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MAPPE PARASSITOLOGICHE 14 - Regione Campania

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1 Acanthamoeba<br />

Babesia 2<br />

Il parassita - Il genere Acanthamoeba (dal greco ácanthos:<br />

spina, per gli pseudopodi che presentano sfrangiature simili<br />

a spine e amoibé: che muta forma) comprende protozoi<br />

parassiti facoltativi che normalmente conducono vita libera<br />

in acque dolci. Il genere è cosmopolita e ad oggi sono<br />

descritte 18 specie; quelle riconosciute come patogene per<br />

l’uomo sono: A. astronyxis, A. castellanii, A. culbertsoni, A.<br />

hatchetti, A. keratitis, A. lugdunensis, A. palestinensis, A.<br />

polyphaga, A. rhysodes e A. quina. Queste amebe presentano<br />

una forma vegetativa (trofozoite) ed una forma cistica di<br />

resistenza. Il trofozoite è ameboide, di 15-35 µm di diametro,<br />

con singolo nucleo e dotato di movimenti “per scivolamento”,<br />

incalzanti, con alcuni pseudopodi fluenti unidirezionali<br />

ed altri filamentosi (acanthopodi) che conferiscono<br />

al parassita un aspetto stellato. La cisti è rotondeggiante, di<br />

15-20 µm di diametro, mononucleata, a doppia parete; lo<br />

strato interno appare stellato o poliedrico.<br />

Elementi di disseminazione AE - Cisti e trofozoiti.<br />

Ospiti e localizzazione - Occhio, cute e sistema nervoso<br />

centrale dell’uomo.<br />

Infezione - Penetrazione di trofozoiti e/o cisti tramite lesioni<br />

cutanee e/o vie aeree superiori.<br />

Ciclo biologico - Diretto. Le amebe vivono nell’ambiente<br />

esterno nutrendosi normalmente di batteri. Se le condizioni<br />

ambientali non sono più favorevoli alla vita vegetativa,<br />

il trofozoite si trasforma nella forma di resistenza, la cisti,<br />

che può essere trasportata in vari ambienti con il vento e la<br />

polvere. Quando Acanthamoeba (in forma di trofozoita o<br />

di cisti), presente nell’acqua o nel liquido di governo delle<br />

lenti a contatto, penetra attraverso microlesioni della cornea<br />

o tramite le vie aeree superiori, si moltiplica attivamente<br />

provocando la comparsa di ulcere corneali. Nei soggetti<br />

immunodepressi i trofozoiti possono raggiungere il cervello<br />

e distruggere il tessuto cerebrale determinando la sindrome<br />

di encefalite granulomatosa amebica (GAE).<br />

Sintomatologia - I primi sintomi appaiono da 1 a <strong>14</strong> giorni<br />

dall’infezione con dolore oculare, arrossamenti, sensibilità<br />

alla luce, sensazione di corpo estraneo, piaghe cutanee e,<br />

per la GAE, stato confusionale, perdita di coordinazione,<br />

diplopia, problemi neurologici. La malattia neurologica<br />

progredisce per diverse settimane fino alla morte. In Ita-<br />

lia sono stati riportati casi clinici di cheratite amebica e di<br />

GAE.<br />

Diagnosi clinica - La sintomatologia clinica non è indicativa<br />

ed è importante la diagnosi differenziale con cheratiti erpetiche,<br />

batteriche o fungine. Le amebe possono essere osservate<br />

direttamente nell’occhio tramite microscopia confocale.<br />

Diagnosi di laboratorio - Ricerca del parassita in coltura di<br />

scraping corneali e biopsie dei tessuti coinvolti.<br />

Terapia - La terapia è difficoltosa; biguanide e clorexidina<br />

risultano efficaci per la forma oculare e cutanea.<br />

Profilassi - Curare la pulizia e l’igiene delle lenti a contatto<br />

e dei loro contenitori. Usare liquidi di governo sterili, non<br />

usare acqua di rubinetto per sciacquare le lenti o per i bagni<br />

oculari.<br />

Fig. 1.1 - Esemplari di Acanthamoeba spp.<br />

Fig. 2.1 - Stadi intraeritrocitari di Babesia bovis.<br />

Il parassita - Il genere Babesia (dal nome del veterinario<br />

rumeno V. Babes) comprende protozoi ematici a diffusione<br />

cosmopolita, agenti (insieme al genere Theileria) di infezioni<br />

note anche con il termine di piroplasmosi. I parassiti<br />

appaiono come elementi piriformi accoppiati ad angolo<br />

all’interno dei globuli rossi degli ospiti. Le dimensioni<br />

variano a seconda della specie, mediamente 0,7-2 µm di<br />

diametro per le “piccole babesie” e 1-2 x 2,5-4 µm per le<br />

“grandi babesie”. Ad oggi sono state identificate numerose<br />

specie: B. canis (sottospecie canis, rossi e vogeli) e B. gibsoni<br />

(cane); B. felis e B. cati (gatto); B. bigemina, B. bovis,<br />

B. major e B. divergens (bovino); B. motasi e B. ovis (ovino<br />

e caprino); B. caballi e B. (Theileria) equi (equino); B. perroncitoi<br />

e B. trautmanni (suino); B. divergens e B. microti.<br />

Possono occasionalmente colpire l’uomo.<br />

Elementi di disseminazione AE - Forme evolutive del protozoo<br />

all’interno del vettore.<br />

Ospiti e localizzazione - Eritrociti di cane, gatto, bovino,<br />

bufalo, ovino, caprino, cavallo, suino, altri animali domestici<br />

e selvatici ed occasionalmente l’uomo.<br />

Vettori e localizzazione - Cavità corporea di vari generi di<br />

zecche, in particolare Dermacentor, Haemaphysalis e Rhipicephalus.<br />

Infezione - Inoculazione di sporozoiti tramite puntura di<br />

zecche infette o mediante globuli rossi infetti introdotti “accidentalmente”<br />

per via iatrogena.<br />

Ciclo biologico - Indiretto. A seguito della puntura del vettore,<br />

il parassita penetra negli eritrociti di un ospite sensibile<br />

in cui si riproduce asessualmente tramite fissione binaria<br />

per formare due (a volte anche quattro o otto) individui<br />

all’interno di un singolo globulo rosso. La cellula viene<br />

quindi sequestrata dalla milza e processata dai macrofagi<br />

permettendo la liberazione dei protozoi che possono invadere<br />

nuovi eritrociti.<br />

Quando un nuovo vettore si alimenta sull’ospite parassitato,<br />

con il sangue assume anche i protozoi che nel suo<br />

interno si riproducono sessualmente (per gametogonia e<br />

sporogonia). I parassiti (sotto forma di sporozoiti), quindi,<br />

migrano nelle ghiandole salivari della zecca infettando altri<br />

ospiti recettivi, quando il vettore pungerà di nuovo.<br />

Nelle zecche, i parassiti possono localizzarsi anche nelle<br />

10 11<br />

ovaie, passando così nelle uova e quindi alle nuove generazioni<br />

(trasmissione transovarica e transtadiale) capaci poi<br />

di infettare altri animali.<br />

Sintomatologia - L’infezione può decorrere in forma asintomatica<br />

o si può presentare in forma subclinica, acuta<br />

o iperacuta, a seconda della specie e/o della sottospecie<br />

di Babesia presente. Solitamente, negli animali giovani si<br />

osservano quadri clinici più gravi che negli adulti. I principali<br />

sintomi sono abbattimento, febbre, anemia, ittero,<br />

emoglobinuria, calo delle produzioni. Nel gatto, solitamente,<br />

la babesiosi si presenta in forma meno grave e senza<br />

febbre.<br />

Diagnosi clinica - L’anamnesi e la sintomatologia sono in<br />

genere indicative e consentono di formulare un fondato sospetto<br />

di infezione.<br />

Diagnosi post-mortem - L’esame anatomopatologico permette<br />

di evidenziare epatosplenomegalia, linfoadenomegalia,<br />

ittero, congestione e presenza di petecchie in vari organi<br />

(cuore, pleura, ecc.) e di essudato in cavità pleurica, pericardica<br />

e peritoneale; il sangue è fluido, chiaro e scarsamente<br />

coagulabile.<br />

Diagnosi di laboratorio - Esami microscopici di strisci (o<br />

goccia spessa) di sangue colorati con il metodo di Giemsa;<br />

esami sierologici (fissazione del complemento, IFAT, ELI-<br />

SA); analisi molecolari per l’identificazione di specie.<br />

Terapia - Imidocarb, fenamidina, diminazene aceturato. La<br />

terapia deve essere effettuata il più precocemente possibile<br />

per prevenire il decesso dell’animale.<br />

Profilassi - Controllo delle zecche mediante rimozione<br />

rapida delle stesse e uso di acaricidi; è consigliato anche<br />

l’utilizzo di sostanze repellenti che prevengono l’infezione<br />

da zecche. Recentemente, in Europa, è stato sviluppato un<br />

vaccino per B. canis.<br />

Rischio per l’uomo - L’infezione, sostenuta soprattutto da<br />

B. divergens e B. microti, è stata segnalata anche nell’uomo,<br />

soprattutto in individui splenectomizzati.

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