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<strong>Impatto</strong>» Costume & Società » pag. 30<br />

The watchman<br />

L’arca di<br />

Scienze!<br />

di Aniello Sangermano<br />

aniello.sangermano@impattosettimanale.it<br />

Avrete mai sentito un anziano, certo più<br />

esperto di voi nel maneggiare attrezzi come<br />

un cacciavite, esclamare: “Oh, non ci vuole<br />

mica la laurea!”. Per garantire un buon posto<br />

di lavoro la laurea è davvero così necessaria?<br />

A quanto pare rispetto a un decennio fa,<br />

<strong>il</strong> numero di persone che cominciano a<br />

chiederselo è aumentato. Dal rapporto 2012<br />

del Censis, si evidenzia una vera e propria fuga<br />

dall’università. Spazio, invece, alla formazione<br />

alternativa, spesso ritenuta più concreta. Nel<br />

corrente anno scolastico è aumentato rispetto<br />

all’anno precedente <strong>il</strong> peso delle iscrizioni<br />

agli istituti tecnici e professionali. In caduta<br />

libera gli studi umanistico-sociali, c’è un gusto<br />

ritrovato per la scienza e le nuove tecnologie,<br />

le quali promettono creazione di nuova<br />

occupazione e spiragli di crescita del benessere<br />

collettivo. D’altro canto, le immatricolazioni<br />

all’università sono diminuite del 6,3% e i<br />

dati provvisori relativi al 2011/2012 segnano<br />

un’ulteriore contrazione del 3%: la crisi ha<br />

evidenziato come la laurea non costituisca<br />

più un valido scudo contro la disoccupazione<br />

giovan<strong>il</strong>e, né garantisca migliori condizioni di<br />

occupab<strong>il</strong>ità e di salario rispetto ai diplomati.<br />

Preoccupante <strong>il</strong> fatto che circa <strong>il</strong> 20% dei<br />

giovani tra i 15 e i 29 anni non studia, non fa<br />

tirocinio e non lavora, perchè scoraggiato,<br />

deluso, senza più speranze. E, soprattutto,<br />

in aumento. Molte donne, soprattutto nel<br />

Mezzogiorno, giungono al massimo titolo di<br />

studio, e poi semplicemente si arrendono. “Lo<br />

studio? Non serve a niente. Il lavoro? Tanto non<br />

ce n’è.” Rassegnazione e scoramento, appunto.<br />

C’è una corrente di pensiero a cui si collega<br />

l’immagine di giovani troppo pretenziosi.<br />

Non remote le dichiarazioni di esponenti<br />

di primo pelo della vita pubblica come l’ex<br />

ministro Fornero che definì “choosy”, cioè<br />

troppo schizzinosi nella ricerca dell’impiego,<br />

i giovani; indimenticab<strong>il</strong>e l’anatema scagliato<br />

da Brunetta: “Bamboccioni!”. Eppure a vedere<br />

alcuni dati non si direbbe proprio: innumerevoli<br />

sono quelli intraprendenti durante la laurea<br />

che hanno un’elevata disponib<strong>il</strong>ità ad adattarsi<br />

ai tempi e ai luoghi di lavoro. In gran parte<br />

sono laureati in atenei del Sud Italia in lingue,<br />

ingegneria, economia o statistica, disposti<br />

anche a fare sacrifici per trasferirsi al nord.<br />

Quanti provengono dal ceto medio-basso e<br />

hanno già cambiato tre lavori? Sono piccole<br />

luci in fondo ad un tunnel che chi governa<br />

forse non deve ignorare, perchè se un pezzo di<br />

carta non canta, cosa fa? L’idraulico?<br />

Sneak Peek<br />

Bocconi di<br />

quotidianità<br />

Needs and Happiness: A “Gossip girl”<br />

psychological theory!<br />

di Alessandro Sica<br />

Rubricista<br />

alessandro.sica@impattosettimanale.it<br />

Qualunque cosa un uomo faccia nel corso della<br />

sua vita, essa è sempre finalizzata, direttamente<br />

o indirettamente, al soddisfacimento dei<br />

propri bisogni. Ne era convinto lo psicologo<br />

statunitense Abraham Maslow, che, nel suo<br />

scritto, “A Theory of Human Motivation”,<br />

propose un’innovativa classificazione delle<br />

necessità umane, divenuta poi nota come<br />

“Piramide di Maslow”. Secondo questa teoria,<br />

ogni uomo punta alla soddisfazione di bisogni<br />

posizionati via via a livelli più alti di una<br />

gerarchia, partendo dalle necessità elementari<br />

(nutrizione, abbigliamento, abitazione), fino<br />

a giungere al più alto dei bisogni, quello di<br />

autorealizzazione, passando per esigenze di<br />

sicurezza (personale, patrimoniale, lavorativa),<br />

di socialità (sentimenti, appartenenza, ecc.) e di<br />

stima (reputazione e prestigio personale).<br />

Ma veniamo a Gossip Girl. Quando qualche<br />

mese fa si è conclusa questa serie televisiva,<br />

m<strong>il</strong>ioni di fan (tra cui, confesso, figura anche <strong>il</strong><br />

sottoscritto) sono rimasti letteralmente a bocca<br />

aperta nello scoprire che la misteriosa “ragazza<br />

del gossip” non è altri che Daniel Humphrey, <strong>il</strong><br />

più insospettab<strong>il</strong>e dei protagonisti. A pensarci,<br />

l’intera serie può esser letta come <strong>il</strong> percorso<br />

svolto da Dan per realizzare <strong>il</strong> suo più grande<br />

desiderio: far parte dell’elite di Manhattan.<br />

Nelle prime stagioni, Dan era certamente in<br />

grado di soddisfare i suoi bisogni di sussistenza e<br />

di sicurezza, ma non andava oltre. Il matrimonio<br />

del padre con una ricca ereditiera fa di lui un<br />

membro di quella casta, ma appartenere ad<br />

un gruppo non equivale a sentirsene parte.<br />

Soltanto nell’ultimo episodio, infatti, rivelando<br />

la sua identità, raggiungerà l’apice della scala<br />

dei bisogni: si sposa con l’amata Serena (bisogni<br />

di socialità), dimostra di aver avuto, sin dall’inizio,<br />

grande reputazione, prestigio e potere (bisogni<br />

Alessandro Sica<br />

Studente di economia, scrittore per hobby,<br />

vomerese di nascita. Dice di non prendersi<br />

troppo sul serio... dunque non fatelo nemmeno voi.<br />

di stima), sancisce la sua definitiva affermazione,<br />

ottenuta esclusivamente grazie alle proprie<br />

capacità e qualità (bisogno di autorealizzazione).<br />

Sinceramente non so se gli autori della serie tv, o<br />

la scrittrice degli omonimi romanzi, avessero in<br />

mente la teoria di Maslow quando hanno ideato<br />

Gossip Girl. Certo è che la sua conclusione<br />

è delle più classiche: “e vissero tutti felici e<br />

contenti”. Ma si sa, nella realtà, la felicità non<br />

dura mai a lungo. Secondo lo psicologo russo<br />

Shimon Edelman, la causa è di natura evolutiva:<br />

la psiche tende a mantenere l’equ<strong>il</strong>ibrio<br />

evitando stati di euforia eccessivamente<br />

duraturi. «Una specie che fosse sempre<br />

felice», sostiene Edelman, «sopravvivrebbe<br />

poco perché si sentirebbe “premiata” anche<br />

se non sta attuando un comportamento che<br />

l’avvantaggia». Il consiglio? Non affidate la<br />

vostra felicità ad eventi eclatanti, come ha fatto<br />

Dan Humphrey. Preferite, piuttosto, traguardi<br />

più piccoli, meno impegnativi ma più frequenti.<br />

E’ questo <strong>il</strong> segreto della felicità.<br />

L’irresistib<strong>il</strong>e fascino del “male”<br />

“Il Bene e <strong>il</strong> Male sono i due sproni del mondo, e lo tengono in<br />

carreggiata. Se pungesse soltanto <strong>il</strong> Male, <strong>il</strong> mondo perderebbe<br />

l’equ<strong>il</strong>ibrio e cadrebbe tutto da una parte. E così viceversa del<br />

Bene.” Così sentenziava Carlo Bini nel suo celebre Manoscritto di<br />

un prigioniero. Quel che è certo è che al giorno d’oggi sembra<br />

attrarci tutto ciò che rappresenta <strong>il</strong> “male”; fiction televisive, libri<br />

gialli o notizie di cronaca nera riscuotono da sempre un enorme<br />

successo. Quello che porta <strong>il</strong> pubblico ad appassionarsi a storie<br />

di crimini, di violenza d’ogni tipo e di brutali assassini sembra<br />

essere un mix di curiosità, voglia di spettacolarizzazione,<br />

interesse per conoscere la parte più oscura dell’animo umano<br />

e senza dubbio una cospicua dose di morbosità. Curiosità e<br />

spettacolarizzazione, è questo <strong>il</strong> punto più critico. Il rischio è<br />

dietro l’angolo, azioni che per loro natura dovrebbero suscitare<br />

un senso di orrore e ripugnanza si trasformano in normalità, <strong>il</strong><br />

raccapricciante entra prepotentemente nella quotidianità. La<br />

tragedia in se stessa è ripetitiva e ogni crimine ha dei precedenti,<br />

è la stretta attualità ad attrarre.<br />

Correva la primavera del 1857 e Charles Baudelaire pubblicava<br />

Les fleurs du Mal (I fiori del Male), una raccolta di centoventisei<br />

poesie. L’opera venne immediatamente censurata perché a<br />

far scandalo furono la forma poetica e i temi trattati. Tuttavia<br />

col tempo la critica avrebbe considerato quell’esempio di<br />

romanticismo estremo come uno dei prodotti più influenti<br />

e innovativi dell’ottocento francese. Il pubblico (soprattutto<br />

quello giovan<strong>il</strong>e) era fortemente attratto da quell’originalissimo<br />

gusto dell’orrore che tingeva di misticismo la morte, l’amore<br />

o lo slancio religioso, temi tanto cari al romanticismo. Lo<br />

stesso Edgar Allan Poe, secondo molti l’inventore del racconto<br />

poliziesco e del giallo psicologico, è tuttora uno degli scrittori<br />

più apprezzati e letti, con le sue atmosfere sospese tra elementi<br />

naturali e soprannaturali, tra realtà e mistero, in una tormentata<br />

indagine fra le ossessioni e gli incubi individuali.<br />

“L’uomo deve poter scegliere tra bene e male, anche se sceglie<br />

<strong>il</strong> male. Se gli viene tolta questa scelta egli non è più un uomo,<br />

ma un’arancia meccanica”, volendo recuperare una citazione<br />

del genio Kubric. Ma perché <strong>il</strong> male a volte affascina? Perché<br />

è una parte di noi, la più recondita. È tutto ciò che vorremmo<br />

fare senza riuscirvi. Ed è una attrazione irrefrenab<strong>il</strong>e, che<br />

affiora inconsapevolmente nell’agire quotidiano. È <strong>il</strong> fascino<br />

del proibito, di ciò che va contro la morale comune. L’ uomo ha<br />

da sempre un istinto naturale verso la conoscenza dell’ignoto<br />

e l’Ulisse omerico, l’emblema dell’ ”uomo moderno”, ne<br />

è l’esempio più lampante. L’eroe acheo è l’uomo errante,<br />

instancab<strong>il</strong>e ricercatore, assetato di conoscenza, che nel corso<br />

del suo avventuroso viaggio si arricchisce di esperienza e di<br />

saggezza. L’eterna lotta tra bene e male non è nient’altro che<br />

questo, è <strong>il</strong> viaggio all’interno di noi stessi.<br />

Lorenzo Turriziani<br />

lorenzo.turriziani@impattosettimanale.it<br />

Chi sono io? La crisi adolescenziale come monologo della<br />

personalità per trovare sé stessi a capo della propria esistenza.<br />

di Annachiara Cammarata<br />

Giornalista<br />

annachiara.cammarata@impattosettimanale.it<br />

Generazione dopo generazione, la<br />

sensib<strong>il</strong>ità dei giovani da sempre<br />

li porta a scontrarsi per primi con<br />

quelli che sembrano essere i motivi<br />

portanti dell’epoca. L’adolescenza,<br />

in particolare, è <strong>il</strong> periodo in cui<br />

questi motivi si scontrano, più che<br />

con la sensib<strong>il</strong>ità degli individui, con<br />

la loro frag<strong>il</strong>ità. Ricordiamo che per<br />

adolescenza non si intende, come<br />

ritenuto dai più, un lasso di tempo<br />

ben definito, bensì quel lungo<br />

processo evolutivo durante <strong>il</strong> quale<br />

si differenziano in ognuno di noi quei<br />

fattori squisitamente individuali.<br />

Fattori potenzialmente complici<br />

della costituzione di schemi di<br />

personalità, linee di comportamento<br />

ed impostazioni di pensiero ben<br />

lontane dall’egocentrismo infant<strong>il</strong>e,<br />

quell’egocentrismo che va sempre<br />

più affievolendosi, divenendo così<br />

rarefatto in alcuni adolescenti da<br />

permettere loro di vac<strong>il</strong>lare nel<br />

momento in cui si chiedono chi sia <strong>il</strong><br />

protagonista della propria vita.<br />

È la crisi adolescenziale, se proprio<br />

si è orientati ad etichettare <strong>il</strong><br />

fenomeno. Questo in realtà prende<br />

piede diversamente in base alle<br />

concezioni, ai preconcetti, alla<br />

visione della vita e a tutto <strong>il</strong> bagaglio<br />

emozionale che ogni individuo si<br />

porta dietro in età adolescenziale.<br />

Crisi di pianto, attacchi di panico,<br />

momenti di smarrimento … le<br />

cause dei conflitti interiori di un<br />

adolescente sono molteplici,<br />

tuttavia, spesso, la persona presa “in<br />

esame” non riesce a venire a capo dei<br />

motivi della propria inquietudine.<br />

La solitudine pare essere in questo<br />

periodo la compagna più fedele,<br />

e la considerazione di sé stessi<br />

sempre più f<strong>il</strong>trata attraverso i giudizi<br />

dell’altro.<br />

Come è possib<strong>il</strong>e non rendersi conto<br />

del fatto che solo noi conosciamo<br />

sul serio noi stessi, e che nessuno<br />

è capace di giudicare pienamente<br />

<strong>Impatto</strong>» Costume & Società » pag. 31<br />

gli altri? Spesso ci sui sorprende di<br />

quanto tutti ci troviamo nella stessa<br />

situazione, almeno una volta, e di<br />

quanto tutti ci affidiamo a banali e<br />

surreali stereotipi così lontani dalla<br />

realtà dei fatti, dal mondo sensib<strong>il</strong>e<br />

di noi stessi, dal nostro vissuto; tanto<br />

lontani da essere totalmente inut<strong>il</strong>i,<br />

se considerati <strong>il</strong> metro per verificare<br />

quanto la propria a vita stia andando<br />

per <strong>il</strong> verso giusto.<br />

Ma tutto ciò non permette gli<br />

adolescenti di allontanarsi dalle<br />

proprie ambizioni in nome di quei<br />

complessi che attanagliano, rendono<br />

ognuno di noi inadeguato ai propri<br />

occhi, considerando i complimenti<br />

ricevuti come falsi e le critiche come<br />

veritiere considerazioni del mondo<br />

tutto nei confronti di ME STESSO,<br />

così piccolo ed insignificante da<br />

non poter mostrare quanto in realtà<br />

SO di valere. La crisi si tramuta in<br />

annebbiamento, un annebbiamento<br />

così comodo, un tedio che come la<br />

corrente del mare porta alla deriva<br />

quei pensieri di rivolta contro<br />

un’omologazione nella tristezza, nella<br />

depressione immotivata. Immotivata<br />

ma a quanto pare inevitab<strong>il</strong>e,<br />

considerando che è molto frequente<br />

parlare con un adolescente che<br />

afferma di aver vissuto un periodo<br />

in cui, le critiche dei ”quasi estranei”,<br />

unite a quelle, magari scherzose,<br />

delle persone a questo più vicine, lo<br />

abbiano portato alla considerazione<br />

“Quanto poco conto nel mondo?”. Se<br />

gli adolescenti notassero l’interesse<br />

sincero che la famiglia e i veri amici<br />

dimostrano nei loro confronti, le<br />

proprie ed uniche qualità e quanto<br />

le proprie passioni sono importanti<br />

per loro, potrebbero francamente<br />

arrivare alla conclusione di contare<br />

tanto per sé stessi, indifferentemente<br />

dalla società. Nessuno può vanificare<br />

gli sforzi che tutti facciamo per<br />

essere migliori. Ognuno è unico ed<br />

indispensab<strong>il</strong>e nella propria vita,<br />

di cui è <strong>il</strong> protagonista indiscusso e<br />

regista dell’importanza di tutti gli<br />

altri, comparse più o meno attive.

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