendo attraversare<br />
più volte l’acqua fino ai ginocchi. Appena arrivati dobbiamo aspettare<br />
più <strong>di</strong> <strong>un</strong> quarto d’ora prima <strong>di</strong> trovare qualche posto <strong>di</strong> dormire essendo pieno anche<br />
qui in modo che <strong>di</strong>versi si addormentino <strong>sul</strong>la neve. Finalmente ci mettono<br />
in <strong>un</strong>a stalla tanto stretta che metà dobbiamo restare in pie<strong>di</strong> tutta la notte.<br />
30 <strong>di</strong>cembre 1914: alla mattina cuciniamo <strong>un</strong>a pentola <strong>di</strong> patate costate 15 sol<strong>di</strong> e,<br />
dopo che <strong>un</strong> soldato russo ha scelto le meglio, mangiamo in due e con queste ci<br />
mettiamo in cammino. Per la strada passiamo fra soldati i quali ci prendono tutto<br />
(coperte, feldflasche (boraccia), tutto quello che gli piaceva) e le nostre guar<strong>di</strong>e, invece<br />
<strong>di</strong> proibire, ci costringevano a consegnare. Arriviamo dal Comandante nel vicino<br />
villaggio tutto pieno <strong>di</strong> cannoni, <strong>di</strong> fili telefonici, tutto <strong>un</strong> gran movimento.<br />
Qui si credeva <strong>di</strong> «ciapar manasa» (mangiare), ma gira <strong>di</strong> qua, gira <strong>di</strong> là, le cucine<br />
fumano, ma non per noi. Qui cambiamo la guar<strong>di</strong>a e avanti! Alla sera tar<strong>di</strong> tutti infangati,<br />
arriviamo a Jaslo, bella città con luce elettrica. Qui senza zuppa, ci mettono<br />
a dormire in <strong>un</strong> palazzo tutto sottosopra, con mobili <strong>di</strong> gran valore, libri, gingilli,<br />
ma a noi serve pane. Qui troviamo altri e alla mattina del 31 <strong>di</strong>cembre tutti insieme<br />
siano condotti in <strong>un</strong>a caserma. Per strada tutti pregano pane: siamo affamati. Arrivati<br />
in caserma ci mettono in <strong>un</strong> camerone con paglia ridotta in polvere soffocante;<br />
<strong>di</strong> più ve<strong>di</strong>amo pidocchi in quantità. Qui non si parla <strong>di</strong> manasa: entrano<br />
due signore con <strong>un</strong> poco <strong>di</strong> pane e sigari, ma sono costretti a non permettere più a<br />
venire perché ci ammazzavamo ad<strong>di</strong>rittura per essere primi. Poi i russi cominciano<br />
a venderci qualche pagnocca al prezzo <strong>di</strong> 4 o 6 Kopechi l’<strong>un</strong>a; <strong>un</strong>a luganiga 2<br />
Kopechi, ecc. Più tar<strong>di</strong> <strong>un</strong> militare ci porta <strong>un</strong> catino <strong>di</strong> cassa (miglio) avanzato ai<br />
russi: lo mette in terra come le bestie; allora tutti si buttano sopra con le mani dentro;<br />
a più <strong>di</strong> <strong>un</strong>o viene sangue dal naso per i colpi ricevuti e si forma <strong>un</strong> pastel che<br />
fa schifo, ma pure si mangia tutto, anche quello <strong>sul</strong> pavimento.<br />
83
1 gennaio 1915: primo d’anno: ci cambiano <strong>di</strong> caserma, passiamo in <strong>un</strong> teatro<br />
a<strong>di</strong>bito a stalla, tutto puzzolente senza paglia; non si può dormire, ma si comincia<br />
a mangiare qualche cosa: ogni 10 uomini <strong>un</strong>a pagnocca, <strong>un</strong>a presa <strong>di</strong> the e 2 quadri<br />
<strong>di</strong> zucchero. A mezzogiorno zuppa: <strong>un</strong> catino in <strong>di</strong>eci <strong>di</strong> acqua e cassa.<br />
2 gennaio 1915: riceviamo manasa: 2 quadri <strong>di</strong> zucchero, 1/10 <strong>di</strong> pane e via con<br />
<strong>un</strong> bel sole. Ci pare <strong>un</strong> nuovo mondo: dopo circa 15 Km. Arriviamo in <strong>un</strong> paese<br />
dove dormiamo in <strong>un</strong>a casa <strong>di</strong>sabitata. Fin qui ci accompagnano <strong>un</strong> picchetto <strong>di</strong><br />
cosacchi «schiagi»: più <strong>di</strong> <strong>un</strong>o riceve qualche regalo per le orecchie.<br />
3 gennaio 1915: con altra scorta e con la neve, dopo avermi provvisto <strong>di</strong> <strong>un</strong>a intera<br />
pagnocca (6 kopechi) camminiamo 30 Km. sempre per la linea ferroviaria. Per strada<br />
incontriamo file interminabili in <strong>un</strong>a scuola sempre con semola e pan nero.<br />
4 gennaio 1915: camminiamo circa 20 Km. sempre per la linea; arriviamo in <strong>un</strong>a<br />
città; qui sono aperte le botteghe, i caffè, ma non si può andare a prendere niente<br />
da soli; dobbiamo comperare dai russi e pagare il doppio. Si paga 60 sol<strong>di</strong> <strong>un</strong>a<br />
struzza <strong>di</strong> pane <strong>di</strong> 10 sol<strong>di</strong>.<br />
5 gennaio 1915: con la neve e freddo dobbiamo fare <strong>un</strong>a salita per arrivare nella<br />
prossima città: arriviamo tanto sfiniti che si rin<strong>un</strong>cia <strong>di</strong> andare a zuppa.<br />
6 gennaio 1915: altri 20 Km. con la neve. Dopo, persa la speranza <strong>di</strong> montare in<br />
breve in treno, passiamo la notte in <strong>un</strong>a scuola umida e senza finestre. Il freddo<br />
è tanto che non si dorme.<br />
7 gennaio 1915: arriviamo a Jaroslavia, grande città con numerose caserme <strong>di</strong> cavalleria<br />
dove, senza ricevere manasa, dormiamo. Io qui trovo il modo <strong>di</strong> fuggire<br />
e recarmi in città dove mi sono provvisto <strong>di</strong> pane, formaggio e zucchero. Il pane<br />
nero lo regalai. Il domani nell’alzarmi trovo che il pane non è dove l’ho salvato,<br />
per <strong>di</strong> più non riceviamo niente neppure il mattino e ci mettiamo in cammino.<br />
8 gennaio 1915: si cammina 15 Km.; ci <strong>di</strong>cono che saranno ancora 3, ma poco<br />
in là troviamo <strong>un</strong>a tabella che segna Olezitze: 18 Km. Mi pare impossibile da fare<br />
e la strada è tutto <strong>un</strong> vetro. Arrivati per miracolo, invece <strong>di</strong> trovare manasa, ci<br />
lasciano soli che ci provve<strong>di</strong>amo a dormire. An<strong>di</strong>amo in <strong>un</strong>a casa dove forse si troverà<br />
qualche cosa; vengono e ci fanno uscire. Dobbiamo andare in <strong>un</strong>a piccola stalla<br />
e dormire <strong>sul</strong> letame.<br />
9 gennaio 1915: ci alziamo e giriamo in qua e là in cerca <strong>di</strong> pane. Finalmente<br />
troviamo <strong>un</strong> peck (fornaio) dove chi è primo prende <strong>un</strong> poco <strong>di</strong> pane non tanto caro:<br />
io prendo 2 struzze con 40 sol<strong>di</strong>. Di là camminiamo circa 8 Km. mangiando<br />
pane e zucchero e arriviamo a Lubaciof tutta bruciata. Qui dormiamo in <strong>un</strong>a ca-<br />
84
meretta in cinque soli con la stufa dove prepariamo <strong>un</strong> po’ <strong>di</strong> cena (porcina), ecc.<br />
10 gennaio 1915: partiamo a tutta neve senza manasa con <strong>un</strong> poco <strong>di</strong> pane del giorno<br />
prima camminando per 18 Km. Arriviamo a notte, bagnati, pieni <strong>di</strong> neve in<br />
<strong>un</strong> paese dove dobbiamo provvederci <strong>di</strong> dormire. Pernottiamo in <strong>un</strong>a casa <strong>di</strong>sabitata<br />
senza finestre. Siamo circa in tremila qui e fa molto freddo. Dobbiamo<br />
rompere porte e scale per far fuoco.<br />
11 gennaio 1915: dopo aver mangiato abbastanza bene camminiamo per 28 Km.<br />
e arriviamo in <strong>un</strong>a bella città: Rava Ruska; là entriamo sotto apposite tettoie per<br />
la manasa e poi dormiamo in <strong>un</strong> convento, in sacrestia.<br />
12 gennaio 1915: dopo ben 33 l<strong>un</strong>ghi Km. arriviamo a Sesof (Rveszow), cinta <strong>di</strong><br />
mura come Grado, dove passa come al solito.<br />
13 gennaio 1915: dopo manasa dove ve<strong>di</strong>amo per la prima volta <strong>un</strong> poca <strong>di</strong> carne,<br />
camminiamo per altri 33 Km. e arriviamo nella tanto desiderata Leopoli, meta<br />
<strong>di</strong> quelli partiti all’ultimo istante per essere invagonati. Questa è <strong>un</strong>a bellissima<br />
città con numerosi e splen<strong>di</strong><strong>di</strong> negozi e caserme. Qui, dopo aver camminato<br />
per più <strong>di</strong> <strong>un</strong>’ora per la città, arriviamo in <strong>un</strong>a caserma dove dormiamo e riceviamo<br />
manasa.<br />
14 gennaio 1915: con molte guar<strong>di</strong>e a pie<strong>di</strong> e a cavallo ci rechiamo alla stazione<br />
dove finalmente terminiamo le marce, ma appena 1/2 ora che siamo in vagone<br />
siamo pentiti perché siamo in 75 uomini in <strong>un</strong> vagone per 25 cavalli. Qui passiamo<br />
<strong>un</strong>a notte d’inferno sempre in pie<strong>di</strong>. Alla mattina, appena chiaro, arriviamo<br />
in <strong>un</strong>a città tutta in rovina, Brody, dove riceviamo manasa.<br />
15 gennaio 1915: dopo riposato <strong>un</strong> poco camminiamo altri 10 Km. per arrivare<br />
alla città <strong>di</strong> confine russo. Qui montiamo nuovamente in treno e alle sei pomeri<strong>di</strong>ane<br />
si parte.<br />
16 gennaio 1915: dopo corso tutta la notte senza zuppa, nei vagoni senza panche,<br />
si guarda fuori e non si vede che deserti <strong>di</strong> neve interminabili. All’alba finalmente<br />
scorgiamo da lontano <strong>un</strong>a grande città piena <strong>di</strong> cupole dorate, <strong>di</strong> camini, <strong>di</strong> fabbriche<br />
e <strong>di</strong> gran<strong>di</strong> palazzi: è Kiev, città <strong>un</strong>a volta capitale della Russia (50/60.000<br />
abitanti). Qui smontiamo. Per le vie della città riceviamo spagnoletti, sol<strong>di</strong>, kraffen,<br />
ecc. Gli abitanti devono essere la maggior parte ricchi. Qui siamo condotti in<br />
<strong>un</strong>a caserma dove prima ci prendono tutto quello che abbiamo con sacrificio risparmiato<br />
perché in<strong>di</strong>spensabile (coperta, prosach, feldflase) poi ci <strong>di</strong>vidono per<br />
nazionalità e ci prendono in nota. Qui restiamo il 17, il 18 (trovo Spessot) e il<br />
19. Qui si sta bene: riceviamo manasa buona e molta; solo il dormire è <strong>di</strong>fficile<br />
causa le bestie.<br />
85
19 gennaio 1915: partiamo <strong>di</strong> qui non dalla stessa stazione e viaggiamo 7 giorni<br />
e 7 notti con <strong>un</strong> pasto al giorno. Dopo arriviamo in <strong>un</strong>a cittadella (Rasani) dove<br />
ci fermiamo 13 giorni in <strong>un</strong>a <strong>di</strong>stilleria <strong>di</strong> liquori. Qui non si va male, ma zuppa<br />
<strong>un</strong>a sola volta al giorno.<br />
7 febbraio 1915: ci mettiamo in viaggio dopo aver ricevuto, chi aveva estrema<br />
necessità, scarpe e vestiti e si fa strada a tappe <strong>di</strong> 15/20 Km. al giorno ricevendo<br />
2/4 kopechi al giorno per pensare al mangiare da soli e passando la notte per le<br />
case dei conta<strong>di</strong>ni. Dopo 7 giorni arriviamo a Cistopolie dove <strong>sul</strong> Kama partiamo<br />
per Tepxjxa…, Nesnim, Novo Gorod. A Novo Gorod lavoriamo sotto <strong>un</strong>a<br />
impresa. Gli abitanti del paese ci vedono volentieri, <strong>di</strong>scorrono con piacere con<br />
noi e pare quasi <strong>di</strong> non essere prigionieri…<br />
86<br />
Lettera dalla prigionia<br />
Chi sa la sorte che il ciel mi destina<br />
che tanti mesi dovrò qui restar<br />
Povera vita mia si dolorosa<br />
così lontano dalla mia amorosa<br />
ardo d’amore e soffro tante pene<br />
perché non ho con me chi mi vuol bene.<br />
Vanne carta gentil a lei che adoro<br />
e <strong>di</strong>lle che il mio cuore è molto afflitto<br />
Se domanda <strong>di</strong> me <strong>di</strong>lle ch’io moro<br />
e che creda <strong>un</strong>a volta a questo scritto<br />
ma se poi dubitasse del mio amore<br />
qui nella busta troverà il mio cuore<br />
e sentirà che freme e che martella<br />
appena scorge la sua faccia bella.<br />
Canto<br />
Un saluto della ron<strong>di</strong>nella a <strong>un</strong> povero<br />
militare ferito <strong>sul</strong> campo <strong>di</strong> battaglia<br />
Volano a squadre a squadre<br />
queste leggiadre ron<strong>di</strong>ni ancor<br />
esse da Russia vengono <strong>un</strong>ite<br />
sono infinite trillando il dolor<br />
Dal campo passano della battaglia<br />
dove mitraglia e fuoco ancor
sentono i gemiti dei feriti<br />
ancor ar<strong>di</strong>ti per guerreggiar<br />
Una si ferma tosto <strong>un</strong> istante<br />
che agonizzante c’è <strong>un</strong> militar<br />
ella vedendolo sembra infelice<br />
così le <strong>di</strong>sse pria <strong>di</strong> morir:<br />
O senti flebile la mia preghiera<br />
se a primavera tornassi ancor<br />
<strong>sul</strong>la bell’Austria <strong>di</strong>lle e favella<br />
alla mia bella questa parola<br />
e poi baciami la cara madre<br />
il vecchio padre ancor per me<br />
<strong>di</strong>lle che preghino pel suo <strong>di</strong>letto<br />
che stretto al petto non può tener.<br />
Giorgio Milocco è nato a Terzo nel 1947. Vive a Saciletto <strong>di</strong> Ruda. Professionalmente<br />
opera nel campo amministrativo per alc<strong>un</strong>e aziende della Bassa a<br />
Cervignano. Giornalista e ragioniere, si occupa da oltre <strong>un</strong> decennio delle vicende<br />
della bassa <strong>orientale</strong> con special riguardo a quelle comprese tra il 1891 ed il 1924.<br />
Assieme alla figlia Sara ha dato alle stampe (Paolo Gaspari E<strong>di</strong>tore) il volume<br />
frutto <strong>di</strong> <strong>un</strong>a l<strong>un</strong>ga ricerca <strong>sul</strong> territorio e presso gli Archivi <strong>di</strong> Stato «Fratelli d’Italia<br />
- Gli internamenti degli italiani nelle “terre liberate” durante la Grande<br />
Guerra» (2002).<br />
BIBLIOGRAFIA<br />
G. FAIT, Sui campi <strong>di</strong> Galizia (1914-1917), Rovereto 1997.<br />
C. MEDEOT, Friulani in Russia e in Siberia 1914/1919, B.Pellican, U<strong>di</strong>ne 1978.<br />
G. MILOCCO, L’altra storia, E<strong>di</strong>zioni Goliar<strong>di</strong>che Trieste, Bagnaria Arsa 1996.<br />
A.MOLIGNANI, Avventurosa o<strong>di</strong>ssea <strong>di</strong> patriotti irredenti in Russia, Torino 1939.<br />
S. PERINI, Crauì - Duemila anni <strong>di</strong> storia, Bagnaria 1999.<br />
R. STEFANUTTI, Tesi <strong>di</strong> Laurea su «Achille Tellini», sd.<br />
Informazioni: Foschian Tamai Giovanna e Br<strong>un</strong>a Mauro San Giorgio <strong>di</strong> Nogaro, Villa<br />
«Esperanto», <strong>di</strong>cembre 2001. Mario Brandolin <strong>di</strong> Aiello del Friuli, cl. 1911, 24 luglio<br />
2001.<br />
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