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Erich Segal Love Story

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familiare. Così parlava Oliver Barrett III. Era tipico di lui suggerire l'antico<br />

rimedio per un occhio nero.<br />

«Grazie papà,» dissi. «Mi ha già sistemato il dottore.» E indicai il<br />

tampone di garza che copriva i dodici punti di Selzer.<br />

«Io intendevo per il tuo stomaco, figliolo.»<br />

A cena ci intrattenemmo con una delle nostre consuete nonconversazioni<br />

che iniziano regolarmente con un: «Come te la sei passata?»<br />

e si concludono con un: «Hai bisogno di niente?»<br />

«Come te la sei passata, figliolo?»<br />

«Bene, papà.»<br />

«La faccia ti fa male?»<br />

«No, papà.»<br />

Incominciava a farmi un male d'inferno.<br />

«Vorrei che lunedì ti desse un'occhiata Jack Wells.»<br />

«Non occorre, papà.»<br />

«È uno specialista...»<br />

«Il medico di Cornell non è esattamente un veterinario,» ribattei<br />

sperando di smorzare il solito entusiasmo snobistico di mio padre per<br />

specialisti, esperti e in genere individui di prim'ordine.<br />

«Peccato.» osservò Oliver Barrett III con un tono in cui mi sembrò a<br />

tutta prima di cogliere una punta di umorismo, «perché ti hanno conciato<br />

in un modo veramente bestiale.»<br />

«Sì papà,» ammisi. (Si aspettava che ridessi?)<br />

Poi mi chiesi se la quasi spiritosaggine di mio padre non dovesse essere<br />

intesa come una specie d'implicito rimprovero per il modo in cui mi ero<br />

comportato sul ghiaccio.<br />

«Oppure volevi farmi capire che stasera mi sono comportato come un<br />

animale?»<br />

L'espressione della sua faccia lasciò trasparire un certo piacere che io<br />

glielo avessi chiesto. Tuttavia si limitò a rispondere: «Sei stato tu a parlare<br />

di veterinario poco fa.» A questo punto decisi di studiare il menù.<br />

Mentre veniva servita la prima portata, Faccia-di-pietra si lanciò in un<br />

altro dei suoi sermoncini semplicistici. Questa volta, se ben ricordo – ma<br />

faccio di tutto per non ricordarmene – parlò di vittorie e di sconfitte. Mi<br />

fece notare che avevamo perduto il titolo (che perspicacia, papà!) ma, dopo<br />

tutto, nello sport ciò che veramente conta è giocare, non vincere. Le sue<br />

osservazioni mi ricordavano in modo sospetto una parafrasi del motto<br />

olimpico, e intuii che si trattava di una premessa per persuadermi a lasciar

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