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SOMMARIO
“Ustica: destini incrociati. Quando la garanzia di legalità di un paese,
danneggia gli interessi internazionali”
PREMESSA 6
1. Storia di un velivolo affidabile: DC-9 I-TIGI Itavia 16
1.1 McDonnell Douglas Corporation: fusione vincente 16
1.2 La storia dell’I-TIGI. Numero di serie 45724 17
1.3 L’Itavia di Aldo Davanzali 18
2. L’ultimo volo: il volo spezzato 20
2.1 Le ore prima del disastro 20
2.2 L’aereo scompare dai radar 24
2.3 I primi soccorsi e le prime ipotesi 30
3. Le prime indagini tra reticenza e depistaggi 33
3.1 La nomina della Commissione Luzzatti e le dichiarazioni di Davanzali 33
3.2 La pista Affatigato 34
3.3. L’Itavia nel mirino: gli aerei carretta 35
3.4 Le autopsie e le operazioni di Search and Rescue 36
3.5 Il passaggio delle competenze alla procura di Roma 37
3.6 Le relazioni preliminari della Commissione Luzzatti 38
3.7 Aldo Davanzali dichiara fallimento 40
3.8 La relazione definitiva della Commissione Luzzatti 42
3.9 “Delitto nel cielo” 46
4. 18 luglio 1980. Il MIG 23 libico caduto in Calabria 50
4.1 I fatti 50
4.2 L’autopsia 52
4.3 Il relitto e la salma vengono rimpatriati 55
4.4 La Commissione d’indagine mista sull’incidente 56
4.5 Rosario Priore indaga sul MIG nell’ambito dell’inchiesta del DC-9 58
4.6 Le conclusioni di Casarosa, Dalle Mese e Held, sul MIG libico 60
4.7 I dati radar forniti alle autorità giudiziarie sono dei falsi 62
4.8 Critiche all’operato di Casarosa, Dalle Mese e Held 62
4.9 Relazione conclusiva del giudice Rosario Priore sul caso del MIG 64
5. La seconda inchiesta 71
5.1Segreto militare sui risultati delle registrazioni radar 71
5.2 L’ultima spiaggia è il recupero del relitto 73
5.3 La Commissione Blasi 1 73
5.4 Simulazione del volo IH870: confermata presenza di velivoli militari 75
2

5.5 l’Ifremar ed il recupero del relitto 78
5.6 “Ci fu ordinato di starci zitti!” 79
5.7 L’Associazione Parenti delle Vittime della Strage di Ustica 81
5.8 Dal sito radar di Marsala qualcuno ha visto tutto 82
5.9 L’incidente di Ramstein 84
5.10 La relazione definitiva della Commissione Blasi 1 85
5.11 Le conclusione del generale Pisano per lo Stato maggiore dell’Aeronautica 87
5.12 Le accuse ai militari in servizio presso il radar di Marsala 89
5.13 La Commissione Blasi 2 90
5.14 Gheddafi: “gli americani hanno preso un tragico abbaglio” 90
5.15 La relazione definitiva della Commissione Blasi 2 91
5.16 L’Italia chiede aiuto alla NATO 94
5.17 Le fotografie del relitto scattate prima del recupero dell’Ifremar 94
6. L’attività istruttoria del giudice Rosario Priore 97
6.1 L’inchiesta passa nelle mani del giudice Rosario Priore 97
6.2 La nuova campagna di recupero da parte dell’inglese Winpol 98
6.3 L’Aeronautica italiana sotto accusa ed i furti in procura 101
6.4 Le morti sospette: la vicenda del maresciallo Mario Alberto Dettori 102
6.5 Le indagini e gli interrogatori 104
6.6 Gli esperti statunitensi 105
6.7 Dopo Washington le indagini si spostano a Mosca 105
6.8 L’Aeronautica continua a sostenere l’ipotesi della bomba a bordo 106
6.9 I tecnici Casarosa e Held si dissociano dalle conclusioni della Commissione Misiti 108
6.10 Una nuova perizia radaristica 110
6.11 La NATO collabora nell’inchiesta su Ustica 111
6.12 Conclusioni del generale dei Carabinieri Niccolò Bozzo 114
6.13 La versione del Comitato per Ustica e la richiesta di proscioglimento degli imputati 115
6.14 Le dichiarazioni del generale Mario Arpino 117
6.15 I risultati delle perizie radaristiche di Donali, Dalle Mese e Tiberio 118
6.16 I processi: assoluzioni e risarcimenti 119
6.17 L’ultimo viaggio del DC-9: il ritorno a Bologna 121
6.18 Cossiga: “sono stati i francesi!” 122
6.19 Le rogatorie dopo la bufera Cossiga 122
6.20 In Italia, tutto rimandato al 2015 123
6.21 Nient’altro che una bella promessa 125
7. Le conclusioni del giudice Rosario Priore 127
8. Gli anni di piombo e le “Stragi di Stato” 133
8.1 Introduzione 133
8.2 Intervista a Giordano Altarozzi: Segretario generale dell’Istituto di studi italo-romeni e professore e
vice rettore presso l’Università “Petru Maior” di Targu Mures 139
8.3 Dalla Prima Guerra Mondiale all’assassinio Moro: come il panorama internazionale ha influenzato
il corso della politica interna italiana 151
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9. Les relations internationales 224
9.1 Introduction: les limites de la vérité judiciaire 224
9.2 La France, l’Angleterre, l’Italie et Mouammar Kadhafi au cours de la guerre entre les deux blocs:
Etats-Unis et URSS 228
9.3 Le conflit pro-arabe italien et le conflit avec Israël 235
9.4 Le réseau Feltrinelli 237
9.5 Les relations internationales des Brigades Rouges 246
9.6 La nuit où ils voulaient tuer Kadhafi 247
10. The English Putsch: The longest coup in history 255
10.1 Introduction 255
10.2 Fascism and Matteotti’s murder 257
10.3 World War II 259
10.4 Enrico Mattei: Italy tries to raise again 263
10.5 Mattei’s energy policy: the Soviet oil 266
10.6 "The Italian scene: Mr. Mattei will have to go?" 268
10.7 An unreliable country: the Congress for Cultural Freedom 268
10.8 The Italian “partito del golpe” 270
10.9 The new ENI’s President: Eugenio Cefis 272
10.10 An endless season of blood 273
10.11 The Years of Lead 277
10.12 Conclusions 281
10.13 NATO: peace and security, that’s our mission 283
BIBLIOGRAFIA 288
RINGRAZIAMENTI 293
4

“Ustica: destini incrociati. Quando la garanzia di legalità di un paese,
danneggia gli interessi internazionali”
PREMESSA
È il 27 giugno 1980. Una giornata di mezza estate rinfrescata da un forte
temporale: una normale perturbazione di giugno stando alle informazioni dei
bollettini meteo. Presso l’aeroporto Guglielmo Marconi di Bologna-Borgo
Panigale (BLQ), i passeggeri diretti a Palermo-Punta Raisi (PMO) aspettano in
trepidante attesa di potersi imbarcare su un volo carico non solo di bagagli, piani
di volo, strumentazioni, dotazioni di sicurezza e catering; ma anche e soprattutto
di aspettative, impegni e desideri: quelli delle 81 persone che, sul quel volo,
vanno incontro al proprio destino. L’orario di partenza è fissato alle 18.15 ma il
tabellone segna forti ritardi su tutte le linee. Alle 17.30, quando già quasi tutti i
passeggeri diretti a Palermo sono ammassati davanti al box della compagnia
Itavia, giunge un annuncio degli addetti di scalo: «Itavia. Buon pomeriggio. Vi
informiamo che il volo IH870 con destinazione Palermo porta ritardo.» Tutti si
guardano in cerca di risposte. Alcuni tentano di carpire informazioni dal
personale di terra circa i motivi e l’entità del ritardo, nonché l’orario stimato di
arrivo a destinazione. Altri, ritenendo del tutto normale un ritardo in partenza
durante il periodo estivo, siedono pazienti in prossimità dell’uscita d’imbarco o
ne approfittano per telefonare a casa o fare acquisti. Non resta che aspettare.
Percorrendo quella rotta, a breve, si intrecceranno le storie di 73 adulti, 14
bambini di cui 2 neonati, 4 membri dell’equipaggio, nonché quella di chi,
probabilmente, nella sua vita ne ha viste più di tutti: il DC9 I-TIGI. Un velivolo
pronto ad accogliere quanti, per vacanza o per lavoro, lo accompagneranno
durante l’ultimo volo della giornata; quando al calar del sole godrà di quel
meritato riposo che spetta a tutti i bravi lavoratori, prima di risvegliarsi il mattino
successivo ed attenersi ad altri piani di volo, macinare migliaia di chilometri,
6

vedere migliaia di uomini, donne e bambini ricongiungersi, dopo ore di volo, con
il loro habitat naturale e toccare terra.
«La rotta verso lo scalo aereo di Punta Raisi è, a ragione o a torto, la più temuta
da tempo: nel volgere di otto anni (dal 1972 al 1980), infatti, si sono verificati
cinque disastri. Il più grave, per l’alto numero di vittime, quello del 5 maggio
1972, quando il DC-8 dell’Alitalia, (volo AZ112) proveniente da Roma, si andò a
schiantare sul costone roccioso di Montagna Longa mentre si trovava in fase di
atterraggio. I morti furono 115 compresi i membri dell’equipaggio, nessun
superstite. La tragedia si ripeté un anno e mezzo fa, la vigilia di Natale del ’78. Il
DC9 “Isola di Stromboli” con 129 persone a bordo, pure proveniente da Roma, si
inabissò al largo della costa di Punta Raisi, a circa tre miglia a nord est della
pista. Nell’impatto con la superficie marina l’aeromobile si spezzò in tre parti:
perirono 108 persone. Ventuno passeggeri sopravvissuti al terribile impatto,
vennero salvati da motopescherecci di Terrasini. Queste due sono le più gravi
sciagure in senso assoluto negli ultimi venti anni della storia dell’aviazione civile
italiana. Il 22 febbraio del ’78 scomparve, senza mai più dare segno di sé, un
piccolo velivolo, un “Lear Jet 35”, del tipo Executive di proprietà dell’impresa di
costruzioni di Francesco Maniglia, un palermitano amico dei fratelli Caltagirone.
L’aereo, mentre presumibilmente si trovava sul cielo dell’isola di Ustica, si era
messo in contatto con la torre di controllo. Poi improvvisamente, il collegamento
si interruppe. Dell’aereo più nessuna traccia e dunque sono da considerare
dispersi, fino a tutt’oggi, i tre uomini che si trovavano a bordo, il comandante
Antonio Marchesi e i piloti Ernesto Carcano e Beppe Caiozzo. Più fortunato dieci
mesi dopo, il 18 dicembre, il pilota tedesco Walter Keller i quale al comando di
un bimotore “Cessna 421” era partito da Monaco di Baviera diretto a Palermo.
Sempre al largo di Ustica, il velivolo subì un’avaria ad uno dei motori. Il pilota
riuscì a compiere un ammaraggio di fortuna e si lanciò in acqua. Venne tratto in
salvo da un traghetto di linea. La sciagura del DC9 dell’Itavia è la terza per
7

ordine di gravità, dopo i due disastri avvenuti nei pressi di Punta Raisi, e la
quarta che vede coinvolti mezzi della compagnia privata 1 .»
A partire dal gennaio del 1992 sono stati svolti accertamenti nei confronti dei
deceduti nel disastro aviatorio del 27 giugno 1980. Tali accertamenti riguardano i
precedenti penali, l’attività lavorativa svolta ed i motivi del viaggio degli 81
passeggeri del volo IH870. È parso opportuno all’autore, apporre accanto al
nome anche l’età di ciascuna vittima.
1) Andres Luigi - medico dentista, in viaggio per partecipare al
matrimonio della sorella di un amico; anni 32.
2) Benedetti Cinzia (in Andres) -laureanda in lingue presso l’università di
Padova - in viaggio con il proprio coniuge; anni 24.
3) Baiamonte Francesco - commerciante di carni - in viaggio per motivi di
lavoro connessi alla propria attività; anni 55.
4) Bonati Paola - socio amministratore della Soc. Emir - in viaggio per
raggiungere il padre, direttore di una clinica medica, impegnato in un
congresso a Palermo; anni 16.
5) Bonfietti Alberto - insegnante di scuola media - in viaggio per
festeggiare il compleanno della figlia Silvia in vacanza in Sicilia insieme
con la madre; anni 37.
6) Bosco Alberto - si occupava di macchinari per l’estrazione del marmo -
rientrava in famiglia dopo un viaggio di lavoro; anni 41.
7) Calderone Maria Vincenza - casalinga - in viaggio dopo essersi
sottoposta a visita medica di controllo presso l’ospedale di Bologna,
conseguentemente ad un intervento chirurgico subito all’arto inferiore
destro, presso lo stesso ospedale; anni 58.
8) Cammarata Giuseppe - carabiniere in permesso - in viaggio per
assistere ad un matrimonio; anni 19.
1 da «L’Unità», 29 giugno 1980
8

9) Campanini Arnaldo - operaio presso la ditta FMC di Parma costruttrice
di macchinari per l’industria alimentare - diretto a Palermo per
manutenzione di macchinari presso la ditta Coalma di Palermo; anni 45.
10) Cappellini Antonella - avvocato presso il foro di Bologna - diretta a
Palermo, in compagnia di Guelfo Gherardi a cui era legata
sentimentalmente, per partecipare ad una riunione del comitato ristretto
degli agenti di cambio, programmata per il 28 giugno 80 presso quella
villa Igea; anni 57.
11) Casdia Antonio - impiegato presso il Ministero delle Finanze -
rientrava in famiglia per un periodo di ferie; anni 32.
12) Cerami Giovanni - ingegnere presso lo stabilimento petrolchimico
ANIC di Gela; 34.
13) Croce Maria Grazia coniugata con D’Alfonso Salvatore - casalinga -
in viaggio con la famiglia; anni 40.
14) D’Alfonso Francesca - minore - figlia di D’Alfonso Salvatore e Croce
Maria Grazia; anni 7.
15) D’Alfonso Salvatore - magistrato presso la Pretura di Venezia – in
viaggio per ferie; anni 39.
16) D’Alfonso Sebastiano - minore - figlio di D’Alfonso Salvatore e
Croce Maria Grazia; anni 4.
17) Davì Michele - rappresentante di diverse ditte dolciarie e fitofarmaci -
rientrava a Palermo dopo una riunione di lavoro organizzata dalla ditta
Baslini operante a Bologna nel settore dei fitofarmaci; anni 45.
18) De Cicco Giuseppe Calogero - macellaio - in viaggio per motivi di
lavoro; anni 28.
19) De Dominicis Rosa - hostess e componente dell’equipaggio del DC9;
anni 21.
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20) De Lisi Elvira - laureata in ingegneria nucleare, non espletava la libera
professione - rientrava da Urbino ove aveva assistito alla laurea del
proprio fratello; anni 37.
21) Di Natale Francesco - minore - figlio di Valentini Daniela - in viaggio
con la propria madre; anni 2.
22) Diodato Antonella - minore - figlia di Lupo Francesca - in viaggio per
visita a parenti; anni 7.
23) Diodato Giuseppe - minore - figlio di Lupo Francesca - in viaggio per
visita a parenti; 1 anno.
24) Diodato Vincenzo - minore - figlio di Lupo Francesca - in viaggio per
visita a parenti; anni 10.
25) Filippi Giacomo - titolare responsabile legale della ditta Filippi e
Leonelli, nonché gestore del laboratorio di produzione surgelati Nevada -
in viaggio per motivi di lavoro; anni 47.
26) Fontana Enzo – 1° ufficiale, componente l’equipaggio del DC9; 32.
27) Fontana Vito - commerciante - insieme con i propri congiunti
Parrinello Francesca e Parrinello Carlo, rientrava da Padova, ove si era
sottoposto a controlli sanitari specialistici; anni 25.
28) Fullone Carmela - minore - figlia di Fullone Rosario e Volpe Maria;
anni 17.
29) Fullone Rosario - impiegato presso l’ufficio amministrativo
dell’ospedale militare di Palermo - rientrava a Palermo dopo aver
accompagnato la consorte sottoposta a visita di controllo che effettuava
periodicamente presso il Centro specializzato degli “Ospedali riuniti di
Pisa” in quanto affetta da malattie renali; anni 49.
30) Gallo Vito - macellaio - rientrava dopo un viaggio per motivi di
lavoro; 25.
31) Gatti Domenico - Comandante del DC9 Itavia; anni 44.
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32) Gherardi Guelfo - agente di cambio - viaggiava in compagnia della
Cappellini Antonietta; anni 59.
33) Greco Antonino - agente di Pubblica Sicurezza, diretto a Palermo
presso i propri familiari, in congedo straordinario ottenuto a seguito di una
contusione tibio-tarsica destra; anni 23.
34) Gruber Martha - impiegata presso l’Hotel delle Palme di Palermo -
rientrava da Bologna dopo aver fatto visita ai figli, entrambi colà residenti;
anni 55.
35) Guarano Andrea - si occupava di macchinari per l’estrazione del
marmo - rientrava dopo un viaggio di lavoro; anni 37.
36) Guardì Vincenzo - piastrellista - in viaggio per visita a parenti; anni
26.
37) Guerino Giacomo - carabiniere in permesso; 38) Guerra Grazia -
bracciante agricola e baby-sitter della famiglia De Lisi; anni 19.
39) Guzzo Rita - dipendente del Ministero delle Finanze in servizio presso
gli uffici delle II.DD di Suzzara (MN) - rientrava in famiglia per un
periodo di ferie; anni 30.
40) La China Giuseppe - fotografo ambulante - in viaggio per visita a
parenti; anni 58.
41) La Rocca Gaetano - assicuratore presso la compagnia assicuratrice
Universo - rientrava da Bologna ove si era recato per lavoro; anni 39.
42) Licata Paolo - maresciallo in pensione della Guardia di Finanza - si era
recato a Mantova per prelevare le nipoti Marfisi Daniela e Marfisi Tiziana;
anni 71.
43) Liotta Maria Rosaria - impiegata come borsista presso l’università di
Palermo, facoltà di matematica - rientrava a Palermo dopo essere stata a
Padova per motivi di lavoro; anni 24.
44) Lupo Francesca - minore - in viaggio per visita a parenti; anni 17.
45) Lupo Giovanna - casalinga - in viaggio per visita a parenti; anni 32.
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46) Manitta Giuseppe - imprenditore edile - rientrava a Palermo dopo
essersi recato a Padova per definire la pratica della vendita di due
immobili ereditati dalla moglie; anni 54.
47) Marchese Claudio - studente universitario - rientrava a Palermo dopo
una vacanza a Bologna; anni 23.
48) Marfisi Daniela - minore - nipote dei coniugi Licata; anni 10.
49) Marfisi Tiziana - minore - nipote dei coniugi Licata; anni 5.
50) Mazzel Enrta Dora Erica - albergatrice - in viaggio per motivi turistici;
anni 48.
51) Mazzel Rita - casalinga - in viaggio per motivi turistici; anni 37.
52) Mignani Maria Assunta - commessa presso una farmacia - diretta ad
Ustica per motivi turistici; anni 30.
53) Molteni Annino - ragioniere, direttore amministrativo della Società
Italkali produttrice di sali minerali - in viaggio per motivi di lavoro; anni
59.
54) Morici Paolo - assistente di volo - equipaggio DC9; anni 39.
55) Norrito Guglielmo - impiegato - rientrava dopo aver fatto visita al
fratello ricoverato in ospedale; anni 37.
56) Ongari Lorenzo - geometra presso l’azienda metalmeccanica Belleli di
Mantova - in viaggio per lavoro; anni 23.
57) Papi Paola - impiegata presso la ditta dolciaria Bauli di Verona – in
viaggio per visitare la figlia; anni 39.
58) Parisi Alessandra - minore, figlia di De Lisi Elvira; anni 5.
59) Parrinello Carlo - bracciante agricolo - rientrava da Padova ove si era
sottoposto a controlli sanitari specialistici; anni 43.
60) Parrinello Francesca - casalinga - rientrava da Padova ove si era
sottoposta a visita medica; anni 49.
61) Pelliccioni Anna Paola - casalinga - in viaggio per visita ad amici;
anni 44.
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62) Pinocchio Antonella - studentessa universitaria - rientrava a Palermo
dopo aver visitato a Bologna la propria madre ricoverata in un ospedale di
quella città; anni 23.
63) Pinocchio Giovanni - studente - rientrava a Palermo dopo aver visitato
a Bologna la propria madre ricoverata in un ospedale di quella città; anni
13.
64) Prestileo Gaetano - ingegnere presso la Italkali di Palermo – rientrava
da Mantova dove si era recato per motivi di lavoro; anni 36.
65) Reina Giulia coniugata con La China Giuseppe - pensionata – in
viaggio per visita a parenti; anni 51.
66) Reina Andrea - manovale edile - in viaggio per visita a parenti; anni
34.
67) Ronchini Costanzo - perito metalmeccanico della Snam progetti di
Fano (PS) - diretto a Gela per motivi di lavoro; anni 34.
68) Siracusa Marianna - pensionata, coniugata con Licata Paolo - si era
recata a Mantova per prelevare le nipoti; anni 61.
69) Speciale Maria Elena - casalinga - rientrava a Palermo da Parma dove
si era recata per una visita medica oculistica; anni 55.
70) Superchi Giuliana - minore non accompagnata; anni 11.
71) Torres Pierantonio - commerciante di tessuti e abbigliamento -
viaggiava insieme ai coniugi Andres; anni 32.
72) Tripiciano Giulia Maria Concetta - assistente ordinario di analisi
matematica, nonché incaricato di matematiche complementari presso
l’università di Modena - rientrava a Palermo da Modena dove si era recata
per definire delle pratiche burocratiche; anni 45.
73) Ugolini Pier Paolo - tecnico presso la società Snamprogetti - in
viaggio per motivi di lavoro; anni 33.
74) Valentini Daniela - diretta a Palermo per far visita al proprio coniuge;
anni 29.
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75) Valenza Giuseppe - agente di commercio presso la ditta Marzotto -
rientrava a Palermo dopo essere stato a Vicenza per motivi di lavoro; anni
33.
76) Venturi Massimo - impiegato presso il Credito Romagnolo - in
viaggio diretto ad Ustica per motivi turistici; anni 31.
77) Volanti Marco - tecnico della Snamprogetti di Pesaro - in viaggio per
motivi di lavoro; anni 36.
78) Volpe Maria - pensionata - rientrava a Palermo dopo essersi sottoposta
a visita medica specialistica a Bologna; anni 48.
79) Zanetti Alessandro - minore, figlio di Zanetti Emanuele; anni 18.
80) Zanetti Emanuele - capo ufficio estero presso la sede centrale di
Padova della Banca Cattolica del Veneto - in viaggio per Palermo per
visita parenti; anni 39.
81) Zanetti Nicola - minore, figlio di Zanetti Emanuele; anni 6.
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1. Storia di un velivolo affidabile: DC-9 I-TIGI Itavia
1.1 McDonnell Douglas Corporation: fusione vincente
La storia di questa macchina perfetta ha inizio con la fusione di due grandi
aziende aerospaziali statunitensi: la Douglas Aircraft Company, fondata all’inizio
del 1920 a Los Angeles dal capo ingegnere della Glenn L. Martin Company,
Donald Will Douglas, famoso tra l’altro per aver progettato la prima galleria del
vento; e la McDonnell Aircraft Corporation che apre i battenti nel 1939 a St.
Louis (Missouri), il cui titolare era James Smith McDonnell, un aviatore
considerato l’antesignano dell’aviazione militare e aerospaziale, nonché
comproprietario della J.S. McDonnell & Associates, fallita in seguito alla
depressione economica del 1929. L’inizio del secondo conflitto mondiale
fornisce la giusta spinta per la crescita di entrambe le aziende. Tra il 1942 ed il
1945 la Douglas produce 29.385 velivoli, con una forza lavoro pari a 160.000
persone. Nel 1947 mette sul mercato un modello che rivoluziona il mondo degli
aerei di linea: il quadrimotore DC-6. L’ondata di successo continua con lo
sviluppo di nuovi aerei civili con più di 100 posti; e nel campo militare nel 1948
con il battesimo dell’F3D Skyknight, che sancisce l’entrata ufficiale della ditta
nell’epoca della propulsione a jet, progetto che verrà esteso in seguito anche agli
di linea entrando in competizione con la Boeing. Allo stesso modo la McDonnell
arriva ad essere il principale fornitore di caccia militari statunitensi. I progetti di
ambedue le aziende diventano di portata sempre maggiore e desiderose di avere
un ruolo nel nuovo mercato dei missili, cominciano a sperimentare anche in
quella direzione. La McDonnell, probabilmente, lo fa in maniera più prudente
anche se non con minori risultati. Frenando l’entusiasmo ed i costi, affianca alla
realizzazione di nuovi modelli di missili la sperimentazione nel campo dei voli
supersonici, fino ad arrivare ad importanti collaborazione con la NASA. Anche la
Douglas raggiunge tale obbiettivo, ma lo fa in contemporanea alla realizzazione
di veri e propri sistemi missilistici per la difesa aerea, progetto che sfocerà in
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seguito al “Programma Nike”, ovvero il primo sistema missilistico superficie-aria
teleguidato: operazione tanto importante quando onerosa. A questo punto le
difficoltà economiche delle due compagnie diventano evidenti: difficoltà frutto
degli ingenti costi sostenuti per i rispettivi progetti e così, nel 1963 cominciano a
consultarsi per una fusione che diviene ufficiale il 28 aprile 1967, dando vita alla
McDonnell Douglas Corporation. Dave Lewis, il presidente della McDonnell
diventa il presidente della nuova società in quanto, a detta di moti non si trattò
tanto di una fusione quanto di un’annessione della Douglas, sull’orlo del
fallimento a causa della mancata consegna di numerosi ordini, da parte di Lewis
che in due anni riporta in attivo il bilancio dell’azienda ed entra in competizione
con il con Lockheed.
Qualche anno prima, il primo DC-9 spiccava il volo: il 25 febbraio 1965 per
entrare successivamente in servizio l’8 dicembre dello stesso anno con la
compagnia aerea statunitense Delta Air Lines (DL), una delle maggiori
compagnie aeree del mondo.
1.2 La storia dell’I-TIGI. Numero di serie 45724
Il DC-9 serie 10 Model 15 con numero di serie di costruzione 45724 invece, si
alza in volo per la prima volta nel 1966 con la bandiera della compagnia
Hawaiian Airlines (JA); un acquisto importante che da, ai passeggeri di quella
compagnia, l’opportunità di fruire del primo jet di linea interinsulare dello Stato
delle Hawaii. È un aereo strutturalmente solido, veloce ed aerodinamico, che si
va ad aggiungere ad una flotta in costante crescita, che ad oggi ha visto
l’avvicendarsi di 124 velivoli, 38 dei quali tutt’ora operativi. Il DC-9 è un
bireattore da trasporto passeggeri a corto-medio raggio realizzato interamente in
metalli di lega leggera, con parti minori in vetroresina. I due motori di cui è
dotato sono posizionati in coda; due turbofan Pratt & Whitney JT8D-74. Le
soluzioni strutturali scelte, tra le quali l’ubicazione dei motori in coda,
garantiscono un’estrema efficienza aerodinamica. Caratteristica peculiare di
17

questo aeromobile è l’impennaggio a T, ovvero l’insieme delle superfici (fisse e
mobili, orizzontali e verticali) che di solito vengono montate nella parte
posteriore di un aereo, allo scopo di assicurare stabilità e governabilità durante il
volo, permettendo di controllare il movimento di beccheggio (verso l’alto e verso
il basso) e di imbardata (il movimento laterale della parte anteriore del velivolo).
Il DC-9 è fornito di un sistema di pressurizzazione e condizionamento dell’aria,
una toilette all’estremità posteriore della cabina e due ripostigli per la
conservazione di cibi e bevande. Le porte d’ingresso sono due ognuna delle quali
è dotata di una scaletta. Le uscite d’emergenza sono quattro e al di sotto del
pavimento della cabina ci sono due vani per i bagagli da stivare. Ben 27 metri di
apertura alare, 21 tonnellate di peso a vuoto, una velocità massima di crociera di
903 chilometri orari a una quota massima di 25.000 piedi: 7620 metri. Il 27
febbraio 1972 questo colosso dei cieli inizia una nuova fase della sua carriera,
cambia continente, sbarca in Europa: in Italia, dove gli assegnano un altro nome,
un’altra sigla. L’N902 dell’Hawaiian Airlines diventa, nell’inverno del ’72, l’I-
TIGI della compagnia aerea italiana Itavia (IH).
1.3 L’Itavia di Aldo Davanzali
Costituita il 13 ottobre 1958 da un gruppo di investitori italiani; la Società di
Navigazione Aerea Itavia opera, dal 1959 al 1980, come principale concorrente
di Alitalia (AZ), poiché riesce a garantire una serie di servizi su scali considerati
secondari, e di agevolazioni grazie a dei particolari accordi con i tour operator
che ne incrementano l’operativo stagionalmente. Sebbene la fetta di mercato che
Aldo Davanzali (1922-2005), il presidente ed amministratore delegato
dell’azienda, riesce ad aggiudicarsi in breve tempo, sia già sufficientemente
remunerativa; la famiglia Davanzali tenta di espandere la propria area di
influenza. Purtroppo ad un primo tentativo, appare evidente il limite
rappresentato dalla mancanza di sbocchi su altri scali e di conseguenza
l’impossibilità di un ulteriore sviluppo. La regola voleva che il monopolio sulle
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otte fosse l’elemento fondamentale di un settore le cui aree di competenza erano
già state stabilite; e in ogni caso gli aerei di cui dispone la compagnia sono per lo
più DC-9 e simili, come l’I-TIGI: aerei progettati per affrontare viaggi di non più
di 3 ore, e che non permettono quindi poter coprire lunghe distanze. Quando il 27
febbraio 1972 l’N902 dell’Hawaiian Airlines arriva in Italia per unirsi alla flotta
dell’Itavia, decisa a dotarsi di velivoli più capienti dei De Havilland E DEI DC-3
e C-47 Skytrain di cui dispone; la compagnia ha già alle spalle due interruzioni di
servizio, causate dalla perdita di altrettanti velivoli negli incidenti aerei del 14
ottobre 1960 (a\m immatricolato I-AOMU, nessun superstite) e del 30 marzo
1963 (a\m I-TAVI, nessun superstite), un anno dopo la nascita della Aerolinee
Itavia s.p.a. Nel decennio fino al 1980, si verificano altri tre incidenti di cui uno
grave il 1° gennaio 1974 (a\m I-TIDE, 38 vittime e 4 superstiti); gli altri due,
senza vittime, si verificano rispettivamente il 4 novembre 1971 (a\m I-TIVE) e il
9 aprile 1975 (a\m I-TIDA). La storia dell’I-TIGI, un velivolo in perfette
condizioni, si inserisce in questo panorama fatto, a detta di organi competenti, di
instabilità economica, tecniche di volo non del tutto rispettose delle procedure, e
presunte carenze manutentive dei velivoli; nonché in un paese: l’Italia, agitato da
numerosi movimenti di protesta e di relazioni internazionali decisamente
complesse. Tuttavia il 27 giugno 1980, l’I-TIGI revisionato come ogni settimana,
senza che vi si riscontrassero anomalie rilevanti, è in grado di volare e perciò
presta regolare servizio, compiendo tutti gli scali previsti dai piani di volo.
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2. L’ultimo volo: il volo spezzato
2.1 Le ore prima del disastro
Il 27 giugno 1980 l’I-TIGI si alza in volo dall’aeroporto Sant’Eufemia di
Lamezia Terme (SUF), principale scalo calabrese, alle 08.07 diretto a Roma-
Ciampino (CIA), dove atterra alle 08.54. Alle 10.12 riparte alla volta di Bologna-
Borgo Panigale (BLQ). Aeroporto Guglielmo Marconi, ore 10.54; il velivolo,
fermo in piazzola, alle 13.03 è pronto per fare ritorno allo scalo di partenza dove
giunge alle 14.29, con trentanove minuti di ritardo. Un’altra sosta e alle 16:01
riparte da Lamezia Terme per graffiare la pista dell’aeroporto Falcone e
Borsellino di Palermo-Punta Raisi (PMO) alle 16.59, con ottantanove minuti di
ritardo. Un’ora dopo, alle 17.58 il DC-9 è diretto nuovamente a Bologna, dove
arriva alle 19.03. Si posiziona nel piazzale antistante l’aerostazione con la prua
rivolta verso l’edificio: piazzola 3. Alle 19.08 hanno inizio le operazioni di
sbarco dei passeggeri in arrivo dallo scalo precedente, operazione che dura
esattamente quindici minuti, e di scarico dei bagagli. Alle 19.23 l’aeromobile è
completamente vuoto. In dieci minuti viene allestito, rifornito: 7.100 litri di
carburante, ed è pronto per affrontare l’ultima tratta della giornata.
«19.33: “Si prega i signori passeggeri di recarsi al box dell’Itavia…Diamo inizio
alle procedure d’imbarco…” IH 870. Il DC 9 in volo da Bologna a Palermo è una
somma di lunghe attese e grandi speranze. […] Sul DC 9 li attendono i
componenti dell’equipaggio: Domenico Gatti, 44 anni, di Bastia, primo
comandante; Enzo Fontana, 32 anni, romano, primo ufficiale pilota; Rosa De
Dominicis, 21 anni, romana, allieva hostess; Paolo Morici, 39 anni, romano,
assistente di volo, responsabile di seconda. 19.55: le porte si chiudono, tutto è
sigillato, nessuno può scendere ormai: 73 adulti, 14 minori di cui 2 neonati, 4
membri dell’equipaggio, […] Il comandante si presenta e illustra il piano di volo,
la hostess ricorda dove sono ubicate le uscite, dove stanno gli scivoli, come
gonfiare il salvagente in caso d’emergenza, cosa prescrivono le norme di
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sicurezza. La torre di controllo di Bologna-Borgo Panigale dà il via libera, il DC
9 si muove in direzione della pista, lentamente. Poi si posiziona. […] Le 20.02: il
rullaggio. “Itavia 870 autorizzato a Palermo via Firenze, Ambra 13, salire e
mantenere livello di volo 190. Ripeta e chiami pronti al decollo 2 .”».
Alle 20.08 il volo IH870, decolla dall’aeroporto Guglielmo Marconi con
centotredici minuti di ritardo.
Lasciato lo scalo di Bologna il pilota si collega con la torre di controllo di
Padova, mentre radar civili e militari monitorano il volo del velivolo.
Padova buonasera, è la 870.
Itavia 870, prosegua come autorizzato, richiami Firenze.
Alle 20.20, quando ormai è giunto all’altezza del radiofaro di Firenze, l’IH870
contatta il controllo aereo di Roma-Ciampino.
Buonasera radar di Roma, è l’IH870.
Buonasera anche a lei, 870. Inserisca 1136 sul trasponder ed è autorizzato
a Palermo via Bolsena, Puma, Latina, Ponza, Ambra 13.
1136 sta arrivando per lei, a Palermo come da piano di volo, è su Firenze,
praticamente, mantiene 190.
Alle 20.23 il volo Itavia imbocca l’aerovia Ambra 14 in direzione sud.
870 a che distanza è da Firenze?
Siamo prossimi a Peretola, 15 miglia a sud.
Ci chiami a 20 miglia.
Ok.
Stabilizzato?
Si, ci stiamo stabilizzando.
Alle 20.26 un nuovo contatto tra il velivolo e la torre di controllo di Roma-
Ciampino.
21 miglia per la 870.
2 Biacchessi, D. Colarieti, F. Punto Condor. Ustica: il processo, cit., p.21.
21

Salga a 230.
A 230, lascia 190.
Passano due minuti e i plot del DC-9 I-ITIGI sul radar di Ciampino, quelli che
dovrebbero rendere tracciabile la rotta del velivolo in ogni momento del volo,
forniscono informazioni confuse. Così Ciampino chiede al pilota di identificarsi,
riaccendendo il trasponder, e verifica la posizione dell’aeromobile.
870 identifichi.
Arriva.
Ok, è sotto radar. Vediamo che sta andando verso Grosseto, che prua ha?
La 870 è perfettamente allineata sulla radiale di Firenze, abbiamo 153 di
prua. Ci dobbiamo ricredere sulla funzionalità del VOR di Firenze.
Si, in effetti non è che vada molto bene.
Allora ha ragione il collega.
Si, si, pienamente.
Ci dica cosa dobbiamo fare.
Adesso vedo che sta rientrando, quindi, praticamente, diciamo che è
allineato, mantenga questa prua.
Noi non ci siamo mossi, eh?
Alle 20.34 l’IH870 è su Bolsena. Tutto come da piano di volo. Alle 20.39, su
consiglio dell’operatore del radar di Ciampino, il pilota cambia la frequenza della
radio; da adesso trasmetterà sui 134.2 mhz. Dopo aver eseguito l’operazione ne
da conferma al controllo di Ciampino. Alle 20.40 l’aeromobile arriva su Roma,
precisamente sull’incrocio tra la Green 23 e l’Ambra 14, due delle
numerosissime autostrade del cielo: Punto Puma. L’I-TIGI vira a destra,
abbandona l’aerovia Ambra 14 e si dirige verso il mare, sorvolando Pratica di
Mare: ore 20.44. La 870 si mette nuovamente in contatto con Roma.
Abbiamo trovato un cimitero stasera, venendo da Firenze in poi
praticamente non ne abbiamo trovata una funzionante.
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Eh si, in effetti è un po’ tutto fuori, compreso Ponza.
Il pilota si mette d’accordo con il controllo di Roma su quale prua mantenere,
tenendo contro che alla sua quota, fra 20 miglia, il vento sarà molto forte: circa
100-120 nodi di intensità. Alle 20.46 il DC-9 ottiene il permesso di scendere di
quota. Sono le 20.50: l’aereo sorvola l’isola di Ponza per imboccare l’aerovia
Ambra 13, un’aerovia che passando per Palermo-Punta Raisi, dove l’I-TIGI
dovrebbe arrivare per le 21.13, arriva fino a Tripoli.
Alle 20.57 l’ultimo contatto radio con la torre di controllo di Roma-Ciampino;
l’aereo infatti uscirà presto dalla portata del radar di Roma.
115 miglia per Papa Alpha… per Papa Romeo Sierra, scusate, mantiene
250.
Ricevuto, IH870, e può darci uno stimato di Raisi?
Si, Raisi lo stimiamo intorno ai 13.
870, ricevuto, autorizzati a Raisi VOR, nessun ritardo è previsto, ci
richiami per la discesa.
A Raisi nessun ritardo, chiameremo per la discesa, 870.
Corretto.
Ore 20.58, Punto Condor, a metà strada tra Ustica e Ponza; il pilota chiama la
torre di controllo di Palermo-Punta Raisi.
Calma di vento, temperatura 23, autorizzati ai 15, altimetro 1013.
Molto bene.
Alla stessa ora, presso il sito di Marsala, un sottufficiale segue tutti i puntini che
si spostano in lungo e il largo sullo schermo e parla con un collega.
Sta a vedere che quello dietro mette la freccia e sorpassa… quello ha fatto
un salto da canguro…
«Punto Condor. Sono le 20.59. prima una barzelletta e una risata. Alla fine quella
del pilota del DC 9 sarà l’ultima parola ingoiata di traverso. Forse vede qualcosa
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di inverosimile, lo stupore, la lingua piegata sul palato, neanche una frase, le
mani che non rispondono, nemmeno il cervello, la radio proprio non riesce ad
attivarla. La paralisi. Una frazione di secondo. Un attimo.
Gua…
Si perdono le tracce, si perde il DC 9 là dove finisce l’area del radar di Ciampino.
Punto Condor. Poco più a sud. È un profondo buco nero nella copertura radar del
traffico civile. Se lo riesci a superare, l’aereo dovrebbe riapparire sugli schermi
radar di avvicinamento di Palermo. Altrimenti Condor diviene il punto di non
ritorno. […] 39 gradi 43 primi nord, 12 gradi 55 primi est. Il viaggio del DC 9
IH870 si conclude pochi secondi prima delle 21. Quattro minuti e quindici
secondi dopo. Il DC 9 non comunica con Ciampino, neppure con Palermo. Dalla
radio c’è solo silenzio. Roma tenta il contatto.
Itavia 870, quando pronti autorizzati a 110. Richiamate lasciando 290,
attraversando 150. Itavia 870, Roma?
[…] Un silenzio che preoccupa molti quella sera d’estate 3 .»
2.2 L’aereo scompare dai radar
Non ricevendo risposta Ciampino chiama Punta Raisi dicendo di aver perso il
contatto con il velivolo Itavia ed invita il controllo radar di Palermo a verificare
se almeno loro riescono a rintracciarlo. La risposta è negativa così Ciampino
prova in un’altra direzione: un altro velivolo, un aereo dell’Air Malta è a poche
miglia dal Punto Condor, e potrebbe tentare di stabilire un contatto con l’I-TIGI.
Air Malta, this is Rome.
Rome, go ahead, this is Air Malta.
Ok, sir. We have Itavia 870 unreported inbound Palermo. Please, please,
try to call them for us Itavia 870.
Alitalia 870?
Itavia, sir. Itavia 870.
3 Biacchessi, D. Colarieti, F. Punto Condor. Ustica: il processo, cit., p.28.
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Subito dopo dal cockpit dell’Air Malta…
Roger, Itavia 870, Itavia 870… This is Air Malta. Do you read? Itavia
870, do you read, do you read?
Nessuna risposta. Roma chiama Palermo che a sua volta domanda al centro radar
di Marsala (nome in codice Moro). Il Centro radar della difesa di Marsala chiama
il comando di Martina Franca.
C’è un India Hotel 870 che doveva arrivare a Palermo ai 13, non ne sanno
più un cazzo.
Alle 21.22 il Centro di controllo di Martina Franca dà il via alle procedure di
soccorso, allertando il quindicesimo stormo di Ciampino, nonché tutti i mezzi a
disposizione tra Ponza e Ustica, dove proprio in questi giorni è in corso la
rassegna mondiale delle attività subacquee. Gli elicotteri si alzano in volo alle
22.00: 38 minuti dopo la richiesta di soccorso; e dopo un’ora e dieci minuti
arrivano sul luogo in cui è scomparso il DC-9. Il buio rende difficile
l’individuazione del punto esatto in cui cercare; e tra l’altro le coordinate fornite
agli addetti alle ricerche sono sbagliate di 50 chilometri.
Tra le 21.20 e le 21.30 continuano i contatti tra Marsala e Martina Franca.
Eh, dunque, a questo punto non so che dirti, spero…
Non è… non è stato avvistato da voi?
Macché, lo stiamo…
Credi che sia necessario interrompere la Synadex?
Si, si, la stiamo interrompendo.
Pronto, Barca?
[…] Si, noi lo abbiamo visto in aerovia e l’abbiamo fatto friendly,
comunque Quercia sta vedendo, ha detto che se riesce a trovare questo
India Hotel ci fa sapere qualcosa. Confermiamo che non lo abbiamo mai
controllato. Nessun contatto.
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Successivamente un tenente colonnello del reparto informazioni volo parla al
telefono con il colonnello comandante del secondo reparto di Ciampino:
Novità niente. Adesso stiamo cercando di ottenere qualche informazione
dai due radar che sono in Sicilia, i radar della difesa, no? E però sembra
che hanno guardato quando glielo abbiamo detto. Noi si sperava che loro
avessero seguito le due tracce, l’Itavia sotto e l’Air Malta sopra e avessero
preso nota della posizione dove era sparita la traccia dell’Itavia. Però dice
che non stavano guardando perché avevano l’esercitazione. […] Dice che
vedono razzolà diversi aeroplani americani, eh, io stavo pure ipotizzando
una eventuale collisione.
Si, oppure un’esplosione in volo.
Dunque nel punto in cui si sono persi i contatti con il DC-9 c’erano due tracce,
quindi due plot, quindi due velivoli; stessa rotta, diversa altitudine? Sono ore di
grande confusione. A Palermo ci sono i parenti che avvertiti dai proprio cari del
ritardo aspettano pazienti; ma quel ritardo diventa sempre più pesante. Sono
passate le 22.00: perché non arrivano?
Ore 22.25. Il maresciallo dello Stato maggiore dell’Aeronautica viene contattato
dal tenente di Martina Franca.
Salve maresciallo, ci sta l’ufficiale?
Guardi, dica a me, per cortesia, non cerchiamo sempre l’ufficiale.
Cioè no, perché è una cosa abbastanza seria.
Perché io mica mi metto a ridere.
Benissimo, è caduto un DC-9, lungo la rotta che porta da Bologna a
Palermo, Punto stimato 40 gradi nord, 13 gradi e 20 primi est.
Questo è il punto dove è caduto?
Non il punto dove è caduto ma l’ultimo punto noto.
A lei chi gliel’ha detto che è caduto?
Guardi che questo qui doveva atterrare alle 21.13 a Palermo.
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Si, queste notizie io ce l’ho tutte quante, lei mi ha detto che è caduto, chi
gliel’ha detto?
Io penso che sia caduto.
Ecco, lei pensa…
No ma le mie supposizioni sono abbastanza serie. […] Guardi, questo qui
l’ultimo contatto l’ha dato alle 20.56 poi non si è visto più. Quindi se non
è caduto io non so cosa abbia fatto questo.
Si, questo… Però siccome noi dobbiamo fare delle telefonate, un sacco di
telefonate… Se non siamo sicuri…
Benissimo, un’altra cosa. L’ufficiale dell’ACC di Roma mi ha detto che in
zona c’era del traffico militare americano. Ora io vorrei sapere se c’è
qualche portaerei, perché in tal caso, se è così, noi mandiamo, chiediamo
l’intervento degli americani.
Se c’è la portaerei in zona dovrebbe saperlo da Martina Franca, perché ha
i radar in zona.
Martina Franca non lo sa se c’è la portaerei in zona.
E figuriamoci se lo sa lo Stato maggiore. Come facciamo a sapere se c’è la
portaerei lì?
Che ne so, voi siete lo Stato maggiore, centro operativo. Non lo sapete?
No.
Vabbè, allora vi ho informato soltanto di questo, adesso faccio altre
telefonate, arrivederci.
Eh, pronto? Io volevo sapere… lei mi ha detto che è caduto, è caduto o
no? Se è caduto mi deve dire chi le ha dato l’informazione.
[…] Va bene, senta, allora io agisco come meglio penso e mi accollo tutte
le responsabilità. Perché non è che posso andare sul posto a vedere se ci
sono cadaveri e poi dire che effettivamente è caduto, va bene? […] Quindi
io agisco adesso e mi assumo tutte le responsabilità del mio
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comportamento. E perché non posso a questo punto, dopo un’ora che non
dà più notizie, un’ora e mezza, dire che non é…
Si, lo sappiamo anche noi questo qui, però, voglio dire, chi ve l’ha detto?
Maresciallo, io adesso devo fare altre telefonate. Vi ho informato del fatto
come da circolare. Arrivederci.
Arrivederci.
Quattordici minuti dopo all’interno della sala operativa del Centro di controllo
radar di Ciampino, nel 1980, civile e militare, Roma tenta di mettersi in contatto
con l’interno 550 dell’ambasciata americana, ma non riceverà alcuna risposta.
Nel frattempo la stampa è venuta a conoscenza della scomparsa del DC-9. Prima
Il Giornale di Sicilia e successivamente tutte le emittenti televisive nazionali,
cominciano ad interessarsi alla vicenda.
«L’ultimo contatto radio è avvenuto con la torre di controllo di Ciampino alle
20.57, doveva arrivare a Palermo alle 21.45. Da circa mezzora è terminata
l’autonomia di carburante 4 .»
Presso il Centro radar di Ciampino sono ore molto concitate. Tra protocolli da
rispettare, tracce da seguire e l’ambasciata americana che non risponde; le voci si
intrecciano, i dialetti si mischiano e le frasi vengono pronunciate a metà tra
ammiccamenti ed i primi depistaggi. Alle 22.41, un nuovo tentativo di contatto
tra Roma, tramite il sottoufficiale Roberto Bruschina, e l’ambasciata americana.
American Embassy.
Good evening, I just called you and you passed me the extension 550, but
there was no answer, evident nobody’s there at the Attaché. This is the air
traffic control of Rome speaking. We had a problem with an aircraft and
we, we should speak to somebody. Have you got any other number to
call?
Just a minute. I have to reach somebody at home.
4 dal TG3 del 27 giugno 1980.
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Uhm, well, if the aircraft has crashed, there’d be 81 persons dead, so I
think it’s important enough to call somebody.
Ok, just a minute. One moment.
Ciampino ha una particolarità rispetto a tutti gli altri centri di controllo: è dotato
di un’apparecchiatura che registra in automatico le conversazioni da e verso i
velivoli di cui segue le tracce, le conversazioni all’interno della sua sala radar,
nonché tutte le chiamate in entrata e in uscita.
Adesso Bologna ci manda tutti i dati, ci ha due ore e mezzo di autonomia
[…] D’autonomia e il tempo in volo quant’era?
Ma il tempo in volo settantacinque minuti, […] 18.08.
18.08 – 19.08 – 20.08… 20.38? e ci siamo ecco, (l’autonomia carburante
dell’I-TIGI) sta scadendo adesso.. sta scadendo adesso.
[…] Allora dicevo, le comunicazioni del trasferimento dell’Itavia, è
chiaro, visto che è venuto da Bologna, quindi diciamo, ha trasferito, no?
Vabbé, ma che ci interessa a noi… tanto ce l’abbiamo avuto in contatto…
noi ce l’abbiamo avuto in contatto.
Ma non vuol dì, vogliono, questi vanno a prende pure le comunicazioni da
quando è decollato da Bologna quando fanno l’inchiesta.
Vabbé.
Hai capito, se il pilota ha denunciato quando è colto in frequenza.
[…] Ma guarda l’unica cosa era riuscire a parlare con qualche americano
di Sigonella.
E come?, è questo che io sto chiedendo a loro.
Telefoni a Sigonella e gli dici: ma voi quando lì è cascato un Phantom chi
cazzo chiamate degli americani? Ecco, è cascato un Phantom, dimme chi
devo chiamà. […] Quando si arriva a Sigonella ti arrivano le camionette
della MP americana che ti mettono pure il dito nel culo quando scendi
dall’aereo… che quando so’ andato col DC-9 sembrava che fossimo
venuti da Cuba.
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Ma io infatti sto telefonando a questo solamente per sapé a chi devo
telefonà, mica altro. Ma non mi risponde.
Ma lascialo stà, lascialo stà, riattacchi e… never mind.
«Verso mezzanotte un’amica mi telefonò da Venezia chiedendomi se Alberto,
mio fratello, era poi salito su quell’aereo. Mio padre l’aveva accompagnato
all’aeroporto, mio fratello era salito su quell’aereo e capii dalle urla che faceva
quest’amica per telefono che doveva essere successo qualcosa. Andai
immediatamente all’aeroporto Marconi di Bologna e ci dissero che l’aereo era
dato per disperso 5 .»
2.3 I primi soccorsi e le prime ipotesi
Le ricerche sono coordinate dal centro di soccorso aereo di Martina Franca
dell’Aeronautica militare, che predispone anche il decollo di elicotteri
provenienti da Ciampino. Alle 23.00, a Napoli, centro operativo delle ricerche,
vengono mobilitati tutti i mezzi a disposizione sotto la supervisione
dell’ammiraglio Monassi, comandante in capo del Dipartimento militare
marittimo del Basso Tirreno; nella capitaneria di porto della città, sotto la guida
del comandante Mario Lo Sardo, si passa dalla routine appena animata per
l’assistenza da prestare alle barche che in questi giorni stanno partecipando al
campionato del mondo off-shore, ad un’attività frenetica. Vengono dirottate le
navi in servizio di linea “Clodia” e “Carducci” della Tirrenia, ed ancora la
“Freccia Rossa” il “Boucanier” ed il rimorchiatore “Vivara”. La Marina Militare
impiega numerose unità nelle ricerche; alla fine in zona ce ne saranno tredici, la
maggior parte delle quali provenienti dal porto di Napoli. Sono molte le navi
militari a presidio della vasta zona marittima tra Ustica e Ponza, tra queste ci
sono: l’Andrea Doria partita da Cagliari con a bordo quattro elicotteri, tre dei
quali impegnati nelle ricerche; l’Alpino, il Prometeo e l’Orsa. Nella notte la
5 Intervista al Presidente dell’Associazione dei Parenti delle vittime della Strage di Ustica: Daria Bonfietti, in: «Blu
notte – La strage di Ustica» del 25 giugno 2010.
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icerca si sviluppa per mare e nel cielo, ma la luna piena e luminosa non basta a
localizzare con sicurezza il punto esatto dell’incidente. All’alba del 28 giugno
1980, le ricerche del DC-9 procedono in maniera frenetica e disordinata. Alle
05.05, un elicottero partito da Catania segnala alcuni detriti in affioramento.
Qualche ora più tardi, alle 07.15, un elicottero dell’Aeronautica specializzato
nella ricerca di sommergibili, individua una macchia oleosa; verso le 07.30
cominciano a riemergere cuscini, salvagente sgonfi, sedili. Vengono impiegati
anche due aerei da ricognizione marittima di tipo “Atlantique” particolarmente
adatti alle ricerche subacquee, oltre che le motonavi delle capitanerie di porto di
Ustica, Trapani e Palermo e della Guardia di Finanza. Il lanciamissili “Ardito” è
la prima nave a giungere sul luogo della sciagura. L’alba è spuntata da un pezzo
quando alle 09.00, il mare comincia a restituire i primi cadaveri che galleggiano
intorno al corpo centrale del velivolo.
«MAR TIRRENO, 28 GIUGNO 1980 – Proseguono le ricerche dell’aereo DC 9
dell’”Itavia” in volo da Bologna a Palermo e precipitato in mare verso le 21.00
del 27 giugno: l’ultimo contatto radar si è avuto alle 20.56 nel punto “Condor”
[…]. Il troncone di coda è distante circa 22 miglia 6 .»
Cinque corpi, vengono portati a bordo del rimorchiatore “Vivara” gli altri
vengono sottratti al mare dall’incrociatore della Marina Militare Andrea Doria, in
un punto in cui le acque sono profonde oltre 3.000 metri. Il vento diventa sempre
più forte e rallenta la macchina dei soccorsi, ma la visibilità è buona e permette
di continuare a sperare. Qualche ora più tardi, a 47 miglia da Ustica e 25 miglia
dal ritrovamento della prima sezione del relitto, viene avvistato il cono terminale
della fusoliera. Intorno al relitto solo vestiti, nessun corpo. Le navi passeggeri,
dirottate in precedenza per prendere parte alle ricerche, vengono autorizzate a
ripartire. La “Clodia” torna a Napoli nel primo pomeriggio, mentre la “Carducci”
che fa rotta verso Palermo, avvista una terza sezione del relitto, parte della
fusoliera dipinta di bianco e rosso, a 30 miglia da Ustica. Al termine delle
6 ANSA, 28 giugno 1980.
31

operazioni di soccorso vengono recuperate 39 salme e diversi resti umani non
riconoscibili, per un totale di 42 vittime. L’autorità giudiziaria competente per il
territorio teatro della sciagura è Palermo, ed è qui che attraccano le imbarcazioni
con il loro triste carico. Qualcuno nota una tremenda coincidenza: lo scalo di
Punta Raisi, anche detto “l’aeroporto della morte”, per la terza volta nell’arco di
otto anni, lasso di tempo nel quale si sono verificati ben cinque incidenti, due dei
quali sono stati i più gravi dell’aviazione civile italiana del ventennio 1960 -
1980; ha funestato un altro venerdì.
Nelle stesse ore, il generale Saverio Rana, presidente del Registro aeronautico
italiano, mostra all’allora ministro dei Trasporti Rino Formica, la fotocopia di un
tracciato radar da cui emerge che il DC-9 é precipitato a seguito dello sgancio di
un missile. Quest’informazione da il via alla serie infinita di depistaggi che
hanno caratterizzato e caratterizzano quella che da oltre trent’anni viene definita
“La Strage di Ustica”.
32

3. Le prime indagini tra reticenza e depistaggi
3.1 La nomina della Commissione Luzzatti e le dichiarazioni di
Davanzali
Alle 11.00 del 28 giugno, il Ministro dei Trasporti Rino Formica, incarica in
giudice Giorgio Santacroce di nominare una commissione d’inchiesta tecnico-
formale per stabilire le cause della perdita del DC-9 Itavia. Al vertice della
commissione c’è il direttore dell’aeroporto di Alghero nonché funzionario della
direzione generale dell’Aviazione civile: il dottor Carlo Luzzatti. Assieme a lui
lavoreranno esperti e consulenti. Per l’Aviazione civile ci sono l’ispettore
principale Antonio Ruscio e il capo tecnico superiore Riccardo Peresempio; poi
ancora l’ingegnere Francesco Bosman del Registro aeronautico italiano, il
maggiore Aldo Mosti dell’Aeronautica militare, il medico legale Pietro Fucci,
l’esperto sanitario Pietro De Luca, ed infine per la compagnia Itavia il
comandante Enzo Antonini, il copilota Gaetano Manno ed il primo ufficiale
Bernardo Sclerandi. Anche la procura di Palermo apre un’inchiesta, e l’affida al
sostituto procuratore Aldo Guarino, già a conoscenza della sparizione del DC-9
dalle 23.00 del 27 giugno, che dispone il sequestro delle registrazioni delle
comunicazioni telefoniche e terra-bordo-terra delle torri di controllo di Roma-
Ciampino e Palermo-Punta Raisi. Si mobilita anche la procura di Bologna, che
ordina alla DIGOS di acquisire l’intero piano di volo del DC-9, la lista
passeggeri nonché le registrazioni delle comunicazioni con la torre di controllo di
Bologna. Stando a quanto asserito dal procuratore capo Ugo Sisti, il
coinvolgimento della DIGOS nell’inchiesta si rende necessario a seguito di
quando dichiarato dai vertici della compagnia Itavia che non escludono il
sabotaggio tra le cause dell’incidente. All’indomani della tragedia, infatti,
quando tuttavia non è stato ancora avvistato il relitto né tantomeno i corpi delle
vittime, la compagnia Itavia, probabilmente per tutelarsi, rilascia una
33

dichiarazione all’ANSA, nella quale afferma che allo stato attuale dei fatti,
l’unica spiegazione possibile all’accaduto è quella del sabotaggio. Alle 17.00,
quando il numero delle salme recuperate ammonta a 33, ed una delle sezioni
dell’aeromobile, della lunghezza di sei metri, viene ritrovata perlopiù integra in
mare; si palesa il dubbio che l’aereo sia disintegrato nell’impatto con la
superficie marina e non in volo per effetto di un ordigno; così l’Itavia smentisce
di aver mai parlato di bombe o di esplosioni a bordo.
«Si apre ora la ricerca delle cause le disastro. La società Itavia ha smentito
l’informazione secondo cui la direzione di volo della società avrebbe attribuito il
disastro a un possibile sabotaggio. È già al lavoro la Commissione che è stata
nominata dal Ministro dei Trasporti Formica 7 .»
3.2 La pista Affatigato
Alle 14.10 del 28 giugno 1980, un uomo dall’accento nordico contatta la
redazione del “Corriere della Sera” per conto dei NAR (Nuclei armati
rivoluzionari) e rivendica l’attentato. A detta dell’uomo, l’esplosione sarebbe
stata causata da una bomba, portata a bordo da un noto terrorista neofascista, un
latitante legato ai Servizi segreti italiani e francesi: Marco Affatigato; e fornisce
dettagli utili al riconoscimento della sua salma. Viene dato il via alle indagini
presso la polizia aeroportuale di Bologna, gli inquirenti mostrano le sembianze
del terrorista al personale di controllo, ma la presenza dell’uomo sull’aereo non
risulta. Poco più tardi la notizia viene confermata dalla madre del presunto
attentatore. Affatigato non c’era. Le indagini della magistratura inquirente
bolognese appureranno, anni dopo indagando sulla strage alla stazione di
Bologna del 2 agosto 1980, che ad effettuare la telefonata al giornale romano fu
il Colonnello Mannucci Benincasa, Capocentro SISMI (Servizio per le
Informazioni e la Sicurezza Militare) a Firenze, che aveva ricevuto il compito di
coinvolgerlo in “un fatto grave” atto a disorientare l’opinione pubblica e
7 dal TG1 del 28 giugno 1980, edizione serale.
34

mascherare la delittuosa imprudenza dei reparti impegnati nell’esercitazione
militare in corso quella notte. Lo stesso Affatigato sarà nuovamente indicato
quale autore della strage alla Stazione di Bologna. A seguito di questi eventi il
Colonnello Mannucci Benincasa, il generale Santovito ed altri vertici del SISMI,
nonché Licio Gelli (Maestro venerabile della loggia massonica Propaganda due a
partire dal 1975) e Francesco Pazienza (consulente del SISMI a partire dal 1980),
saranno condannati dalla Corte di Assise di Bologna, per il reato di “calunnia
aggravata” nei confronti del latitante di estrema destra.
Nelle ore successive alla telefonata la stampa si scatena, e sulle prime pagine dei
quotidiani appaiono le prime ipotesi circa le cause che hanno portato alla caduta
del DC-9 e alla perdita di 81 cittadini italiani.
3.3. L’Itavia nel mirino: gli aerei carretta
Sono ore difficili per i rappresentanti di compagnia Itavia. L’operato di Aldo
Davanzali viene fortemente criticato. L’Itavia è sotto accusa per fare volare da
diversi anni “aerei-carretta” sottoposti a scarsa manutenzione e soggetti a
frequenti avarie. Viene posto l’accento sulla serie di disservizi della compagnia e
sull’inadeguatezza qualitativa e quantitativa del parco aerei della società, nonché
sul livello (apparentemente inadeguato) di affidabilità dei velivoli di proprietà del
vettore in questione. Mentre l’opinione pubblica si scaglia contro la compagnia,
enfatizzandone le manchevolezze; i deputati del PCI Pio La Torre, Spataro e
Pernice, rivolgono il 28 giugno un’interrogazione al ministro dei Trasporti Rino
Formica, per conoscere “quali interventi s’intendo adottare per un accertamento
rigoroso delle cause tecniche e delle eventuali responsabilità che abbiano potuto
provocare la sciagura”, nonché “conoscere l’elenco completo dei vettori Itavia, il
loro anno di fabbricazione e le ore di volo, la loro condizione di efficienza e se la
compagnia rispetti le norme internazionali di controllo per la sicurezza degli
aeromobili”.
35

Stando ai registri Itavia, in quattordici anni di attività, il DC-9 I-TIGI aveva
totalizzato 29.544 ore di volo: un numero certamente alto, ma nella media
mondiale di utilizzo di questo velivolo. Le revisioni erano tutte in regola, tanto
che l’aeromobile poteva dirsi come nuovo. Il DC-9 aveva passato, il 5 gennaio
1979, la revisione generale di tipo E che si compie dopo 14.000 ore di volo con
particolare attenzione alla struttura, e richiede un lavoro di 40 giorni. La
revisione di tipo C invece, che richiede una settimana, era stata completata il 12
maggio 1980. Inoltre, come tutti i DC-9 in operativo nella flotta mondiale, aveva
ricevuto e continuava a ricevere regolari ispezioni alla paratia terminale di
pressurizzazione da parte degli organi competenti.
C’è grande confusione. Viene reso noto che i piloti non hanno segnalato alla
torre di controllo alcun guasto o avaria prima dello schianto in mare; per il
momento, l’ipotesi dell’esplosione in volo, pur non essendo a conoscenza delle
cause che l’avrebbero scatenata, è quella più accreditata.
3.4 Le autopsie e le operazioni di Search and Rescue
Intanto, le 39 salme vengono trasferite presso l’Istituto di Medicina legale di
Palermo, dove un collegio peritale effettua solo sette autopsie, scegliendo a caso i
cadaveri da esaminare. I periti scriveranno che: «Le sette persone sottoposte ad
autopsia sono soggiaciute ad un identico meccanismo lesivo iniziale che ha
provocato la espansione enfisemosa acuta dei polmoni. Queste alterazioni
devono stimarsi compatibili con l’ipotesi di una decompressione brusca
nell’ambiente pressurizzato del velivolo in volo ad alta quota e forte velocità.»
In definitiva, tutti i passeggeri riportano lesioni polmonari ed evidenti traumi
contusivi, diretti responsabili del decesso, nessun passeggero sopravvive
all’impatto con il mare; ne è prova la totale assenza di segni di annegamento.
Il primo luglio, nella Cattedrale di Palermo, l’arcivescovo cardinale Salvatore
Pappalardo celebra il rito funebre per le vittime della sciagura.
36

Durante le operazioni di Search and Rescue vengono recuperati alcuni elementi
che con ogni probabilità non appartengono al DC-9 Itavia; vengono a galla due
salvagente della Marina americana, rottami di metallo color rosso e arancione,
incompatibili come colorazione alla livrea Itavia che è di color rosso e bianco,
due ruote ed una sonda meteo.
Ad una settimana dalla tragedia, quando ancora l’ipotesi, seppur non accertata,
del cedimento strutturale sembra essere la più verosimile, alcuni senatori
chiedono al governo, allora presieduto da Francesco Cossiga, di revocare la
concessione delle linee operative alla compagnia Itavia. Il ministro dei Trasporti
Rino Formica risponde al Senato dichiarando che nessuno sforzo sarà tralasciato
nella ricerca della verità circa le reali cause della sciagura del 27 giugno.
Comincia così il declino di una compagnia aerea che verrà ridotta al fallimento in
pochi mesi.
Il 2 luglio, il Consolato libico a Palermo pubblica sul quotidiano “L’Ora” un
necrologio in cui:
«Il Consolato Generale della Giamahiria Araba Libica Popolare Socialista
partecipa sinceramente al dolore che ha colpito i familiari delle vittime della
sciagura aerea di Ustica e manifesta tutta la sua solidarietà al Presidente della
Regione e al presidente dell’Ars per questo grave lutto che ha colpito la Sicilia 8 .»
3.5 Il passaggio delle competenze alla procura di Roma
Il 3 luglio il fascicolo sul DC-9 Itavia viene ufficialmente consegnato al giudice
istruttore Santacroce, sancendo così il passaggio delle competenze alla procura di
Roma. Il ministro della Difesa ribadisce che non risulta mancante alcun aereo
militare, né che sono stati ripescati in mare pezzi appartenenti ad un aereo
militare sul luogo dell’incidente. L’Aeronautica militare precisa che le
registrazioni dei radar militari della difesa aerea che seguivano il volo del DC-9
sono a disposizione per l’inchiesta. Due giorni più tardi, il 5 luglio, su
8 www.stragi80.it, Biacchessi, D. Colarieti, F.
37

disposizione della procura di Palermo, viene disposto il sequestro delle
registrazioni radar del 27 giugno detenute da tutti i siti militari e civili operativi
sul Tirreno. Le registrazione che verranno consegnate dall’Aeronautica militare
al giudice Santacroce, sono complete solo per quanto riguarda il centro di
controllo di Ciampino. Dagli atri siti radar militari, nello specifico quelli di
Marsala e Licola, vengono consegnati solo stralci estratti dalle registrazioni radar
originali; così il 3 ottobre il giudice Santacroce si reca di persona presso il sito di
Marsala per sequestrare le registrazioni relative al giorno dell’incidente. Nelle
stesse ore un comunicato dell’ambasciata americana a Roma afferma che nessun
aereo o nave americana erano impegnati nella zona dell’incidente del DC-9;
smentendo così ogni coinvolgimento nell’abbattimento del velivolo di linea
Itavia.
Il 18 luglio, sui Monti della Sila, in Calabria, vengono rinvenuti i resti di un MIG
23 libico nonché il cadavere del pilota in avanzato stato di decomposizione. Sul
caso la procura competente apre subito un’inchiesta, supportata in un secondo
momento anche da funzionari libici.
3.6 Le relazioni preliminari della Commissione Luzzatti
Il 31 luglio, Luzzatti consegna la prima relazione preliminare della Commissione
d’inchiesta. Tale relazione evidenzia una prima conclusione: la morte dei
passeggeri, in accordo con quanto appurato dalle autopsie eseguite sulle salme
esaminate, è avvenuta in seguito a una decompressione esplosiva, a causa della
quale alcuni dei passeggeri del volo IH870 sono stati proiettati all’esterno del
velivolo al momento dell’impatto.
Solo pochi giorni dopo: il 1980 viene nuovamente funestato da un evento tragico
per l’Italia. Sabato 2 agosto, nella sala d’aspetto di seconda classe della Stazione
Ferroviaria di Bologna; affollata di turisti e pendolari, un ordigno a tempo,
contenuto in una valigia abbandonata, esplode causando il crollo dell’ala ovest
dello stabile. L’esplosivo di fabbricazione militare viene posto sotto il muro
38

portante dell’ala ovest, allo scopo di aumentarne l’effetto, che risulta devastante.
L’onda d’urto, unitamente ai detriti provocati dall’esplosione, investe anche il
treno Ancona-Chiasso, in sosta sul primo binario, ed il parcheggio dei taxi
antistante l’edificio. A seguito di questo efferato attentato terroristico, perdono la
vita 85 persone; oltre 200 i feriti.
Intanto le indagini sul DC-9 proseguono; vengono analizzati dei residui di
esplosivo T4 su alcuni frammenti del relitto, sia dalla Commissione che
dall’Aeronautica. La stessa Commissione avanza anche un’interpretazione dei
dati radar del Centro di controllo di Ciampino, segnalando la presenza di echi
spuri, nei tracciati radar, attribuibili ad un velivolo sconosciuto che attraversa la
zona dell’incidente. Gli stessi tracciati radar vengono sottoposti all’attenzione
della Federal Aviation Administration, del National Transportation Safety Board
(NTSB) e della Douglas, ditta costruttrice del velivolo. Altri esami vengono
eseguiti in Gran Bretagna presso l’Accident Investigation Branch ed il Royal
Armament Research and Development Establishment (REARDE). Le due
antenne utilizzate dal Centro di controllo del traffico civile di Ciampino,
sorvegliano, nel 1980, il cielo tramite due distinte apparecchiature: il sistema
Marconi e il sistema Selenia, che registrano in automatico su un nastro magnetico
il traffico aereo. Al momento dell’incidente, il DC-9 è già fuori dalla portata del
radar di Ciampino, ma i due radar possiedono comunque una “portata residua”,
più ampia, che non gli permette di osservare il DC-9 sullo schermo ma solo di
registrare su nastro magnetico e riprodurre in seguito le sue tracce; tracce che
vengono fatte analizzare dalla Selenia, la ditta costruttrice di uno dei radar di
Ciampino. Quando gli enti interpellati per la decodifica dei tracciati radar
forniscono le loro conclusioni, tutti sembrano concordi nell’affermare che
l’aeromobile si è disintegrato in volo e non a seguito dell’impatto con il mare.
Inoltre giungono alla conclusione che quella sera, nel cielo di Ustica, il DC-9 non
era solo: è stato intercettato e la sua rotta attraversata da un altro velivolo ad alta
velocità. Lo dice l’NTSB, lo dice la Selenia e lo conferma la Douglas.
39

Il 25 novembre 1980, inoltre, un esperto americano dell’NTSB, John Macidull, si
convince, analizzando i tracciati radar messi a disposizione dalla Commissione
Luzzatti, che al momento del disastro, il velivolo Itavia è stato colpito da un
missile lanciato da un aeromobile non identificato rilevato nelle vicinanze.
Questo aereo attraversa la zona dell’incidente in direzione Ovest-Est ad alta
velocità (approssimativamente 300/550 nodi) all’incirca allo stesso momento
dell’incidente, senza però entrare in collisione con l’IH870.
Pochi giorni dopo, il 5 dicembre dello stesso anno viene consegnata la seconda
relazione. I periti della Commissione Luzzatti escludono definitivamente l’ipotesi
del cedimento strutturale e della collisione con un altro velivolo, poiché tali
ipotesi non trovano riscontro con i dati radar a disposizione, né con la condotta e
lo stato di manutenzione del velivolo. In una dichiarazione all’ANSA Carlo
Luzzatti, a capo della Commissione d’inchiesta, specifica che la relazione finale
si limiterà a decretare con certezza cosa non è accaduto quella sera del 27 giugno
1980, poiché la mancanza della quasi totalità delle sezioni del relitto rende
impossibile stabilire con esattezza cosa abbia posto fine al volo del DC-9. La
Commissione concluderà i lavori il 16 marzo 1982, dopo aver consegnato
numerose relazioni che risulteranno decisive per lo svolgersi delle inchieste
successive.
3.7 Aldo Davanzali dichiara fallimento
Il 16 dicembre, a distanza di sette mesi dalla tragedia di Ustica, il ministro dei
Trasporti presenta una diffida nei confronti della compagnia Itavia, per
inadempienze contrattuali in relazione alle linee aeree concesse. Da questo
momento in poi si dichiarano decaduti tutti i servizi di linea affidati al vettore. Il
giorno successivo, Aldo Davanzali, il presidente della compagnia, dichiara in un
comunicato stampa di avere la certezza che ad abbattere il DC-9 I-TIGI della sua
flotta è stato un missile lanciato da un aereo.
40

«Le commissioni d’inchiesta hanno stabilito che l’ipotesi del cedimento
strutturale del DC-9 è destituita di ogni fondamento, così come l’ipotesi di
collisione in volo con un altro velivolo si è rivelata non attendibile. La causa
dell’incidente è stata pertanto circoscritta alle ipotesi di “missile” o “bomba a
bordo”. Peraltro di tali due ipotesi resta valida, sulla base dei rilevamenti operati,
solo quella del missile. La registrazione dei dati radar evidenzia, infatti, al
momento dell’incidente, la manovra di intercettazione del DC-9 da parte di un
aereo militare. […] Il quadro delle evidenze dell’incidente, pertanto, configura
che l’aeromobile DC-9 Itavia è stato colpito da un dispositivo bellico di origine
attualmente ancora non dimostrabile con evidente proiezione dei rottami
principali lungo la traiettoria seguita dall’aereo militare intercettore 9 .»
A seguito di queste dichiarazioni, ritenute pericolose per la sicurezza dello Stato,
Il Pubblico ministero Giorgio Santacroce indizia Aldo Davanzali per diffusione
di notizie tendenziose atte a turbare l’ordine pubblico.
A Roma, il 9 gennaio del 1981 iniziano presso il laboratorio dell’Aeronautica
militare, le analisi chimico-fisiche su quanto è stato recuperato del DC-9. Le
analisi mirano ad accertare tra l’altro la presenza di parti metalliche estranee
all’aereo, nonché alla localizzazione di eventuali esplosioni (interne e/o esterne
all’a/m), e la giustificazione delle tracce di fosforo rilevate su di un frammento
metallico, le quali, come asserisce Davanzali, apparterrebbero ad un ordigno
bellico.
Il 28 gennaio del 1981, il ministro dei Trasporti Rino Formica, revoca la
concessione dei servizi di linea alla società Itavia di Aldo Davanzali. Chiamato
precedentemente a rispondere davanti al giudice Santacroce all’accusa di truffa
aggravata continuata ai danni del Banco di Santo Spirito, dell’Istituto Mobiliare
Italiano e dell’Italcasse, Davanzali vede irrimediabilmente compromessa
l’immagine della società, già colpita da una forte crisi economica (ha ipoteche
per 150 miliardi di lire), ed il 14 aprile dello stesso anno dichiara fallimento.
9 Biacchessi, D. Colarieti, F. Punto Condor. Ustica: il processo,cit. p.42.
41

3.8 La relazione definitiva della Commissione Luzzatti
Il 9 maggio 1981 muore d’infarto a Grosseto il capitano dell’Aeronautica
Maurizio Gari. La sera del disastro è capo controllore di sala operativa presso il
centro radar di Poggio Ballone. La sua testimonianza sarebbe stata di grande
utilità per l’inchiesta.
Nel mese di agosto Carlo Luzzatti, dichiara all’ANSA che:
«“L’inchiesta sul disastro di Ustica sarà conclusa entro la fine di settembre. […]
Si attende il termine delle analisi chimico-fisiche. La relazione conterrà uno
studio, condotto con la Marina Militare, per l’individuazione dei relitti dell’aereo
nel Tirreno.” Se si potessero individuare le parti del DC-9 forse basterebbe
ispezionarle con delle telecamere”, ha osservato Luzzatti, “senza recuperarle 10 .”»
Per tutta la durata dell’inchiesta l’opinione pubblica e lo stesso dottor Luzzatti,
non mancano occasione per fare risaltare l’importanza del recupero del relitto del
DC-9: l’unico modo per accertare le cause dell’incidente e le eventuali
responsabilità. Lo chiedono a gran voce anche i familiari delle vittime che, il 20
maggio del 1982 rivolgeranno un appello al Presidente della Repubblica, ai
Presidenti del Consiglio, della Camera e del Senato, ai ministri di Grazia e
Giustizia e della Difesa, nonché all’autorità giudiziaria ed a tre partiti: DC, PSI e
PCI. Luzzatti aggiunge che con il materiale di cui si disponeva, si è giunti ad un
notevole risultato: abbandonata definitivamente l’ipotesi del cedimento
strutturale, è stato stabilito con certezza che:
«Aerei di quel tipo non fanno scherzi improvvisi. La gente dovrebbe essere
rassicurata da questo punto di vista 11 .»
Il 5 novembre 1981, l’Accident Investigation Branch (AIB) invia alla
Commissione Luzzatti un documento (agli atti e regolarmente reperibile tra gli
10 ANSA, 19 agosto 1981.
11 ivi, 1 ottobre 1981.
42

allegati della perizia finale della suddetta Commissione, in lingua inglese) in cui
si dice che:
«On 3 and 4 November 1981 members of your Accident Commission made a
presentation to AIB of the evidence so far acquired in the course of your
investigation into this accident and you asked for our comments. These I give
below:
1_ The initial part of the flight proceeded normally to the assigned cruise flight
level.
2_ Whilst established in normal cruising flight the aircraft suffered a massive
structural break-up.
3_ There was no evidence of a mid-air collision.
4_ The metallic particles recovered from the bodies of the victims were not
characteristic of a break-up following an explosive decompression.
5_ There was no evidence of blast damage resulting from the detonation of
explosive material.
6_ Multiple high velocity penetration of cabin furnishings, particularly seat
cushions by small particles is a feature commonly associated with the detonation
of explosive devices within passenger cabin.
7_ This evidence is not found in cases of structural failure resulting from material
defects, structural overload or mid-air collisions.
8_ The Inex Andria DC9 which was involved in a mid-air collision over Zagreb,
Yugoslavia in 1975 was a case where, although a severe structural failure
occurred at the height of 33,000 ft, no evidence of high velocity penetration of
cabin furnishing was found.
I hope this comments will be of some use to you in your investigation and that
you find your visit to the United Kingdom beneficial.
Yours sincerely 12 .»
12 Requisitoria P.M., Parte prima cinque, I.16. Le perizie esplosivistiche.
43

La circostanza destinata ad imprimere una svolta all’inchiesta giudiziaria arriva
proprio in seguito a questa perizia. In seguito agli accertamenti svolti in
Inghilterra il magistrato Santacroce chiede al ministro dei Trasporti e
dell’Aviazione Civile, l’Onorevole Balzamo, di provvedere a localizzare e
recuperare dal fondo del mare il relitto del DC-9. Durante la loro visita presso
l’A.I.B. ed il R.A.R.D.E. inglesi, gli esperti si trovano d’accordo nell’escludere,
tra le ipotesi della sciagura, quella di una collisione in volo con un altro aereo o
quella di un cedimento strutturale delle paratie o di altre parti del velivolo per
cause spontanee o derivanti comunque dall’usura. Hanno invece concluso che
esistono elementi per accreditare la tesi di una esplosione, anche se, allo stato
delle indagini, non è possibile stabilire se essa sia avvenuta all’interno o
all’esterno dell’aereo.
Il 16 marzo 1982 la Commissione ministeriale d’inchiesta tecnica formale
consegna la relazione definitiva, mentre le analisi di laboratorio sui reperti del
DC-9 interessati da un’esplosione: esplosione che ormai risulta essere l’unica
causa possibile dell’incidente; sono ancora in corso. I risultati delle analisi
dovrebbero limitarsi ad accertare se tale esplosione è occorsa all’interno o
all’esterno della cabina dell’aeromobile. Le conclusioni sono all’unanimità. Al
rapporto sono allegati gli studi di due ditte italiane specializzate, contattate dalla
Commissione Luzzatti nel novembre del 1981: la “Sub Sea Oil Service” e la
”Marine Geophisical”, che considerano tecnicamente realizzabile
l’individuazione e l’esplorazione del relitto con telecamere o minisommergibili;
il costo delle operazioni viene stimato intorno ai 20 miliardi di lire.
«É risultato che l’aeromobile, dopo aver subito una “decompressione esplosiva”
è precipitato in mare. Non vi sono stati superstiti. […] L’aeromobile è andato
completamente distrutto. […] Un’area depressionaria situata sull’Europa centrale
dava origine ad una intensa circolazione d’aria sull’Italia centrale, da Ovest verso
Est/Nord-Est. […] Inesistenza di riporti di turbolenza […] La situazione delle
inefficienze (dei radiofari non attivi quella notte) era tale da non pregiudicare il
44

normale svolgimento del volo condotto. […] I registratori (Flight Data Recorder
e Cockpit Voice Recorder, entrambi ancora nei limiti dell’intervallo di ispezione)
non sono stati ritrovati. […] non risultano tracce d’incendio. […] (dalla relazione
presentata dalla Douglas, ditta costruttrice dell’aeromobile, risulta che) La
struttura dell’aeroplano ha ceduto in volo in un intervallo di tempo compreso tra
due battute radar consecutive (6 secondi o meno). […] La Commissione, data la
scarsità delle evidenze, ha ritenuto di fondamentale importanza l’analisi dei dati
radar ed a tale fine ha richiesto anche quelli della Difesa Territoriale. […] Mentre
i dati di Licola, non hanno fornito alcuna ulteriore notizia utile, i dati relativi a
Marsala, scaturendo da un sistema di registrazione automatica, avrebbero potuto
essere in grado di fornire più dettagli, necessari per un controllo incrociato
spaziale dei dati Selenia-Marconi. Per questo motivo la Commissione ha
giudicato insufficienti i dati forniti dall’A.M. (Aeronautica Militare) ed ha
richiesto la disponibilità dei dati originali. Con successivo atto di sequestro i
nastri sono stati consegnati alla Commissione che ha proceduto, di concerto con
l’A.G. (Autorità Giudiziaria) alla loro lettura. […] Si evidenzia infine che il
nastro principale della registrazione presenta un vuoto di registrazione (di otto
minuti) a partire da quattro minuti dopo l’incidente […]. Risulta, da un’ulteriore
indagine dell’A.G., che il cambio dei nastri è avvenuto per scopi di
dimostrazione ad un operatore della base. Dalle ricerche effettuate è risultato che
nel periodo di tempo e nell’area interessata nessun traffico conosciuto era stato
riportato.»
Tale relazione prosegue analizzando le varie ipotesi sostenute durante il corso
dell’inchiesta (cedimento strutturale spontaneo, collisione in volo, deflagrazione
da ordigno esplosivo all’interno della cabina, deflagrazione da ordigno esplosivo
all’esterno della cabina); nonché indicando le cause dell’incidente.
«Causa dell’incidente è stata la deflagrazione di un ordigno esplosivo. Al
momento non si è in grado di affermare se l’ordigno fosse stato collocato a bordo
prima della partenza ovvero provenisse dall’esterno dell’aeromobile. È possibile
45

che le ulteriori analisi di laboratorio permettano di individuare la natura
dell’ordigno esplosivo ed il suo relativo posizionamento al momento della
deflagrazione; in caso contrario l’unica strada ancora percorribile è quella di
tentare di localizzare e successivamente fotografare e\o recuperare i relitti. La
Commissione considerando i tempi necessari per eseguire dette analisi, 2/3 mesi,
e di tempi, ancora più lunghi, per l’eventuale localizzazione e recupero dei relitti,
per le quali operazioni si allegano a parte due studi, ha ritenuto doveroso
anticipare le conclusioni certe a cui è pervenuta, riservandosi di completarle non
appena in possesso di nuove evidenze 13 .»
3.9 “Delitto nel cielo”
Nonostante la relazione conclusiva della Commissione Luzzatti sia stata
depositata ed approvata all’unanimità dai membri della stessa; il 26 luglio 1982
la BBC manda in onda un servizio sulla strage di Ustica dal titolo “Murder in the
Sky”. Il titolo del servizio non lascia spazio a dubbi: Macidull, l’esperto
dell’NTSB che in precedenza aveva formalmente espresso la sua opinione
quando era stato chiamato dalla Commissione ad esprimere il suo giudizio in
merito alla sciagura; ribadisce che nei pressi del DC-9 c’era in volo un caccia
non identificato. Ne è convinto anche un altro esperto, che interviene nello stesso
servizio, John Transue. A detta di Transue, il caccia che ha abbattuto il DC-9
Itavia potrebbe essere un MiG 23 o un MiG 25 libico.
A questa trasmissione, che peraltro non è ancora stata trasmessa in Itala, segue
un’interrogazione, fatta al Presidente del Consiglio dai deputati Tripodi e
Servello, nella quale si chiede di sapere quali passi diplomatici il governo intende
compiere per accertare le responsabilità connesse a quanto reso di pubblica
ragione dalla radio inglese BBC, che ha accusato lo Stato libico di aver fatto
intenzionalmente colpire il DC-9 dell’Itavia. Viene chiesto inoltre, quali misure il
13 Relazione Commissione d’inchiesta tecnica formale Luzzatti, Roma, 16 marzo 1982.
46

governo intende prendere per evitare che il cielo italiano sia impunemente e
pericolosamente insidiato da consimili delittuosi imprese piratesche.
Precisamente un mese dopo, il 27 agosto 1982, un altro deputato si dedica al caso
Ustica rivolgendo al ministro dei trasporti un’altra interpellanza: il radicale
Franco Corleone. Il parlamentare premette che l’aereo fu abbattuto da un missile
aria-aria radiocomandato, partito da un aereo da caccia, e che l’unica ipotesi
possibile è l’attacco volontario con la precisa intenzione di abbattere l’aereo di
linea. Al fine di fare chiarezza sulla questione, sollecita le autorità competenti a
scoprire gli autori di tale azione e le ragioni che li avrebbero spinti ad agire in
questa maniera. Nella stessa giornata, il presidente della Commissione
d’inchiesta Carlo Luzzatti, ribadisce tramite un comunicato all’ANSA che gli
elementi che finora sono stati utilizzare per avvalorare la tesi dell’esplosione
esterna al velivolo, potrebbero essere altrettanto validi da fare ritenere che tale
esplosione si sia invece verificata all’interno della cabina passeggeri o di uno
degli ambienti dell’aeromobile. Vi sono precedenti in cui per esplosioni accertate
a bordo, si sono avuti gli stessi fenomeni riscontrati nel caso in questione: ovvero
il ritrovamento di parti appartenenti alla carlinga dell’aereo, nonché frammenti di
finestrini nei corpi dei passeggeri. Solo i risultati delle analisi chimico-fisiche sui
reperti, che sono ancora in corso presso il laboratorio dell’Aeronautica militare,
potrebbero determinare l’origine dell’esplosione e rendere perciò inutile il
recupero del relitto come ultimo mezzo per accertare la vera causa del disastro.
Queste analisi sono iniziate il 9 gennaio 1981 ed i risultati dovrebbero
conoscersi, a detta di Luzzatti, entro il mese di settembre dell’82.
In un’inchiesta che sembra tutt’altro che precisa, di preciso c’è soltanto una cosa:
il tempo. Quel tempo che dovrebbe servire a fare chiarezza e raggiungere
l’obiettivo comune della verità, ma che invece serve per insabbiarla
ulteriormente. Settembre arriva inesorabile ma dei risultati non c’è ancora
traccia; in compenso arriva in Italia quel servizio che, quando trasmesso in
Inghilterra aveva avuto una eco così vasta da spingere numerosi parlamentari
47

italiani ad approfondire la questione. Il servizio della BBC inglese “Murder in the
Sky” viene trasmesso in seconda serata, alle 22.45, con i titolo “Delitto nel
cielo”; per i servizi speciali del TG1 a cura di Bruno Vespa; e non tardano, anche
in questo caso, le reazioni. A parlare è sempre il dottor Luzzatti che dichiara che
«”Nessun esperto inglese o americano può affermare con assoluta sicurezza che
l’incidente del DC-9 Itavia del 27 giugno 1980 è stato causato da una bomba a
bordo o da un missile lanciato da un altro aereo (poiché pur essendo, la
trasmissione, giornalisticamente ben fatta; le tesi sostenute) non hanno alcun
riscontro su dati di fatto.” Il presidente della commissione ha inoltre contestato
fermamente l’affermazione fatta dal presidente dell’Ifalpa secondo cui due anni
sono troppi per un’inchiesta di questo genere. Secondi Luzzatti, “un incidente
con quello del DC-9 Itavia , con così pochi elementi a disposizione
dell’inchiesta, non si è mai verificato al mondo.” Luzzatti ha infine affermato che
si sta tentando di accelerare alcuni esami di laboratorio che potrebbero dire una
parola definitiva sulle cause dell’incidente 14 .»
Luzzatti non è il solo a nutrire perplessità sulle conclusioni affrettate degli esperti
Transue e Macidull. Il generale Romolo Mangani, dello Stato Maggiore
dell’Aeronautica militare, che all’epoca dei fatti era comandante del terzo centro
operativo regionale (ROC) di Martina Franca (ROC che ha tra le sue competenze
la sorveglianza dell’area interessata di Ustica), ritiene estremamente improbabile
che a tali quote (circa settemila metri) un aereo di qualsiasi nazionalità si avvicini
ad un aereo civile per abbatterlo, nella presunzione di non essere visto dal radar
di difesa aerea né in avvicinamento né in allontanamento; e che neppure una
traccia del missile, qualora fosse stato sganciato, venga ritrovata nei rottami
dell’aereo abbattuto o galleggi sul mare non è poi da considerarsi verosimile.
Finalmente dopo ben due anni di attesa, lasso di tempo che è servito a fare di
questo incidente un incidente “storico”; il 12 ottobre 1982 il ministro dei
Trasporti Vincenzo Balzamo presenta ai ministeri del Tesoro e del Bilancio,
14 ANSA, 14 settembre 1982.
48

nonché alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, un disegno legge (articolato in
tre punti) con il quale richiede di poter iniziare l’individuazione ed il recupero del
relitto dell’aereo. Passano le settimane, i mesi, gli anni; l’inchiesta si ferma a
quella richiesta di recupero del DC-9 che sembra essere irrealizzabile.
49

4. 18 luglio 1980. Il MIG 23 libico caduto in Calabria
4.1 I fatti
Il caso Ustica, soprattutto nei primi due anni dell’inchiesta, è vittima di
un’implacabile giostra mediatica; giornalisti ed esperti azzardano ipotesi di ogni
tipo, talvolta incuranti del responso della Commissione Luzzatti: dal cedimento
strutturale alla bomba a bordo, dall’ipotesi missile a quella della collisione in
volo con un velivolo militare. Tra i sostenitori dell’ipotesi del missile, si fa
sempre più vivo il sospetto che la caduta del MIG precipitato sui Monti della
Sila, in Calabria, il 18 luglio 1980, ed il disastro di Ustica siano correlati.
«Venerdì, 18 luglio 1980: Castelsilano Calabria. Addolorata Carchidi osserva il
volo di un aereo. Proviene da Belvedere di Spinello. Gira basso e si perde dietro
un’altura. Poi uno scoppio, un boato, il bagliore delle fiamme. Accade tra le
10.30 e le 11.00: ne è sicura, perché guarda un orologio da cucina collocato nel
vano della casa colonica che dà sull’aia. La donna corre verso Castelsilano per
dare l’allarme. Dopo quarantacinque minuti nota un secondo aereo che vola in
senso contrario. Non lo vede cadere.
Stessi attimi, altra prospettiva. Francesco Marano è invece un muratore. Sta
ristrutturando una casa a Castelsilano. La contrada Colimiti sta di fronte ai suoi
occhi. Alle 11.00 si sviluppa un incendio proprio in quella località. Prende ciò
che possiede e si reca a Colimiti.
Anche un pastore, Giuseppe Piccoli, vede un velivolo che vira di colpo per
evitare un costone.
Il ritrovamento del MIg 23 libico nell’agro di Castelsilano in località Colimiti
sulla Timpa delle Magare, avviene grazie a 3 persone che quel giorno vedono un
aereo: 3 testimoni oculari secondo quanto sostengono le forze dell’ordine e la
procura 15 .»
15 Biacchessi, D. Colarieti, F. Punto Condor. Ustica: il processo,cit. p.21.
50

La notizia della caduta del MIG 23, che in seguito verrà riconosciuto come
appartenente alla flotta aerea militare libica, arriva al Comando dei Carabinieri
alle 14.15 del 18 luglio 1980. Il relitto si trova in un profondo burrone. Il primo
ad arrivare sul luogo dell’incidente è il comandante della compagnia dei
carabinieri di Cirò Marina; subito dopo sopraggiungono il VPO della pretura di
Savelli, l’avvocato Michele Ruggiero, il dottor Francesco Scalise, l’ufficiale
sanitario di Castelsilano, e il maresciallo Salvatore Raimondi, comandante della
PG di Crotone. Prima dell’arrivo delle autorità competenti, i primi curiosi
arrivano sul luogo dello schianto per scattare delle fotografie. Lo fanno, da
quanto dichiarato dal dottor Scalise in sede di interrogatorio nel 1989, anche
alcuni amici dell’ufficiale sanitario durante l’autopsia sul corpo del pilota;
sfortunatamente tutti i rullini vengono sequestrati (e probabilmente distrutti)
quasi subito. Non si riuscirà a comprendere né il motivo dei sequestri né chi vi
abbia provveduto; rimane il fatto che non si avrà più alcuna notizia di questi
scatti. Alle 17.00, inizia l’ispezione del cadavere ad opera del dottor Scalise.
Arrivano, nel frattempo, il capitano Vincenzo Inzolia, comandante della
compagnia di Crotone, altri militari dell’arma, vigili del fuoco ed alcuni ufficiali
dell’Aeronautica. Si ritiene opportuno precisare che Inzolia non ha alcuna
competenza territoriale sul luogo del fatto, è singolare però che fosse lo stesso
ufficiale che la notte dell’incidente del DC-9 si era informato, apparentemente
senza motivo, sull’accaduto. Nel verbale di sopralluogo il dottor Scalise scrive
che il corpo del pilota si trova su una pietraia in forte pendenza con la testa a
monte, con le cinghie del paracadute legate al corpo e con i resti di un apparente
seggiolino a circa un metro di distanza. L’uomo è di colorito scuro, corporatura
robusta, 1.75 metri di altezza, capelli ondulati e baffi neri. Indossa una tuta da
pilota di colore grigio scuro lacerata in più parti, non porta scarpe né distintivi.
Il cadavere viene indicato in avanzato stato di decomposizione in un primo
tempo, ma nel corso della stessa perizia, lo stesso Scalise attesta che il cadavere è
“fresco”; qui cominciano le prime incongruenze: lo stesso gioco di versioni
51

discordanti e sparizioni di prove che caratterizza la storia del DC-9 Itavia. Poco
distante dal corpo del pilota viene ritrovato un casco di colore nero; è intriso di
sangue. La morte è da attribuire alla frattura cranica conseguente ad un urto
violento contro un corpo contundente duro. Il 19 luglio il vicepretore Savelli
rilascia il nullaosta al seppellimento della salma non ancora identificata. Il tutto
viene fatto con eccessiva fretta e lascia spazio a numerosi dubbi. Qualche giorno
dopo, la Forza Armata per messo del generale di squadra aerea De Paolis chiede
alla legione carabinieri di Catanzaro di considerare la possibilità di sottoporre ad
autopsia la salma del pilota. Il giudice Priore, anni dopo, noterà come sia
inconsueto che un atto di tale rilevanza sia stato compiuto su sollecitazione della
Forza Armata e non d’iniziativa della procura locale.
4.2 L’autopsia
Il 22 luglio viene disposta l’autopsia del cadavere, fissata per il giorno successivo
nella camera mortuaria del cimitero di Castelsilano. I professori Anselmo Zurlo,
primario di medicina legale e cardiologo, ed Erasmo Rondanelli, primario
patologo, effettueranno l’autopsia sul cadavere del pilota sotto la supervisione di
numerosi militari dell’Arma e dell’Aeronautica, dell’assistente dei periti Scerra e
del maresciallo dei carabinieri Lo Giacco. Il sostituto procuratore di Crotone
Francesco Brancaccio non dà inizio all’autopsia fino a quando non giunge con
l’elicottero un comandante in divisa, il generale di brigata Zeno Tascio, capo del
SIOS Aeronautica, ed un fotografo convocato dai Carabinieri di Crotone, che
scatta una ventina di fotografie a mano a mano che i reperti vengono evidenziati
dai due periti tenendoli con le pinze; anche queste fotografie non verranno mai
ritrovate. Entrambi richiedono ed ottengono la consegna di frammenti di cute per
ricavare le impronte digitali dell’uomo. Successivamente si verrà a conoscenza
dell’identità del pilota: si chiamava Ezzedin Fadah El Khalil, un mercenario
siriano di origine palestinese-ebraica. Rondanelli dichiarerà in seguito che, su
specifica richiesta del Procuratore e degli altri funzionari presenti quel giorno,
52

non era stato possibile effettuare una perizia completa sul cadavere (ovvero
procedere all’analisi degli organi interni e effettuare prelievi per gli esami
istologici), ma era stato richiesto di procedere ad una semplice ricognizione di
cadavere. Tale esigenza sarebbe stata dettata dalla necessità di riferire
telefonicamente, quanto prima possibile, i risultati dei rilievi alla procura della
Repubblica di Roma, che indaga sull’abbattimento del DC-9 di Ustica, e che ha
richiesto ogni notizia utile sulla caduta del MIG: con specifico riferimento
all’entità delle lesioni riportate del pilota. Il giorno successivo, il 23 luglio, i
periti scrivono che il cadavere si trovava in “avanzato stato di decomposizione,
con presenza di numerosi nidi di vermi”, ma in un secondo momento apportano
correzioni a mano indicando come avanzatissimo lo stato di decomposizione.
Questa correzione viene erroneamente interpretata come un atto dovuto per
amicizia nei confronti di Aldo Davanzali presidente dell’itavia da parte del
professor Zurlo. Anche in questo caso, come per la relazione del dottor Scalise,
alcune affermazioni dei due periti: affermazioni per altro frettolose e vaghe;
lasciano intendere che il cadavere fosse “fresco” all’epoca dei fatti e quindi
congruente con la data di rinvenimento del relitto. Subito dopo la consegna della
relazione, il 24 luglio, i due professori esprimono perplessità circa l’epoca della
morte del pilota; decidono quindi di redigere un supplemento alla perizia già
consegnata, dal titolo “Memoria aggiuntiva alla perizia autoptica eseguita in data
23 luglio 1980”. A detta dei due esperti la morte di quell’uomo risale ad almeno
quindici giorni prima dell’autopsia, proprio intorno al 27 giugno 1980, il giorno
dell’abbattimento del DC-9. I periti vengono convocati dal capitano Inzolia nella
sede della compagnia dei carabinieri di Crotone ed in seguito la memoria
aggiuntiva di Rondanelli e Zurlo sparisce.
«Zurlo ricorda di essere stato convocato da Inzolia e di essere andato alla
caserma dietro le pressioni di costui che aveva fatto presente, alla sua risposta di
non poter andare, che l’ufficiale che voleva vederlo era giunto appositamente in
aereo da Roma e che, sempre in aereo quella stessa sera, doveva ritornare a
53

Roma. Anche lui ricorda che l’uomo indossava un abito bianco, forse una divisa
estiva. I due periti incontrarono separatamente questa persona, giacché
raggiunsero la caserma in orari differenti. La persona giunta da Roma, che
appariva un ufficiale medico dell’Aeronautica, chiese chiarimenti sullo stato di
conservazione della salma, come se avesse avuto conoscenza del supplemento di
perizia presentato dopo il primo verbale e quindi come se fosse a conoscenza dei
dubbi che erano sopraggiunti dopo il deposito della prima perizia. Di fronte alle
perplessità di Zurlo gli esibì una foto a colori tipo polaroid del cadavere, nella
quale si notava il colore vermiglio del sangue fuoriuscito dalla salma che
bagnava il terreno sottostante. Il particolare del colore avrebbe deposto secondo
l’ufficiale a favore della tesi della morte recentissima del pilota. Sempre secondo
l’ufficiale quella fotografia era stata scattata al momento del ritrovamento del
cadavere. Zurlo obiettò, affermando che anche se la fotografia era stata scattata
di certo all’atto del ritrovamento del corpo, nulla provava che il rinvenimento era
avvenuto cinque giorni prima dell’esecuzione della perizia necroscopica, cioè
nulla provava la data in cui la fotografia era stata eseguita. L’ufficiale sorrise a
tale osservazione e l’incontro ebbe termine.
Inzolia non ricorda assolutamente l’episodio; non ricorda la convocazione in
caserma dei due periti, non ricorda ufficiali venuti appositamente da Roma in
aereo, che sarebbero ripartiti subito dopo l’incontro con i due professori; non
ricorda esibizioni di polaroid nel suo ufficio; non ricorda alcun signore vestito di
bianco; non ritiene che esistano divise bianche nelle forze di Polizia. Questo
atteggiamento dell’Inzolia è particolarmente grave. Egli palesemente intende
cancellare il ricordo del fatto, di cui è l’unico testimone. In effetti mai si sarebbe
potuti arrivare alla identificazione dell’ufficiale, se non si fosse trovata quasi
casualmente documentazione su quella missione. E ne sarebbe derivato un
ulteriore motivo di aggressione alla credibilità dei periti, sostenitori di una
convocazione e di un incontro, assolutamente non provati 16 .»
16 Conclusioni del Giudice Istruttore Rosario Priore sulla vicenda del MIG, 31 agosto 1999.
54

4.3 Il relitto e la salma vengono rimpatriati
Il relitto del MIG, a differenza di tutti i reperti fotografici ufficiali e non, non
verrà mai posto sotto sequestro. Il 26 luglio l’Ambasciata di Libia presso il
Governo italiano richiede, tramite un’impresa funebre romana, alla Prefettura di
Catanzaro “passaporto mortuario per espatrio di salma” del cittadino libico. La
Prefettura, a sua volta, richiede alla Procura della Repubblica il nulla osta a fini
di giustizia, che quest’Ufficio concede in giornata. Il rappresentante dell’impresa
di pompe funebri, Petrocchi Romano, preleva da Castelsilano la bara del libico
per il trasporto a Roma, da dove partirà in aereo verso la Libia. Il cadavere si
presenta in avanzatissimo stato di putrefazione; è “pieno di vermi dappertutto”. A
Ciampino ci sono diversi ufficiali dell’Aeronautica Militare e dei Carabinieri
oltre a funzionari dell’Ambasciata della Jamahirija. Un capitano dei Carabinieri
chiama in disparte Petrocchi per chiedergli se i paracadute fossero uno o due.
Questi non è però in grado di precisarlo, perché nella cassa c’è solo un telo e tanti
stracci, così tanti che è stato costretto a comprimere con forza questo ammasso di
stoffa sul cadavere per chiudere il coperchio della bara. Alla salma vengono resi
persino gli onori militari. Il costo del trasporto viene inserito in un conto di altri
trasporti effettuati, ammontante a ben 36.000.000 di lire. Quel conto non verrà
mai pagato dalla Jamahirija. L’impresa riuscirà a recuperare solo la metà della
somma dal nostro Ministero degli Affari Esteri. Sul relitto dell’aereo, come detto
precedentemente, non è mai stato posto alcun vincolo di sequestro da parte
dell’Autorità Giudiziaria di Crotone. Il Pubblico Ministero richiede quindi
l’archiviazione il 29 luglio 1980 ed il 31 luglio il Giudice Inquirente emette il
decreto, non essendo emerse responsabilità a carico di alcuno. Il 4 agosto dello
stesso anno i rottami dell’aereo vengono restituiti.
55

4.4 La Commissione d’indagine mista sull’incidente
Cessa l’interesse della giustizia al caso, ma altri organi dello Stato ed anche di
altri Paesi seguono il fatto, e non perdono mai interesse per esso. L’Arma dei
Carabinieri, l’Arma Aeronautica e la Commissione mista costituita per effetto di
accordo tra il suo Stato Maggiore e l’Ambasciata libica in Italia, il S.I.S.MI, il
Ministero degli Affari Esteri e l’Ambasciata d’Italia in Libia, le Autorità libiche,
i Servizi di Paesi alleati ed amici.
A pochissimi giorni dal rinvenimento dell’aereo viene costituita una
Commissione d’indagine mista sull’incidente, cioè di militari italiani e libici. Per
parte italiana il colonnello Sandro Ferracuti, del 36° Stormo, in qualità di
presidente; il tenente colonnello pilota Enzo Somaini di Stataereo; il tenente
colonnello Alberto Grassini di Aerispelog, sostituito l’indomani dal maggiore
Massimo Magistrelli, Capo Sezione degli Affari Giuridici e funzionario del 5°
ufficio del 5° Reparto dello SMA; il colonnello CSA Ferdinando Monesi, di
Ricercaereo; il capitano pilota Pasquale Preziosa del 36° Aerostormo; il capitano
del Genio Aeronautico Claudio Scura. Membri libici: il tenente colonnello
Mahmud Eltuhami, esperto tecnico; il tenente colonnello pilota Ashur Murik,
esperto tecnico; il maggiore Faez Abdul Baki, esperto tecnico, il capitano
ingegnere Abdul Gialil El Warfalli, esperto tecnico. Alla Commissione viene
affidato il compito di stabilire le cause che hanno determinato l’incidente. La
Commissione effettua la prima riunione e il sopralluogo nella zona dell’incidente
lo stesso 24 luglio, data del telegramma. Tiene riunioni il 25, 26, 28, 29, 30, 31
luglio, il 1°, 20, 21 e 22 agosto. A conclusione redige una relazione dal titolo
“Documentazione Tecnico Formale. Incivolo velivolo libico MiG23 MS. 18
luglio 1980 - Cap. Pil. Ezzeden Khalil. Timpa delle Megere presso Castelsilano
(CZ)”, in due volumi, sottoscritti da tutti i membri italiani e da un solo membro
libico, il capo delegazione, Mahmoud El Tuhami. L’ultimo capitolo contiene le
conclusioni.
56

«Il pilota decollato per una normale esercitazione ad alta quota (in territorio
libico) […] ha mostrato i primi segni di comportamento anomalo, perdendo una
grande quantità di quota inspiegabilmente; è quindi risalito ed ha proseguito la
navigazione, (successivamente) si è verificato il secondo inconveniente (nuova
perdita di quota, anche se di entità minore alla precedente). […] Il pilota ha
mostrato altri inconvenienti, quali navigazione scorretta ed alternanza di risposte
corrette e risposte incoerenti alle chiamate radio, culminanti nel silenzio […]. Il
pilota successivamente non è più intervenuto sui comandi, […] l’autopilota ha
mantenuto il velivolo alla quota selezionata inizialmente. […] successivamente il
velivolo ha perso quota e velocità fino all’impatto (tale fase non è registrata sul
“flight data recorder”) […] Il velivolo lasciato il territorio libico, è entrato nello
spazio aereo italiano senza contattarne gli enti di controllo […]. Il fattore cui, con
ogni probabilità, va ascritta la causa prima dell’incidente in oggetto, è la
progressiva perdita di coscienza da parte del pilota. Tale perdita di coscienza può
essere genericamente attribuita ad un’azione patologica di natura non meglio
precisabile. Il “flame-out” e la conseguente caduta del velivolo, sono stati
naturalmente causati dall’esaurimento del combustibile, al termine
dell’autonomia di volo.
Sul cadavere, in avanzato stato di decomposizione, sono state riscontrate ampie
mutilazioni traumatiche, fratture ossee multiple ed, in particolare, distruzione del
capo e del massiccio facciale con assenza della massa encefalica. Viene meno
pertanto il contributo che accertamenti istochimici e tossicologici su opportuni
frammenti di tale organo avrebbero potuto apportare all’ipotesi di fattori fisio-
patologici dell’incidente legati al volo 17 .»
Le carte ufficiali dunque, quelle che non spariscono, puntano all’ipotesi del
malore del pilota e allo spegnimento del motore in territorio italiano per
esaurimento del combustibile. Sembrerebbe da escludere l’ipotesi di un tentativo
di lancio. I libici sostengono che si tratta di un volo di addestramento Bengasi-
17 Documentazione Tecnico Formale Incivolo velivolo libico MiG 23-MS 18 luglio 1980 – Cap. Pil. EZZEDEN Khalil
– Timpa delle Megere presso Castelsilano (CZ).
57

Marsa el Brega-Bengasi: il pilota si sente male, inserisce il pilota automatico,
esaurisce il carburante e finisce in Calabria. Questa versione viene accettata
all’unanimità anche dai periti italiani; ma il 18 luglio è periodo di Ramadan, che
significa obbligo di digiuno totale, con attività di addestramento dei piloti assai
ridotte. Venerdì è giorno di festa e, come sottolineerà il giudice Rosario Priore
diversi anni più tardi, l’ipotesi di un’esercitazione è perlopiù inattendibile.
Nonostante ciò il caso viene archiviato e giudicato come evento del tutto estraneo
all’incidente di Ustica.
4.5 Rosario Priore indaga sul MIG nell’ambito dell’inchiesta del DC-9
Circa dieci anni dopo: il giudice Rosario Priore, al quale è stata affidata
l’inchiesta sull’abbattimento del DC-9 Itavia, telefona al professor Carlo
Casarosa chiedendogli di far parte di un collegio per l’esame del problema del
MIG 23; poiché detto incidente è stato, nel corso di quei dieci anni, più volte
collegato all’incidente di Ustica. Priore necessita di un collegio agile e
competente, composto da non più di tre persone; ed affida a Casarosa il compito
di individuare e convocare gli altri due membri del collegio, scegliendoli in base
alle loro esperienze pregresse. Casarosa indica il professor Enzo Dalle Mese,
esperto radarista, e l’esperto di teste di guerra tedesco Manfred Held. I tre
ricevono la documentazione relativa al ritrovamento del MIG 23, con i rispettivi
allegati e si dirigono, qualche giorno dopo, sul luogo dell’avvenimento. Negli
stessi giorni l’Aeronautica Militare costituisce un collegio di parte per seguire i
lavori del collegio del giudice, mentre la parte civile (costituita dai parenti delle
vittime e da Davanzali in rappresentanza della compagnia Itavia) conferma il
collegio già nominato. Il collegio si mette subito all’opera e nota, dalla lettura dei
documenti tecnici dell’incidente, che di tecnico in quelle relazioni, c’è davvero
poco. Non veniva riportato alcun dato tecnico del velivolo, e l’ipotesi di rotta
seguita dal MIG 23 per raggiungere le coste italiane, era stata assunta come dato
di fatto senza eseguire i controlli del caso. Le autorità libiche avevano fornito i
58

diagrammi di taratura per la decodifica dei dati del Flight Data Recorder del MIG
23, ma nessuna decodifica era stata mai effettuata. Sulle testimonianze di
avvistamento, tra loro contraddittorie, non era stata fatta alcuna analisi critica.
Inoltre stando a quanto riportato nei documenti ufficiali, il cadavere del pilota era
completamente depezzato, ciò nonostante, sul terreno dove si trovava il corpo,
non fu rinvenuta alcuna traccia significativa di sangue. La cosa era apparsa così
strana che fu riportata esplicitamente sul verbale di ritrovamento redatto dai
Carabinieri. Insomma, i risultati esposti nella relazione della Commissione italo-
libica andavano esaminati con grande attenzione.
Giunti sul luogo dell’incidente, fotografie ufficiali alla mano, gli esperti notano
che i danni sul relitto sono molto più compatibili con un impatto di tipo ventrale,
piuttosto che frontale, come sostenuto dal collegio misto dieci anni prima. La
roccia che costituisce il costone è molto friabile, tuttavia, sul costone interessato
dall’incidente non si rilevava e non si rileva alcun segno di impatto; quindi il
velivolo doveva aver impattato con il terreno nel punto esatto del rinvenimento
del relitto, con una traiettoria di caduta molto ripida. Lo spegnimento del motore
doveva essersi verificato immediatamente prima dello schianto.
Nella relazione della commissione mista erano comprese anche le dichiarazioni
di tre testimoni che la sera dell’incidente del DC-9, verso le 21.00 del 27 giugno
1980, avevano osservato tre velivoli che, provenienti dal mare, più precisamente
da dove si era persa la traccia dell’aereo civile, si erano diretti verso l’interno
della Calabria, in direzione della Sila. I tre testimoni non si conoscevano e non
avevano avuto modo di confrontare le loro opinioni, ma era impressionante
notare come avessero descritto con estrema precisione lo stesso evento, visto da
tre angolazioni diverse. Un’altra testimonianza di rilievo, che però all’epoca era
stata ritenuta evidentemente di poco conto, fu quella del responsabile
dell’aeroporto di Crotone, che riferì di essere stato allertato la sera del 27 giugno
1980 da appartenenti all’arma dei Carabinieri per accendere le luci di pista.
59

L’aeroporto avrebbe dovuto accogliere elicotteri del Soccorso Aereo provenienti
da Martina Franca in zona San Giovanni in Fiore, nei pressi della Sila.
«L’episodio era inquietante perché dai documenti risultava che l’unica traccia
persa quella sera apparteneva al DC-9. La traccia era stata persa in mezzo al mare
Mediterraneo, ben distante da San Giovanni in Fiore. A chi si riferiva quindi
questa ulteriore traccia perduta? Quanti velivoli erano caduti la sera del 27
giugno 1980? […] Prendendo come riferimento i dati riportati nel documento
della commissione italo-libica, viene di conseguenza che il MIG non avrebbe
potuto compiere la missione ipotizzata 18 .»
4.6 Le conclusioni di Casarosa, Dalle Mese e Held, sul MIG libico
Secondo le indagini dei tre periti è impossibile affermare che il MIG 23 avesse
effettuato la missione ipotizzata nel documento della commissione in quanto
incompatibile con la quantità di carburante presente nei serbatoi al decollo e con i
consumi durante il volo. Anche le analisi radaristiche di Dalle Mese evidenziano
alcune incongruenze con quanto riportato dalla commissione mista. La traccia
analizzata dall’esperto, attribuita al MIG 23, non è congruente con la traiettoria
che avrebbe dovuto percorrere lo stesso sotto il controllo dell’autopilota. Inoltre
solo alcuni dei punti della traccia sono reali, gli altri sono stati introdotti
manualmente dall’operatore, attraverso interventi sulla consolle di comando.
Dalle analisi di Held emerge invece che l’esame di alcuni apparati interni del
MIG (i pochi frammenti trattenuti in Italia nello stesso hangar che conteneva i
resti del DC-9 Itavia) mostrano segni di impatto di frammenti di testa di guerra di
missile. Un altro reperto, invece, costituito da una specie di serbatoio non meglio
identificabile, presenta tracce di impatto di proiettili. Quando, saputi i risultati
delle ricerche del collegio Casarosa-Dalle Mese-Held, il giudice Priore riferisce
quanto scoperto dagli esperti ai consulenti di parte, la reazione è immediata e
violenta. L’operato e le competenze dei tecnici vengono messi in dubbio e
18 Casarosa, C. Ustica. Storia di un indagine, Pisa, Edizioni Plus-Pisa University Press, 2006, p.69.
60

qualche tempo dopo i consulenti di parte formalizzano le loro critiche
depositando un apposito documento presso gli uffici del giudice Priore. Le
critiche sono incentrate sul concetto che la scatole nera del MIG è uno strumento
molto delicato e che per ricavare ed interpretare i dati registrati occorre una
grande esperienza che, secondo i consulenti di parte, i tre esperti non hanno. Le
loro letture dei dati sono inesatte e presto i collegio provvederà a fornire la
riprova di quanto affermato in precedenza, per mezzo di fonti più competenti in
materia. Presso il centro di ricerca di Manching vicino Monaco, è presente un
esemplare di MIG 23 che è utilizzato a scopo di studio. Così i tre periti si recano
in loco per effettuare tutte le verifiche necessarie. La decodifica dei dati
effettuata da Held, Casarosa e Dalle Mese viene giudicata corretta; il responso
viene messo per iscritto. I tecnici tedeschi informano il collegio che un attrezzato
cento di manutenzione per MIG si trova presso il “Flugzeugwerft Dresden” di
Dresda, nella ex DDR. Questo centro è munito di un laboratorio per la decodifica
dei dati degli FDR (Flight Data Recorder) del MIG; da questi esperti il collegio
potrebbe ricevere un’ulteriore conferma di quanto da loro sostenuto. Il muro di
Berlino è caduto da poco, sancendo la fine della Guerra Fredda; l’incontro con i
tecnici del Flugzeugwerft Dresden, dovrebbe essere facilmente realizzabile.
Nonostante l’opposizione, da parte dei consulenti di parte, a questa iniziativa
ritenuta inutile, il giudice Priore si attiva per una rogatoria internazionale a
Dresda, ma le autorità competenti non autorizzano la missione. I tecnici chiedono
il permesso di recarsi comunque a Dresda come turisti, in forma non ufficiale.
Durante il viaggio la delegazione italo-tedesca viene ricevuta da tre operatori del
centro di Flugzeugwerft Dresden, tutti conoscitori del MIG 23 ma molto poco
collaborativi, almeno inizialmente. Alla fine della visita tutte le supposizioni dei
tre periti vengono ritenute per l’ennesima volta corrette; in più a Casarosa, Held e
Dalle Mese viene consegnato un FDR non più idoneo al volo sul quale poter
svolgere ulteriori analisi. I periti lo portano in Italia per sottoporlo all’attenzione
61

del giudice e mostrargli la fondatezza delle ipotesi da loro formulate in
precedenza.
4.7 I dati radar forniti alle autorità giudiziarie sono dei falsi
Dai sopralluoghi effettuati in Germania emerge fondamentalmente che la
pellicola di cui sono in possesso i tecnici del collegio, molto probabilmente non è
l’originale estratto dal relitto del MIG, ma una copia riprodotta su pellicola
Kodak da macchina fotografica. La pellicola di cui dispongono presenta molte,
troppe anomalie e parti mancanti o sostituite in seguito. Nella relazione della
commissione italo-libica si legge che verso la fine del volo la pellicola del Flight
Data Recorder si è incastrata producendo tracce sovrapposte e confuse. Dalle
ricerche effettuate in Germania, nonché da quanto si può notare dal reperto
consegnato dagli esperti tedeschi a quelli italiani; il nastro non si sarebbe mai
potuto incastrare, poiché non ruota su dei rocchetti come dichiarato dai membri
della commissioni italo-libica. La pellicola, una volta finita, esce
automaticamente dalla fessura di vincolo. Da questo deriva che la commissione
che ha redatto questa parte della relazione non aveva neppure visionato l’FRD
del MIG caduto.
4.8 Critiche all’operato di Casarosa, Dalle Mese e Held
Agli inizi del terzo anno di attività intorno al caso Ustica, la commissione
peritale, chiamata a rispondere ai quesiti posti dal giudice Priore sul MIG 23
libico, consegna la sua relazione finale. La replica dei consulenti di parte giunge
immediata. Essi sostengono stavolta che ad essere sbagliate non sono più le
letture dei dati del Flight Data Recorder, ma direttamente i diagrammi di taratura
forniti dalle autorità libiche. Forniscono perciò un altro diagramma di taratura,
appositamente studiato per essere utile ad avvalorare la tesi che quanto appena
affermato dalla commissione Casarosa-Held-Dalle Mese è inesatto. Secondo loro
62

i dati contenuti nella relazione della commissione italo-libica sono da ritenersi
approssimati e per rendere possibile la missione dichiarata vanno
opportunamente adeguati.
«Il quesito a noi posto dal giudice era se, prendendo come riferimento i dati della
relazione italo-libica, la missione fosse stata possibile. Sulla base di essi la
commissione italo-libica aveva ritenuto la cosa possibile, mentre noi avevamo
dato risposta negativa. Era ovvio che modificando opportunamente i dati iniziali,
come ad esempio la quantità di carburante nei serbatoi al momento del decollo o
la lunghezza della tratta di volo all’interno del territorio libico, si sarebbe potuto
ottenere qualsiasi tipo di missione! Molto più difficile fu controbattere l’accusa
che avessi sbagliato i calcoli per la valutazione delle polari del velivolo. A questo
proposito fu impiegata una collaudata e ben nota tecnica di disinformazione
consistente nel presentare un enorme mole di dati in modo da rendere difficoltoso
orientarsi e trarre da essi una qualche conclusione. […] I dati delle tabelle (quelle
fornite dai consulenti di parte) erano inequivocabilmente sbagliati! Erano invece
da ritenersi corretti quelli da me valutati. […] All’inizio dell’autunno fummo in
grado di depositare presso il giudice le nostre controdeduzioni alle quali i
consulenti di parte non fornirono repliche di rilievo. La perizia MIG poteva così
ritenersi conclusa. […] Alla fine del lavoro facemmo presente al giudice Priore le
difficoltà con le quali ci eravamo scontrati, che derivavano sia dalla difficoltà del
problema sia, e principalmente, dalla situazione di forte contrasto con i periti di
parte i quali spesso presentavano, a sostegno delle loro ipotesi, documenti
emanati dallo Stato Maggiore dell’Aeronautica Militare e documenti emanati dal
Comitato per Ustica, che richiedevano opportuni controlli. La nostra sensazione,
condivisa dal giudice (Rosario Priore) fu che intorno al caso MIG si fosse creata
una barriera protettiva per difendere ad oltranza l’ipotesi della commissione
italo-libica, anche contro le più plateali evidenze contrarie, arrivando anche a
manipolare dati ormai consolidati. […] A conforto di quanto da noi sostenuto
nella relazione e alla conclusione di tutto il lavoro, il giudice Priore ritenne
63

“umano” sollevarci dal nostro stato di disagio mettendoci al corrente che indagini
giudiziarie e sequestri di materiale avevano messo in evidenza che la caduta del
MIG non si era verificata nel giorno riportato nella documentazione ufficiale (18
luglio 1980), ma doveva collocarsi in un periodo anteriore, anche se non
precisamente definibile. Era chiaro quindi che il MIG non aveva effettuato la
missione indicata nel documento della commissione italo-libica e pertanto le
nostre analisi erano sostanzialmente corrette. […] Se il velivolo non era caduto
quel giorno allora certamente quel giorno ci fu una simulazione di incidente per
accreditarne la data. […] In questo contesto andava poi inserito l’episodio
dell’allertamento dell’aeroporto vicino a Crotone da parte di funzionari
appartenenti ai servizi per la perdita di un velivolo la sera dell’incidente al DC-9,
non nel Mediterraneo, ma sui monti della Calabria che nei giorni successivi
furono oggetto anche di ricognizioni con elicottero. Fu detto poi che queste
ricognizioni erano state effettuate per identificare depositi di auto rubate. […]
Non si poteva non pensare che, probabilmente, la presenza del relitto del MIG sui
Monti della Sila, grossomodo alla stessa latitudine alla quale era caduto il DC-9,
poteva essere una delle chiavi interpretative per decifrare l’incidente al velivolo
Itavia 19 .»
4.9 Relazione conclusiva del giudice Rosario Priore sul caso del MIG
Nella sua relazione conclusiva datata 31 agosto 1999, il giudice Priore riporta la
serie di difficoltà con cui si è dovuto confrontare nel corso dell’inchiesta relativa
al MIG 23 libico; con particolare riferimento alla reticenza dimostrata dai
funzionari del S.I.S.M.I. e del SIOS. Priore afferma che la ricostruzione di
quanto accaduto sui Monti della Sila, come quella del DC-9 Itavia, è stata
difficile; il ritardo e l’omissione della trasmissione di documenti custoditi agli atti
del Servizio, hanno contribuito ad infittire il mistero attorno alla vicenda del
MIG. L’Autorità Giudiziaria chiede più volte ai Sevizi di consegnare tutti i dati
19 Casarosa, C. Ustica. Storia di un indagine, cit., pp.119, 120, 121.
64

elativi ai fatti del 18 luglio: una prima volta nel 1991, ed ancora nel 1993. Solo
il 20 aprile 1995 si è entrati in possesso, sequestrandoli, di tutti i documenti celati
negli archivi del S.I.S.M.I. Come si è già avuto modo di specificare, si è a lungo
pensato che i due eventi: quello del DC-9 Itavia il 27 giugno 1980, e quello del
MIG libico il 18 luglio dello stesso anno, fossero collegati. Tale connessione è
stata riscontrata più e più volte: in riferimenti documentali nei quali la caduta del
velivolo libico viene indicata come avvenuta nel giugno 1980; ma anche nella
testimonianza del colonnello Milani del S.I.S.M.I. che ha dichiarato di aver
tradotto e sottratto dall’ufficio del generale Zeno Tascio una lettera, rinvenuta
indosso al pilota libico, nella quale lo stesso pilota esprimeva una sorta di
pentimento per aver abbattuto un velivolo civile italiano. Lo stesso Tascio scrive
sulla sua agenda, in data 28 luglio 1980, una nota in cui i due disastri aerei sono
chiaramente messi in connessione tra loro; i due incidenti vengono nuovamente
accostati nella trasmissione dei dati radar del MIG libico, da parte del Centro CS
di Bari, con una missiva ad oggetto “Incidente DC9 Itavia”. I vertici del
S.I.S.M.I. smentiscono sistematicamente e categoricamente che ci sia un legame
tra la vicenda di Ustica e la caduta del MIG libico; tuttavia dalla cartella,
prelevata dagli archivi dei Servizi, relativa all’anno 1980 contenente il carteggio
sull’incidente di Ustica, è stata rinvenuta una sottocartella contenente anche
copie di documenti concernenti il MIG libico.
«Le deposizioni degli ufficiali del S.I.S.M.I. che nel tempo sono stati sentiti sulla
vicenda, non hanno concorso alla ricostruzione dei fatti; anzi, con i loro silenzi e
solo parziali ammissioni hanno contribuito, invece, a render difficoltoso e arduo
il progresso dell’inchiesta. Per tale ragione alcuni di loro come si è già fatto
cenno, sono stati raggiunti da comunicazione giudiziaria. In un contesto di
generale reticenza hanno mentito su circostanze di notevole importanza 20 .»
Il capitano Masci, figura centrale della vicenda, asserisce che l’incarico di essersi
recato sul posto di caduta del MIG gli era stato dato dai colleghi della sua
20 Conclusioni del Giudice Istruttore Rosario Priore sulla vicenda del MIG, 31 agosto 1999, p.4160.
65

Sezione; asserisce che la trasmissione dei dati relativi al MIG libico con missiva
ad oggetto DC9 Itavia del Centro CS di Bari, era da ricondurre ad un mero errore
nell’oggetto; come allo stesso modo sarebbe stato mero errore l’apposizione del
14 luglio 1980 come data di caduta del velivolo nel documento del 31 luglio
1980.
Il generale Notarnicola ha negato di aver disposto l’acquisizione a Martina
Franca dei dati del MIG libico nel contesto di un accertamento concernente la
vicenda del DC9 Itavia; ha negato di essere stato a conoscenza che il capitano
Masci si fosse recato sul luogo di caduta del MIG e che su questa missione
avesse anche riferito. Ha negato di avere avuto rapporti diretti con il generale
Tascio e di aver parlato con quest’ultimo in relazione alla connessione tra i due
eventi; ha negato di aver inviato il tenente colonnello Alloro dal generale Tascio
per la consegna dell’appunto sulle informazioni apprese dal capitano Masci al
riguardo della caduta del MIG libico.
Altra testimonianza che merita di essere citata è quella del generale Giuseppe
D’Ambrosio, che nel periodo di interesse ricopriva il delicato incarico di Vice
Direttore Operativo del S.I.S.M.I. Tali dichiarazioni vanno citate perché
costituiscono uno spaccato di reticenza, di falsità, di totale assenza di spirito di
collaborazione con l’Autorità Giudiziaria. E ciò é ancor più grave perché questo
atteggiamento di chiusura proviene da un ufficiale generale che ha ricoperto alti
incarichi in seno agli organismi istituzionali del Paese. D’Ambrosio, dopo aver
premesso di non essersi mai occupato né della vicenda di Ustica né di quella del
MIG libico, afferma di essere stato trasferito il 24 giugno 80 al S.I.S.M.I. con
l’incarico di consulente del generale Santovito, mantenendo l’incarico di
assistente al ministro della Difesa per le relazioni internazionali. Dal 1° di
novembre del 1980 al 2 di novembre del 1981 ricoprì l’incarico di vice direttore
operativo. Nessuna spiegazione ha saputo dare, lui che asserisce di non essersi
mai occupato della vicenda del MIG libico, al fatto che il suo nominativo e
relativa utenza telefonica fossero inseriti in un appunto apposto sulla copertina
66

interna del fascicolo relativo al MIG libico acquisito allo Stato Maggiore del
S.I.S.M.I. D’Ambrosio afferma soltanto: “Non so spiegarmi come sia stato messo
il mio recapito telefonico in questa lista. Ritengo che io sia stato messo in un
certo senso automaticamente, per chiamate in caso di mancato reperimento del
Direttore.”
Il generale Tascio, capo del SIOS all’epoca, raggiunse il luogo dello schianto del
MIG libico una prima volta lo stesso 18 luglio 1980 su ordine verbale del
Sottocapo di SMA, una seconda volta il 22 successivo; entrambe le volte allo
scopo di acquisizione di dati tecnici.
Sull’affare viene esaminato anche il Capo della Stazione CIA a Roma in carica
all’epoca. Clarridge che dichiara di essere stato avvisato personalmente a mezzo
telefono dal generale Tascio. Costui lo chiamò e lo invitò al suo quartier
generale; qui gli riferì che un MiG23 libico era caduto in Calabria e gli chiese
l’intervento di personale sul luogo per l’esame del velivolo. Quando ricevette
quell’informazione e questa richiesta, sulla stampa e gli altri mass-media non era
ancora apparsa la notizia. Di questo è sicuro, perché altrimenti lo avrebbe
immediatamente saputo, e se l’avesse saputo, avrebbe chiesto direttamente al
S.I.S.M.I. le informazioni precise, giacché, specifica, “ovviamente la caduta di
un MiG23 libico non è una cosa che succede tutti i giorni”. Non chiese però,
dopo l’informazione, conferma al S.I.S.M.I, poiché ebbe la sensazione che
Tascio non volesse che quel Servizio fosse ancora informato in quel momento.
Clarridge si è poi soffermato sul carattere di urgenza della richiesta di Tascio.
Tra tale richiesta e l’arrivo del team richiesto da Tascio per analizzare il relitto, ci
fu una settimana o più di una settimana. Nella richiesta c’era un senso di urgenza,
poiché i libici avevano chiesto la restituzione del velivolo e secondo la sua
sensazione Tascio era sotto pressione. Su questa affermazione Clarridge appare
sicuro, era stata compiuta in un tempo nel quale ancora nulla era apparso sui
media. Non ricorda se i suoi uomini gli riferirono di aver visto un documento di
67

identità del pilota; ricorda però che Tascio conosceva il suo nome, ma non sa da
dove fosse stato rilevato.
Anche l’Esercito fu impegnato nella vicenda; e precisamente nella vigilanza del
relitto. Del fatto non si fa menzione in alcun rapporto; solo alcune fotografie
apparse sulla stampa mostrano immagini di militari con il basco. La vicenda
emerge in un articolo apparso sul quotidiano “La Repubblica” del 2 novembre 90
dal titolo “Ho fatto la guardia al MIG libico”, di Sergi Pantaleone. In questo
articolo un ex soldato, tale Di Benedetto Filippo (la cui identità non è stata resa
nota nell’immediato poiché il giovane era impaurito e sotto una sorta di shock
emotivo) di leva in servizio nel 1980 in una caserma di Cosenza, dichiara che
quell’aereo era stato abbattuto in Calabria lo stesso giorno in cui il DC9 Itavia si
era inabissato al largo di Ustica, e che egli aveva montato la guardia al cadavere
del pilota e ai rottami per tre giorni alla fine di quel mese di giugno, precisamente
a partire dall’alba del 28. Di Benedetto aveva iniziato il servizio militare il 1°
agosto 1979 ed era stato congedato il 1° agosto 1980. Ricorda di aver montato la
guardia al relitto del MiG23, ma è sicuro di averlo fatto prima del 18 luglio 1980.
Nel giugno di quell’anno era candidato alle elezioni amministrative che si
tennero nella prima metà del mese, ed aveva usufruito in qualità di candidato del
permesso di un mese. Era ritornato pochi giorni prima di congedarsi. Per queste
ragioni era sicuro di non essere stato in servizio il 18 luglio.
L’aereo, dichiara, appariva intatto e con la prua a Sud. Il pilota era un bianco e
cioè non era di carnagione olivastra “come un marocchino”. Racconta inoltre le
vicende del servizio di quella mattina. I soldati riuscirono a trovare, il luogo di
destinazione a seguito di diversi tentativi. Sul posto non c’era nessuno, né altri
militari né curiosi. Quando rientrarono in caserma a Cosenza, gli ufficiali dissero
ai militari che “non avevano visto niente”, cioè ingiunsero di dimenticare ogni
cosa. Il velivolo era a mezza altezza della gola, e non a valle come dichiarato nei
rapporti ufficiali. Appariva integro, cioè non spaccato in più parti. Di Benedetto
riuscì a vedere il pilota, che era seduto al posto di guida “accasciato sui comandi
68

... sembrava un fantoccio”. Il giorno dopo il cadavere non era più sul luogo. Di
Benedetto chiese informazioni sul fatto agli ufficiali e gli fu risposto di non
preoccuparsi “perché era tutto a posto”. Nel frattempo erano intervenuti altri
militari a bordo di una macchina militare americana. Di Benedetto, che non
aveva mai collegato in precedenza la caduta del MIG con quella del DC9 Itavia,
ha ricordato che del MIG si parlò sulla stampa diversi giorni dopo la loro
missione di guardia. Costui non è il solo a ricordare questo “particolare”: buona
parte dei suoi compagni di leva ha ricordato che il fatto avvenne nella prima
quindicina di luglio, nei trenta giorni a cavallo tra giugno e luglio, tra fine giugno
e i primi di luglio.
La relazione, contente le conclusioni del giudice istruttore Rosario Priore, in
merito alla vicenda del MIG libico rinvenuto sui Monti della Sila in data 18
luglio 1980, si inserisce in quella decisamente più ampia relativa ai fatti di
Ustica, e consta di 442 pagine. Al termine di un’attenta analisi dei dati rinvenuti
e delle innumerevoli testimonianze raccolte in anni e anni di indagini parallele a
quelle sull’abbattimento del DC-9 Itavia nel cielo di Ustica; il giudice tira le
somme in cinque pagine di conclusioni, che indicano che:
«In conclusione si deve dire che più sono gli elementi di prova che quel MiG23
cadde in tempo ed occasione diversi da quelli prospettati nella versione ufficiale.
Che questa versione fu generata da una obbiettiva coincidenza d’interessi di tutte
le parti, soggetti attivi e passivi, dell’operazione, spettatori e manovratori. Tutti,
chi per un verso chi per l’altro, avevano interesse a coprire la realtà dei fatti. […]
Non è affatto sostenibile, come pure s’è sostenuto, che il differimento della
scoperta ufficiale derivasse da esigenze di intelligence per favorire l’alleato
maggiore. Gli Stati Uniti erano già in possesso di esemplari di quella macchina
che forse poteva interessare solo qualche alleato minore. […] E che altri fossero
i livelli lo si intuisce dalle parole del Ministro Lello Lagorio il quale in termini di
intelligenza e lealtà politica – giacché se avesse affermato il contrario, avrebbe
reso torto sia al suo ruolo che alle capacità a alle aspettative di chi persegue e
69

s’attende la verità- ammette che il caso fu chiuso per ragioni politiche. […]
Castelsilano è come Ustica. I militari negano addirittura l’essenza dei fatti. […]
Sul fatto, di fronte a una tale massa di prove, molte delle quali oggettive, si
giunge alla certezza che esso non si è verificato il giorno che s’è voluto
accreditare – con una messinscena quasi perfetta – è accaduto molto tempo
prima, e per più versi si può anche presumere che sia capitato in quelle medesime
circostanze in cui precipitò il DC9 Itavia. Non solo: è caduto in conseguenza di
abbattimento e probabilmente anche per mancanza di carburante, perchè
inseguito da altri velivoli da caccia, e quindi per effetto di un vero e proprio
duello aereo, un episodio di natura bellica, avvenuto sul nostro territorio, ad
opera di velivoli stranieri – non è assolutamente sostenibile, e non v’è alcuna
prova in tal senso, che vi sia stato un intervento italiano – e quindi senza, o
almeno così appare, che la nostra Difesa s’avvedesse di alcunchè. […] Un’azione
di tal genere, se non avesse contesti innominabili, non vi sarebbe pudore a
rivelarla. […] I rapporti tra gli Stati si modificano con rapidità, e il diritto
internazionale non riesce ad adeguarsi con sollecitudine. […] Chè se poi
l’innominabile fosse l’esser stato quel velivolo nel contesto della sera di quel 27
giugno 80, si spiegherebbero allora i silenzi dell’inseguitore, le grida
dell’inseguito, le congetture di chi sa, e sapeva, e ha dato, mezzano per vocazione
o necessità, un colpo alla botte e l’altro al cerchio 21 .»
21 Conclusioni del Giudice Istruttore Rosario Priore sulla vicenda del MIG, 31 agosto 1999, pp.4510, 4511, 4512,
4513.
70

5. La seconda inchiesta
5.1Segreto militare sui risultati delle registrazioni radar
Compiendo un salto indietro nel tempo torniamo al 1984 e all’inchiesta
sull’incidente del DC-9 I-TIGI dell’Itavia. È il mese di gennaio e l’inchiesta sulla
sciagura del DC-9 Itavia viene formalizzata diventando giuridicamente strage
aviatoria. È passato più di un anno da quando la Commissione d’inchiesta diretta
dal Pubblico Ministero (PM) Giorgio Santacroce e presieduta dal dottor Carlo
Luzzatti, ha pubblicato le sue analisi conclusive. Va ricordato che quando tali
conclusioni sono state messe agli atti, erano ancora in corso le analisi di
laboratorio sui frammenti del relitto rinvenuti nei corpi delle vittime
dell’incidente, presso il laboratorio dell’Aeronautica Militare. Nel gennaio del
1984 il PM Giorgio Santacroce ha già ricevuto i risultati di tali analisi ma non ne
rende pubblico il responso poiché le perizie sono coperte dal segreto militare.
«Carlo Luzzatti ha dichiarato all’ANSA che “non gli è stata comunicata alcuna
imposizione di segreto militare sui risultati delle analisi tecniche condotte
dall’Aeronautica Militare”. A sua conoscenza il fatto di non aver comunicato una
tale decisione al presidente della commissione sarebbe “un caso unico a livello
mondiale”. […] (Carlo Luzzatti) ha aggiunto di non aver non aver mai avuto
problemi o limitazioni dai ministri allora in carica Formica e Balzamo”. Alla
domanda se gli sono stati consegnati anche i risultati delle ultime analisi svolte
dal laboratorio dell’Aeronautica e che, secondo quanto pubblicato, sono stati
consegnati al giudice istruttore, Carlo Luzzatti ha risposto “no comment”. (Lo
stesso giorno) In ambienti dell’Aeronautica Militare si è appreso che nessuna
interferenza o limitazione è stata imposta dall’Aeronautica stessa allo
svolgimento dell’inchiesta, per la quale la forza armata ha fornito tutta la
collaborazione necessaria 22 .»
22 ANSA, 20 aprile 1984.
71

I risultati delle analisi effettuate presso il laboratorio dell’Aeronautica Militare
rimangono un mistero anche per i rappresentanti legali dell’Itavia: compagnia
aerea contro la quale è in corso un processo civile promosso dai familiari delle
vittime del disastro. Quando l’avvocato Osvaldo Fassari, per conto dell’Itavia, si
reca presso gli uffici del giudice istruttore Vittorio Bucarelli (che a partire dal
1984 affianca il giudice Santacroce nell’inchiesta sul velivolo Itavia), per
richiedere i risultati delle perizie ordinate nel corso dell’indagine penale, che
viene condotta contro ignoti; Bucarelli risponde di non poter accogliere la sua
richiesta, ricordando che detti risultati sono protetti dal segreto militare. La
notizia del segreto militare, secondo il gruppo parlamentare radicale, non è altro
che una conferma delle ipotesi più gravi formulate sull’incidente. A detta
dell’Onorevole e deputato europeo Carlo Ripa di Meana, tutti i deputati europei
non daranno tregua perché si dica come sono andate realmente le cose; la
questione non può non avere seguito poiché è in gioco la sicurezza del volo.
Il giorno successivo, il 21 aprile 1984, il dottor Vito Maggi, presidente
dell’Associazione Nazionale Magistrati Militari fa delle affermazioni molte gravi
che mettono in dubbio la validità dell’affermazione del segreto militare a
protezione dei risultati delle analisi dell’Aeronautica.
«Non si riesce a comprendere – afferma Maggi – come nella perizia consegnata
dall’Aeronautica Militare al giudice istruttore possano esservi contenute notizie
costituenti segreto militare. Essendo il magistrato non autorizzato a conoscere
detti segreti. Se ciò fosse vero si potrebbe configurare a carico dei militari
dell’Aeronautica che hanno redatto la perizia il delitto di rivelazione di notizie
segrete non a scopo di spionaggio: (illecito) punito con la reclusione militare sino
a 24 anni 23 .»
23 ANSA, 21 aprile 1984.
72

5.2 L’ultima spiaggia è il recupero del relitto
Solo quattro giorni dopo il giudice Santacroce, in un’intervista al settimanale
“Oggi”, dichiara che più tempo passa più le speranze di far luce sulla faccenda
del DC-9 caduto nel cielo di Ustica si fanno inconsistenti. A meno che non
emerga inaspettatamente qualcosa di nuovo, l’ultima spiaggia sarebbe tentare il
recupero del relitto a più di 3.500 metri in fondo al mare. L’operazione
richiedeva, al tempo, un’ingente somma di denaro ma era realizzabile quando fu
proposta; è evidente che col passare degli anni il recupero si fa più costoso ed il
risultato sempre più incerto.
Intanto, il 27 giugno 1984, in occasione del quarto anniversario della sciagura di
Ustica, l’Associazione Piloti ANPAC, ricorda le vittime in un comunicato;
denunciando altresì che nonostante le numerose sollecitazioni fatte, le
assicurazioni ricevute dalle autorità competenti per la copertura radar dell’intero
territorio italiano sono state puntualmente disattese. Aree con il Punto Condor
(un profondo buco nella copertura radar del Controllo Aereo italiano, luogo in
cui si sono verificati numero si incidenti compreso quello di Ustica) non
dovrebbero esistere per garantire la massima sicurezza operativa dei voli, civili e
non.
5.3 La Commissione Blasi 1
Nuova Commissione d’inchiesta, nuove indagini, nuove perizie. Come si è detto
il Pubblico Ministero Giorgio Santacroce della procura di Roma formalizza
l’inchiesta sul DC-9 che diventa una strage aviatoria. Da questo momento in poi
verrà affiancato nelle sue indagini dal giudice istruttore Vittorio Bucarelli, che
l’8 novembre 1984 nomina una prima Commissione peritale. Il collegio prende il
nome dal suo coordinatore, il professor Massimo Blasi. Insieme a Blasi lavorano
Ennio Imbimbo, Leonardo Lecce, Mariano Migliaccio: professori ed ingegneri
aeronautici in servizio presso l’Università di Napoli; nonché il medico legale
Carlo Romano e Raffaele Cerra, dirigente della Selenia. Faranno parte della
73

Commissione anche Renato Dentesano, pilota di aerei ed investigatore per
incidenti aeronautici dell’Alitalia (AZ) ed Antonio Golini, perito balistico presso
l’Università di Napoli.
L’operato del nuovo collegio peritale mira a colmare i vuoti lasciati dalle perizie
della Commissione Luzzatti. Il 21 novembre 1984, il giudice Bucarelli pone sette
quesiti ai tecnici investigativi:
1. Se al momento dell’incidente l’aereo DC9/10 I-TIGI percorresse l’aerovia
assegnatagli dal controllo traffco aereo di Roma, competente per il
territorio, ed alla quota assegnata.
2. Se il sistema radar, al momento dell’incidente, ebbe a registrare
interferenze di altri oggetti che avessero potuto determinare l’incidente; in
caso positivo di descrivere ogni elemento utile per l’individuazione delle
interferenze.
3. Se, alla strega delle risultanze delle analisi eseguite ed acquisite in atti o
da eseguirsi, potessero eventualmente trarsi elementi in giudizio su una
possibile azione di esplosivo, ed, in caso positivo, se si trattasse di
fenomeno esterno o interno, concentrato o diffuso.
4. Se, sulla base di quanto all’epoca disponibile dei rottami dell’apparecchio,
di eventuali corpi estranei presenti nelle salme o in altri oggetti connessi
con il fatto di cui era processo e con eventuali ulteriori accertamenti,
insieme con i risultati delle analisi di cui al quesito precedente, fosse
possibile identificare la natura e la causa dell’incidente.
5. Se, sulla scorta dei documenti medici in atti e di eventuali altri documenti,
fosse possibile accertare le cause ed i mezzi produttori della morte degli
occupanti dell’aeromobile, e ciò sempre al fine di accertare la genesi
dell’incidente di volo.
6. Se, per la penetrazione delle schegge con riferimento alla collocazione e
profondità raggiunte da esse nei vari materiali dell’aereo e nelle vesti e nei
corpi degli occupanti e di ogni altro oggetto rinvenuto e riferibile
74

all’incidente, fosse possibile desumere se l’eventuale fenomeno esplosivo
fosse stato di origine endogena o esogena rispetto all’aeromobile.
7. Di riferire infine ogni altra eventuale e possibile ipotesi sulla causa del
disastro nonché qualsiasi altra rilevazione utile ai fini di giustizia.
Bucarelli informa inoltre la Commissione che qualora lo ritenesse opportuno, può
richiedere il recupero del relitto, la riesumazione delle salme, nonché di
esaminare ogni eventuale relitto di aereo per confrontarlo con il DC-9 Itavia.
Nel corso della prima riunione peritale, il collegio delibera la necessità di
acquisire le registrazioni delle comunicazioni TBT, le strisce di volo relative al
velivolo Itavia, nonché le registrazioni radar di Roma ATCAS ed ogni altra
registrazione e documentazione radar resa disponibile dal Ministero della Difesa
e dal Comando NATO. Il collegio propone inoltre la riesumazione delle salme
(come da verbale delle operazioni peritali datato 15 dicembre 1984), e la
simulazione di un volo e relativa registrazione radar, al fine di appurare eventuali
interferenze.
L’indagine ruota su due intuizioni: il DC-9 rimane integro nonostante l’impatto
con l’acqua del mare, quindi in volo non avviene alcuna esplosione. Inoltre è
accertata la presenza di un velivolo estraneo, che al momento dell’incidente non
entra in collisione con il DC-9. Il 30 aprile 1985, a seguito del rinvenimento sui
frammenti del relitto di TNT e T4 (che rafforzano l’ipotesi del missile); Bucarelli
ed i periti giudiziari, che avevano già manifestato l’intenzione di compiere la
suddetta simulazione, fanno volare un DC-9 lungo l’aerovia Ambra 13. Il
velivolo ha le stesse caratteristiche dell’I-TIGI e viaggia nelle stesse condizioni
del 27 giugno 1980: nell’esatto momento dell’incidente.
5.4 Simulazione del volo IH870: confermata presenza di velivoli militari
L’esperimento consiste nel far intercettare il DC-9 da un caccia militare. I periti
della Commissione d’inchiesta assistono alla simulazione davanti agli schermi
75

adar di Ciampino, altri tecnici sono in volo sul DC-9 in modo da poter godere
delle evidenze da più angolazioni, valutando diverse prospettive. Alle 17.10 il
DC-9 decolla da Ciampino; alle 17.45 un F104 raggiunge il Punto Condor, luogo
dell’incidente. La Commissione Blasi scrive nella sua relazione che, appare
confermato che, nei pressi del DC-9 I-TIGI, al momento dell’incidente, volava
un aeromobile, la cui sezione radar era paragonabile a quella di un caccia
intercettore.
«Una diffida al Presidente del Consigli Bettino Craxi, affinché antro sessanta
giorni renda noto quanto è stato accertato sulle responsabilità della strage di
Ustica, dove un DC-9 dell’Itavia esplose in volo il 27 giugno 1980, provocando
la morte di 81 persone, è stata annunciata stamani dall’avvocato Romeo Ferrucci,
che tutela gli interessi dei Giovanna Bonfietti, vedova di una delle vittime della
sciagura. Nella diffida si parte dai presupposti che, essendo risultato dalle perizie
che l’esplosione è stata provocata da un missile ed essendo escluso che esso fosse
di provenienza non controllata, si deve dedurre che il disastro sia stato provocato
da un ordigno appartenente dalle forze armate italiane o a quelle alleate. La
richiesta di rendere noto il responsabile si fonda sulle necessità, da parte della
signora Bonfietti di conoscerlo ai fini del risarcimento del danno subito. .[…]
Falco Accame, (ex deputato socialista) ha denunciato lo stato di colonizzazione
imposto all’Italia da parte della NATO che stabilisce le aree delle esercitazioni
aeronavali, senza riguardo per i rischi che esse comportano. Accame ha anche
denunciato la prassi secondo la quale al vertice del controllo aereo civile siano
posti alti ufficiali provenienti dall’Aeronautica Miilitare. Da parte sua (il
Senatore Eliseo) Milani ha messo in evidenza la scarsa affidabilità di un sistema
di controllo aereo sdoppiato (civile e militare) 24 .»
Nel corso dell’inchiesta alcuni piloti di linea sottolineano come, molto
frequentemente, i militari assumerebbero in volo “atteggiamenti ludici” anche in
prossimità di velivoli civili; a smentire quest’affermazione interviene l’Ufficio
24 ANSA, 27 giugno 1985.
76

Stampa della Difesa che fa notare in un comunicato datato 28 giugno 1985, che
l’assoluta serietà e professionalità, largamente riconosciute anche in campo
internazionale, costituiscono da sempre i cardini essenziali su cui ruota la
sicurezza del volo, soprattutto con le sofisticate macchine a disposizione
dell’Aeronautica: capaci di erogare elevatissime potenze in tempi molto
contenuti e che proprio per questo motivo non lasciano spazio alla benché
minima distrazione.
Proprio in seguito alle novità, citate dall’avvocato della vedova Bonfietti, in
merito alle cause dell’incidente; nel mese di luglio la Commissione peritale viene
autorizzata a procedere all’esumazione delle salme di Vincenza Calderone e
Francesca D’Alfonso. I periti chiedono ed ottengono di esaminare i relitto di un
aereo civile coreano (volo KAL007), custodito in Corea del Sud, abbattuto
(apparentemente) per errore dall’Aeronautica Militare sovietica nel 1983; nonché
uno studio di fattibilità per il recupero del relitto del DC-9 Itavia a 3.600 metri di
profondità.
Il 12 dicembre dello stesso anno il giudice istruttore Bucarelli affida un nuovo
incarico ai periti Antonio Acampora e Antonio Malori. Essi devono effettuare
indagini approfondite sulla composizione chimica dell’esplosivo trovato sui
primi rottami del DC-9 ripescati durante le operazioni di soccorso alcune ore
dopo l’incidente e già analizzati dalla Commissione Luzzatti presso i laboratori
dell’Aeronautica Militare. I risultati degli accertamenti chimici richiesti da
Bucarelli arrivano nel febbraio 1987 e costituiscono l’ennesima conferma che ad
abbattere l’aereo di linea Itavia è stato un missile di nazionalità sconosciuta. Il 31
marzo dello stesso anno viene trovato impiccato ad un albero sul greto del fiume
Ombrone, nei pressi di Grosseto, il maresciallo dell’Aeronautica Mario Alberto
Dettori. La sera del 27 giugno 1980 il sottufficiale era controllore di Difesa
Aerea al radar di Poggio Ballone. Rientrando a casa Dettori, sconvolto, dice alla
moglie “stanotte è successo un casino; qui vanno tutti in galera.” Pochi giorni
dopo si confida anche con la cognata: “Sai, l’aereo di Ustica, c’è di mezzo
77

Gheddafi, è successo un casino, qui fanno scoppiare una guerra.” Per gli organi
inquirenti emergono seri dubbi sulla morte dell’ufficiale; morte sulla quale
permangono indizi di collegamento con il disastro del DC-9, nonché la caduta del
MIG libico il 18 luglio ’80. Va precisato che il centro radar di Poggio Ballone è
lo stesso sito al quale i due piloti Ivo Nutarelli e Mario Naldini (anch’essi
deceduti) hanno fatto ritorno dopo aver lanciato un segnale di allerta generale
durante un’esercitazione a bordo di un biposto F 104, la sera del disastro di
Ustica.
5.5 l’Ifremar ed il recupero del relitto
Alla luce delle prove acquisite, e grazie alle pressioni esercitate da alcuni dei
parenti delle vittime, nonché alle accuse, sempre più pesanti rivolte agli
organismi preposi alla difesa in volo; il recupero del relitto del DC-9 appare
ormai inevitabile. Così il 30 settembre del 1986 il sottosegretario alla Presidenza
del Consiglio Giuliano Amato annuncia l’intenzione del Governo di procedere al
recupero del relitto del DC-9. Il contratto con la ditta francese Ifremar, esperta in
recuperi sottomarini, che porta la firma di Massimo Blasi, viene siglato il 17
aprile 1987. Le ricerche nel Tirreno iniziano l’8 maggio dello stesso anno per
mezzo della nave Noirot, che utilizzando un sofisticato sonar individua ad una
profondità di oltre tre chilometri e mezzo alcune parti del DC-9. Solo dopo un
mese si riescono a scattare delle fotografie dei relitti individuati e
successivamente riportati alla luce; il 10 giugno alcune riprese, ottenute grazie
all’utilizzo di un sottomarino, confermano l’individuazione dei resti dell’aereo.
Le operazioni di recupero, ancora incomplete, vengono sospese il 2 luglio 1987 e
riprese solo nove mesi più tardi, a causa di alcuni accordi precedentemente
stipulati con altri enti da parte dell’Ifremer. Il recupero viene considerato
concluso il 25 maggio 1987.
Al termine delle operazioni di recupero si dichiara che il 60% dell’intero velivolo
è stato riportato in superficie. Tra i reperti recuperati nel corso della prima fase di
78

icerche, svolte secondo una priorità indicata dai periti, c’è anche il CVR
(Cockpit Voice Recorder) la prima scatola nera del velivolo: quella che registra
le comunicazioni tra i piloti e l’equipaggio in cabina passeggeri, e tra i piloti e le
torri di controllo. Tutti i pezzi del relitto vengono disposti su un apposito
simulacro presso un hangar di Pratica di Mare, mentre il CVR viene inviato agli
esperti statunitensi dell’NTSB per le analisi dei nastri, che permetteranno di
ascoltare per la prima volta quella famosa parola troncata a metà: “Gua…” che
precede il silenzio radar.
«Ascoltare le voci dei piloti morti nei Cockpit Voice Recorder. Che ingrato
mestiere! Molti sono i tecnici di volo ormai in pensione che prestano il proprio
lavoro nelle commissioni d’inchiesta sui disastri aerei. I più preparati cercano di
captare frasi, discorsi, silenzi, attimi. Catturano toni delle voci e delle
comunicazioni interne ed esterne. Del resto sono i particolari che fanno
un’ipotesi. E la somma degli indizi forma un’inchiesta compiuta. […] Per un
evento simile è fondamentale saper ascoltare il tono di quelle voci che nella
scatola nera diventano metalliche, senza note medie e basse, solo suoni altissimi.
Lì c’è la verità. Ogni esperto lo sa e ci mette tempo. Li sente tutti quei toni di
voce, mezzi sospiri, perfino da lontano le voci dei passeggeri. […] Gli americano
scriveranno che la situazione a bordo, fino al momento dell’incidente, è
assolutamente normale. […] Il collegio si soffermerà su un particolare impulso.
[…] “Tale impulso – scriveranno gli esperti – è molto simile a quelli registrati,
durante le prove acustiche, in conseguenze delle esplosioni provocate all’esterno
dell’aereo, mentre è totalmente differente dagli impulsi registrati in conseguenza
delle esplosioni provocate all’interno dell’aereo 25 .”»
5.6 “Ci fu ordinato di starci zitti!”
Ma il 6 maggio 1988, mentre il giudice istruttore attende le risultanze del
collegio peritale; c’è un’altra voce che merita particolare attenzione: la voce
25 Biacchessi, D. Colarieti, F. Punto Condor. Ustica: il processo, cit., pp.60, 61.
79

grazie alla quale il caso Ustica entra per la seconda volta, come un ciclone, nelle
case degli italiani. RAI 3. Prima serata: va in onda la trasmissione, condotta da
Corrado Augias, “Telefono Giallo”. Nel corso della diretta, improvvisamente
arriva una telefonata inaspettata. Un anonimo telespettatore prende coraggio, e si
fa avanti.
«Pronto?
Si.
Mi sente?
La sento piano, ma la sento.
Mi scusi, ma dovevo riuscire ad arrivare in trasmissione. Io ero un aviere in
servizio a Marsala la sera dell’evento della caduta del DC-9. Purtroppo non mi
volevano, prima, passare la telefonata perché gli elementi che comunico sono
molto pesanti. Ad ogni modo, noi abbiamo esaminato le tracce dei dieci minuti di
trasmissione di cui parlate, (relativi alle) registrazioni, che non sono stati visti.
Non è vero perché noi li abbiamo visti perfettamente; soltanto che il giorno dopo,
il maresciallo responsabile del servizio, ci disse praticamente di farci gli affari
nostri e di non avere più seguiti sulla questione. Dopo dieci anni, vedendo la
trasmissione, ho avuto questo fatto emotivo interiore di dover dire la verità:
anonimamente, perché cado nel nulla, però la verità è questa. Ci fu ordinato di
starci zitti. E la saluto, saluto anche l’Onorevole Rodotà e tutti quelli che hanno
cercato di dire la verità, perché non voglio rogne e non voglio fare brutte fini…
Gentile amico non attacchi, ha attaccato il telefono 26 .»
Per quanto riguarda il sito di Marsala, la svolta nelle indagini era giunta già il 30
settembre del 1986, quando il sottosegretario alla presidenza del Consiglio
Giuliano Amato, aveva dichiarato alla trasmissione TG1 Speciale, che le
registrazioni radar di Ciampino permettono di vedere chiaramente l’aereo killer,
ma tale presenza non trova conferma nei dati riportati dai siti di Licola e Marsala.
Giuliano Amato dichiara:
26 Da Telefono Giallo trasmissione televisiva condotta da Augias C., puntata del 6 maggio 1988.
80

«Così come si evince (dai radar di Licola e Marsala) non videro nulla –
successivamente aggiunge che gli ufficiali in servizio quella sera presso i suddetti
centri di controllo aereo – hanno elementi di chiarimento sulle attività svolte in
sala operativa quella sera.»
Il giorno successivo alla telefonata dell’anonimo aviere a “Telefono Giallo”,
Paolo Borsellino, il procuratore di Marsala nonché simbolo nazionale della lotta
agli abusi; apre un’inchiesta sulla telefonata in questione e fa identificare tutti i
militari in servizio al radar di Marsala la sera del 27 giugno 1980. Si reca
personalmente presso il sito radar della città; purtroppo la lista con i nominativi
che gli viene consegnata, risulterà, in seguito, carente del nome dell’autore della
chiamata. La procura di Marsala è formata da giudici e magistrati specializzati in
delinquenza comune ed organizzata; combattono da anni contro intrighi di mafia
e non sanno nulla di disastri aerei. Il fatto di essere stati informati di un reato, a
maggior ragione se ciò è avvenuto pubblicamente attraverso un mezzo di
comunicazione di massa: la televisione, li obbliga ad agire sul piano penale.
Proprio in questi anni viene coniata, dal giornalista Andrea Purgatori
un’espressione che ormai è diventata di uso comune. Riferendosi al numero
impressionante di informazioni che, seppur esatte, ritornato al mittente senza
sortire alcun effetto; Purgatori parla di un “muro di gomma”. Lo stesso
vergognoso atto di chiusura di cui lo stesso Borsellino prende atto interrogando i
militari in servizio presso il centro radar di Marsala il 27 giugno 1980. Tra volti
tesi e mani sudate, nessuno dei militari interrogati sarà in grado di identificare
l’uomo intervenuto in diretta a “Telefono Giallo.”
5.7 L’Associazione Parenti delle Vittime della Strage di Ustica
I parenti delle vittime, unitamente a quello sparuto numero di giornalisti che si
interessano sin dagli inizi ed in maniera costante alla causa Ustica, non
accennano ad abbassare il capo, neanche di fronte alle più alte cariche dello
Stato. Il 22 febbraio 1988, come avvenuto in precedenza ai familiari delle stragi
81

della Stazione di Bologna, del treno Italicus, di Piazza Fontana e di Piazza della
Loggia a Brescia, viene fondata l’Associazione Parenti delle Vittime della Strage
di Ustica. La sua presidenza viene affidata a Daria Bonfietti, sorella di Alberti
Bonfietti, una delle vittime; negli anni diventerà parlamentare dei DS e membro
della Commissione stragi.
«L'Associazione si prefigge lo scopo di "accertare la verità e quindi le
responsabilità civili e penali della strage di Ustica, con tutte le iniziative
possibili" 27 .»
5.8 Dal sito radar di Marsala qualcuno ha visto tutto
Il 30 maggio 1988 arriva la svolta. Durante uno dei numerosi interrogatori
effettuati dalle diverse procure coinvolte, tutti i militari in servizio a Marsala la
sera del disastro riferiscono di non aver visto nulla, di quello che stava accadendo
nel cielo sopra Ustica, sugli schermi radar; tutti tranne uno: il maresciallo
Luciano Carico. L’ufficiale si accorse che il DC-9 era scomparso dagli schermi e
avvertì i suoi diretti superiori. Carico dichiara di aver identificato come traccia
amica quella del DC-9 e ribadisce di aver notato che tale traccia diminuiva di
qualità mentre sorvolava il mare; proprio per questo motivo avrebbe tentato il
contatto con Punta Raisi e Roma per ricevere informazioni. Nessuno è mai più
riuscito a trovare quelle conversazioni. Il maresciallo dichiara di aver osservato
nei pressi del DC-9 anche la traccia di una altro velivolo, che crede di identificare
in un Boeing 720 dell’Air Malta, lo stesso che pochi minuti dopo il silenzio radio
tentò a sua volta, sotto richiesta del controllo aereo di Roma, di mettersi in
contatto con l’I-TIGI che lo precedeva sulla stessa rotta. La traccia indica che
questo velivolo si accoda all’aereo di linea Itavia e successivamente lo sorpassa a
velocità superiore. Carico dichiara di aver intercettato le due tracce pochi minuti
prima delle 21.00, all’altezza di Ponza. Indagini successive accertano che il
27 Statuto dell’Associazione Parenti delle Vittime della Strage di Ustica, art. 3, Bologna, 22 febbraio 1988.
82

secondo velivolo non poteva essere quello dell’Air Malta, poiché detto
aeromobile, a quell’ora, si trovava ancora all’altezza dell’Argentario.
«Un radar funziona come un grande orecchio. Ogni movimento è una traccia, un
aereo è un minuscolo puntino verde su uno sfondo nero. Il sito di Marsala,
semiautomatizzato con nome in codice “Moro”, ospita nel giugno 1980 il 35°
Centro radar dell’Aeronautica militare, CRAM. Controlla l’area del medio e
basso Tirreno e del canale di Sicilia. Fanno parte della rete circa ottanta centri
radar europei della difesa aerea: insieme formano una catena […] che permette di
seguire una traccia in tempo reale dalla Turchia alla Norvegia. Marsala dipenda
dal Centro operativo di settore (SOC) del terzo ROC (Centro operativo regionale)
di Martina Franca e ricopre un ruolo di rilievo nell’intera faccenda di Ustica. […]
Fornisce informazioni agli enti superiori relativa alla situazione aerea,
all’impiego delle armi e al controllo tattico degli intercettori […] è competente
per l’assistenza alla navigazione aerea, missioni offensive, operazioni di
soccorso. Tutto. Le attività sono coordinate dal capo controllore di turno. È lui
che decide in caso di necessità operativa. […] Gli operatori della sala operativa
possono comunicare attraverso le linee telefoniche […]. Gli accertamenti partono
da Marsala. […] I nastri di Marsala, acquisiti da Santacroce e Luzzatti, vengono
decifrati, su autorizzazione dello stesso Stato maggiore dell’Aeronautica […].
Non tutto sarà messo agli atti. Mancherà l’importanti modello DA 1 sul quale
l’operatore trascrive i plottaggi che gli vengono comunicati in cuffia: orario,
vento, posizioni in coordinate polari, direzione, forza, quota, velocità e codice
IFF (identificatore amico/nemico) di un velivolo sotto controllo radar. […]
L’autorità giudiziaria impiega solo ventisei giorni, dall’emissione del decreto di
sequestro, per ottenere nastri e registrazioni radio di Ciampino, cosa che on
avverrà per i siti di Marsala e Licola, dove tali decreti verranno presi in
considerazione con grande ritardo. […] Il 27 giugno a Marsala è in corso
un’esercitazione, una sorta di war-game […]. Tale esercitazione denominata
Terzo ROC, prevista per il 27 giugno alle ore 20, viene eseguita inserendo nel
83

sistema un programma di simulazione di attività di difesa e visibile soltanto nel
sito “master” di Marsala e in quello dipendente di Siracusa. Durante
l’esercitazione vengono simulate alcune tracce utilizzando un nastro ma, quella
sera ne sarà montato uno già utilizzato in precedenza. Questo è il punto chiave
dell’inchiesta su Marsala. Esercitazione Synadex. Al contrario di quanto
affermano i militari presenti in sala operativa e i vertici dell’Aeronautica, il 27
giugno quell’esercitazione non parte. Forse viene solo avviata con uno scopo
preciso: occultare le registrazioni di ciò che accade nei cieli del Tirreno dopo
l’incidente 28 .»
Il secondo sito radar sottoposto all’attenzione degli inquirenti è quello di Licola,
a pochi chilometri da Napoli. Si tratta di un radar di tipo fonetico-manuale
integrato nel sistema di controllo NADGE e come Marsala, dipende da Martina
Franca. Ecco illustrato il funzionamento di questo Centro di controllo. Le
coordinate polari di un velivolo vengono trasmesse via interfono ad un operatore
che trascrive su una lastra di plexiglas posizione, direzione, velocità e nominativo
del velivolo corrispondente alle tracce visualizzate. Altri operatori compiono lo
stesso procedimento con i dati che trasferiscono sul di un registro chiamato DA1.
Sfortunatamente il documento DA1 relativo alla sera dell’incidente viene
distrutto. Licola avrebbe potuto fornire informazioni preziose sul caso Ustica:
essendo il sito più vicino al Punto Condor, punto il cui si sono perse le tracce del
DC-9. Proprio a causa della distruzione di questi documenti, la Magistratura
indaga il comandante del centro radar con l’accusa di violazione di pubblica
custodia di cose e soppressione di atti veri.
5.9 L’incidente di Ramstein
Il 28 agosto 1988, durante uno spettacolo acrobatico alla base NATO di
Ramstein, perdono la vita, scontrandosi in volo, due ufficiali dell’Aeronautica,
piloti delle Frecce Tricolore. Si tratta dei tenenti colonnello Mario Naldini ed Ivo
28 Biacchessi, D. Colarieti, F. Punto Condor. Ustica: il processo, cit. pp.68, 69, 70.
84

Nutarelli: i due ufficiali che, la sera del 28 giugno 1980, fino a circa dieci minuti
prima dell’incidente del DC-9 Itavia, erano in volo su un intercettore TF-104
decollato da Grosseto. I due avieri dovevano, qualche giorno dopo, essere sentiti
dalla Procura in merito ai fatti di Ustica poiché ritenuti a conoscenza di
molteplici circostanze sul caso in questione. Sarebbero infatti i due piloti che, in
volo nei pressi del DC-9, lanciano il segnale di allerta generale: segnale che
evidentemente non sortisce alcun effetto da parte degli organismi preposti alla
sicurezza del volo.
«È al vaglio del giudice Rosario Priore e degli investigatori la testimonianza
dell’imprenditore toscano Andrea Crociani che, nell’ambito dell’inchiesta
giudiziaria sul disastro di Ustica, ha parlato della presenza nei pressi del DC 9
dell’Itavia la sera del 27 giugno ’80 di tre aerei, due “irregolari” ed uno solo
autorizzato. Il testimone ha attribuito la notizia ad un suo conoscente, il tenente
colonnello Mario Naldini, ufficiale delle Frecce Tricolore morto nell’incidente di
Ramstein, in Germania, il 28 agosto dell’88. Crociani è stato ascoltato una
quindicina di giorni fa dal giudice Priore nel suo ufficio, dove è rimasto per
diverse ore. […] Secondo quanto ha detto con il colloquio con Priore, Crociani
avrebbe saputo da Naldini che al momento di decidere se inseguire i due velivoli
non autorizzati, l’ufficiale ebbe l’ordine di rientrare alla base di Grosseto 29 .»
5.10 La relazione definitiva della Commissione Blasi 1
Il 17 novembre 1988, mentre il collegio Blasi è ancora in piena attività, il
presidente del Consiglio Ciriaco De Mita nomina una Commissione d’indagine
con a capo il procuratore generale della Cassazione Carlo Maria Pratis. La
relazione conclusiva di Pratis giungerà il 10 maggio 1989.
A conclusione del proprio lavoro, il 16 marzo del 1989, la Commissione Blasi
fornisce le risposte ai quesiti del giudice istruttore Bucarelli. Tali conclusioni
29 ANSA, 23 dicembre 1983.
85

includono le considerazioni sull’importanza del ruolo svolto da ciascun centro di
controllo regionale.
Il giorno successivo alla consegna della prima perizia Blasi, il ministro della
Difesa Valerio Zanone, ordina al capo di Stato maggiore dell’Aeronautica
militare, il generale Franco Pisano, di svolgere un’inchiesta tecnica-
amministrativa per accertare, in connessione alle conclusioni del collegio Blasi,
eventuali mancanze o disfunzioni dell’apparato militare italiano in merito alla
vicenda del DC-9. Il generale Pisano consegnerà le sue conclusioni il 5 maggio
dello stesso anno.
Come richiesto dal giudice istruttore Bucarelli, la Commissione Blasi deposita le
sue conclusioni, riferendo, come trascritto, circa il coinvolgimento e le
responsabilità dei militari in servizio presso il radar di Marsala:
«Il radar ha registrato l’ultima traccia radar dell’I-TIGI circa un minuto prima
dell’ultima traccia con trasponder registrata a Fiumicino alle ore 20.59.45.
successivamente o l’operatore ha sospeso la registrazione dei dati, per motivi non
noti, o vi è stata una interruzione automatica dei dati, peraltro incomprensibile
[…]. La registrazione della traccia del DC-9 I-TIGI, si interruppe, per motivi
ignoti, alle ore 20.58.47; quindi non è stato evidenziato da questa analisi alcun
plot relativo all’ultimo minuto di volo normale del DC-9 e ai circa tre minuti di
volo del relitto e dei relitti del DC-9 che invece sono stati registrati
automaticamente dai due radar civili di Roma-Fiumicino ove il controllore civile
aveva già abbandonato il DC-9 perché fuori dalla sua normale portata, ma la
registrazione procedeva automaticamente. […] Data la maggiore vicinanza al
luogo dell’incidente del radar di Marsala, rispetto a quello di Fiumicino, le tracce
del velivolo in caduta devono essere state ben visibili.»
Dopo aver preso visione di questi documenti, il collegio giunge alla conclusione
che alcuni dei plot registrati dalle apparecchiature, non sono riconducibili alle
tracce degli A/M (aeromobili) sopra menzionati.
86

A detta dei tecnici della Blasi, dopo l’evento che ha provocato la brusca
interruzione della risposta del trasponder, l’aereo rimane sostanzialmente integro
e si disintegra per effetto dell’impatto con la superficie del mare.
Emerge nuovamente che il DC-9 era un aereo in buone condizioni di
manutenzione ed il personale era in regola come addestramento, integrità fisica e
riposo. Le condizioni meteo erano ottimali e l’aereo percorreva la rotta
assegnatagli. È pertanto da escludersi l’ipotesi del cedimento strutturale
spontaneo e\o una collisione in volo. Il ritrovamento di residui di esplosivo
confermano l’ipotesi di un’esplosione come causa primaria dell’incidente. Nella
relazione conclusiva vengono scritte anche le deduzioni tecniche successive al
recupero del relitto del DC-9, che mostra che al momento dell’incidente i motori
erano in regolare funzionamento , e fermi al momento dell’impatto in mare.
L’incidente ha provocato l’interruzione quasi istantanea del sistema elettrico
bloccando il trasponder ed il Cockpit Voice Recorder. Proprio l’analisi di queste
registrazioni ha reso possibile rilevare un evento fonico riconducibile ad
un’esplosione esterna all’aereo. Il portello del vano portabagagli anteriore
presenta almeno un foro, provocato dalla penetrazione, all’interno della fusoliera,
di un oggetto ad alta velocità, con provenienza dall’esterno del velivolo. Sono
molte le sezioni mancanti del relitto; tuttavia è possibile affermare che non ci
sono fenomeni congruenti con un’esplosione interna. La Commissione Blasi non
sembra avere dubbi: il DC-9 Itavia, ed il suo carico di 81 anime, è stato abbattuto
da un missile aria-aria, esploso in prossimità della zona anteriore dell’aereo, di
provenienza sconosciuta.
5.11 Le conclusione del generale Pisano per lo Stato maggiore
dell’Aeronautica
Il 5 maggio 1989 il generale Pisano, incaricato dal capo di Stato maggiore
dell’Aeronautica per conto del Ministero della Difesa, consegna le sue
conclusioni:
87

«All’ora del disastro nessun velivolo militare italiano o alleato operante da basi
aeree nazionali era in volo, e nessuna attività era in atto nei poligoni delle forze
armate; […] si ritiene di non esservi stato “alcun comportamento dilatorio”
dell’Aeronautica in relazione alla richiesta e sequestro da parte della
Magistratura di materiali dei radar del Traffico e della difesa aerea; si
attribuiscono le due interruzioni presenti nei nastri di registrazione del radar di
Marsala “verosimilmente… ad anomalie di natura tecnica al tempo ricorrenti”,
rilevando peraltro che “essere non hanno comunque compromesso la capacità di
sorveglianza del centro e non sono assolutamente significative ai fini della
ricostruzione dell’incidente”; […] si riconosce che dalla documentazione radar
del centro di Licola “sono rilevati errori, imprecisioni ed incompletezze” tali da
evidenziare “una conduzione delle attività non ottimale” 30 .»
Esattamente cinque giorni dopo si concludono anche i lavori della Commissione
d’indagine guidata da Carlo Maria Pratis, i cui risultati riportano all’attenzione
l’ipotesi dell’esplosione interna, liberando da ogni responsabilità le
amministrazioni civili e militari della NATO, di paesi alleati e non.
«L’incidente è stato provocato dall’azione di un oggetto esplosivo. In proposito
si deve concordare con le conclusioni della relazione Luzzatti, escludendosi che
la causa dell’incidente medesimo possa essere attribuita a cedimento strutturale
dell’aereo o a collisione con altro velivolo. […] sulla base delle evidenze emerse
in seguito agli accertamenti autonomamente compiuti si ritiene che non possa
essere scartata l’ipotesi che a provocare l’incidente sia stato un ordigno esplosivo
collocato a bordo dell’aereo. […] Con riferimento all’ipotesi secondo la quale la
causa dell’incidente avrebbe potuto identificarsi in un missile lanciato da un
aereo dell’Aeronautica militare italiana, e che, per errore, avrebbe colpito il DC-9
anziché un radio bersaglio, dalla copiosa documentazione trasmessa inizialmente,
“si deve escludere che nel giorno e nell’ora dell’incidente fossero in corso
esercitazioni aeree o navali delle forze italiane. […] la distruzione dei modelli
30 Relazione sulla inchiesta affidata al capo di Stato Maggiore Aeronautica dal signor Ministro della Difesa in data
17 marzo 1989, Roma, maggio 1989.
88

DA1 di Licola avvenne nel 1984 nel quadro del normale sfoltimento dei
documenti d’archivio. Il fatto stesso che i suddetti documenti non fossero stati
sequestrati dall’autorità giudiziaria induce a ritenere che da essi non fossero
ricavabili dati diversi e più significativi […] La pretesa imposizione, che sarebbe
stata fatta al personale di Marsala di tacere su ciò che era accaduto in quel centro
radar la sera del 27 giugno 1980, non ha trovato alcuna conferma ed è stata
vigorosamente smentita. […] Tutti gli organi competenti degli stati esteri
interpellati (Stati Uniti, Francia, Germania occidentale, Inghilterra, Israele), ad
eccezione della Libia, hanno escluso che nella zona e nell’ora dell’incidente vi
fossero aerei e navi dei loro rispettivi paesi. Una portaerei della Sesta flotta USA,
nonché una fregata inglese erano in porto a Napoli. Due portaerei francesi in
porto a Tolone. Quattro navi da guerra russe in porti della Tunisia. […] Le
risultanze acquisite dalla commissione portano ad escludere ogni coinvolgimento
nell’incidente di Ustica dell’aereo MIG 23 libico ritrovato in Calabria, che deve
invece ritenersi ivi caduto effettivamente il 18 luglio 1980 31 .»
5.12 Le accuse ai militari in servizio presso il radar di Marsala
Il 1989 è, per l’inchiesta sul caso Ustica, un anno denso di avvenimenti; molti dei
quali segnano una svolta decisiva. Il 28 giugno, infatti, il PM (Pubblico
Ministero) Giorgio Santacroce, chiede ed ottiene dal GI (Giudice Istruttore)
Bucarelli, l’incriminazione di ventitre ufficiali, sottufficiali ed avieri in servizio,
la sera del 27 giugno 1980, nei centri radar dell’Aeronautica militare di Licola e
Marsala. È il 28 giugno 1989: sono passati esattamente nove anni. Secondo
l’accusa, i militari avrebbero rifiutato di fornire alla Magistratura notizie utili per
la ricostruzione esatta del fatto e per l’identificazione dei responsabili, nonché
per la mancata registrazione delle tracce radar e la soppressione di documenti
relativi al controllo del volo IH870. Il PM contesta agli imputati i reati di
31 Relazione di Carlo Maria Pratis, 5 maggio 1989.
89

concorso in falsa testimonianza aggravata, favoreggiamento personale aggravato,
violazione di pubblica custodia di cose e soppressione di atti veri.
5.13 La Commissione Blasi 2
Il giorno successivo la politica ed il Parlamento cominciano finalmente ad
occuparsi del caso Ustica. La Commissione stragi, presieduta dal senatore
repubblicano Libero Gualtieri, apre il fascicolo sul DC-9 I-TIGI. I lavori della
Commissione dureranno due anni; la prima audizione riguarda l’ex ministro dei
Trasporti Rino Formica.
Il 18 settembre dello stesso anno, avendo preso visione dei risultati delle
relazioni Pisano e Pratis, pone quattro ulteriori quesiti al collegio Blasi. Tali
quesiti sono atti ad accertare se la causa della caduta del DC-9 sia imputabile
all’esplosione di una bomba a bordo o allo sgancio di un missile. Il giudice
chiede, inoltre, qualora si fosse trattato di un missile, di accertare di quale testa di
guerra si sia trattato nonché stabilirne la provenienza. Nel frattempo si muovono
gli avvocati dei militari incriminati di Licola e Marsala. Rispettivamente
l’avvocato Taormina e l’avvocato Mazzucca nominano i loro periti. La parte
civile non resta a guardare; l’avvocato Ferrucci (che rappresenta la compagnia
Itavia) e l’avvocato Fassari (difensore dei familiari delle vittime) fanno
altrettanto.
5.14 Gheddafi: “gli americani hanno preso un tragico abbaglio”
Due settimane dopo il leader libico Muammar Gheddafi scrive al capo dello
Stato Francesco Cossiga stigmatizzando le manovre Nato nel Mediterraneo nel
1980. Il leader libico afferma:
«Hanno disperso tutti gli sforzi compiuti dalle forze progressiste ed amanti della
pace, per la sicurezza e l’integrità del Mediterraneo. Non avete scordato
certamente il delitto e la tragedia occorsa al DC-9 dell’Itavia, abbattuto il 27
90

giugno 1980, in cui hanno perso la vita decine di vittime, a causa della
aggressione ed in conseguenza della presenza delle basi e delle flotte militari, nel
Mediterraneo; come non avete scordato l’attacco americano alla Giamahiria, che
causò la morte di decine e decine di morti fra civili inermi, le nostre donne,
bambini e vecchi.»
L’influenza di Gheddafi nell’inchiesta sul DC-9 Itavia non è da sottovalutare. Le
sue insinuazioni sono molto gravi e certamente, dopo ciascun comunicato
stampa, lascia dietro di sé una pesante eco. Nel corso di una conferenza stampa,
in merito al presunto viaggio che egli avrebbe effettuato la sera del disastro di
Ustica, Gheddafi afferma che il suo aereo era in volo sul Mediterraneo diretto in
Europa per riparazioni, ma che egli non era a bordo. Gli Usa avrebbero preso un
tragico abbaglio. Secondo il leader libico, nel tentativo di abbatterlo, gli
americani hanno invece colpito l’aereo civile italiano ed un secondo velivolo di
nazionalità libica, convinti poi d’aver eliminato lui stesso o un esponente
palestinese.
Se si volge lo sguardo indietro alle due inchieste condotte sulla caduta del MIG
23 libico sui Monti della Sila, alle polemiche sulla data della caduta dello stesso
velivolo, alla restituzione tempestiva del corpo del pilota senza che fosse
sottoposto ad un’accurata autopsia; di certo si può notare quanto appare sensata
l’affermazione del leader libico.
5.15 La relazione definitiva della Commissione Blasi 2
Tra accuse, processi, e sempre maggiore confusione, il collegio Blasi termina i
suoi lavori. È il 26 maggio 1990 quando consegna nelle mani del giudice
istruttore Bucarelli due distinte serie di risposte ai quesiti supplementari che gli
sono ostati posti. Insieme all’opinione pubblica, anche gli organi inquirenti
cominciano a spaccarsi in due. La tesi di Blasi, presidente del collegio, e di Cerra
afferma che non è possibile stabilire con certezza la traiettoria del DC-9 e del
velivolo estraneo, poiché stando ai dato forniti dal radar di Fiumicino, questo
91

secondo velivolo non è rilevabile nei dintorni del velivolo civile. Lo
sdoppiamento della traccia del DC-9 su radar in questione è da attribuirsi alla
frantumazione dell’aeromobile stesso: la prima traccia è riferibile al corpo
principale dell’I-TIGI, mentre la seconda rappresenta la traiettoria dei diversi
frammenti dell’aereo. I due periti aggiungono che nessuna testa di guerra di tipo
aria-aria è compatibile con gli elementi di certezza scaturiti dalle indagini e di
conseguenza; non essendo verosimile l’ipotesi del missile non è possibile
pervenire alla provenienza dello stesso. La sentenza è sufficientemente chiara:
nessun missile è stato sganciato quella sera. L’aeromobile DC-9 I-TIGI
dell’Itavia si è frantumato in volo in seguito ad un’esplosione avvenuta
all’interno dell’aereo per la presenza di una bomba a bordo.
Gli altri tre esperti della Commissione Blasi, si dissociano dalle affermazioni del
presidente di collegio e del loro collega: secondo la loro opinione, il DC-9 è stato
abbattuto.
«Al momento dell’incidente il velivolo “estraneo” percorreva una rotta curvilinea
ad ampio raggio con direzione e verso ovest-est, incrociante la traiettoria del DC-
9. Le prime tracce di questo velivolo si osservano almeno 90 secondi prima
dell’incidente e indicano una traiettoria iniziale di conversione da nord verso est;
[…] Al momento dell’ultima risposta del trasponder del DC-9 il velivolo
“estraneo” si trovava ad una distanza, nel piano orizzontale, di circa 5NM. Il
lancio del missile può essere avvenuto dai 5 ai 20 secondi prima di tale
momento; la presenza di un velivolo “estraneo”, nel momento e nella zona
dell’incidente, avvalora il coinvolgimento dello stesso e quindi si escludono di
principio altri tipi di missili (terra-aria o mare-aria). […] L’ipotesi più probabile è
che si tratti di un missile aria-aria a medio raggio. In relazione allo stato dei relitti
recuperati del DC-9 e alla mancanza di evidenti segni di scheggiatura, si ritiene
possibile l’impiego di una testa di guerra del tipo “Continuous Rod”. […] Si
esclude che il missile che ha provocato l’incidente fosse di uno dei tipi in
dotazione all’Aeronautica militare italiana all’epoca dell’incidente. Null’altro
92

può dirsi sulla provenienza del missile stesso. […] Si fa solo notare che esiste
una sia pur debole possibilità che nell’area e al momento dell’incidente fosse
coinvolto un terzo velivolo, di relativa piccola sezione radar, che percorreva la
stessa rotta del DC-9, ad una quota superiore od inferiore non stimabile, apparso
in vista al solo radar Selenia dopo l’incidente e per qualche battuta (si ricorda che
il lasso di tempo tra una battuta radar ed un’altra è di sei secondi). 32 »
In un’intervista rilasciata nel settembre del 2000 al settimanale “Avvenimenti”,
che chiuderà i battenti nello stesso anno per ricominciare l’attività giornalistica
nel 2002 con il nome “Left”; Leonardo Lecce, sostenitore dell’ipotesi del missile,
racconta le difficoltà e le stranezze riscontrate dal collegio durante la sua attività
investigativa.
Lecce dichiara che in seguito al recupero della prima delle due scatole nere del
relitto del DC-9 (quella che registra gli eventi sonori all’interno della cabina di
pilotaggio), gli esperti contattarono un tecnico inglese per effettuare alcune
analisi sui nastri. Il tecnico del collegio Blasi racconta che dopo aver preso in
analisi i nastri l’esperto inglese si era dichiarato molto disponibile a collaborare,
fornendo ai periti un preventivo per l’intervento da eseguire. Ottenuta la
necessaria autorizzazione del giudice Bucarelli, i periti rincontrarono l’esperto
inglese che, inspiegabilmente, riferì di non essere più disponibile per
quell’intervento. Lecce aggiunge che “Aveva detto di no a una ventina di milioni
(di lire) per pochi giorni di lavoro. L’idea che ci facemmo fu quella che qualcuno
lo aveva avvicinato dicendogli di lasciar perdere. Anche in altre occasioni ci
furono dette cose che, in seguito, vennero rettificate o smentite. In particolare, in
certe indagini svolte in ambienti inglesi i colloqui successivi ad alcuni studi
sembravano essere favorevoli alla tesi del missile esterno. Poi, quando ci
venivano inviati i rapporti scritti, le versioni erano inspiegabilmente cambiate.
[…] Che ci fosse qualcuno che si prodigasse per cercare di indirizzare il risultato
delle indagini in un senso anziché in un altro era abbastanza evidente”.
32 Biacchessi, D. Colarieti, F. Punto Condor. Ustica: il processo, cit. pp.80, 82.
93

5.16 L’Italia chiede aiuto alla NATO
Il 27 giugno 1990 segna il decennale della strage di Ustica, ma il caso è tutt’altro
che chiuso. Il recupero del relitto, nel quale si riponevano grandi speranze, non
ha permesso di definire la causa dell’esplosione e quattro commissioni tecniche
non hanno ancora offerto risposte soddisfacenti e plausibili agli inquirenti. Se dal
territorio nazionale non si riescono ad avere informazioni, vengono compiuti
grandi passi per scovare la verità fruendo dei radar delle forze alleate in territorio
italiano. L’ammiraglio James Flaerty, comandante della portaerei Saratoga, che il
27 giugno 1980 è alla fonda nel porto di Napoli, riferisce al TG che quella sera
uno dei due radar della portaerei statunitense potrebbe aver visto quanto è
accaduto nei cieli del Tirreno. Dice di aver consegnato i nastri del radar al suo
superiore, del quale non ricorda il nome.
Il 12 luglio dello stesso anno l’attenzione degli inquirenti è rivolta al Comando
supremo delle forze della NATO in Europa. Si chiedono informazioni circa
l’esistenza di registrazioni radar effettuate da radar della NATO, sul territorio
italiano o su basi mobili (navi, aeromobili, satelliti). La risposta sarà negativa.
Il 17 luglio Bucarelli rivolge dei novi quesiti agli americani. Washington assicura
una risposta ma non fornisce garanzie per quanto riguarda le tempistiche di
soddisfacimento delle richieste italiane.
5.17 Le fotografie del relitto scattate prima del recupero dell’Ifremar
Nel frattempo il Sottosegretario alla Presidenza del Consigli Giuliano Amato
accusa, durante un’audizione alla Commissione Stragi, il giudice Vittorio
Bucarelli di avergli mostrato alcune fotografie del relitto; tali fotografie destano
scalpore perché Bucarelli, in possesso del materiale fotografico acquisito per
mano americana prima del recupero del relitto del DC-9, non avrebbe inserito gli
scatti tra le prove.
94

«Cipriani: Onorevole Amato, è al corrente di voci che riguardano foto del relitto
del DC-9 scattate prima del recupero fatto dalla società Ifremer?
Amato: Il magistrato Bucarelli mi parlò, a fine settembre 1986, di fotografie fatte
dagli americani, cioè ben prima del recupero di parte del relitto di Ustica, poi
compiuto dai francesi dell’Ifremer a partire dal maggio dell’anno successivo 33 .»
Il magistrato, nega quanto affermato dal Amato e procede, tramite i suoi legali ad
una querela contro il parlamentare. Cinque giorni dopo, in seguito alla spaccatura
del collegio Blasi, il giudice istruttore Vittorio Bucarelli nomina un nuovo
collegio peritale internazionale; al fine di effettuare una nuova superperizia sulle
cause dell’incidente.
In seguito alle dichiarazioni di Amato, la figura del giudice istruttore Vittorio
Bucarelli viene messa in discussione. Gli avvocati di parte civile presentano un
esposto alla procura affichè si indaghi a fondo sulle manchevolezze di Bucarelli,
il quale, a sua volta, chiede al presidente del tribunale di Roma, Minniti, di
potersi astenere dalla prosecuzione delle indagini. Così il 23 luglio del 1990,
anno che segna la svolta definitiva dell’indagine sul caso Ustica, Bucarelli esce
di scena la sciando il posto al giudice Rosario Priore: il giudice che all’età di
sessant’anni concluderà l’inchiesta più importante della sua carriera perforando a
distanza di trent’anni il muro di gomma. Intanto, il settimanale “La Rinascita”,
ottiene da un parlamentare della Commissione Stragi alcuni tabulati del radar
militare di Poggio Ballone (Grosseto), mai consegnati ai periti. I tracciati di
Poggio Ballone erano arrivati presso l’ufficio istruzione di Bucarelli, insieme alla
lista del personale in servizio presso quel sito radar la sera dell’incidente del DC-
9, il 14 agosto 1988. Bucarelli non ne aveva mai fatto parola; neanche con il PM
Santacroce, il quale, il 7 ottobre dell’anno successivo chiede allo stesso Bucarelli
di provvedere per l’acquisizione di tale documentazione. La cosa sorprendente è
che, nonostante Bucarelli abbia quei tabulati nel cassetto, ne chiede in consegna
un’altra copia. In seguito all’abbandono dell’inchiesta di Bucarelli, anche
33 Biacchessi, D. Colarieti, F. Punto Condor. Ustica: il processo, cit. pp.84, 85.
95

Santacroce si dimetterà dall’incarico; l’inchiesta passa in mano a due nuovi
sostituti procuratori: Vincenzo Roselli e Giovanni Salvi, con la supervisione del
procuratore aggiunto Michele Coiro.
Il 23 luglio 1990 Priore nomina ufficialmente il collegio di periti individuati in
precedenza da Bucarelli, la cui giuda viene affidata al professor Aurelio Misiti.
96

6. L’attività istruttoria del giudice Rosario Priore
6.1 L’inchiesta passa nelle mani del giudice Rosario Priore
Il 1° agosto del 1990 si svolge, nell’aula bunker di piazza Adriana, la prima
riunione allo scopo di programmare la nuova inchiesta su Ustica. Le carte del
collegio Blasi, i cui periti vengono sentiti da Priore il 19 settembre dello stesso
anno, sono a disposizione del nuovo collegio internazionale. Priore, già
consulente della Commissione Stragi, vuole risposte dal collegio Blasi, ai cui
esperti pone una serie di quesiti circa il loro operato.
Per sottolineare l’importanza della figura di Rosario Priore nell’inchiesta su
Ustica, e per sottolineare l’approccio dello stesso al caso in esame, si è scelto di
riportare la descrizione che Daniele Biacchessi e Fabrizio Colarieti ne fanno nel
già citato libro “Punto Condor. Ustica: il processo”.
«Le sue vere passione restano i misteri e il terrorismo internazionale. Ustica,
l’inchiesta della sua vita. Con la sua abilità di investigatore perforerà tutto il
muro di gomma. Priore giunge al tribunale di Roma nel 1972. Titolare
dell’inchiesta sugli attentati all’Ambasciata di Giordania e alla British Airways,
nel 1973 svolgerà indagini sulla strage di Fiumicino, compiuta dai palestinesi, e
sull’attentato al Café de Paris. Sono sue alcune intuizioni sul caso Moro e
sull’attentato al papa: inoltre sulla sua scrivania si poseranno anche le scottanti
carte sulla scomparsa di Manuela Orlandi. Un giudice scomodo, vecchia maniera.
Sarà uno degli ultimi a sopravvivere alla riforma del Codice di procedura penale
del 1989. Una vita di privazioni. È allergico alla politica. Non ama le
ricostruzioni che seguono le mode, neppure i teoremi 34 .»
Una cosa è certa, anche questo tragico avvenimento, come consuetudine nella
penisola italiana, è stato politicizzato. L’opinione pubblica con idee di sinistra
propende per l’ipotesi del missile, mentre la controparte di destra per il partito
bomba. Al collegio presieduto da Misiti, si prospetta un lavoro ancora più
34 Biacchessi, D. Colarieti, F. Punto Condor. Ustica: il processo, cit. pp.87.
97

difficile di quello dei collegi precedente. Di anni ne sono passati ben dieci, e
buona parte del relitto, e buona parte delle risposte, giacciono ancora in fondo al
mar Tirreno; a 3.600 metri di profondità. Il 25 settembre 1990 Priore formula, al
collegio internazionale, alcuni quesiti strettamente tecnici la cui risposta deve
pervenire non oltre novembre. Il nuovo collegio vanta grandi esperti dei più
svariati settori: ingegneri, radaristi, esplosi visti, ecc…
A presiedere il collegio, come detto in precedenza, c’è il professor Aurelio
Misiti, preside della Facoltà di Ingegneria dell’Università “La Sapienza” di
Roma. Con lui lavoreranno Paolo Santini, Antonio Castellani, Giovanni Picardi,
Carlo Casarosa, Hans Forshing, Arnold Francis Taylor, Dennis Cyril Cooper,
Goran Lilja e Gunno Gunvall.
Nel frattempo l’8 ottobre dello stesso anno, il giudice Priore torna ad interessarsi
del caso del MIG 23 libico caduto sui Monti della Sila. Si reca sul luogo
dell’impatto e sotto ai suoi occhi le guardie forestali recuperano parti del MIG
evidentemente sfuggite all’attenzione dei suoi colleghi durante i precedenti
sopralluoghi. Si riapre così l’inchiesta sul MIG libico già conclusa da ben due
commissioni. Il 27 giugno 1991, a undici anni dalla strage, esce nelle sale il film-
documentario, che riporta all’attenzione dell’opinione pubblica il caso Ustica: “Il
muro di gomma”, alla cui sceneggiatura collaborano Sandro Petraglia, Stefano
Rulli e Andrea Purgatori; con la regia di Marco Risi.
6.2 La nuova campagna di recupero da parte dell’inglese Winpol
Da subito appare chiaro ai periti del collegio internazionale, che le deduzioni e le
conclusioni tratte dai collegi precedenti in merito alle cause della perdita del DC-
9 Itavia, sono state estremamente frettolose ed hanno tenuto conto di elementi di
prova di scarsa rilevanza: come frammenti di schegge e tracce di esplosivo che
potrebbero essere anche frutto di una contaminazione sulla nave Andrea Doria al
momento del recupero la mattina successiva al disastro. Per questi motivi i periti
chiedono ed ottengono dal giudice Priore l’autorizzazione a procedere con una
98

nuova campagna di recupero di quel che resta del velivolo inabissatosi nel
Tirreno. Le operazioni di recupero vengono affidate alla società inglese Winpol
che, seguendo le indicazioni di Carlo Casarosa circa la traiettoria di caduta dei
frammenti del velivolo, ne recupera mano a mano i resti. La nave Valiant
Service, ormeggiata nel porto di Napoli, è dotata di diverse apparecchiature. La
prima è il Magellan: un robot, dotato di telecamere ad alta definizione, enormi
fari per l’illuminazione e pinze per agganciare i reperti; costituito da una struttura
completamente aperta e progettato per resistere alle enormi pressioni che
esistono ad oltre tremila metri di profondità. La nave è anche dotata di una
grande gabbia metallica che viene calata nella zona di operazione per il deposito
di frammenti di minore dimensione; nonché un grande rullo sul quale viene
avvolto un cavo a fibre ottiche. L’incarico di riferire 24 ore su 24 circa i
ritrovamenti viene affidato all’ingegner Baldoni. Prima di procedere con
l’esplorazione di altre aree del Tirreno in cui non si fosse già cercato, gli esperti
ritengono conveniente scandagliare anche le aree perlustrate dall’Ifremer; ed è
proprio in una di queste aree, che si ritenevano deserte, che vengono individuati
giacimenti di reperti di notevole estensione appartenenti alla parte mancante della
fusoliera. Nel frattempo i reperti recuperati dalle precedenti spedizioni venivano
portati nell’hangar di Pratica di Mare, vicino Roma, dove, assieme ai nuovi
ritrovamenti, venivano disposti su un simulacro in 3D del DC-9 I-TIGI. Qualche
tempo dopo il rinvenimento di parte della fusoliera, viene ritrovata anche la
seconda scatola nera.
«Dalle fotografie inviate dalla nave era possibile vedere che la scatola dell’FDR
era vistosamente danneggiata su un lato. Era quindi possibile che non fosse
facilmente smontabile per estrarre il nastro, che inoltre sarebbe stato sicuramente
incrostato per la lunga permanenza in acqua. Era quindi necessaria l’opera di
persone esperte per smontare la scatola, estrarre il nastro ed effettuarne la
pulitura senza correre il rischio di danneggiarlo irrimediabilmente. Frank Taylor
comunicò dall’Inghilterra che nel centro di ricerche di Franborough presso
99

Londra erano disponibili le competenze per effettuare queste operazioni. […] ci
facemmo inviare le istruzioni per la conservazione dell’FDR appena recuperato e
per il suo trasporto in Inghilterra. […] Il laboratorio era adiacente a un grande
hangar dove era stata fatta la ricostruzione della parte anteriore del Boeing B-747
precipitato presso Lockerbie per un attentato terroristico. […] Che in quel punto
fosse scoppiata una bomba era evidente anche per persone inesperte. Nella
fiancata del velivolo si era aperta una falla con lamiere deflesse e arricciate
verso l’esterno. Tutta la struttura intorno alla falla era annerita, portava evidenti
tracce di fusione […]. Poiché una delle ipotesi relative all’incidente di Ustica era
stata che internamente al velivolo si fosse verificata un’esplosione, studiai con
attenzione tutti quei segni perché, se l’ipotesi fosse stata giusta, pensai che avrei
dovuto trovarli e riconoscerli sulle parti del relitto del DC-9 ancora da
recuperare. Su quelle recuperate infatti non vi era niente che fosse lontanamente
paragonabile a quanto visibile sul relitto del Boeing B-747 35 .»
Le registrazioni della scatola nera, analizzate il 24 luglio 1991 dal RARDE
(Royal Armament Research and Development Establishment), purtroppo non
riescono a fornire nulla di nuovo dal punto di vista investigativo. Il 5 novembre
dello stesso anno l’ex colonnello dell’Us Air Force Richard Coe, nel 1980
addetto militare presso l’ambasciata americana in Italia, riferisce al TG1, che la
sera del 27 giugno 1980, su richiesta dello Stato maggiore dell’Aeronautica
militare italiana; l’Ambasciata americana aveva mobilitato tutte le basi USA in
Italia per accertare la presenza di un aereo militare americano nella zona di
Ustica. La risposta fu negativa.
Il 12 gennaio 1992, l’ingegner Chris Protheroe, Senior Inspector dell’AIB,
incaricato dal giudice Priore di svolgere una perizia sul relitto del DC-9;
consegna le sue indagini alla Magistratura. L’ingegnere afferma che sebbene sia
troppo presto per formulare conclusioni definitive, sulla base delle evidenze
35 Casarosa, C. Ustica. Storia di un’indagine, cit. pp. 97, 100, 101.
100

disponibili si può affermare l’esplosione interna nell’area posteriore della cabina,
sul lato sinistro, come causa del disastro aereo.
6.3 L’Aeronautica italiana sotto accusa ed i furti in procura
Il 15 gennaio 1992, al termine di numerosi interrogatori, il giudice Priore
incrimina tredici alti ufficiali dell’Aeronautica con l’accusa di aver depistato le
indagini sulla strage. Tra loro vi sono il generale Zeno Tascio, coinvolto anche
nell’inchiesta sul MIG 23 libico, il generale Lamberto Bartolucci, il generale
Corrado Melillo, il generale Franco Ferri e il generale Franco Pisano, il quale
aveva redatto anche una relazione sull’incidente mentre il collegio Blasi era
all’opera. Stando alle accuse del giudice Priore, gli imputati “dopo aver omesso
di riferire alle autorità politiche e a quella giudiziaria le informazioni concernenti
la possibile presenza di traffico militare statunitense, l’ipotesi di una esplosione
coinvolgente il velivolo e i risultati delle analisi dei tracciati radar di Fiumicino-
Ciampino, abusando del proprio ufficio, fornivano alle autorità politiche
informazioni errate.”
I vertici dell’Aeronautica susseguitisi negli anni, hanno sempre dichiarato
l’Aeronautica “vicina e solidale” ai parenti delle vittime, ma basta pensare a quali
cariche ricoprivano i vari indagati nel 1980 per accorgersi che il coinvolgimento
dell’Aeronautica nella strage di Ustica, seppure sempre negato e smentito, è più
che verosimile.
Proprio in questo periodo comincia una serie di sequestri e di furti di documenti
privati prelevati da abitazioni ed uffici, e di atti riservati chiusi in cassaforti
trafugate. Il 18 gennaio l’UCIGOS sequestra nella redazione del GR1, su
disposizione del procuratore aggiunto di Roma Michele Coiro, il nastro dello
speciale dedicato alla strage di Ustica. Due giorni dopo gli stessi agenti
perquisiscono gli uffici romani del “Corriere della Sera” e della “Repubblica”,
nonché l’ufficio e l’abitazione del giornalista Andrea Purgatori e del cronista
giudiziario Franco Scottoni.
101

Negli stessi giorni, già difficili per gli inquirenti a causa di fughe di notizie ed i
già noti depistaggi, vengono compiute decine di effrazioni ai danni dell’UCIGOS
e dei carabinieri alle dirette dipendenze del giudice Priore. I ladri si introducono
anche negli studi di Osvaldo Fassari, rappresentante della compagnia Itavia, e del
generale Mario Cinti, perito dei familiari delle vittime. Vengono effettuate varie
telefonate di disturbo a periti ed investigatori, e una talpa riesce ad accedere al
bunker di piazza Adriana e far sparire documenti riservati di proprietà del giudice
Priore, accuratamente riposti in una cassaforte.
6.4 Le morti sospette: la vicenda del maresciallo Mario Alberto Dettori
L’11 febbraio 1992 parla, in un’intervista al quotidiano “L’Ora”, un sottufficiale
dell’aeronautica in pensione le cui generalità non vengono rese note ma che
viene dichiarato dal quotidiano come lo stesso aviere che fece la telefonata in
diretta a “Telefono Giallo”. Riferisce che la sciagura del DC-9 è stata causata da
una battaglia aerea fra due Tomcat americani e il MIG libico caduto sui Monti
della Sila. La sera del 27 giugno 1980, il sottufficiale era in servizio al Supreme
Headquarter Allied Powers Europe, il quartier generale della NATO a Bruxelles.
Ed è proprio a Bruxelles che durante uno strano tentativo di rapina viene ucciso il
generale dell’Aeronautica Roberto Boemio, che nel 1980 era capo di Stato
maggiore presso la Terza Regione aerea di Bari. La Magistratura belga non ha
mai risolto il caso.
«Mi telefonò a casa un paio di giorni dopo la strage di Ustica: “Comandante
(parla di Mario Ciancarella), si ricorda di me? Sono Dettori”. Lì per lì il nome
non mi diceva niente. Allora mi ricordò di un incontro che avevamo avuto nel
1978, con i sottufficiali della base di Grosseto. Mi rammentò alcuni particolari
della sala e di una uscita che aveva avuto il comandante. Era agitatissimo:
“Comandante, siamo stati noi a tirarlo giù. Siamo stati noi”. Lo bloccai subito:
“Ma che stai dicendo?”. E lui: “È una cosa terribile…”. Era sempre più agitato.
Gli dissi: “Guarda, ti rendi conto che è una cosa enorme, ci vogliono delle prove,
102

dei riferimenti”. E lui: “Io non le posso dire nulla, perché qua ci fanno la pelle”.
Cercai di calmarlo, perché tanto più era agitato, tanto più poteva essere
pericoloso per lui… Mario Ciancarella, ex capitano dell’Aeronautica in servizio
alla base di Pisa fino al 1980, imputato di insubordinazione perché tra i fondatori
del movimento dei militari democratici, processato ed espulso dall’Arma azzurra,
oggi fa il libraio, ma non ha mai dimenticato un virgola di quanto accadde
intorno a lui e a gli altri sottufficiali e ufficiali investiti da una tempesta di accuse
per aver osato alzare la testa di fronte agli Stati maggiori. Bene, adesso
Ciancarella ha deciso di raccontare tutto e la rivista “Avvenimenti” ha già
pubblicato una parte dei suoi ricordi. Testimonianze che aggiungono tasselli
importantissimi per ricostruire la vicenda di cui è stato protagonista il maresciallo
Mario Alberto Dettori, il radarista di Poggio Ballone trovato impiccato nel 1987.
[…] Nei giorni scorsi, infatti, il magistrato avrebbe sequestrato una agenda del
maresciallo Dettori, in servizio proprio a Poggio Ballone la sera del 27 giugno
1980, su cui sarebbero annotati riferimenti a “missili” e alla “difesa aerea”. Il
fatto è che il giorno dopo la strage, Dettori confidò con tono concitato alla
cognata che “eravamo stati a un passo dalla guerra”. E che questa confidenza
trova oggi una conferma sostanziale nelle parole e nei ricordi del capitano Mario
Ciancarella. […] (Quando Dettori mi richiamò) era freddissimo. Accennò alla
faccenda del MIG trovato sulla Sila, a cui devo dire che in quei giorni non avevo
dato troppa importanza. Poi mi ricordò che gli avevo chiesto riferimenti precisi,
prove”. “Gliele fornì?”. “Mi disse: ‘Io le posso dare solo alcuni suggerimenti, che
poi lei deve verificare’. Gli chiesi: “Scusi ma in base a cosa mi da questi
suggerimenti?”. E lui: “Dopo questa puttanata del MIG… si guardi gli orari degli
atterraggi, i missili a guida radar e a testata inerte”. Gli risposi che lo avrei fatto.
Ci scambiammo gli auguri estivi. E da allora non lo sentii più”. Ciancarella
ricorda che on ci fu più nemmeno il tempo di farli quei controlli suggeriti da
Dettori. All’inizio di settembre cominciò la raffica di accuse contro il movimento
103

dei militari democratici e prima della fine dell’anno arrivò anche l’imputazione
di insubordinazione 36 .»
6.5 Le indagini e gli interrogatori
Nel frattempo, il 23 maggio 1992 arrivano i risultati delle prime analisi della
traiettoria del DC-9 ricavata dai radar di Fiumicino; tali analisi permettono di
sostenere che per alcune decine di minuti un secondo velivolo ha volato in
prossimità del DC-9. Il velivolo sconosciuto si è allontanato dall’I-TIGI due
volte: la prima intorno alle 20.40 (presumibilmente quando dal radar del centro di
controllo l’operatore riferisce al comandante dell’IH870 che è rientrato in rotta,
benché la rotta non fosse, da lui, mai stata modificata) ed una seconda volta
pochi istanti prima dell’incidente. Lo stabiliscono i periti del Politecnico di
Torino, in un voluminoso studio nel quale ricostruendo un possibile scenario
delle circostanze che hanno portate alla strage, arrivano a poter affermare di
essere di fronte ad un vero e proprio scenario di guerra.
Tre giorni dopo iniziano gli interrogatori di Priore. Il generale Bartolucci dichiara
di non aver saputo nulla nell’immediatezza del fatto e di non aver mai avuto
informazioni in merito alla vicenda di Ustica. Il generale Melillo invece afferma
di non aver saputo alcunché circa la presenza di velivoli americani nella zona del
DC-9. Solo il generale Zeno Tascio ammette che il SIOS indagò sulla faccenda
sollecitato dal SISMI, per accertare l’eventuale presenza di aerei di forze alleate
nei pressi della via aerea percorsa dal DC-9. Zeno nega qualsiasi coinvolgimento
in attività investigative circa il caso Ustica, ma ammette di essersi recato più
volte il località Timpa delle Magare (luogo della caduta del MIG libico), ma
esclude di essere stato accompagnato o di aver ricevuto alcun agente della CIA.
36 Purgatori, A. Siamo stati noi a tirarlo giù, da «Corriere della Sera», 17 aprile 1992.
104

Il giudice Priore vuole accertare che il giorno successivo alla sciagura di Ustica
la portaerei Saratoga si trova ancora nel porto di Napoli, così decide di convocare
alcune coppie che sono convolate a nozze a Napoli, per visionarne gli album
fotografici nella speranza di scorgere in lontananza la sagoma della portaerei.
L’intuizione è geniale, la portaerei, contrariamente a quanto affermato dal
comandante della nave James Flatley, durante il primo interrogatorio del 1991,
era ormeggiata a Napoli la mattina del 28 giugno 1980, e non a largo della
Sardegna per un’esercitazione.
Il un articolo del 21 gennaio Andrea Purgatori scrive su “Corriere della Sera” a
proposito dell’intuizione di Priore: «La credibilità del Pentagono sarà assicurata
da una sessantina di sposini? Possibile.»
6.6 Gli esperti statunitensi
Il 27 giugno 1993 cade il tredicesimo anniversario della strage di Ustica. Robert
Sewell, esperto statunitense di missili e consulente per conto dei familiari delle
vittime, sostiene che la principale causa del danneggiamento del velivolo DC-9
IH870 è la detonazione de una o forse due testata missilistiche di grande potenza.
Tale esplosione sarebbe avvenuta nella parte anteriore destra della fusoliera.
L’esperto, come Macidull, non ha dubbi e nel corso di un’affollata conferenza
stampa illustra le sue deduzioni, le quali vengono indicate da Daria Bonfietti,
presidente della Associazione Parenti delle Vittime della Strage di Ustica, come
l’ultimo tassello mancante per completare lo scenario di quella notte. Lo stesso
giorno dell’anniversario il Parlamento concede una proroga all’inchiesta
giudiziaria sulla strage di Ustica.
6.7 Dopo Washington le indagini si spostano a Mosca
Il 25 luglio si prefigura l’ennesimo scenario; il giudice Priore si reca a Mosca per
condurre una nuova rogatoria internazionale, nel corso della quale ascolta le
testimonianze di alcuni ex agenti del KGB che rivelano di aver assistito, da una
105

asa radar nei pressi di Tripoli, all’azione di un caccia americano che abbatte il
volo dell’I-TIGI con un missile. Nel mese di dicembre, precisamente il 23
dicembre, un imprenditore toscano, Andrea Crociani, riferisce al giudice Priore le
confessioni ricevute dal tenente colonnello Mario Naldini, rimasto ucciso
nell’incidente delle Frecce tricolori presso Ramstein. Naldini era in volo su un
velivolo militare italiano insieme a Ivo Nutarelli (anch’esso deceduto in seguito
all’esibizione di Ramstein) e riferì all’imprenditore di aver intercettato, prima di
ricevere l’ordine di rientrare a Grosseto e prima della caduta del DC-9, tre aerei;
uno autorizzato e due no. Tale scenario si inserisce perfettamente nelle
interpretazioni dei dati radar che alcuni periti delle precedenti commissioni
avevano fornito ai giudici istruttori incaricati dell’inchiesta: il velivolo Itavia non
era solo quella sera nel Tirreno
6.8 L’Aeronautica continua a sostenere l’ipotesi della bomba a bordo
Passa ancora un anno, è il 29 giugno del 1994, quando i periti di parte
dell’Aeronautica militare inquisiti, sostengono ancora una volta che il DC-9 è
esploso il volo per effetto di una bomba. Quasi un mese dopo, il 23 luglio dello
stesso anno, la maggior parte del collegio Misiti, nominato da Priore, concorda
con i periti dell’Aeronautica nell’affermare che è tecnicamente sostenibile che
una bomba, posta nella toilette posteriore dell’aereo, abbia causato la sciagura del
DC-9.
«Io vorrei sapere quale ordigno, esploso nel water della toilette di un aereo, è in
grado di far esplodere l’aereo lasciando intatti il water ed il lavandino della
toilette stessa 37 .»
L’ipotesi della bomba a bordo sostenuta dalla maggior parte del collegio Misiti, è
basata sull’analisi di alcuni reperti sui quali era stata riscontrata la presenza di
frammenti associati agli esplosivi TNT e T4. Questi frammenti sono però
37 Dalla trasmissione televisiva Blu notte: La strage di Ustica in onda su RAITRE condotta da Lucarelli, C. intervista
a Purgatori, A.
106

iscontrabili, sebbene in quantità diverse, in molte sostanze, di natura non
necessariamente esplosiva. Ad esempio alcuni frammenti, in rapporto di
abbondanza rilevabile per il TNT, caratterizzano anche i composti contenuti nelle
vernici rosse (si fa presente a questo punto che la livrea dell’I-TIGI e di tutti i
velivoli Itavia, era di colo bianco e rosso pompeiano; perciò, i reperti
caratterizzati dalla presenza di frammenti di TNT, possono benissimo essere
schegge di fusoliera verniciata di rosso, penetrate nei cuscini dei sedili
dell’aeromobile e depositatisi su uno dei ganci che bloccano i tavolinetti posti
dietro ai sedili stessi). Come afferma Carlo Casarosa,
«La cosa a mio parere più grave, è che attraverso questa attribuzione (totalmente
erronea e frettolosa) si è formulata l’ipotesi di esplosione a bordo. […] Si è
trascurata la possibilità che questi frammenti appartenessero a quelle sostanze
che abbiamo individuato, che certamente possono aver contaminato il gancio,
ipotizzando invece che derivassero da esplosivi della cui presenza non c’era
assoluta certezza, e su questa base si è formulata l’ipotesi di esplosione! […] A
mio parere veniva così a cadere un ulteriore pilastro sul quale si era basata la
formulazione dell’ipotesi di esplosione interna al velivolo. Infatti le tracce di
TNT e TA ritrovate sul gancio e la presenza di schegge all’interno dei cuscini
non potevano essere considerate prove di esplosione. […] Restava il problema
delle tracce di TNT e T4 rilevate sui fondi esterni delle borse SNAM. […]
Mentre si svolgevano le discussioni sull’ipotesi di Frank Taylor (circa
l’esplosione a bordo per effetto di una bomba nascosta nell’apparato di scarico
del water), il giudice Priore consegnò al collegio un documento con i risultati di
un’indagine che aveva richiesto ai laboratori della Marina Militare di La Spezia.
(Circa le tracce di TNT rinvenute sull’esterno delle borse della SNAM) Era
presente il sospetto che queste tracce derivassero da inquinamento dei reperti.
(Tali indagini accertarono che l’inquinamento non era avvenuto in ambito
SNAM poiché l’esplosivo utilizzato dalla ditta non era costituito da miscele
contenenti TNT e T4.) Da indagini giudiziarie effettuate presso ufficiali della
107

Marina Militare che avevano partecipato alle operazioni di recupero dei bagagli,
era emerso che molti di essi erano stati recuperati dalla nave “Andrea Doria”. Fu
anche appurato che la nave aveva effettuato esercitazioni a fuoco, sparando
proiettili carichi di TNT e T4, fino a poche ore prima dell’incidente. […] I
bagagli erano stati inizialmente ammassati sul pavimento dell’hangar e sul ponte
di volo adiacente all’hangar della nave “Doria” senza frapporre alcuna
protezione 38 .»
Per gli esperti guidati dal professor Misiti, l’I-TIGI quella sera è solo, mentre
percorre regolarmente la rotta assegnatagli. La frammentazione del velivolo è
congruente con l’esplosione (sostenuta da Frank Taylor) di una bomba nel water
della toilette posteriore dell’aeromobile. Per quanto riguarda il sito radar di
Marsala, la registrazione radar della sera dell’incidente non appare manipolata o
alterata; inoltre gli esperti affermano che l’esercitazione Synadex, da sempre
sostenuta come causa della mancata visualizzazione delle tracce del DC-9 sul
radar di Marsala, è realmente avvenuta. Dai rilievi effettuati sui nastri radar dei
centri di controllo civili e militari non è possibile affermare la presenza di altri
velivoli, alleati e non, in prossimità del DC-9, per questo motivo i numerosi plots
successivi all’incidente, sono tutti “falsi echi di ritorno” dei relitti dell’aereo
stesso in caduta libera.
6.9 I tecnici Casarosa e Held si dissociano dalle conclusioni della
Commissione Misiti
Nella relazione conclusiva del collegio Misiti viene inserita una nota aggiuntiva
di due periti, gli stessi Casarosa ed Held che avevano collaborato con Priore
nell’indagine sul MIG 23 libico caduto in Calabria; i quali si dissociano dalle
affermazioni dei loro colleghi italiani e stranieri, affermando per la prima volta
l’ipotesi della “quasi collisione”. Tale ipotesi, largamente accreditata dal giudice
38 Casarosa, C. Ustica. Storia di un’indagine, cit. p. 169.
108

Rosario Priore, verrà giudicata da personalità autorevoli ma del tutto
incompetenti in materia di aviazione: una “quasi soluzione”.
Passano due masi, ma le conclusioni del collegio Misiti non convincono il
procuratore della Repubblica di Roma Michele Coiro e Giovanni Salvi e
Vincenzo Roselli che inviano a Priore un documento nel quale contestano la tesi
sostenuta dai periti. I tre magistrati si domandano se non sia il caso di riprendere
in esame un’ipotesi abbandonata, quella della possibile collisione in volo con un
altro velivolo. Criticando l’operato dei periti del collegio Misiti, Salvi Roselli e
Coiro affermano che “nella parte conclusiva dell’elaborato peritale concernente
l’ipotesi d’esplosione interna è affetta da tali e tanti vizi di carattere logico, da
tante contraddizioni e distorsione del materiale probatorio raccolto nella fase
descrittiva e nelle perizie collegate, da essere inutilizzabile”. Una questione che
forse meriterebbe più attenzione è costituita dal ritrovamento di un serbatoio
supplementare di un aereo militare. A detta della Procura, secondo quanto
affermato nella relazione peritale, il serbatoio sarebbe stato recuperato in un’aera
diversa da tutte quelle in cui sono stati ritrovati i relitti del DC-9; tuttavia, detta
zona, benché non ospitasse alcun relitto dell’I-TIGI, era stata delimitata
ipotizzando trattarsi di quella di caduta dei frammenti del DC-9 e probabilmente
era meritevole di più scrupolose attenzioni da parte dei periti. Le osservazioni dei
PM sono durissime nei confronti dei periti della Misiti. Il 29 novembre dello
stesso anno commenteranno così le risposte ai quesiti presentati dal collegio
internazionale:
«L’elaborato dei periti Casarosa e Held fornisce utili chiarimenti ai quesiti posti
dal giudice e sollecitati da questo ufficio. Le risposte dei rimanenti componenti
del collegio sono invece, nella quasi totalità, meramente assertive (peraltro
spesso in contraddizione immotivata con quanto affermato in perizia); si ritiene
quindi superflua la fase della presentazione orale delle risposte con possibilità per
le parti di interloquire.»
109

6.10 Una nuova perizia radaristica
Il 4 aprile 1995 il maresciallo Luciano Carico, già ascoltato in precedenza da
Bucarelli, parla di nuovo. La sera dell’incidente del DC-9, nonostante il collegio
Misiti e l’Aeronautica affermino che era in corso un’esercitazione e che per
questo motivo Carico non ha potuto veramente vedere sugli schermi il DC-9 in
caduta; il maresciallo ribadisce di aver visto la traccia IH870 affievolirsi e di aver
lanciato l’allarme.
Il 10 ottobre il giudice Priore, dopo aver depositato le perizie del collegio
internazionale, richiede agli esperti Dalle Mese, Tiberio ed al colonnello Donali,
una nuova perizia radaristica. Le risposte giungeranno il 16 giugno 1997.
Il 21 dicembre 1995 viene scritto un altro capitolo del libro “morti sospette”:
l’assurda sparizione di testimoni chiave sul caso Ustica continua. La vittima
stavolta è il maresciallo dell’Aeronautica Franco Parisi che si impicca ad un
albero nella periferia di Lecce. Nel 1980, la sera dell’incidente, Parisi era
controllore di difesa aerea presso la sala operativa del centro radar di Otranto.
Due giorni dopo, i consulenti di parte Itavia, Luigi Di Stefano e Mario Cinti, ex
generale e portavoce della compagnia aerea, presentano un documento che
evidenzia le contraddizioni dell’ipotesi bomba, ipotesi scartata sin dagli inizi dal
presidente Davanzali. Basandosi su una ricostruzione virtuale del relitto del DC-
9, ottenuta grazie a tecniche di disegno elettronico, Cinti e Di Stefano sostengono
che il DC-9 è stato abbattuto dai corpi inerti di due missili che, esplosi ad una
distanza tale dal velivolo da non potersi vedere sul relitto segni di impatto delle
schegge degli stessi, proseguendo nella loro corsa avrebbero trapassato la parte
anteriore della fusoliera causandone la caduta. I periti dell’Itavia sostengono che
l’aereo aggressore è penetrato nello spazio aereo italiano mascherandosi con
un’operazione di guerra elettronica, che risulta riconoscibile dai tracciati radar
militari.
Il materiale presentato dai periti di parte civile Itavia, di volta in volta, per
avvalorare la loro ipotesi, è così specifico e consta di così tanti documenti, che i
110

periti del collegio Misiti, in particolare il professor Carlo Casarosa, impiegano
mesi per smentire le loro affermazioni. I due periti Di Stefano e Cinti, qualche
anno prima, avanzando la stessa ipotesi basata sulla stessa ricostruzione;
rappresentavano l’intera parte civile (familiari delle vittime ed Itavia). Tuttavia,
erano stati spogliati del loro incarico per conto dei familiari ed avevano
proseguito per conto della compagnia aerea la quale, ovviamente, aveva tutto
l’interesse ad accreditare una qualsiasi teoria che non fosse quella dell’esplosione
a bordo. Gli interventi dei due periti, verrà considerata, da chi come Carlo
Casarosa ha agito per lungo tempo all’interno della commissione del giudice
Priore: l’ennesimo tentativo di ostacolare la ricerca della verità proponendo una
serie infinita di documenti, puntualmente inutilizzabili e dal contenuto fantasioso,
atti a gettare fumo negli occhi o rallentare il corso della giustizia.
6.11 La NATO collabora nell’inchiesta su Ustica
Il 26 marzo 1996, la NATO nega al giudice i codici per decifrare il
funzionamento del sistema radar NADGE. Il segretario generale
dell’Organizzazione atlantica, Javier Solana rispondendo alla richiesta dell’allora
Presidente del Consigli Lamberto Dini, giustifica la negazione dei suddetti codici
sottolineando che si tratta di materiale riservato sul quale non può essere tolto il
vincolo del segreto. In seguito a tale negazione il giudice Priore manifesta
l’intenzione di abbandonare (come prima di lui fecero Bucarelli e Santacroce)
l’inchiesta sul caso Ustica:
«Sto valutando se sussistano o meno le ragioni di convenienza e opportunità per
presentare una dichiarazione di astensione dall’inchiesta. Qualsiasi mia decisione
deve essere preceduta da un mio colloquio con il presidente del tribunale di
Roma Virginio Annedda.»
Tale richiesta di astensione è dovuta tra l’altro ad una serie di accuse che
vengono mosse al giudice Priore da Stefania Ariosto, supertestimone Omega
dell’inchiesta sulle cosiddette “toghe sporche”. La testa lo accusa di aver
111

partecipato nel 1987 a un viaggi negli USA per celebrare Craxi, allora segretario
del PCI, eletto “uomo dell’anno” dall’Associazione per l’amicizia italo-
americana. Il giudice Priore risponde così:
«Ho conferito stamani con il presidente del tribunale. Ho riferito lo stato
dell’inchiesta ed esposto la situazione degli attacchi alla mia persona. Mi sono
rimesso alle sue determinazioni sull’opportunità che mi sia conservata o meno la
titolarità del processo. Il presidente si è riservato di comunicarmi al più presto la
sua decisione. […] Devo anche aggiungere che ho l’obbligo, non solo morale e
personale, di contrastare i danni arrecati alla mia indagine dalla lunga e
martellante campagna di diffamazione e di calunnie condotta da settimanali
scandalistici e quotidiani che, sulla base di notizie provenienti da verbali
giudiziari, hanno abbracciato i racconti del pentito Ariosto e per settimane, in
piena campagna elettorale, e quindi con tutta la valenza che tale circostanza
cagionava, hanno lanciato il personaggio, attribuendogli sempre più voce e
credibilità, […] Gli inquirenti di Milano, che hanno sicuramente capacità di
pesare i pentiti, accerteranno di certo in tempi più che stretti, chi ha convinto la
Ariosto a narrare il suo passato, riferendo fatti di diversi anni fa, peraltro
pubblici.»
Le risposte del Consiglio superiore della Magistratura circa l’idoneità di Priore
alla prosecuzione delle indagini sul caso Ustica giungono il 15 gennaio 1997:
Ustica resta nelle mani del giudice Rosario Priore.
Ottenuta la collaborazione di Javier Solana nel reperire i codici necessari per
decifrare i tracciati radar senza i quali l’inchiesta non può andare avanti; il 24
gennaio dello stesso anno i periti nominati da Priore e alcuni tecnici della NATO
accertano che i dati trasmessi dall’Aeronautica militare alla Magistratura e al
Parlamento in merito al disastro di Ustica sono solo copie, e non gli originali
delle registrazioni radar di Marsala e di Poggio Ballone. Le copie inoltre
risultano esser state manomesse. Il 16 giugno, dopo venti mesi di lavori e di
112

collaborazioni con enti internazionali e NATO, gli esperti radar Dalle Mese,
Tiberio e Donali consegnano una prima relazione radaristica:
«Nella perizia Misiti si sostiene che l’ipotesi della presenza di un velivolo
nascosto è senza fondamento. La situazione relativa alla presenza di una seconda
traccia, avvistata dal radar Marconi, viene spiegata invocando sdoppiamenti
dell’eco radar introdotti dall’estrattore a causa dell’allungamento dell’impulso
ricevuto. Tale spiegazione, che ha certamente una base tecnica, non appare
sufficientemente e quantitativamente motivata. Poiché tale situazione ha una sua
naturale spiegazione nella effettiva presenza di un secondo velivolo, parallelo e
vicino al DC-9, a parere del CP (Collegio Peritale) la negazione di tale evidenza
dovrebbe essere fatta con argomentazioni molto più consistenti e puntuali. […]
Lo scenario, nella zona compresa tra Bologna e Siena, appare nella seguente
relazione molto più complesso di quanto non sia evidenziato nella perizia Misiti.
In particolare dai radar della difesa aerea emerge la presenza di una traccia non
correlabile con le altre presenti nello scenario. I radar civili mostrano una
situazione abbastanza articolata, sia lungo la rotta del DC-9 ad est di Roma, sia
all’altezza di Ponza (punto esatto dell’incidente). Questo scenario non è stato
adeguatamente considerato nella perizia Misiti: infatti la maggioranza delle
tracce, chiaramente presenti nelle registrazioni di Fiumicino, vengono
considerate tracce dai lobi laterali. Questa spiegazione non appare al CP
tecnicamente fondata. In ogni caso, non si ritiene scartabile a priori l’ipotesi che
le predette tracce possano appartenere a velivoli reali, e considerare quindi le
implicazioni che da esse se ne deducono 39 .»
Nel Tirreno quella sera c’è anche una portaerei in navigazione ma non si tratta
della Saratoga (americana, che si trova nel porto di Napoli). Altri aerei militari,
inoltre, intercettano la traiettoria del DC-9.
Le conclusioni dei periti radaristici vengono fortemente criticate dai periti di
parte inquisita. Il 6 dicembre si scopre, da un supplemento di perizia depositato
39 Consulenza radaristica Giubbolini, 13 dicembre 1997, p. 3510.
113

presso il giudice Priore da Dalle Mese, Tiberio e Donali, che la sera
dell’incidente viene impartito l’ordine a tutti gli aerei militari di spegnere il
trasponder che consente la loro identificazione.
Un’altra svolta viene fornita da un sito americano specializzato in disastri aerei
che pubblica la scheda relativa all’incidente di Ustica:
«The aircraft was accidentally shot down by United States Forces who where
targeting two Lybian Mig fighter jets 40 .»
La stessa scheda verrà così modificata nel febbraio del 2002:
«The aircraft crashed into the Tyrrhenian Sea near Ustica, Italy at about 1900hrs
GMT while on a flight from Bologna to Palermo. Many theories as to the cause
of the accident have been entertained, including the possible involvement of
Italian and Lybian fighter jets, which were operating in the area around the time
of the accident. Another theory hypothesizes that United States Forces, while
targeting the Lybian fighter jets in the area, may have accidentally downed the
DC-9 41 .»
6.12 Conclusioni del generale dei Carabinieri Niccolò Bozzo
Il 7 gennaio 1998 il giudice Rosario Priore chiude l’inchiesta sul caso Ustica. Gli
atti, depositati nel bunker di piazza Adriana, vengono messi a disposizione dei
PM per le conclusioni e per le eventuali richieste di rinvio a giudizio. Gli atti
constano di circa un milione e mezzo di fogli di carta, tra le quali spiccano le
conclusioni del giudice istruttore Rosario Priore.
Il 22 gennaio parla il generale dei Carabinieri Nicolò Bozzo, il braccio destro del
generale Dalla Chiesa nella lotta alle BR. La sera del 27 giugno 1980 è in
vacanza con la famiglia in Corsica ed assire al decollo di alcuni aerei francesi
dalla base militare di Solenzara. Lo comunicherà non solo al giudice Priore, ma
anche alla Commissione parlamentare d’inchiesta sulle stragi e il terrorismo.
40 www.airdisaster.com
41 Ibidem.
114

«Quella sera ci fu un’intensissima attività: vidi levarsi in volo Phantom e Mirage.
Ricordo che il piccolo ristorante vicino alla base rifiutò di servirci la cena perché
impegnato con i molto piloti della base. Lasciai la località l’indomani proprio a
causa del grande frastuono e del fastidio suscitato dal continuo andirivieni di
aerei 42 .»
6.13 La versione del Comitato per Ustica e la richiesta di proscioglimento
degli imputati
Il 20 marzo dello stesso anno, dopo vent’anni di studi, il Comitato per Ustica
(Centro studi aeronautici), coordinato dai generali Catullo, Nardi e Fazzino
presenta un dossier che conferma che la caduta del DC-9 Itavia è imputabile
all’esplosione di un ordigno a bordo dell’aeromobile.
«Il 1° agosto i PM chiedono il rinvio a giudizio dei generali dell’Aeronautica
militare, Lamberto Bartolucci, Franco Ferri, Corrado Melillo e Zeno Tascio, con
l’accusa di attentato contro gli organi costituzionali. Si richiede il processo per
sei degli ufficiali dell’AMI accusati di falsa testimonianza. Sono Francesco
Pugliese, Nicola Diorito De Falco, Umberto Alloro, Claudio Masci, Pasquale
Notarnicola e Bruno Bomprezzi. La procura formulerà richieste di non doversi
procedere, perché il fatto non sussiste, nei confronti di Luciano Carico, Claudio
Belluomini, Giuseppe Gioia, Fulvio Salmè e per non aver commesso il fatto nei
confronti di Mario De Crescenzo, Aureli oMandes, Antonio Trombetta e
Gianluca Muzzarelli e per morte nei confronti di Profirio Massari.
Proscioglimento della’accusa per Franco Pisano, Domenico Zauli, Giovanni
Cavatorta, Giorgio Russo, Roberto Zuliani, Guglielmo Sinigaglia, Adulio Ballini,
Pasquale Abate, Mario Di Giovanni, Avio Giordano, Giuseppe Gruppuso,
Salvatore Loi, Giuseppe Vitaggio, Antonio Massaro, Sebastiano Muti, Salvatore
Orlando, Mario Sardu, Sossio Tozio, Lucio Albini, Gennaro Farnataro, Gerardo
42 Biacchessi, D. Colarieti, F. Punto Condor. Ustica: il processo, cit. p. 121.
115

Rocco, Vincenzo De Angelis, Vincenzo Inzolia, Adriano Piccioni, Federico
Mannucci Benincasa.
Richiesta di dichiarazione di non doversi procedere verrà pronunciata anche nei
confronti di Corrado Melillo (per favoreggiamento personale e falsità materiale);
Zeno Tascio (in relazione ad altre contestazioni) e Nicola Fiorito De Falco, in
quanto prescritti. Richiesta di proscioglimento anche per Federico Mannucci
Benincasa (per il reato di falso per soppressione), Pasquale Notarnicola
(favoreggiamento personale). Infine, verrà chiesto di non doversi promuovere
l’azione penale nei confronti delle posizioni indiziarie di Nicola Cariati,
Demetrio Cogliandro, Claudio Coltelli, Salvatore Curci, Sandro Ferracuti,
Angiolo Livi, Domenico Lo Giacco, Bartolomeo Lombardo, Sebastiano Malfa,
Cosimo Maraglino, Giorgio Parisi, Salvatore Raimondi, Claudio Santoliquido,
Giorgio Santucci, Luigi Tramacere e Cesare Zecchini. […] Allo stesso tempo, i
magistrati affermeranno di non essere in possesso di elementi idonei per stabilire
quali furono le cause della caduta del velivolo, escluderanno però la sussistenza
di indizi di cedimento delle strutture. […] Spiegano i tre Pubblici Ministeri: “Una
pluralità di fonti testimoniali, documentali e peritali individuano la presenza di
tracce di aerei militari la cui esistenza era stata sempre negata a livello ufficiale.
Nessuna correlazione è, però, emersa tra la loro presenza e il disastro. Ci
rendiamo conto che questa requisitoria non soddisfa nessuno (nella requisitoria si
afferma che non esistono elementi probatori per parlare di bomba o di missile),
ma si tratta di un lavoro diplomatico; anche se non siamo riusciti a dare risposte
plausibili rimane, però, un lavoro onesto.” […] (circa la vicenda del MIG libico
sulla Sila i PM riferiscono in ambito della stessa conferenza stampa, che)
“Abbiamo evidenziato sulla base dei risultati della commissione italo-libica degli
elementi che non ci consentono di affermare che il MIG sia precipitato il 27
giugno (1980); si può invece ipotizzare che esso sia caduto prima del 18 luglio
(dello stesso anno). […] Secondo i tre PM “la Saratoga quella notte non si mosse
dalla rada del porto di Napoli, così come non è emerso alcun elemento che possa
116

far pensare ad una attività di recupero dei frammenti del DC-9 al di là di quelle
ufficiali 43 .”»
6.14 Le dichiarazioni del generale Mario Arpino
Come noto, mano a mano il muro di gomma si è sgretolato. Il 13 novembre 1998,
il generale Mario Arpino, attualmente capo di Stato maggiore e nel 1980 capo del
secondo ufficio operazioni del terzo reparto dello Stato maggiore
dell’Aeronautica, depone davanti alla Commissione Stragi. Quella notte, il suo
ufficio viene subito informato della sparizione della traccia del DC-9 Itavia, forse
è addirittura il primo a venirne a conoscenza. “Credo di essere uno dei pochi
testimoni di quello che è successo ancora in servizio. […] Si tratta di pensieri,
poi , dopo quei primi due o tre giorni non mi sono più occupato di questa
faccenda almeno fino al 1986. […] Pensai alla collisione perché l’anno
precedente, e anche nel corso dello stesso anno, c’erano state diverse
segnalazioni da parte di comandanti di velivoli civili, che asserivano di aver visto
attraversare aerei sconosciuti, soprattutto in quell’area del Mediterraneo. […]
Questo era collegato al fatto che, in effetti, le esercitazioni delle portaerei, in
particolare americane, francesi, inglesi e forse oggi anche italiane, in mare aperto
non venivano notificate agli organi del controllo. […] Ci giungeva un messaggio
nel quale si segnalava che in una determinata notte o in una determinata giornata,
dall’ora tale all’ora tale, la sesta flotta (USA) aveva un’esercitazione. […]
D’altronde, all’epoca funzionava così; le esercitazioni della sesta flotta non
venivano comunicate all’autorità nazionale qualora si fossero svolte al di fuori
delle nostre acque territoriali o negli spazi aerei di aree regolamentate dove
queste erano consentite fino a determinate quote. Ecco che in base a tutte queste
segnalazioni, ai dubbi che noi stessi avevamo, per i quali a suo tempo abbiamo
condotto azioni di protesta, ho pensato alla possibilità di una collisione, dicendo
tra me e me:«Sta a vedere che uno di questi caccia si è scontrato in volo con un
43 Ivi, pp. 121-123.
117

aereo di linea.» […] L’eccessiva libertà degli aerei della sesta flotta sul nostro
teatro era stata presentata anche all’autorità politica ma non so poi quali siano
state le azioni intraprese nei confronti, in particolare, degli Stati Uniti. […]
L’autorità politica era informata dell’impossibilità di controllare alcune aree del
traffico aereo statunitense in particolare e alleato in generale. […] La Francia
allora non faceva parte dell’Alleanza e vi partecipava solamente come sistema di
difesa aerea nell’ambito della quale esisteva una buona connessione; avevano
contatti personali con i loro radar e ciò avveniva reciprocamente, ma noi non
conoscevamo l’attività francese. Già conoscevamo poco della NATO, quella
NATO cui noi partecipavamo, e a maggior ragione non conoscevamo l’attività
francese, a meno che non interessasse le nostre acque, il nostro territorio o il
nostro spazio aereo. L’attività degli aerei francesi era locale, erano aerei che
partivano da Solenzara sparavano e poi ritornavano. […] Se i francesi da
Solenzara avessero impiantato un’esercitazione su vasta scala, l’attività sarebbe
stata ritenuta normale. […] Esistevano i cosiddetti rapporti tra servizi collegati.
Devo dire anche che l’attività del SIOS e del SISMI erano assai poco note lungo
la stessa catena gerarchica.”
Per Arpino è plausibile che un agente dei servizi americani sia andato sui Monti
della Sila prima che la notizia del MIG si diffondesse in Italia. La messinscena
del 18 luglio diventa verosimile.
6.15 I risultati delle perizie radaristiche di Donali, Dalle Mese e Tiberio
L’8 aprile 1999 arrivano le note conclusive dei periti radaristi Dalle Mese, Donali
e Tiberio: l’incidente al DC-9 si è verificato a seguito di un’azione militare non
autorizzata in territorio italiano. Si è trattato di azione di intercettamento
verosimilmente nei confronti dell’aereo nascosto nella scia radar dell’I-TIGI.
L’aereo di linea è rimasto vittima inconsapevole di tale azione giudicata
propriamente di guerra. L’ipotesi più congruente a spiegare le modalità di rottura
del velivolo è da ricercare nella “quasi-collisione” ipotizzata dai periti della
118

Misiti, Casarosa ed Held. Lo scenario delineato nella perizia dei tre radaristi offre
spiegazioni logiche ed esaurienti a tutta una serie di fatti fino a quel momento
inspiegabili, determinati cioè dalla necessità di mantenere segreta un’operazione
militare, come quella avvenuta nei cieli di Ustica quella sera, che tale doveva
rimanere (anche a distanza di più di trent’anni). A tal proposito risultano rilevanti
la reticenza dell’Aeronautica e del personale in servizio quella notte presso i
diversi centri radar (soprattutto quelli militari) coinvolti nell’inchiesta, la
mancata collaborazione internazionale alle ripetute rogatorie dell’autorità
giudiziaria e le innumerevoli incongruenze registrate nella vicenda del MIG.
Il 15 settembre dello stesso anno Daria Bonfietti si dimette dalla Commissione
stragi.
6.16 I processi: assoluzioni e risarcimenti
Il 30 maggio 2000 rimane incerta la data d’inizio del processo ai nove alti
ufficiali dell’Aeronautica militare incriminati da Priore. Il problema, dopo
vent’anni di inchiesta, è che non si riesce a trovare un’aula disponibile per
celebrare il processo. Nelle stessa ore in una mozione promossa dalla stessa
Daria Bonfietti e firmata da oltre cento parlamentari, si chiede che il processo
venga celebrato in tempi brevi.
Il 23 giugno 2000 la procura militare di Roma chiede l’archiviazione sul disastro
di Ustica poiché non ci sono i presupposti per rivendicare un’azione legale nei
confronti degli imputati. Qualche mese dopo il processo sui presunti depistaggi
ha inizio nell’aula bunker del carcere di Rebibbia davanti alla sezione terza della
Corte d’Assise di Roma.
Solo qualche giorno dopo a Bologna, in piazza Santo Stefano, va in scena “I-
TIGI, Canto per Ustica”: un monologo scritto da Daniele Del Giudice, che il 6
luglio dello stesso anno viene trasmesso in TV dall’emittente RAI 2. La
trasmissione ottiene un successo d’ascolti inatteso: l’inchiesta sul caso Ustica, a
119

distanza di vent’anni, tocca ancora il cuore dell’opinione pubblica; proprio come
se il tempo non fosse mai passato.
L’ex presidente della compagnia Itavia, l’11 aprile 2001, ormai anziano e malato,
ipotizza nelle sue denunce un ventaglio di reati militari che vanno dalla
soppressione di atti sulla difesa dello stato alla rivelazione di segreti militari a
scopo di spionaggio. L’operazione di polizia internazionale è costata, secondo i
legali di Davanzali, la vita a 81 innocenti e il fallimento della società Itavia, per
la quale Aldo Davanzali chiederà allo Stato un risarcimento di 1.700 miliardi di
lire per i danni morali e patrimoniali subito a seguito della strage di Ustica.
Risarcimento che il 26 novembre del 2003 accorderà alla compagnia Itavia. Lo
Stato non ha garantito la sicurezza dell’aerovia nella quale viaggiava il DC-9: i
ministeri dei Trasporti, della Difesa e dell’Interno vengono condannati ad un
risarcimento di 108 milioni di lire. Ad avvalorare le richieste di Davanzali c’è
anche il ritrovamento di un caccia USA ripescato nel mare di Gaeta il 22 gennaio
2000. I pescatori ritengono sia un residuato bellico, ma quell’aeromobile
appartiene all’Aviazione degli Stati Uniti d’America. Il luogo del ritrovamento,
casualmente, si trova sulla rotta percorsa dal DC-9 la sera dell’incidente: nei
pressi del Punto Condor. Stando a quanto dichiarato dall’ambasciata americana
in Italia, quel velivolo è caduto insieme ad un altro caccia sei anni prima della
sciagura di Ustica, nel corso di un’esercitazione.
Il 24 gennaio 2002 la Corte dei Conti chiede 27 miliardi di lire di risarcimento
per il recupero del relitto del DC-9 a militari ed altre persone coinvolte
nell’inchiesta. Il 20 giugno 2006 la Corte dei Conti assolverà in via definitiva
trentacinque tra alti ufficiali, sottufficiali e militari dall’accusa di aver procurato
un danno all’erario facendo spendere al Governo quasi 28 miliardi di lire per il
recupero della carlinga del DC-9. Secondo i giudici quelle spese furono disposte
dal magistrato inquirente nel tentativo di far luce sulla vicenda e non possono
essere addebitate agli ufficiali.
120

Il 1° settembre 2003 il leader libico Gheddafi, nel corso di un discorso al Paese,
in occasione del 34° anniversario della rivoluzione libica, afferma che il DC-9 è
stato abbattuto da aerei USA che credevano che in volo ci fosse lui stesso e
volevano eliminarlo.
Il 30 aprile 2004 si chiude il processo sui presunti depistaggi. La Corte d’Assise
di Roma assolve da tutte le accuse ai generali dell’Aeronautica Lamberto
Bartolucci, Franco Ferri Tascio e Corrado Melillo. I reati vengono considerati
prescritti perché derubricati.
Il 15 febbraio del 2005 i PM ed i difensori di parte civile presentano una richiesta
di appello contro la sentenza pronunciata dalla Corte d’Assise di Roma l’anno
precedente. La stessa richiesta viene presentata anche dai legali di parte Itavia.
Qualche mese dopo muore all’età di 83 anni il presidente Aldo Davanzali.
Il 3 novembre 2005 inizia il processo di appello ai generali Bartolucci i Ferri
perché rispondano del reato di omessa comunicazione al Governo di
informazioni sul disastro di Ustica. Qualche giorno dopo i PM chiedono, per
loro, alla Corte d’Assise d’Appello di Roma una condanna a 6 anni (quattro dei
quali condonati) e nove mesi di reclusione. Il 15 dicembre dello stesso anno
Bartolucci e Ferri vengono assolti perché “il fatto non sussiste”. Il generale
Bartolucci non poteva omettere di comunicare informazioni che probatoriamente
gli erano ignote.
Il 29 dicembre 2005 il Governo stanzia 8 milioni di euro a favore dei familiari
delle vittime della strage. È il 1° giugno 2006 quando lo Stato risarcisce i genitori
di Rita Guzzo, morta all’età di trent’anni sul DC-9; sarà il Ministero alle
Infrastrutture e dei Trasporti a pagare 123 mila euro più le spese legali ai
familiari della Guzzo.
6.17 L’ultimo viaggio del DC-9: il ritorno a Bologna
Cinque giorni dopo il relitto del DC-9 viene trasportato a Bologna per essere
riassemblato nel Museo della Memoria, che sorge negli ambienti dell’ex deposito
121

Zucca in via del Saliceto. Il museo, allestito da Christian Boltanski, apre i
battenti il 27 giugno dell’anno successivo. È proprio nel ventiseiesimo
anniversario della sciagura che una mozione parlamentare al Senato chiede al
Governo di intraprendere nelle sedi più opportune ogni possibile iniziativa
finalizzata all’accertamento della verità. Viene anche richiesto di adoperarsi
presso le istituzioni internazionali affinché Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna e
Libia collaborino alle indagini.
6.18 Cossiga: “sono stati i francesi!”
Il 25 gennaio 2007 parla il presidente emerito della Repubblica Francesco
Cossiga. In un’intervista a Radio Rai in merito alla strage di Ustica, scagiona
Stati Uniti e Libia dichiarando altresì di non poter dire, pur sapendolo, qual è il
Paese alleato che “puntando male un missile” colpì il DC-9. Un anno dopo lo
stesso Cossiga affermerà che “furono i nostri servizi segreti che, quando io ero
Presidente della Repubblica, informarono l’allora Sottosegretario Giuliano
Amato e me che erano stati i francesi, con un aereo della Marina, a lanciare un
missile non ad impatto, ma a risonanza. Se fosse stato ad impatto non ci sarebbe
nulla dell’aereo. La tesi è che i francesi sapevano che sarebbe passato l’aereo di
Gheddafi. La verità è che Gheddafi si salvò perché il SISMI, il generale
Santovito, appresa l’informazione, lo informò quando lui era appena decollato e
decise di tornare indietro. I francesi questo lo sapevano, videro un aereo dall’altra
parte di quello italiano che si nascose dietro per non farsi prendere dal radar”.
Sono proprio queste dichiarazioni che porteranno la Procura di Roma a riaprire
l’inchiesta sulla strage di Ustica il 21 giugno 2008.
6.19 Le rogatorie dopo la bufera Cossiga
Il 30 maggio dello stesso anno i Ministeri dei Trasporti e della Difesa vengono
condannati ad un risarcimento complessivo di 980 mila euro nei confronti di
122

quindici familiari di quattro delle 81 vittime: Gaetano La Rocca, Marco Volanti,
Elvira De Lisi e Salvatore D’Alfonso.
Agli inizi del 2008, 88 familiari delle vittime citano in giudizio dinanzi al
Tribunale di Palermo, i Ministeri della Difesa e dei Trasporti ritenuti colpevoli di
omissioni e negligenze che hanno impedito di sapere cosa accadde la sera
dell’incidente di Ustica. Si intraprende così un nuovo processo civile per stabilire
le eventuali responsabilità dei Ministeri citati in giudizio. La Terza Sezione
Civile della Cassazione osserva che “i solo fatto che i Ministeri non avessero
conoscenza della presenza di velivoli nell’aerovia assegnata ad Itavia, e a
maggior ragione, che si trattasse di aerei militari non identificati, di per sé non è
elemento idoneo ad escludere la colpevolezza, poiché integra proprio, se non
altrimenti giustificato, l’inosservanza delle norme di condotta e di sorveglianza e
di controllo o quanto meno il difettoso esercizio di tali attività”.
Il 22 giugno 2010 il portavoce del Ministero degli Esteri francese Bernard
Valero, rispondendo a una domanda di un giornalista dell’Ansa in merito al caso
Ustica, afferma che la Francia è pronta a cooperare pienamente non appena le
autorità italiane invieranno a quella francesi competenti una rogatoria
internazionale.
Rogatoria che non si fa attendere. Qualche giorno dopo il ministro della Giustizia
Angelino Alfano firma ed inoltra quattro rogatorie internazionali sul caso Ustica
a Francia, Stati Uniti, Germania e Belgio (NATO). la richiesta mira ad accertare
le responsabilità a seguito delle dichiarazioni rilasciate dal Presidente emerito
della Repubblica Francesco Cossiga.
6.20 In Italia, tutto rimandato al 2015
Il 22 novembre dello stesso anno, il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio
Carlo Giovanardi, nel corso di una conferenza stampa alla Prefettura di Bologna
dichiara che a causare la strage del DC-9 di Ustica fu una bomba nella toilette di
coda del velivolo Itavia, come stabilito dal collegio presieduto da Aurelio Misiti
123

nel 1994. Quest’affermazione suscita scalpore e indignazione nei parenti delle
vittime che, attraverso i vari organi di stampa risponderanno:
«“E’ una vergogna, siamo stanchi. A chi devo credere in questa Italia? A Priore o
a lei (Giovanardi) o a Cossiga?” ha chiesto amareggiata Elisabetta a Giovanardi.
”Si fa presto ad infangare il lavoro di un bravo magistrato…”, ha detto più tardi
uscendo dal museo dove sono conservati i resti dell’aereo. ”Carlo Giovanardi
invece di proporci vecchie ipotesi già smentite ci faccia i nomi o se non li
conosce stia zitto”, è lo sfogo di Roberto Superchi, che nell’inabissamento
dell’aereo ha perso una figlia di undici anni. Bonfietti: “Mente sapendo di
mentire”. La presidente dell’associazione famigliari delle vittime, Daria
Bonfietti, sintetizza così tutta la sua amarezza: “‘Queste sono menzogne,
Giovanardi mente sapendo di mentire”. ”E’ dal 99 – prosegue Bonfietti, ai
microfoni di CnrMedia – che il giudice Rosario Priore ha concluso, con la sua
sentenza ordinanza, sulle cause dicendo che il DC9 é stato abbattuto all’interno
di un episodio di guerra aerea 44 .”»
Il 10 settembre del 2011 il giudice Paola Proto Pisani del Tribunale di Palermo
annuncia che i Ministeri sotto accusa della Difesa e dei Trasporti dovranno
risarcire i familiari delle vittime per quanto accaduto la sera del 27 giugno 1980.
Secondo la sentenza si può ritenere provato che l’incidente si sia verificato a
causa di un intercettamento realizzato da parte di due caccia, che nella parte
finale della rotta del DC-9 viaggiavano parallelamente ad esso, di un velivolo
militare precedentemente nascostosi nella scia del DC-9 al fine di non essere
rilevato dai radar, quale diretta conseguenza dell’esplosione di un missile
lanciato dagli aerei inseguitori contro l’aereo nascosto oppure di una quasi
collisione verificatasi tra l’aereo nascosto ed il DC-9.
Il capitolo finale del triste romanzo di Ustica sembra scritto, ma in un’inchiesta i
cui fili sembrano tutto tranne che logici, la patetica ciliegina sulla torta giunge il
16 marzo 2012, quando la Corte d’Appello di Palermo sospende l’efficacia della
44 www.usticadestiniincrociati.wordpress.com.
124

sentenza che ha condannato i Ministeri dei Trasporti e della Difesa a risarcire i
familiari delle vittime.
La Corte dispone, inoltre, il rinvio del processo all’aprile del 2015; data nella
quale forse, queste sciagurate 81 vittime innocenti potranno vedere aprirsi uno
squarcio di luce nella coltre di nuvole della reticenza che ha mascherato e
maschera da oltre trent’anni le responsabilità circa uno dei disastri più
drammatici ed inspiegabili della storia italiana.
6.21 Nient’altro che una bella promessa
Bruxelles, 25 aprile 2012: una commissione d’indagine europea indagherà per
accertare le responsabilità del disastro di Ustica e valutare se la condotta della
Francia sia stata omertosa, al punto da impedire di accertare la verità circa
l’abbattimento del DC-9 dell’Itavia.
«Egregio signore,
sono lieta di comunicarLe che la commissione per le petizioni ha esaminato la
Sua petizione e ha ritenuto le questioni da Lei sollevate ricevibili, a norma del
regolamento del Parlamento europeo, in quanto si tratta di una materia che rientra
nell’ambito delle attività dell’Unione europea.
La commissione ha quindi avviato l’esame della petizione e ha deciso di chiedere
alla Commissione europea di svolgere un’indagine preliminare sui vari aspetti
del problema. La commissione per le petizioni proseguirà l’esame non appena le
saranno pervenute le informazioni necessarie.
Sarà mia cura tenerLa al corrente di ogni ulteriore seguito dato alla Sua
petizione.
Voglia gradire i miei più distinti saluti,
Erminia Mazzoni
125

Presidente della commissione per le petizioni 45 .»
Nel mese di settembre del 2012, la Commissione per le petizioni del Parlamento
europeo ha fatto sapere di non avere la «competenza per intervenire
nell’amministrazione quotidiana dei sistemi giudiziari dei singoli Stati membri».
Pur essendo a conoscenza del caso Ustica, e del fatto che a più di 30 anni dal
disastro «i parenti delle vittime di questa tragedia sono ancora in attesa di
giustizia», l’Ue si rammarica di non poterci aiutare poiché non le è consentito
«intervenire nelle procedure di cooperazione giudiziaria tra gli Stati membri
dell’UE non disciplinate dagli strumenti legislativi dell’UE», annunciando la
possibile archiviazione della petizione.
«I legali dei familiari delle vittime nei giorni scorsi hanno inviato a Bruxelles
un’integrazione della stessa petizione, dove tornano a chiedere al Parlamento
europeo l’immediata costituzione di una commissione d’inchiesta che indaghi sul
caso Ustica. «Riteniamo – scrivono Osnato e Galasso nella nuova istanza – che il
Parlamento Europeo, e per esso la Commissione Petizioni, abbia il potere, ma
anche il dovere, di intervenire con estrema fermezza onde garantire i diritti
fondamentali, sanciti dalla Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea,
che si identificano nella Dignità (Art.1), nel Diritto alla Vita (Art.2), nel Diritto
alla Sicurezza (Art.6) e nel Rispetto della Vita Familiare (Art.7). E tale
intervento, si badi bene, può essere avviato prescindendo dalla sottoscrizione di
determinate convenzioni, poiché dettato dalla necessità di tutela dei suddetti
principi universali di cui si è fatto scempio nei confronti di Cittadini Europei 46 .»
45 www.stragi80.it, petizione n. 1252/2011.
46 www.stragi80.it.
126

7. Le conclusioni del giudice Rosario Priore
«S’è compiuta una sistematica distruzione di prove, in esecuzione di un preciso
progetto che doveva impedire ogni ricostruzione dei fatti. Progetto che ha colpito
in tutti i livelli a salire sino allo Stato Maggiore, come già si è esposto ed è inutile
ripetere. Così come in tutti quei gangli essenziali delle istituzioni ove si
conservavano documenti e memorie degli eventi. Progetto concepito per non
rivelare fatti ed eventi che non potevano esser palesati e che ha trovato
realizzazione nella erezione di quella muraglia, più che muro, di silenzio o
insostenibili menzogne; che si è estesa lungo tante, troppe istituzioni, nazionali e
di altri Paesi e per anni non s’è nemmeno sbrecciata. Le cui dimensioni e
resistenza sarebbe assurdo definire casuali e non effetto di quel progetto. […]
Uno però dei tanti mali che affliggono la giustizia, - lo si deve riconoscere – ha
colpito e duramente, anche questo processo, cioè la sua durata, ma essa non è
assolutamente dipesa dagli inquirenti. Ben sa chi ha scorso questi atti – e lo si è
scritto in questa motivazione – a chi debba essere ascritta questa
incommensurabile colpa. […] E il disastro di Ustica, come la vicenda di
Castelsilano, ben si inquadra in quel permanente stato di tensione che genera
nell’88 l’abbattimento del Pan Am su Lockerbie e quello dell’UTA sul deserto
del Tenerè nell’89. […] Per la strage del Tenerè sono stati accusati e condannati
all’ergastolo, sempre nel marzo scorso, il cognato di Gheddafi, Abdallah Senussi,
e cinque appartenenti ai Servizi libici. Con l’attentato il regime libico mirava ad
imporre alla Francia il disimpegno militare nel Ciad, abbandonando così
N’djamena nelle mani di Tripoli. […] Sempre tra fine inverno scorso e questa
primavera una prima soluzione nel contrasto tra Regno Unito e Jamahirija, su
Lockerbie. […] Anche in questo caso un atto di terrorismo imputabile ad agenti
che appaiono organi di una entità statale, che appaiono cioè agire per un soggetto
di diritto internazionale. […] Una volta provato uno scenario esterno complesso e
posto che un velivolo si nascondeva nella scia del DC9, che altri si sono inseriti e
hanno seguito da presso la rotta di quel velivolo e poi se ne sono distaccati,
127

lanciando emergenza, che nei dintorni di Ponza e in altre aree del Tirreno vi
erano aerei militari in esercitazione, che probabilmente vi navigava anche una
portaerei, che dopo l’evento si son verificate tutte quelle attività e fatti che si
sono elencati, si deve tentare di dare un ordine provato e ragionevole a queste
tessere per ricavarne un quadro quanto più possibile completo. […]Era in atto, e
durava già da tempo, un’emorragia gravissima nell’Aeronautica e nella Difesa,
determinata da un massiccio trasferimento di piloti in Libia, organizzato da una
regolare società, addirittura capeggiata da ex generali, che solleticava i nostri
ufficiali AM con stipendi altissimi ed altri benefici, provvedeva al loro alloggio e
sistemazioni, forniva l’istruzione militare dei libici. Nessuno s’è mai posto il
problema di queste perdite. Ma ancor più follemente nessuno s’è mai curato del
pericolo che con questa emorragia ne derivava alla sicurezza dello Stato.
Nessuno s’è mai preoccupato non solo che si trasferissero ad uno Stato
potenzialmente ostile professionalità militari, ma che ne potessero scaturire
anche – come avvenne – rivelazioni e vere e proprie attività di spionaggio su
informazioni sensibilissime come i più volte detti “buchi” nella rete radar, quei
varchi cioè che consentivano la penetrazione nei nostri spazi e addirittura voli di
trasferimento dal Mediterraneo nel Nord-Italia e verso l’Est europeo. Come
provato dai corridoi per i MiG che raggiungevano la Jugoslavia, in particolare la
base di Banja Luka – ma anche Sarajevo, Spalato e Belgrado – per manutenzioni
e riparazioni varie, e poi ritornavano in Libia usufruendo di corridoi italiani e
facendo tappa a Malta, e così usando l’Ambra 13. […] Possibilità di cui erano a
conoscenza non solo la nostra Difesa e i nostri Servizi, ma anche l’orecchio
statunitense, che comunque aveva sensori a Venezia alle Officine Aeronavali.
[…]Tutti, quelli che dovevano provvedere, erano a conoscenza di queste
penetrazioni; nessuno se ne curava; non pochi ne lucravano in giochi di potere e
denaro. […]E quel giorno anche la presenza del velivolo del Presidente Carter, il
numero uno dell’Air Force, e di tutti quegli altri uomini di Stato e di Governo
che avevano preso parte al G7 di Venezia, e stavano per raggiungere Ankara per
128

il Consiglio Atlantico. Più erano le ragioni di allerta o allarme e fors’anche i
progetti di reazione; progetti concepibili e realizzabili solo da pochissime
strutture militari. Quelle che disponevano dei velivoli d’attacco, quei velivoli che
lasciano le tracce radar di cui a lungo s’è detto; e delle capacità di guidacaccia.
Non solo. A questo punto se s’è realizzata una situazione di tal genere, ci si deve
porre il problema di quale fosse l’obbiettivo di quell’allarme o vera e propria
operazione. Ritornano qui alla mente i grandi inquinamenti che hanno parlato di
questa operazione, ma in termini tali da renderla incredibile. Cioè tentare di
comprendere se si volesse scoraggiare i passaggi dando un preciso segnale di
voler abbattere chi usasse quei varchi e quelle aerovie o se si mirasse a un preciso
passaggio. […] non bisogna dimenticare che il leader libico ha sempre sostenuto
che quella sera si puntasse contro di lui. Certo pur richieste, non sono state mai
addotte prove in tal senso. E al di là della carcassa del MiG – che è un velivolo
inseguito, raggiunto dal fuoco degli inseguitori e quindi caduto non solo per la
semplice ragione che avesse finito il carburante – resta la considerazione che
nelle mire e nei mirini di quelle forze che potevano portare a compimento
un’operazione del genere, non v’era altri come avversario principe nell’area del
Mediterraneo, e per tutte le ragioni che s’è detto, che quel leader. Ed esso, aveva
in quel particolare momento necessità di visitare paesi europei, come la
Jugoslavia con cui intratteneva tanti rapporti, e la Polonia, in particolare con la
quale aveva in corso una trattativa di primario interesse, grano contro petrolio. Al
punto urgente, che di lì a qualche giorno sarà Jaruzelski a raggiungere Tripoli. E
proprio quella sera un velivolo libico non di linea proveniente da Tripoli che
stava risalendo verso Nord e avrebbe dovuto impegnare l’Ambra 13,
improvvisamente devia, a pochi minuti dal disastro, nel canale di Sicilia verso
Est, abbandonando il percorso stabilito dal piano di volo per raggiungere con
ogni probabilità Luqa. E questa manovra avviene proprio in quel tempo di cui
manca, al radar di Marsala, la registrazione. […] Di fronte a questo scenario non
è semplice individuare, con i soli strumenti del diritto interno, le responsabilità
129

giuridiche. E questo si sottolinea proprio perchè qui ci si astiene, come di dovere,
dal considerare quelle politiche di più vasto ordine. Certo se la caduta dell’aereo
civile è stata determinata da quasi collisione, che ha cagionato la rottura dell’ala
di sinistra, cui è conseguito quel break up che s’è descritto dai periti di Ufficio,
Misiti e gli altri successivamente alla ipotizzata da loro esplosione, e da Casarosa
e Held più di recente ed in modo completo, a partire cioè dal sorpasso stesso; la
causa diretta dell’evento sarebbe la condotta del pilota dell’aereo sorpassante, ma
questi che di certo ha agito mosso non da dolo diretto, non può non aver previsto
la quasi collisione con il velivolo civile i cui ben conosceva la posizione dal
momento che volava proprio approfittando della sua ombra radar. Lo ha
sorpassato accettando questa eventualità. Ma quand’anche si versasse nell’ambito
di questo dolo, la sua condotta sarebbe stata pur sempre determinata da
un’esigenza di difesa da un attacco più che probabilmente mortale. Quanto al
dolo di coloro che attaccavano è difficile accertare se essi abbiano agito solo
nell’intento d’inseguire o colpire il velivolo nella scia, certamente non civile, o se
avendo di certo visto, direttamente o a mezzo radar il nostro DC9, ne abbiano
previsto la possibilità del danno e l’abbiano accettata. Non diverse le conclusioni
anche se la caduta è stata determinata da una qualche esplosione esterna, come di
missile a prevalente effetto di blast; così come descritto dai consulenti di parte
civile. In questo caso si tratterebbe di vera e propria aberratio ictus. Resterebbe
perciò comunque la strage, secondo il diritto interno. Ma l’azione è
principalmente un atto di guerra, guerra di fatto non dichiarata – com’è
d’abitudine da Pearl Harbour in poi, sino all’ultimo conflitto nei Balcani –
operazione di polizia internazionale. […]Certo la strage resta, come restano
ignoti i suoi autori. Ma il fatto si inserisce in un contesto su cui l’ordinamento
interno appare incompetente. E quindi potrebbe essere scriminata. Infatti qui si
superano i limiti del diritto interno, perché sia quelli che attaccavano che quelli
che erano attaccati non agivano uti singuli, bensì con ogni probabilità, essendo
soggetti in divisa - certamente i primi che con ogni probabilità i secondi - come
130

organi di Stati o soggetti con personalità giuridica nell’ordinamento
internazionale. In effetti i militari, cioè gli appartenenti alle forze armate di uno
Stato, sono considerati quali organi dello Stato in quanto soggetto di diritto
internazionale. E la loro attività è imputata dall’ordinamento internazionale allo
Stato come soggetto dello stesso ordinamento. […]I passaggi sono stati
consentiti, e proprio di quei mezzi che rafforzavano, con opere e tecniche qui e in
Jugoslavia, il dispositivo militare di chi era potenzialmente ostile e doveva per
impegni internazionali essere boicottato. Avremmo dovuto, a rigore di alleanza,
impedirli. Ma qualcuno li voleva e li favoriva. […]Forse questa non è la sede per
trarre queste somme, ma non si deve dimenticare che sono state proprio le stragi,
nella ricerca delle cui cause si sono compiuti e ancora si compiono errori, che
hanno segnato l’anormalità e le anomalie dell’Italia rispetto al resto d’Europa e
dell’Occidente. Ci si augura solo che la saggezza della politica non cada
nell’interpretazione particolare o nell’ansia della giustizia ad ogni costo, che poi
snatura l’essenza stessa della giustizia, perché si rivela sempre di parte. In questo
caso sì è trattato di relazioni doppie. Se in questa sede fosse consentito si direbbe
con linguaggio non paludato, da una parte il vincolo dall’altra i rapporti illeciti.
Che se fossero poi tenuti per affari e denaro, avrebbero una ancor più grave
definizione. E d’altra parte la nostra storia non manca di precedenti; di trattati
stipulati e poi salti di campo, o “ribaltoni” come con neologismo di bassa lega
vengono chiamati, addirittura in corso di conflitto. […]Graduare le colpe, in una
fattispecie del genere, se le cose sono andate come s’è scritto e lo si è scritto
perché le prove sono in tal senso, non è opera semplice; determinare cioè chi ne
avesse di maggiori o minori, tra chi si prendeva i passaggi, chi voleva impedirli,
chi aveva l’obbligo di non concederli ed invece li consentiva. E questo avveniva
perché esistevano due anime; due anime della politica, dei militari, dei Servizi, e
su questi “partiti” soccorrono proprio le parole di chi avrebbe dovuto esser messo
al corrente degli eventi, ma che comunque conosceva tutti quegli ambienti e ne
131

dà il seguente impietoso giudizio, anche se limitato al Servizio militare e ai suoi
interlocutori politici 47 .»
«Alcune lotte dei Servizi … la lotta tra Maletti e Miceli è chiaramente una lotta
tra due tendenze del Servizio, una filo-israeliana e l’altra filo-araba. La
protezione dell’onorevole Moro nei confronti del generale Miceli era totale 48 .»
47 Sentenza-ordinanza e le conclusioni del giudice istruttore Rosario Priore nel procedimento penale Nr. 527/84
A.G.I. – CAPO 7° - CONSIDERAZIONI FINALI.
48 Ivi, v. esame Cossiga Francesco, GI, 30 luglio 1992.
132

8. Gli anni di piombo e le “Stragi di Stato”
8.1 Introduzione
«In Italia c’è sempre stato un ambito di violenza diffusa. Il livello di violenza che
si è riscontrato è di gran lunga superiore a quello degli altri paesi europei. […] gli
odi e le violenze appaiono quelli propri delle guerra civili. […] Una tradizione di
conflitti che si è rafforzata nel cuore del XX secolo a causa di un’altra peculiarità
italiana, questa volta geopolitica: la nostra situazione di paese di frontiera, dove
durante la guerra fredda si sono scontrate le grandi ideologie del Novecento e
addirittura fronteggiati i blocchi militari della massima potenza, dotati di arsenali
nucleari 49 .»
Piazza Fontana a Milano, Piazza della Loggia a Brescia, il treno Italicus, Ustica,
Peteano, la Stazione di Bologna: nomi e luoghi che risvegliano ricordi dolorosi in
tutti gli italiani e che hanno scandito i momenti salienti di anni bui della
Repubblica italiana, gli anni di piombo; periodo storico del scolo scorso che va
dagli anni Settanta all’inizio degli anni Ottanta, in cui si verificò
l’estremizzazione della dialettica politica che si tradusse in violenza di piazza,
lotta armata e terrorismo. Misteri, ritrattazioni, processi, condanne, assoluzioni,
nomi saliti alla ribalta per poi svanire nelle ombre dei segreti d’Italia: un paese in
cui oltre al dramma giudiziario del segreto di Stato che, al pari dei depistaggi,
uccide due volte le vittime. Gli anni di piombo si sovrappongono proseguono
oltre il periodo della contestazione del Sessantotto, periodo in cui si creano strati
sociali portatori di novità, che non da tutti vengono visti favorevolmente. Per
alcuni, quegli anni vengono considerati gli anni del terrorismo di sinistra, per
altri dello stragismo di destra, per altri ancora dello stragismo dello stato.
È il 1968 l’economia italiana è cresciuta rapidamente ed è notevole il
miglioramento del tenore di vita, l’analfabetismo è praticamente scomparso e
49 Fasanella, G. Priore, R. Intrigo Internazionale. Perché la guerra in Italia. Le verità che non si sono mai potute
dire., Milano, Chiarelettere editore srl, 2010. pp. 10, 12.
133

l’Italia, comincia ad essere, con circa un secolo di ritardo, una nazione con una
lingua diffusamente parlata dalle Alpi alla Sicilia. L’emittente televisiva RAI, la
stessa che anni dopo focalizzerà l’attenzione sulle responsabilità delle stragi
avvenute; è riuscita a diffondere una lingua nazionale ed a creare una certa
attenzione verso i simboli nazionali.
Il miracolo economico degli anni ‘60 ha aggravato i preesistenti conflitti sociali.
È sempre più netto il distacco tra nord, caratterizzato dal proliferare di industrie,
e sud, profondamente arretrato e teatro di grandi ondate di emigrazione. I ricchi
sono sempre più ricchi ed il miracolo economico appare permesso dai bassi salari
degli operai italiani. La soglia d’alfabetizzazione si è innalzata, creando anche
nelle classi sociali inferiori grandi aspettative.
«Durante gli anni Sessanta è cresciuta una generazione che credeva che
esistessero soluzioni semplici e chiare quasi per tutto. La generazione della
rivoluzione dei campus era convinta che la vera democrazia consistesse
semplicemente nell’attribuire a un sempre maggior numero di persone sempre
più potere. Chiaro, ma sbagliato. La democrazia non può essere semplicemente
potere del popolo, giacché potere del popolo è solo un’abbreviazione di potere
del popolo sul popolo. Il potere è una relazione, e avere potere implica che
qualcuno controlla qualcun altro. La rivoluzione culturale occidentale degli anni
Sessanta ritenne che la vera democrazia doveva essere piena democrazia e questo
implicava che la democrazia politica doveva essere completata dalla democrazia
economica. […] Quando le alte speranze dei ribelli degli anni Sessanta
naufragarono sugli scogli della realtà, ciò che rimase loro fu, nell’intimo, un
profondo disgusto per il mondo che era sopravvissuto alla loro contestazione. 50 »
Alla fine del decennio queste tensioni esplodono. Sospinti dal miracolo
economico al centro della scena pubblica, i giovani concorrono in modo
significativo nel ridefinire le forme della vita politica. Tutto ciò attraverso
iniziative di gruppo e movimenti giovanili rappresentanti le propensioni
50 Sartori, G. Ingegneria costituzionale comparata. Strutture, incentivi ed esiti, Bologna, il Mulino, 2004, pp.157,
158.
134

individualistiche proprie del comunismo; si corrodono così le appartenenze
politiche ai partiti di massa. Monta in Italia la rivolta del Sessantotto,
l’esplosione della rivolta giovanile nelle università e operaia nelle fabbriche; che
segna uno snodo decisivo nel modo di manifestare le tensioni. Gli anni 1968-
1969 rappresentano il secondo “biennio rosso” della storia italiana, riproponendo
il dilemma storico dell’ancora mancata integrazione della classe operaia nella
comunità nazionale. Sono anche gli anni dell’emergenza di diversi gruppi di
donne.
I processi socioeconomici e polico-culturali in atto generano un ciclo di azioni
collettive tra il 1968 e il 1974, nel corso del quale le domande provenienti dai
movimenti giovanili non ricevettero risposte adeguate dal sistema politico-
istituzionale. In questo periodo si verificano circa 140 attentati in tutta Italia. La
mancanza di considerazione a livello istituzionale del conflitto studentesco e
operaio in corso, contribuisce alla perdita di credibilità nel sistema politico. Nelle
fabbriche, negli uffici, nelle scuole e nelle università, con il sopraggiungere dei
primi sintomi della crisi economica dopo la ripresa del 1960, gli effetti della
ribellione del Sessantotto si prolungano inaspettatamente nel tempo, riflettendosi
anche sul piano delle istituzioni, delle organizzazioni sociali e politiche. Eppure
le risposte da parte dello Stato, come l’elaborazione dello Statuto dei lavoratori,
non mancano. Il divario tra partiti (di sinistra e sindacati) e organizzazioni
favoriscono la nascita di organizzazioni extraparlamentari (quelli implicati nel
caso Ustica saranno ad esempio le BR, i NAR, Potere Operaio e Ordine Nuovo).
Non riconoscendosi più nei partiti che avrebbero dovuto rappresentare i loro
interessi, in ambito lavorativo e studentesco, i gruppi di protesta si mobilitano
dando alla luce organizzazioni indipendenti da qualsiasi associazione
riconosciuta dallo Stato.
È il periodo in cui si produce una forte carica anti-istituzionale, all’indirizzo dei
diversi organismi dello Stato, nonché contro la Chiesa, la Confindustria, la RAI
ecc…
135

«La video-politica influenza profondamente le scelte, ossia le decisioni che i
politici prendono. […] E, naturalmente, la video-politica cambia il cittadino
stesso, poiché il video-cittadino che vede la politica in immagini è un
protagonista totalmente nuovo del processo politico. La video-politica è
efficacissima nell’esporre mali e misfatti. Essa riesce molto bene, inoltre, nello
scaldare e nel mobilitare vasti pubblici in battaglie per buone cause. Per esempio,
fa prodigi nella denuncia della corruzione politica e di abusi di ogni sorta. 51 »
Viene promosso un articolato lavoro di controinformazione atta a smascherare le
false notizie diffuse dai media al servizio dello Stato. È soprattutto il caso del
giornale “Lotta Continua” che a proposito dell’attentato alla Banca Nazionale del
Lavoro; lo definisce “Strage di Stato” ovvero enfatizza il coinvolgimento di copri
separati delle istituzioni (SISMI e SIOS) accusati di aver fomentato l’eversione.
La controinformazione afferma una forte discontinuità con il passato volgendo lo
sguardo a nuovi mezzi di protesta. In un manifesto del radicalismo del 1973
Marco Pannella afferma che:
«L’etica del sacrificio, della lotta eroica, della catarsi violenta, mi ha
semplicemente rotto le balle; come al buon padre di famiglia, al compagno
chiedo una cosa prima di ogni altra: di vivere e di essere felice […] Ma basta con
questa sinistra grande solo nei funerali, nelle commemorazioni, nelle proteste
nelle celebrazioni. 52 »
Con l’emergere di nuovi soggetti sociali e politici all’indomani del Sessantotto e
con l’aprirsi di un periodo di instabilità elettorale con gli anni Settanta, si profila
una fase di mutamento nelle forme della politica di massa. Alcuni partiti politici
entrano in crisi. Vengono rivoluzionate le appartenenze politiche. Nell’età della
società dei consumi con media e televisioni muta lo spazio politico e le forme di
organizzazione. Mentre i grandi partiti di massa, come la DC, perdono
l’egemonia nella società nascono nuovi interpreti dei movimenti. In Italia un dato
importante è la forte politicizzazione della dinamica sociale, a tal punto da
51 Ivi, pp.162-163.
52 Pannella M. Il manifesto del radicalismo 1973.
136

estendere la dialettica tra i partiti in crisi e i vari movimenti extraparlamentari
fino allo Stato, contro il quale una diffusa carica anti-istituzionale spinge alcune
frange dell’antagonismo più radicale alla scelta della lotta armata. Alla stagione
dei movimenti segue una fase di avvicinamento tra Stato e terrorismo, tra
democrazia e violenza. Nasce così una generazione caratterizzata dalla scarsa
fiducia nella credibilità della classe politica, che non fornisce risposte adeguate ai
movimenti di protesta.
Gli anni Settanta rappresentano lo snodo tra una fase di consolidamento e
sviluppo della democrazia repubblicana e una fase di emergenza della crisi,
nonché di dissoluzione del sistema partitico. Tra il 1972 e il 1979 si svolgono tre
elezioni anticipate. Il decennio accumuna luci e ombre in forme radicale: sono gli
anni di piombo, della violenza terroristica e anche di importanti conquiste civili.
Sono molte le ragioni di crisi valutate dagli osservatori in occasione delle
elezioni politiche del 1972. Il processo a Valpreda per l’attentato di piazza
Fontana del 1969 ridesta nel paese fratture storiche: tra il Nord e il Sud, tra i laici
e i clericali, tra i neofascisti e i movimenti extraparlamentari di sinistra, tra i ceti
medi e le tentazioni di una maggioranza silenziosa distante dalla democrazia.
Il giornalista Alberto Cavallari interpreta così gli umori dell’opinione pubblica:
«L’affare Valpreda ha messo a nuovo l’antica polemica Milano-Roma,
risuscitando il contrasto tra il vento del Nord e il vento del Sud. […] La gente si
chiede se c’è una giustizia antifascista al Nord e una giustizia reazionaria al Sud.
[…] La conseguenza è che gli uomini sono diventati prudenti, le stanze dei
bottoni sono abbandonate a se stesse, le centrali politiche stanno a vedere 53 .»
Mentre la crisi del centrosinistra è seguita da un tentato ritorno a governi di
centro, il MSI (partito di destra) unisce, al consolidamento del peso politico, con
l’elezione di Giovanni Leone alla presidenza della Repubblica nel 1971, una
contiguità con lo squadrismo di estrema destra; a tal punto che le organizzazioni
extraparlamentari di sinistra percepiscono la violenza dei neofascisti come una
53 Cavallari, A. Il futuro è Roma contro Milano in «L’Europeo».
137

minaccia simile a quella degli anni ’20. Ciò induce a rilanciare l’antifascismo
come pratica militante e a ritener giustificata la scelta della violenza come mezzo
di lotta politica; è il contesto di azione ad innescare i primi “opposti estremismi”
e quindi gli anni di piombo del terrorismo. La violenza nera registra un “salto di
qualità” con le stragi provocate nel 1974, dapprima il 28 maggio a Brescia nel
corso di una manifestazione sindacale, e il agosto sul treno Italicus. Sull’altro
versante la scelta delle Brigate Rosse è quella di attaccare al cuore delle
istituzioni e dei suoi rappresentanti. Nel 1977 una seconda ondata di
contestazione giovanile riesplode con violenza. Nel febbraio il nuovo movimento
studentesco debutta all’Università La Sapienza di Roma in occasione di scontri
provocati da Autonomia Operaia, in realtà c’è di più: si evidenzia la frattura del
mondo giovanile con il mondo sindacale e con il PCI. È soprattutto l’uccisione,
senza motivo, l’11 marzo a Bologna, dello studente Pier Francesco Lorusso ad
accendere la minaccia del “Movimento del ‘77”, con centinaia di giovani disposti
a passare alla lotta armata contro un potere visto come ostile e sordo. L’apice del
terrorismo viene raggiunto nel 1978, quando, il 16 marzo, le BR rapiscono e, il 9
maggio, uccidono Aldo Moro, facendo ritrovare il cadavere del parlamentare al
centro di Roma, tra via Caetani e vie delle Botteghe Oscure. Aldo Moro era il
leader della DC, deciso a promuovere la legittimazione del PCI nella vita
politica, e ad aprire una terza fase nella storia della Repubblica italiana. La
creazione di un governo di solidarietà nazionale guidato dalla DC ma a cui, per la
prima volta dal 1947, parteciparono i comunisti come forza di maggioranza
parlamentare; corrisponde alla drammatica crisi della Repubblica, che propone
un cambiamento fittizio, senza tuttavia soddisfare le domande di rinnovamento
che erano venute dai movimenti della società all’indirizzo delle istituzioni.
Nella sua ferocia, l’assassinio del leader democristiano Aldo Moro, ucciso dai
terroristi delle Brigate Rosse con simbolo la stella a cinque punte, racchiude il
senso che la politica italiana sta vivendo. Il tragico evento produce effetti su
almeno due piani. Da una parte, l’assassinio accelera la marcia di avvicinamento
138

del PCI (che si dissocia da tale atto di terrorismo da parte di estremisti di sinistra)
alle istituzioni; vengono meno certe indulgenze verso la violenza politica e viene
intrapresa un’efficace azione contro il terrorismo, alla fine sconfitto nel tentativo
di delegittimare il confronto democratico a vantaggio della lotta armata e quindi
il rischio di scatenare una guerra civile distruttrice per lo Stato. Dall’altra però, si
avviano i governi cosiddetti Pentapartito (DC, PSDI, PLI, PRI, PSI) si
evidenziano quindi le difficoltà del sistema politico a rinnovarsi. È l’epoca del
compromesso storico.
È la fine del centrismo e si interrompe l’egemonia della Democrazia Cristiana,
che non è più in grado di governare autonomamente ed apre le porte all’entrata
dei socialisti al governo; formando così un centrosinistra organico.
Nel corso degli anni Ottanta il complessivo scenario della politica italiana cambia
fisionomia e attori. Si uniscono due processi: da un lato la ridefinizione degli
equilibri internazionali in seguito alla dissoluzione del sistema comunista legato
all’ex Unione Sovietica; dall’altro, la crisi del sistema repubblicano. Il processo
di integrazione in Europa comporta processi istituzionali ed economici e influisce
in maniera significativa sul modo di essere italiani, ora indotti a confrontarsi con
i parametri della civiltà europea.
8.2 Intervista a Giordano Altarozzi: Segretario generale dell’Istituto di studi
italo-romeni e professore e vice rettore presso l’Università “Petru Maior” di
Targu Mures
«La situazione politica interna dell'Italia e non solo, è dettata dall'evoluzione
della Guerra Fredda tra Usa e Urss, che dettava anche i tempi e i ritmi della
politica internazionale. Il partito comunista, in particolare negli anni Settanta,
registra, in Italia, un successo sempre maggiore in termini elettorali, riuscendo a
diventare il partito leader. Arriva a guadagnare il 35% dei voti e sorpassa quello
che sin dall'immediato dopoguerra era stato il partito leader italiano: la
Democrazia cristiana. Accanto alla sinistra istituzionalizzata, quella
139

parlamentare, nascono però delle organizzazioni di estrema sinistra che non
riconoscono le istituzioni e, rifiutando qualsiasi sorta di dialogo politico,
considerano gli avversari politici come veri e propri nemici, che vanno eliminati
attraverso qualsiasi strumento; compresa anche la lotta armata.
Da questo momento in poi, assistiamo alla nascita di veri e propri gruppi
rivoluzionari o anti-rivoluzionari, e di movimenti che ricevono, con il tempo, un
sostegno sempre maggiore soprattutto tra i giovani, gli intellettuali, gli studenti
liceali ed universitari. Una situazione complicata quindi, in cui l'Italia, paese di
frontiera, e uno dei pezzi di resistenza del sistema di sicurezza internazionale
americano, proprio perché paese di frontiera con il blocco comunista, si trova da
diversi decenni. Per gli Stati Uniti, per gli alleati occidentali dell'Italia, e per
l'Italia stessa, diventa un problema di sicurezza nazionale il fatto di riuscire a
fermare l'avanzata delle sinistre parlamentari ed extraparlamentari. Nella logica
della Guerra Fredda, in particolare, nella logica della divisione del mondo in due
blocchi contrapposti ideologicamente, prima che politicamente ed
economicamente, non è accettabile che in un paese occidentale, un partito
comunista giunga al potere. Ovviamente una serie di progetti vengono posti in
atto, dai comunisti, già negli anni Settanta. Si tratta dell'Eurocomunismo di
Enrico Berlinguer, della svolta a sinistra, nonché dei tentativi fatti in Germania e
in Spagna. Si tratta di progetti politici di svolta democratica e di coinvolgimento
nella gestione dello stato dei partiti comunisti, progetti che però nella maggior
parte dei casi rimangono soltanto sul piano progettuale; anche perché
sembrerebbe, o quantomeno non abbiamo fonti e documenti certi in questa
direzione, che le strutture di intelligence dei singoli paesi e quelle americane,
abbiano posto in essere una rete di azioni volte a frenare questi progetti, questi
tentativi. In questi progetti rientra ad esempio il Caso Moro. Moro che era stato,
proprio alla fine degli anni Settanta, uno degli artefici del progetto del
compromesso storico, tra partito comunista e Democrazia cristiana, per un
governo monocolore democratico con il sostegno parlamentare del Partito
140

Comunista; come sappiamo, viene sequestrato da un nucleo delle Brigate Rosse,
giudicato da un tribunale proletario e giustiziato. Evidentemente il Caso Moro
entra in questo contesto di lotta politica e ideologica tra il comunismo e il
cosiddetto mondo occidentale, il mondo democratico. Per queste ragioni, quella
italiana è una situazione complessa, in cui intervengono strutture come la
"Gladio", che è una struttura Stay Behind, una struttura organizzata dalla CIA,
dalla NATO e dai servizi segreti dei singoli paesi. Una struttura di tipo
paramilitare e transnazionale, non soltanto italiana, che ha come scopo
fondamentale quello di evitare, attraverso qualsiasi modo, compresi colpi di stato
e interventi militari, la presa del potere o l'associazione al potere dei partiti
comunisti.
In tale ottica, nell'ottica della Gladio, rientrano ad esempio i tentativi di colpi di
stato che hanno avuto luogo in Italia all'inizio alla fine degli anni Sessanta e
all'inizio degli anni Settanta, il golpe Borghese e il golpe De Lorenzo: tutti e due
falliti ma, oggi abbiamo prove a sostegno del fatto che tentativi di colpi di stato
sono esistiti. In quest'ottica entrano i colpi di stato in diversi paesi europei ed
extraeuropei: in Argentina, in Turchia, in Grecia ed in molti dei paesi africani,
nonché la stessa strategia della tensione che governa la scena politica italiana nel
corso degli anni Settanta. Anni che sono tra l'altro anni di crisi economica, quindi
evidentemente le masse tendono a guardare positivamente all'ideologia ed al
progetto comunista, che sembra garantire una prospettiva di sviluppo economico
molto più accelerata e socialmente equa, rispetto al modello di sviluppo
capitalista.»
«Quindi ci sono stati tentativi da parte di paesi europei e non, di influenzare il
corso della politica interna italiana. Allo stesso modo però, anche l’Italia ha
tentato, perseguendo i propri interessi, di influenzare il corso della politica
interna di paesi come la Libia, ad esempio?»
141

«Ovviamente l'Italia, in uno scenario internazionale relativamente chiuso com'è
quello della logica bipolare durante la guerra fredda, mantiene un proprio spazio
d'azione. Mantiene una propria politica estera, lo dimostrano già dagli anni
Cinquanta la politica energetica di Enrico Mattei, dell'Eni, che viene
completamente ristrutturata e rinforzata; la politica internazionale verso i paesi di
nuova indipendenza talvolta supportati anche dall'Italia, che ha, soprattutto nel
bacino del Mediterraneo, evidenti interessi. L'Italia si trova al centro del
Mediterraneo, quindi evidentemente è portata a giocare un ruolo attivo in questa
zona. C'è un sostegno ai movimenti indipendentisti in quest'area, c'è una linea di
politica estera indipendente, che poi arriverà al culmine negli anni Ottanta con il
governo Craxi e con la crisi di Sigonella. Si tratta di uno scontro tra italiani ed
americani, quindi un braccio di ferro tra due potenze alleate, ma portatrici, a
volte, di interessi divergenti. D'altra parte, rimanendo sempre nello scenario
mediterraneo, abbiamo anche altri tipi di scontri. Non dimentichiamo che nel
1974 la Turchia, alleata degli americani all'interno della struttura NATO, invade
Cipro Nord, che è controlla in qualche modo dai greci, anch'essi membri NATO.
Si presenta un conflitto internamente alla stessa alleanza nordatlantica. Ancora
una volta a testimonianza del fatto che i paesi NATO, benché posti sotto
l'ombrello americano, sono portatori anche di una politica estera propria. Una
politica estera che può portare, a volte, a dei conflitti; come per esempio quelli
che oppongono l'Italia agli americani, agli inglesi e ai francesi in Africa
settentrionale per il controllo delle risorse petrolifere. L'Italia, è ben noto già da
Mattei e fino addirittura agli anni Ottanta, sviluppa una propria politica di
indipendenza energetica, che d'altra parte vediamo in atto ancora oggi. L'Italia ha
risentito molto meno di altri paesi nordeuropei, della chiusura dei gasdotti che
provengono dalla Russia: crisi dell'anno scorso, non appartenente al passato. Una
crisi, per quanto possibile, attuale. I russi hanno chiuso, per motivi di ordine
economico ma anche di ordine politico, la fornitura di gas naturali verso i paesi
europei. La Germania è stata particolarmente esposta a questa sospensione.
142

L'Italia lo è stata molto meno perché da decenni sviluppa una propria linea di
indipendenza energetica approvvigionandosi di gas naturali dall'Africa del Nord,
in particolare dalla Libia.
Veniamo quindi di nuovo a quello che è il tema centrale: la strage di Ustica.
Libia, Turchia, Grecia, Unione Sovietica, Stati Uniti, Francia ed Inghilterra, ma
anche gruppi terroristici interni. Tutti, potenzialmente, possono aver giocato un
ruolo in quella che è la strage di Ustica. Ustica, come sappiamo, ancora oggi è un
mistero. Uno dei misteri italiani. Non si sa chi o che cosa abbia provocato
l'incidente. Non si sa quali siano stati gli interessi dietro a questa vicenda. Certo,
in mancanza di prove, le teorie possono essere quante più possibili. Compito
dello scienziato politico, dello storico, è quello di, partendo da determinati
argomenti, offrire uno scenario logico, razionale, di quanto è successo. In tale
contesto rimangono tre opzioni plausibili. Che si sia trattato semplicemente di un
incidente aeronautico, determinato da motivi tecnici, dalla mancanza di
sicurezza, da un difetto tecnico di fabbricazione. E' possibile come scenario. Un
incidente determinato da un attacco terroristico, organizzato dalle formazioni
politiche interne, e allora si farebbe avanti il collegamento con Bologna, la
capitale del comunismo italiano. In quest'ottica diventerebbe ad esempio di
nuovo plausibile associare la strage di Ustica con quella alla stazione ferroviaria
di Bologna, avvenuta poco più di un mese dopo.»
«Si potrebbe trattare di una forma di terrorismo di Stato.»
«Anche, all'interno della strategia della tensione potrebbe esistere anche questo.
Ossia provocare degli attentati da attribuire successivamente a gruppi terroristici
di destra o di sinistra, per poi discreditare questi movimenti politici e quindi i
partiti che sostengono, agli occhi dell'opinione pubblica. Potrebbe essere ma
tenderei ad escludere questa variante, spiegherò più avanti perché. La terza
variante potrebbe essere un attentato ad opera di organizzazioni terroristiche
143

straniere. Anche qui abbiamo una serie di attentati, di sequestri di aerei o di navi.
Cominciamo con il 1972, con l'attentato a Monaco di Baviera durante le
olimpiadi: quando la nazionale israeliana venne attaccata da un commando
palestinese. Arriviamo poi ai diversi sequestri di aerei, operati sempre dai
palestinesi, anche se non si può escludere del tutto la pista nord-irlandese. Le
organizzazioni nord-irlandesi erano supportate a quel tempo anche dalla Libia.
La Turchia con i Lupi grigi; a un anno da Ustica ha luogo l'attentato contro
Giovanni Paolo II, e quindi di nuovo un attentato preparato e messo in atto da un
gruppo terroristico straniero. Il sequestro dell'Achille Lauro, che avverrà qualche
anno dopo. Una serie di attentati che coinvolgono anche il territorio nazionale
italiano, coinvolgono le compagnie italiane, e che, proprio per questo motivo,
potrebbero anche aver portato ad un attentato come quello di Ustica. Tenderei
però ad escludere anche questa variante. L'ultima ipotesi che rimane è quella di
un incidente che vede il DC-9 vittima collaterale di una guerra non dichiarata,
non ufficiale, tra Stati Uniti ed Unione Sovietica all'interno della logica bipolare
della guerra fredda.
Perché escluderei l'incidente tecnico. Se si fosse trattato di un incidente tecnico
non ci sarebbe stato bisogno di cancellare delle prove fondamentali, non ci
sarebbe stato soprattutto bisogno di rinchiudere i rottami dell'aereo, dopo averli
recuperati, in una base militare NATO, neanche base militare italiana: quella di
Pratica di Mare. Sottraendo in questo modo il relitto, alle perizie tecniche degli
organismi di controllo e di sicurezza del volo internazionali, obbligatori in questi
casi. Tenderei ad escludere questa linea interpretativa ma anche quella del
terrorismo. Potrebbe avere una sua logica che gruppi terroristici compiano azioni
simili, eppure il punto di domanda che rimane irrisolto è il movente, se così
vogliamo chiamarlo. Perché svolgere questo attentato se poi l'attentato stesso non
viene rivendicato? Il gesto terroristico è, in qualche modo, una forma di
comunicazione politica. L'attentato terroristico ha come finalità quella di
comunicare un messaggio. Non è un atto di guerra come può essere l'attentato
144

kamikaze. Né si tratta di un episodio di guerra partigiana, di guerra civile
condotta con i mezzi di cui si dispone. Un attentato terroristico è invece una
forma di manifestazione, la volontà di trasmettere un messaggio. Allora per
trasmettere chiaramente questo messaggio e per far si che questo venga recepito
correttamente, qualcuno deve assumersi la responsabilità di quest'azione. Nel
caso del DC-9 dell'Itavia nessuno ha mai rivendicato quest'attentato né hai mai
dichiarato il motivo per cui è stato fatto. Nel 2001, quando Bin Laden ha
organizzato e messo in pratica gli attentati contro le Torri gemelle, contro il
Pentagono e poi quello fallito contro la Casa Bianca, non ha voluto attaccare gli
obiettivi in sé, bensì dei simboli, in modo da trasmettere in maniera forte e
pubblicizzare il messaggio che si aveva intenzione di diffondere al mondo intero.
Non erano bastati, a questo fine, gli attentati contro le ambasciate americane in
diversi paesi africani, attentati che avevano avuto luogo qualche anno prima;
quindi si è deciso di ricorrere a qualcosa di ancora più spettacolare, che attirasse
l'attenzione dell'opinione pubblica internazionale.
Nel caso del DC-9, come abbiamo detto, tutto questo manca. Nessuno rivendica
l'attentato e quindi, nel caso in cui si fosse trattato di un attentato terroristico,
sarebbe stato un fallimento. Tenderei ad escludere questa linea sia per quanto
riguarda l'attentato terroristico interno che l'attentato terroristico internazionale.
Anche nella logica della strategia della tensione, un attentato può aver senso solo
se viene attribuito a qualcuno, al fine di discreditarlo; com'è stato per esempio nel
caso della strage di Bologna, attribuita ai NAR, nuclei terroristici di destra, che
non l'hanno rivendicata ma ai quali è stata attribuita.
Che cosa rimane? Rimane uno scenario legato alla situazione internazionale
particolarmente tesa, dell'inizio degli anni Ottanta. Siamo in una fase
internazionale particolarmente delicata. Gli Stati Uniti e l'Unione Sovietica
escono entrambi da una situazione di crisi economica, tentano, dopo un periodo
di dialogo che si conclude con le conferenze di Helsinki, di mettere di nuovo in
piedi una politica aggressiva sul piano esterno. Nel 1980 Ronald Reagan viene
145

eletto, alla carica di presidente degli Stati Uniti, e uno dei suoi progetti di politica
estera è il famoso "Progetto Star Wars". Un progetto che poi sarà dimostrato
essere un bluff. Reagan è un attore, e quindi riesce ad essere sufficientemente
convincente in questo senso. L'obiettivo era quello di creare uno scudo di
protezione dotato di missili balistici intercontinentali, capaci di intercettare
eventuali missili con testate nucleari sovietiche al di fuori della stratosfera
terrestre. Sostanzialmente, gli americani, attraverso questo progetto, sarebbero
inattaccabili da un punto di vista nucleare, e avrebbero un vantaggio netto
sull'Unione Sovietica. Il progetto è falso, gli Stati Uniti non dispongono della
tecnologia necessaria, ma a livello internazionale, anche l'Unione Sovietica crede
che quel progetto sia realizzabile.
L'Unione Sovietica è spinta a sua volta all'azione, nel 1979, per rilanciarsi sulla
scena internazionale, inizia l'invasione dell'Afganistan, che poi porterà ad una
guerra di lunga durata, chiusa nel 1989 con il ritiro delle truppe sovietiche, quindi
una chiara sconfitta, ma fino al 1989 la guerra continua, l'Afghanistan è per
l'Unione Sovietica quello che il Vietnam è stato per gli Stati Uniti. L'Unione
Sovietica torna attiva anche sul piano diplomatico. Sempre nel 1979 si chiude la
Conferenza dell'Avana, durante la quale i paesi non allineati, che dal 1952
avevano tentato di costituire un terzo polo di aggregazione all'interno della logica
bipolare, stabiliscono che il loro referente naturale è l'Unione Sovietica. Si tratta
di una mozione presentata dai comunisti cubani di Fidel Castro. In questo modo
paesi come la Yugoslavia, l'Egitto, la Libia e tutti i paesi di nuova indipendenza
rivolgono lo sguardo a sinistra. Si tratta di un ampliamento della zona d'influenza
sovietica, quanto mai rilevante sulla scena internazionale. Qual è la posizione
della Libia in questo contesto? La Libia è un paese non allineato che finanzia già
dal 1969 diversi movimenti di liberazione nazionale, in particolare
l'organizzazione per la liberazione della Palestina di Arafat, ma anche l'Ira nord-
irlandese, e molti altri movimenti di indipendenza nazionale. Un paese che,
anche con il sostegno dell'Italia, sviluppa una propria politica energetica, che
146

porta alla nazionalizzazione delle risorse energetiche, allo sviluppo di una
politica di esportazione indipendente. Tutto ciò entra, evidentemente, in conflitto
con gli interessi delle grandi compagnie petrolifere americane, le famose Sette
Sorelle, che sembrerebbero aver avuto qualche responsabilità per quanto riguarda
l'attentato contro Enrico Mattei, un altro mistero tutto italiano.»
«Un attentato avvenuto sempre nei cieli.»
«Esatto, ancora una volta si tratta di un incidente aereo. Ovviamente anche gli
interessi delle compagnie petrolifere britanniche e francesi vengono lesi. In
questo contesto internazionale particolarmente teso, Non è da escludere l'ipotesi
che l'aereo dell'Itavia, scomparso dai radar a largo delle coste di Ustica, sia stato
una vittima collaterale, di una battaglia aerea che ha avuto luogo nello spazio
aereo italiano, o potenzialmente anche internazionale, proprio in quei giorni. A
riprova di tutto ciò ci sarebbe anche il ritrovamento di un MIG libico in territorio
italiano. Diventa evidente che in quei giorni, non necessariamente il giorno stesso
poiché non abbiamo dati certi per affermarlo, ci sia stata una lotta tra aerei libici,
tra l'altro si tratta di un MIG di fabbricazione sovietica, e aerei militari
occidentali, che potrebbero aver portato anche all'abbattimento del DC-9. Per
errore, s'intende, però potrebbe essersi verificato uno scenario simile. Tra l'altro,
dalle ricerche e dalle inchieste fatte dalla procura e dal giudice Rosario Priore,
risulterebbe che proprio il giorno in cui ha avuto luogo il disastro di Ustica,
Gheddafi doveva sorvolare lo spazio aereo italiano. Quindi si fa più forte il
sospetto di una possibile cospirazione per uccidere il leader libico in volo.
Sappiamo che Gheddafi è stato avvertito di un potenziale rischio, quindi ha
rinunciato al volo; ma evidentemente non ha informato nessuno di questa sua
decisione. Appare quindi logico e realistico pensare ad un incidente militare che
ha provocato la scomparsa dell'aereo e quindi la morte dei passeggeri.
Ovviamente, in questa logica, attendersi una "confessione" da parte degli
147

organismi e delle organizzazioni militari, della NATO stessa, degli americani, o
dei francesi, nel caso di una complicità francese nell'evento, coinvolti nella
sciagura; diventa difficile. Diventa difficile perché la giustizia, gli interessi dei
singoli cittadini, cedono il passo di fronte all'interesse nazionale, di fronte
all'interesse della sicurezza nazionale. Quindi mettere in cattiva luce le
organizzazioni e le alleanze militari, le strutture dei servizi segreti italiani o
europei, che garantiscono la sicurezza pubblica, la sicurezza nazionale e quindi
quella del blocco intero, in una logica bipolare, sarebbe inaccettabile. Gli
interessi nazionali, in questo caso, come si è visto, prevalgono sulle fondate
rivendicazioni e pretese dei familiari delle vittime.»
«Finita la Guerra Fredda, se responsabilità internazionali o alleate esistono, in
teoria, come ha fatto Francesco Cossiga, sarebbe opportuno renderle quantomeno
note, cosa ne pensa?»
«Si, non è facile ammettere che in un determinato momento storico, si è ricorsi a
determinate pratiche. Si trattasse anche di un semplice incidente. Non è facile
anche perché, è vero che la guerra fredda è terminata, eppure il mondo non è
entrato in un sistema unipolare così come qualcuno aveva previsto nel 1989.
Francis Fukuyama, uno dei grandi filosofi della politica contemporanea, aveva
previsto la fine della storia come fine dell'evoluzione politica. Seguita dalla
creazione di un sistema politico unipolare dominato dagli Stati Uniti e dai paesi
suoi alleati. In realtà il mondo è evoluto in un'altra direzione. Oggi il sistema
internazionale tende a divenire sempre più multipolare, ad avere sempre più
centri di potere a livello regionale e globale. Pensiamo soltanto a quello che è
oggi il ruolo della Cina, dell'India, del Brasile; non parliamo dunque del ruolo
che può avere la Russia, erede dell'unione Sovietica e di quello che sicuramente
hanno gli Stati Uniti. Gli Stati Uniti non sono più l'unica grande potenza, devono
148

confrontarsi con una serie di avversari che per il momento sono, potenzialmente,
nemici. Per questo motivo hanno bisogno di mantenere in piedi e di mantenere
solide le proprie strutture di sicurezza. In tale logica rientrano la NATO, i servizi
segreti americani, nonché gli eserciti ed i servizi di sicurezza di paesi alleati.
Quelli della Francia, della Gran Bretagna, della Germania, dell'Italia. Tutti
giocatori che possono aver avuto un ruolo nella tragedia di Ustica, ma che in
qualche modo vanno visti come pedine in uno scacchiere ben definito. Per questo
motivo tali organi vanno difesi da un qualsiasi attacco mediatico. Appare chiaro
che dire oggi che, la CIA, i servizi segreti italiani o quelli francesi, hanno avuto
un ruolo nell'attentato contro un aereo civile, con a bordo passeggeri che non
avevano alcuna colpa se non quella di essere al posto sbagliato nel momento
sbagliato; ecco questo non possiamo aspettarci che venga detto.»
«Quindi anche se fossimo in possesso di prove certe di responsabilità di altri
paesi nel disastro di Ustica, non sarebbe conveniente per l’Italia inimicarsi i paesi
alleati o quelli responsabili della tragedia?»
«Non sarebbe conveniente per l'Italia come Stato. Sollevare di nuovo il problema
o mettere in una cattiva luce le proprie strutture di difesa. Questo non è
accettabile. Esercito e servizi segreti vengono sempre coperti, in qualche modo,
tranne quando si tratta di violazioni flagranti o che comunque giungono
all'attenzione dell'opinione pubblica. Com'è stato per torture nelle carceri militari
in Iraq. In quel caso evidentemente non è stato possibile nascondere i fatti perché
erano diventati di dominio pubblico. Ma ugualmente si è tentata la difesa delle
strutture, incolpando gli individui. Il sistema viene mantenuto in piedi e, in un
certo senso, è anche logico che sia così. Pensiamo solo a che cosa sarebbe l'Italia,
un paese al centro del Mediterraneo e quindi esposto ai flussi migratori più
disparati, nel caso in cui non esistessero l'Esercito, le Forze Armate ed i servizi
149

segreti. L'Italia diventerebbe la centrale terroristica del mondo arabo; o
quantomeno per la parte radicale del mondo arabo che ricorre allo strumento
terroristico.»
«Quello che era il progetto di Feltrinelli e della rete d’influenza ereditata dalle
Brigate Rosse.»
«Esatto. Feltrinelli che, non a caso, aveva trovato nella Francia il suo principale
interlocutore. La Franca, negli anni Settanta è un altro grande centro di
aggregazione terroristica. Tutti si riunivano attorno a strutture del tipo
dell'Hypérion, la scuola di lingue fondata da Simioni.»
«Non a caso questa scuola di lingue aveva una succursale anche a Londra, se non
sbaglio. Vista in quest’ottica generale, la strage di Ustica potrebbe anche essere
interpretata come una punizione per l’Italia? L’Italia può essere stata punita a
causa del suo atteggiamento troppo accomodante nei confronti della Libia?»
«Non direi come una punizione ai danni dell'Italia o della Libia, quanto piuttosto
un incidente. Un incidente prodotto da quel conflitto, che era in atto in quel
momento tra la Libia, alcune potenze straniere che non vedevano troppo di buon
occhio la politica libica, ed evidentemente la politica italiana rispetto alla Libia.
Questo si. D'altra parte il conflitto tra Italia e Francia sulla Libia si è ripresentato
proprio l'anno scorso. Non dobbiamo perciò risalire necessariamente al periodo
di Ustica. Fortunatamente non è successo nulla di simile a quello che è avvenuto
nel 1980. Ma di nuovo abbiamo avuto un conflitto tra Italia e Francia, proprio per
la Libia, che ha risorse petrolifere importanti e quindi diventa un elemento
centrale nel sistema Mediterraneo. Questo sicuramente non possiamo escluderlo,
150

anzi, è una prospettiva notevolmente realista 54 .»
8.3 Dalla Prima Guerra Mondiale all’assassinio Moro: come il panorama
internazionale ha influenzato il corso della politica interna italiana
Con l’espressione “golpe inglese” ci si riferisce, non al rovesciamento repentino
e violento di un governo da parte di un altro organo dello stesso Stato; bensì al
tentativo, attuato da una nazione straniera, la Gran Bretagna, per condizionare la
politica interna ed esterna di un altro paese: l’Italia.
In un certo senso, l’Italia e la sua unità territoriale, sono il prodotto delle
ambizioni inglesi. Alla vigilia della realizzazione, per mano francese, del canale
di Suez inaugurato nel 1869, Londra intuisce le potenzialità di quella striscia di
mare che gli avrebbe consentito di raggiungere in breve tempo i suoi
possedimenti in Oriente. Appena un anno dopo questa faraonica realizzazione
infatti, la regina Vittoria annette all’Impero britannico India, Pakistan, Birmania
e Bengala.
La Gran Bretagna comprende fin da subito l’importanza geopolitica della
penisola italiana: collocata nel bel mezzo del Mediterraneo, e sa perfettamente
che se controllata a dovere, potrebbe consentire il dominio di una delle aree più
strategiche del mondo. Quando nel triennio 1859-1861 si concretizza l’idea
dell’unità italiana, gli inglesi hanno già numerosi interessi nell’industria dello
zolfo e della produzione del vino in Sicilia; investimenti che gli permettono di
finanziare il progetto di creazione della nuova nazione e di spalleggiare i disegni
di Giuseppe Mazzini, di Camillo Benso di Cavour nonché di creare le condizioni
favorevoli per lo sbarco dei Mille del massone Giuseppe Garibaldi a Marsala.
L’Italia vista da Londra è uno Stato monarchico dominato dai Savoia e da
famiglie di aristocratici anglofili. È in grado di ricacciare nel Nord Europa i
nemici storici degli inglesi; ma non è abbastanza forte da potersi sottrarre alla
tutela del governo di Sua Maestà britannica. In questa partita a scacchi si
54 Dall’intervista rilasciata da Altarozzi, G. alla candidata, 29 settembre 2012.
151

misurano le aspirazioni di un paese giovane con gli interessi di una gloriosa
potenza coloniale in declino che mette in campo la sua rete d’influenza al
minimo segnale di pericolo.
L’inizio del Novecento segna la fine dell’era del carbone e lascia spazio ad una
nuova risorsa energetica: il petrolio, che mischia le carte in tavola e stravolge gli
assetti politici mondiali. L’oro nero è l’arma e la posta in gioco di ogni conflitto
e ovviamente questa partita si gioca nell’area più ricca di questa risorsa: il
Mediterraneo. L’IItalia diventa così determinante per gli interessi britannici, da
spingere Londra a controllare la vita politica interna, condizionare la crescita
economica e indirizzare la politica estera della penisola italica. Sono anni difficili
per gli inglesi che vedono affacciarsi una nuova minaccia in Europa: il
comunismo sovietico; nonché un nuovo concorrente nell’area del petrolio: gli
Stati Uniti d’America.
Sin dal Risorgimento Londra influenza le forze armate, la politica l’informazione
e la cultura italiana, contribuendo persino all’ascesa ed al consolidamento del
fascismo. Benito Mussolini, una “creatura inglese”, viene però spodestato
quando, dopo aver manifestato tendenze a una politica energetica nazionale che
minacciano gli interessi della potenza coloniale; tradisce i vecchi alleati
schierandosi con la Germania nazista nella seconda guerra mondiale. Alla fine
del conflitto gli americani vedono l’Italia come un paese che ha combattuto per la
propria liberazione dal nazifascismo al fianco degli Alleati. Londra lo considera
un paese sconfitto, che non può avere un regime pienamente democratico e
dunque soggetto alle leggi dei vincitori; ma soprattutto non deve seguire una
politica estera basata su un proprio interesse nazionale. Questi sono i divieti
segreti imposti dal leader conservatore britannico Winston Churchill che
vengono scritti nero su bianco nel trattato di pace del 1947. Chiunque, nel ceto
politico o industriale italiano, osi disubbidire alle regole segrete della dottrina
Churchill, si chiami Enrico Mattei o Aldo Moro, è considerato degli inglesi un
nemico mortale da combattere con ogni mezzo.
152

Tra il 1920 e il 1921 tra mille difficoltà il governo liberale costituisce la
Direzione generale dei combustibili (Dgc), allo scopo di ridurre la dipendenza
energetica italiana dalle compagnie straniere. Ma alla fine del 1921 una
commissione parlamentare conclude i suoi lavori con la proposta di abolire la
Dgc, inducendo il governo italiano a stipulare un accordo per le forniture
petrolifere con la neonata URSS nel 1923, data che coincide con la chiusura
definitiva della Direzione generale combustibili per ordine di Mussolini.
Con questa decisione Mussolini spalanca a Londra le porte del mercato italiano.
Tuttavia i rapporti tra Roma e Mosca irritano gli inglesi poiché costituiscono una
minaccia per i loro interessi. Nella corsa al petrolio gli Stati Uniti d’America non
restano certo a guardare. Presto si scatena una guerra combattuta anche sul
territorio italiano, quella tra i due colossi energetici dell’epoca: l’americana
Standard Oil (privata) che all’epoca del delitto Matteotti controlla una quota
dell’80%, e la britannica Anglo-Persian Oil Company (Apoc, statale).
La supremazia americana sul territorio italiano è dovuta al fatto che gli inglesi
non possiedono una raffineria nell’area mediterranea e non sono in grado di
trattare il petrolio che estraggono in Medio Oriente; va da sé che la loro presenza
sul mercato italiano è fortemente penalizzata. È proprio per questo motivo che
nel 1923, grazie ad un accordo con l’Italia, la Apoc rileva una vecchia raffineria
austriaca in disuso a Trieste e nel gennaio del 1924 apre una filiale italiana, la
BritishPetroleum (Bp): una società angloitaliana che soddisfa gli interessi del
fascismo, portando Mussolini a preferire accordi con Londra piuttosto che con
Washington. Inoltre il duce consente alla Bp la costruzione di un impianto per la
raffinazione e la distribuzione, anche sul territorio italiano, del petrolio estratto in
Iraq e in Persia; consentendo agli inglesi un indubbio vantaggio logistico rispetto
agli americani. Allo stesso tempo, anche gli americani si inseriscono nella
trattativa, concludendo poco dopo un accordo tra Roma e la Sinclair Oil (cugina
della Standard Oil).
153

Entrambi gli accordi, quello con Mosca ma soprattutto quello con Washington
costituiscono una seria minaccia per gli interessi britannici; e gli inglesi, che si
vedono traditi da uno dei loro agenti (Benito Mussolini) consegnano nelle mani
dell’opposizione, e nello specifico in quelle di Giacomo Matteotti, deputato
socialista, quello che successivamente si rivelerà il movente dei suoi assassini.
Il regime fascista si sta formando, dopo le elezioni del 6 aprile 1924 la destra ha
conquistato, non senza brogli ed intimidazioni, 374 seggi su 535. Il 30 maggio
dello stesso anno Giacomo Matteotti tiene un durissimo discorso alla Camera,
chiedendo l’annullamento delle elezioni; e annuncia un secondo discorso ancora
più pesante per l’11 giugno. Il 10 giugno viene sequestrato da un commando di
squadristi, caricato su un’automobile ed accoltellato; il suo cadavere viene
abbandonato a venticinque chilometri da Roma. Viene ritrovato più di due mesi
dopo. La notizia suscita grande sdegno. Quando è stato rapito Matteotti aveva
con sé una borsa colma di documenti; questa borsa non è mai stata ritrovata. Per
il caso Matteotti, come per quello di Ustica e molte altre tragedie degli anni
Novanta, non si è mai giunti ad una completa verità giudiziaria. Gli esecutori
materiali sono: Amerigo Dumini, Albino Volpi, Giuseppe Viola, Augusto
Malachia e Amleto Poveromo, tutti al servizio di Emilio De Bono, a capo della
Pubblica sicurezza. Ma quali siano le trame oscure che si celano dietro
l’assassinio del più temuto esponente dell’opposizione rimane un mistero.
L’opinione pubblica accusa subito Mussolini di essere il mandante dell’omicidio.
Il duce respinge ogni accusa, ma a distanza di qualche mese, in un discorso alla
Camera il 3 gennaio 1925 si assume l’intera responsabilità di quanto è accaduto
prima e dopo le elezioni. Questo discorso precede l’emanazione delle “leggi
fascistissime” che portano al consolidamento del regime fascista.
Successivamente lo stesso Mussolini torna a proclamare la propria innocenza,
affermando che: «Solo un nemico che da lunghe notti avesse pensato a qualcosa
di diabolico contro di me poteva effettuare questo delitto che ci percuote di
orrore e ci strappa grida di indignazione.»
154

Confidandosi con la sorella Edvige aggiunge: «E’ una bufera che mi hanno
scaraventato contro proprio quelli che avrebbero dovuto evitarla.»
Con questa dichiarazione Mussolini si riferisce a De Bono, al sottosegretario agli
Interni Aldo Finzi, a Giovanni Marinelli e Cesare Rossi; i quali oltre ad essere
suoi collaboratori, sono legati da una comune appartenenza alla massoneria: quel
filo che lega segretamente Londra e Roma.
Il 22 aprile 1924, due mesi prima di essere assassinato, Matteotti si reca
segretamente a Londra per quattro giorni, successivamente in Francia e poi
rientra in Italia. Quello che Matteotti non sa è che uno dei suoi esecutori, Albino
Volpi, lo ha pedinato per tutto il tempo. Non sospetta neanche che Mussolini è a
conoscenza di tutti i suoi spostamenti in territorio inglese per mezzo
dell’ambasciata italiana a Londra, dove il deputato si è recato per discutere con i
laburisti un argomento molto imbarazzante per il regime: le tangenti che Arnaldo
Mussolini ha intascato per la stipula della convenzione petrolifera con la Sinclair
Oil americana.
Per i britannici l’accordo della Sinclair Oil con il governo italiano punta a ledere
i loro interessi. Attraverso il colloquio con il deputato socialista, essi intendono
attirare l’attenzione dell’opposizione italiana sulle manovre che la loro
concorrente americana sta conducendo in combutta con il regime. Che proprio i
documenti ricevuti a Londra da Matteotti siano il movente del suo assassinio lo
ipotizzano non solo la stampa italiana, ma anche quella britannica e americana
subito dopo il ritrovamento del cadavere del deputato.
Oggi, alla luce dei documenti riguardanti l’affaire Dumini, e Churchill, rinvenuti
negli archivi nazionali britannici dei Kew Gardens a Londra, è forse possibile
aggiungere le tessere mancanti del mosaico.
Uno dei personaggi più enigmatici è Dumini, l’uomo che ha guidato il
commando dei rapitori di Matteotti. Massone, iscritto alla Gran Loggia
nazionale, vanta con il regime rapporti stretti almeno quanto quelli che intrattiene
con il mondo anglosassone. È nato negli Stati Uniti da padre italiano e madre
155

inglese, ed è proprio a Londra che risiedono due delle sue sorelle. Dopo il delitto
e le accuse di tradimento di Mussolini, il sicario si sente abbandonato dal regime
e scrive un memoriale che affida nelle mani di due legali, uno inglese ed uno
americano; con l’invito a renderlo pubblico nel caso in cui venga assassinato. Ma
non gli succede nulla, anzi, viene inserito nei ranghi sei servizi italiani e inviato
in Libia. Quando all’inizio del 1941 gli inglesi conquistano Derna, la prima cosa
che fanno gli uomini dell’intelligence è recarsi presso l’abitazione i Dumini per
cercare l’archivio segreto del sicario di Matteotti. Materiale assai pericoloso per
il duce e non solo. Si tratta di lettere di Mussolini ed altri documenti sul delitto
dell’oppositore. Dumini viene immediatamente trasferito al Cairo ed offre libero
accesso al suo archivio in cambio della protezione inglese, mentre i suoi
documenti vengono trasferiti a Londra. Essendo al corrente del memoriale di
Dumini, le autorità militari britanniche al Cairo propongono un piano ingegnoso
al ministero degli Esteri britannico: redigere un falso certificato di morte. In
questo modo tale memoriale sarebbe stato reso pubblico causando effetti
propagandistici devastanti per l’immagine del duce. Ma l’ambasciatore in Egitto
ed il ministero degli Esteri probabilmente non sono a conoscenza di tutti i
retroscena dell’affaire Dumini e non mettono in conto la reazione di Churchill,
che a dir poco furibondo ordina di mettere tutto a tacere.
Secondo Churchill la vicenda Dumini deve essere attentamente valutata poiché
potrebbe provocare attacchi in grado di danneggiare gli interessi del Regno
Unito. Dumini scompare nel nulla, salvo poi riapparire a Salò, dove continua a
svolgere il suo ruolo di agente segreto dell’intelligence della Repubblica sociale e
con ogni probabilità anche di Londra.
La seconda figura di rilievo è il gerarca fascista De Bono. Il capo della Milizia è
legato alla Gran Bretagna attraverso la massoneria, e in quanto fiduciario di casa
Savoia, i cui rapporti con la Gran Bretagna non sono mai venuti meno. È
singolare che una copia dei documenti compromettenti del delitto Matteotti
finisca proprio nella cassaforte di De Bono. Il gerarca li utilizza probabilmente
156

per ricattare il duce e ottenere un risultato favorevole agli interessi britannici. Di
sicuro c’è soltanto che subito dopo l’assassinio Matteotti, quando si diffonde la
notizia dei suoi incontri londinesi e delle informazioni che ha raccolto, il governo
italiano annulla immediatamente gli accordi con la Sinclair Oil. Tra i gerarchi
della corrente filobritannica che hanno partecipato al golpe c’è anche De Bono, il
quale tenta di salvarsi la pelle consegnando a Mussolini i documenti di Matteotti.
Quel materiale si trova probabilmente fra le carte sequestrate dagli inglesi a
Mussolini, a Dongo, poco prima che il duce sia fucilato.
«L’assassinio Matteotti risolve ogni problema. A Mussolini. Alla britannica
Apoc. E a Churchill che, attraverso le carte di De Bono e quelle di Dumini, può
continuare a tenere in pugno il duce. Gli americani sono messi da parte,
Mussolini non cade perché Matteotti non riesce a pronunciare la denuncia in
parlamento, e gli interessi inglesi sono salvi. Churchill insomma sceglie il male
minore, pur di salvare il duce da una catastrofe annunciata 55 .»
Dopo l’assassinio di Matteotti tra Roma e Londra si instaurano ottimi rapporti.
Churchill è diventato ministro delle Finanze e ammira a tal punto Mussolini da
volerlo incontrare nel 1927. Dopo l’incontro tra i due inizia un intenso rapporto
epistolare che durerà fino alla fine della seconda guerra mondiale. In seguito alla
liquidazione della Direzione generale dei combustibili, nel 1926 il governo
italiano fonda l’Agip. Tale operazione mira a soddisfare le aspirazioni a una
politica energetica nazionale, sogno di gran parte degli esponenti del regime. Due
anni dopo viene fondata la British Oil Development Company (Bodc), società
destinata a gestire l’estrazione petrolifera medio-orientale coinvolgendo altre
compagnie europee, tra le quali figura anche l’Agip, che comincia a definire una
sua politica.
Il risentimento italiano nei confronti degli anglofrancesi, che dopo la prima
guerra mondiale si sono divisi il Medio Oriente escludendo la penisola, è ancora
55 Cereghino, M. J. Fasanella, G. Golpe inglese. Da Matteotti a Moro: le prove della guerra segreta per il controllo
del petrolio e dell’Italia, Milano, Chiarelettere editore srl, 2011, p. 28.
157

forte. Per questo motivo si vorrebbe in qualche modo riconoscere al regime il
diritto a un risarcimento. Ma Roma fa l’ennesimo sgarbo agli inglesi
appoggiando la richiesta dell’Iraq, ancora sotto l’influenza britannica, di entrare
nella Società delle Nazioni. Questo provoca l’irritazione inglese. La Gran
Bretagna, se da un lato mostra di voler favorire l’ingresso dell’Agip nella Bodc,
dall’altro è ossessionata dall’eccesso di iniziativa autonoma degli italiani. La
preoccupazione inglese, come si evince da alcuni documenti degli archivi di
Londra, cresce sempre di più:
«L’obiettivo degli italiani consiste nel concludere un accordo con Naftadji Zadas,
con Shaikh Mahmoud e con i loro fratelli e sorelle, nel caso in cui questi ultimi
decidano di concedere al gruppo industriale italiano le loro “proprietà
petrolifere”. Secondo il governo italiano, “non verrà mai meno” il diritto dei
sopramenzionati signori di concedere le loro “proprietà petrolifere” alle imprese
di loro scelta.»
Il fatto che le parole “proprietà petrolifere” venga scritto tra virgolette sottolinea
il fatto che gli inglesi credono che Roma tratti con gli iracheni sul petrolio che
non appartiene ai capi tribù bensì a Sua Maestà britannica. Questo Roma lo sa
bene, e questa storia del petrolio mediorientale è illuminante circa le relazioni,
ma soprattutto i conflitti d’interesse che d’ora in poi si verificheranno tra Italia e
Gran Bretagna. Sono relazioni che si intrecciano lungo doppi e tripli binari. Altri
eventi infatti turbano gli inglesi, che nel 1931 vengono a conoscenza delle
trattative tra Mosca e Roma per una maxifornitura di petrolio sovietico a prezzi
decisamente più vantaggiosi di quelli imposti dalle compagnie angloamericane.
Grazie al petrolio sovietico e a quello iracheno, Mussolini vede a portata di mano
la possibilità di realizzare la potente macchia bellica che lo condurrà alla
conquista dell’Etiopia; ma evidentemente non ha considerato gli sforzi che gli
inglesi sono disposti a fare per contrastare chi va contro i suoi interessi. Londra
infatti predispone le contromosse per ridimensionare le aspettative italiane. I soci
dell’Agip, nella Bodc e nella Mosul Oil Fields ritardano all’infinito il pagamento
158

delle somme dovute agli iracheni per lo sfruttamento dei pozzi petroliferi. Con
l’obiettivo di indurre Baghdad ad annullare la convenzione. Quando Mussolini se
ne rende conto purtroppo è già troppo tardi. La guerra etiopica è già iniziata e la
macchina bellica richiede risorse. Il governo non è più in grado di concedere
all’Agip i fondi che gli consentirebbero di onorare i propri impegni con gli
iracheni, o addirittura di rilevare la maggior parte delle quote della Mosul Oil
Fields. I tecnici italiani sanno quanta ricchezza ci sia sotto quel deserto. Lo sa
anche Mussolini, che tuttavia nel novembre del 1935 convoca a Palazzo Venezia
il presidente dell’Agip Umberto Puppini:
«I superiori destini della nostra Patria ci impongono di sacrificare i nostri
interessi petroliferi in Iraq… Trame e insidiose manovre speculative messe in
atto contro i nostri interessi non devono compromettere la grandezza del nostro
Impero! Esigo la massima obbedienza e vi ordino di seguire le disposizioni.
Ricordate che sono in gioco i destini della Patria 56 !»
Puppini non può fare altro che ubbidire ma è chiaro che la diplomazia britannica
ha messo Roma di fronte ad un’alternativa: il petrolio iracheno o l’Etiopia;
sapendo di poter contare sulle ambizioni imperialistiche del duce, che, con l’aiuto
anglofrancese, conquista il suo “posto al sole”. Francia ed Inghilterra infatti,
attraverso la Società delle Nazioni, fanno approvare un finto embargo economico
nei confronti dell’Italia, dal quale però viene esclusa la fornitura del petrolio
iracheno: vitale per le truppe italiane. Quelle sanzioni di fatto non vengono mai
applicate, e comunque vengono revocate dopo la riuscita dell’impresa coloniale.
Conquistata l’Etiopia l’Italia viene estromessa dallo sfruttamento del petrolio
iracheno che rimane esclusivamente nelle mani degli inglesi.
Estenuata dalla battaglia e tradita dagli amici britannici, nonostante Mussolini
continui a mantenere ottimi rapporti con Churchill, è inevitabile il rischio che
l’Italia venga risucchiata nell’orbita della nuova potenza emergente: la Germania
di Adolf Hitler.
56 Ivi, p. 36.
159

Di questo pericolo Londra comincia a prendere coscienza nel 1938, alla vigilia
dell’approvazione delle leggi razziali. L’attività dell’intelligence inglese tra il
1938 e il 1939 si concentra sulle reali ragioni della propaganda antiebraica
alimentata dal regime. Si vuole capire se abbia un’origine culturale, o se si possa
spiegare alla luce di interessi politico-economici.
Uno dei motivi della campagna razziale adottata da Mussolini potrebbe essere il
desiderio, di quest’ultimo, di enfatizzare la sua simpatia per la lotta degli arabi
contro gli ebrei nel Vicino Oriente. L’obiettivo di Mussolini, a detta degli inglesi,
è quello di metterli in imbarazzo in Palestina, all’epoca protettorato inglese; per
questo motivo mobilita la sua intelligence. Un diplomatico inglese incontra il
ministro degli Esteri italiano Galeazzo Ciano il quale lo rassicura: la questione
razziale non ha niente a che fare con la Palestina britannica.
In realtà, dopo l’esclusione italiana dalla spartizione del petrolio iracheno, il duce
ha ricominciato a trarre vantaggio dai malumori antibritannici delle popolazioni
arabe, frustrate per le promesse di indipendenza fatte e mai mantenute. Ora che
sanno di possedere il petrolio, gli arabi vogliono riscattarsi. La Palestina è
un’area strategica per la presenza britannica in Medio Oriente, ma è anche
attraversata da forti tensioni. È proprio questo il tasto dolente su cui la
diplomazia fascista ha intenzione di battere, ma Londra non può permetterlo. Il
pericolo per gli interessi britannici diventerebbe di gran lunga più concreto se il
fascismo si saldasse con la Germania nazista. Soprattutto se l’espulsione degli
ebrei e la confisca dei loro beni permettesse al governo fascista di impossessarsi
delle loro ricchezze.
La preoccupazione inglese cresce con l’intensificarsi in Italia delle campagne di
stampa contro esponenti ebraici del mondo bancario e dell’industria. Campagne
che portano inevitabilmente alla sostituzione di molti di loro con uomini di
fiducia del regime. All’inizio del 1393, in pieno clima antisemita, gli inglesi
trovano conferma ai loro sospetti. Di lì a poco l’invasione nazista della Polonia
160

scatena la seconda guerra mondiale, e l’Italia, nonostante l’intelligence inglese si
sia mobilitata per evitarlo, viene trascinata nel conflitto al fianco della Germania.
L’uomo sul quale la Gran Bretagna punta per scongiurare l’entrata in guerra
dell’Italia è il duca Amedeo d’Aosta, e quella che segue è la storia del tentativo
mancato di un golpe per portarlo al potere in Italia prima della seconda guerra
mondiale.
Il duca visita per due volte l’Ambasciata britannica a Roma; durante il primo
incontro riferisce all’ambasciatore PercyLoraine le sue impressioni su un
colloquio che il duca aveva avuto con il duce il giorno precedente. Racconta che
a detta di Mussolini la situazione dell’Italia è difficile e pericolosa. È u paese
povero, con difese ed equipaggiamenti inadeguati, ed è minacciato da due lati.
L’unico obiettivo dell’Italia è quello di rimanere fuori dalla guerra. In caso
contrario sarà la catastrofe. Mussolini teme che la Francia e la Gran Bretagna
possano reputare più facile e conveniente attaccare la debole Italia per poi
raggiungere la Germania, a suo dire sottovalutata dalla potenze alleate. I rapporti
del duce con Hitler dunque, sarebbero giustificati dalla necessità dell’Italia di
essere protetta, specialmente dal punto di vista economico, come gli Alleati, al
contrario della Germania nazista, non sono in grado di fare. È un po’ come dire
“se non puoi combatterli unisciti a loro!”.
Non è chiaro se Mussolini fosse al corrente di quell’incontro; comunque Londra
dà il via libera al duca d’Aosta, la cui opinione non è isolata. Esiste ancora
qualche margine per scongiurare il peggio. Il 19 aprile 1940 il duca si reca
nuovamente presso l’Ambasciata inglese e manifesta la sua perplessità per le
decisioni del duce, ma non manca di mostrare il suo disappunto per il modo in
cui la Gran Bretagna ha trattato l’Italia negli anni precedenti.
L’Italia, che il 10 giugno 1940 dichiara guerra alla Francia e alla Gran Bretagna
nonostante Winston Churchill sia appena diventato il nuovo capo del governo
inglese; si è sentita come un bambino in castigo e, di conseguenza, si è rivolta
all’altro monello, la Germania.
161

Qualche mese prima dell’entrata in guerra dell’Italia, lo Stato maggiore inglese
prende in esame la possibilità di appoggiare il duca d’Aosta in funzione
antimussoliniana. Ma il piano viene subito accantonato poiché si teme di
offendere l’ex nagus Hailé Selassié, in esilio a Roma. Sarebbe stato come tradire
l’Etiopia. La motivazione appare poco credibile. Tant’è che dopo la sconfitta
delle truppe italiane sull’altopiano etiopico, il viceré Amedeo d’Aosta viene
consegnato agli inglesi e quello stesso progetto viene subito ripreso.
Durante la sua permanenza in carcere il duca si premura di esprimere tutta la sua
gratitudine nei confronti dei carcerieri britannici. Afferma di essere stato
ingannato da Mussolini, mai sarebbe tornato in Etiopia se il duce non gli avesse
assicurato che la guerra non sarebbe scoppiata nel 1940 e nemmeno nel 1941. Va
da sé che adesso è ben felice di trascorrere in una colonia britannica il tempo che
lo separa dalla fine del conflitto. Restano molte ombre sulle ragioni che hanno
indotto Londra a far cadere le possibilità di un accordo con l’Italia prima
dell’entrata in guerra. Mentre da un lato si trattava, dall’altro si chiudeva la porta
ad ogni accordo, quasi sperando che l’Italia entrasse nel conflitto e che si
logorasse un po’ alla volta per poterla tenere meglio in pugno. Proprio per questo
motivo il ruolo del duca Amedeo d’Aosta viene rivisitato. Adesso non viene più
considerato una valida alternativa per rovesciare il fascismo, ma il mediatore
ideale a trasmettere all’Italia le condizioni di pace inglesi. Sfortunatamente il
duca si ammala e muore nel 1941, costringendo Londra a cambiare i suoi
programmi.
Proprio in questo periodo cominciano a delinearsi gli scenari del dopoguerra. La
guida delle Nazioni Unite dovrà essere affidata a tre grandi potenze: il
Commonwealth britannico, gli Stati Uniti d’America e la Russia; che dovranno
impegnarsi a vigilare sulle nazioni che dovessero mettere nuovamente in pericolo
la pace.
Da un punto di vista politico, l’obiettivo consisterà nel limitare il potere di
Germania e Giappone. Gli inglesi manifestano l’intenzione di non voler prendere
162

in considerazione l’ipotesi di riconoscere queste nazioni come grandi potenze,
ma solamente come nazioni vinte. Per quanto riguarda l’Italia il problema non si
pone poiché l’Italia non è mai stata una potenza, di conseguenza non si dovrà
neanche considerarla alla stregua di Germania e Giappone. Per gli inglesi l’Italia
è tanto agevolmente controllabile quanto indispensabile per la Gran Bretagna,
dato che i loro interessi si concentrano soprattutto nel Medio Oriente e nel
Mediterraneo.
Gli americani, che nel giro di pochi anni non saranno più in grado di soddisfare i
bisogni del mercato interno, hanno già evidenziato il loro interesse verso il Golfo
Persico. Un’impresa americana è già attiva nei pozzi di Dhahran, mentre la
Nahrain Petroleum Company, sebbene sia tecnicamente britannica è finanziata da
capitali americani. Perciò il Dipartimento di Stato Usa invia istruzioni ai suoi
rappresentanti perché intervengano a scapito degli interessi inglesi duranti i
negoziati con il governo afghano.
Il conflitto sotterraneo combattuto in Italia all’epoca del delitto Matteotti tra la
Apoc e la Standard Oil, minaccia ora di riproporsi in Medio Oriente. E la ragione
non è di natura puramente economica; il democratico Franklin D. Roosevelt
punta il dito contro la Gran Bretagna colpevole di aver ritardato il desiderio
d’indipendenza degli abitanti delle proprie colonie, al solo scopo di perseguire i
suoi interessi.
«L’Italia è un paese in via di dissoluzione. […] Persino Ciano (ministro degli
Esteri italiano) è stato udito fare commenti positivi sulle potenze anglosassoni 57 .»
Si descrive uno scenario della situazione italiana sull’orlo del collasso; con una
crisi economica disastrosa e un indice di gradimento del regime ormai bassissimo
anche a causa delle sconfitte subite in Libia a opera degli inglesi. Ciano era
contrario all’ingresso all’entrata in guerra dell’Italia poiché non c’era alcun
motivo di dichiarare guerra alla Gran Bretagna. Dopo queste affermazioni Ciano
viene accusato di aver compiuto sottobanco dei sondaggi di pace con gli
57 Ivi, p. 53.
163

angloamericani all’insaputa del duce che lo destituisce da ministro degli Esteri
per destinarlo ad un nuovo incarico in Vaticano, affinché risulti più facile aprire
un dialogo con il nemico inglese. Questa mossa insospettisce gli alleati tedeschi
che mobilitano immediatamente la loro intelligence per sondare la fedeltà
italiana. Ecco che vengono poste le basi per il golpe del 25 luglio 1943: il giorno
in cui il Gran Consiglio del fascismo vota la sfiducia a Mussolini presentata dal
Ciano e De Bono (protettore del sicario di Matteotti).
La nomina di Ciano è stata fatta per segnalare alle potenze alleate che un
negoziatore è a disposizione. Sia il Vaticano sia il regime sono intenzionati a
limitare gli effetti della sconfitta e facilitare l’uscita dell’Italia dal conflitto con il
minor danno possibile a livello politico. Per questo motivo da Londra giungono
istruzioni sui toni con i quali trattare con Ciano. Nella fase iniziale delle trattative
Ciano deve essere trattato con freddezza poiché, a detta di Londra, un
incoraggiamento lo condurrebbe ad alzare il prezzo pretendendo un
compromesso e non una resa senza condizioni da parte dell’Italia. Come sempre,
in territorio italiano, gli inglesi sono molto attivi e tengono aperte più partite. Ma
questi movimenti non sfuggono agli americani che, pur rifiutandosi di trattare
con il regime, propenderebbero per il ristabilimento dei diritti e delle libertà
costituzionali, nel caso in cui un dialogo con l’Italia fosse inevitabile.
Nel giugno 1943 ci sono diversi progetti di golpe e tutti sono supervisionati
dall’intelligence britannica. Uno è di Adriano Olivetti, nome in codice “Brown”.
Un altro è del Partito d’Azione (PdA), che mantiene i rapporti con il Regno Unito
tramite il contatto del Soe (Special Operations Executive, i commandos inglesi
con funzioni di spionaggio) Filippo Caracciolo, nome in codice Carr Phillips. Il
PdA dice di contare tra le sue fila un buon numero di antifascisti. Olivetti invece
sostiene di aver sondato le vedute di casa Savoia, del maresciallo Badoglio e del
generale Cadorna. Inoltre avrebbe contatti con il Pci, il PdA, i socialisti ed i
cristiano-socialisti. I piani che vengono presentati sono fondamentalmente simili.
Entrambi concordano sulla necessità che il golpe debba essere attuato poco prima
164

dello sbarco, oppure in contemporanea, e che all’estero, in particolare a Londra,
si formi un comitato nazionale composto da Salvatorelli, La Malfa e Levi e del
tutto indipendente dalle attività del Soe britannico.
Nel maggio 1942 Gianluigi Rusca, braccio destro dell’editore Arnoldo
Mondadori, nonché uomo del Soe, si reca a Berna per riferire all’intelligence
inglese una proposta di Badoglio: attuare un colpo di stato contro Mussolini e
costituire un governo militare con l’incarico di firmare l’armistizio con gli
Alleati. Una settimana dopo il piano viene discusso e bocciato dal gabinetto di
Guerra dal ministro degli Esteri inglese Eden. Chirchill non era presente alla
riunione poiché impegnato in un vertice a Casablanca con il presidente
americano Roosevelt. Ornato a Londra ed appresa la notizia critica quella
decisione ed invita il Soe a riprendere i contatti con Rusca, che tuttavia non da
più sue notizie. Ecco che subentra l’industriale Olivetti che, convinto che l’Italia
debba schierarsi attivamente a fianco degli Alleati affidando il compito di far
cessare le ostilità a Badoglio.
«Abbiamo ricevuto un’improvvisa telefonata di Phillips e partiamo per Lugano
domani mattina. Saremo di ritorno il 17 per incontrarci nuovamente con Brown.
Per piacere, inviateci i vostri commenti prima di quella data 58 .»
La risposta da Londra arriva proprio dopo l’incontro con Phillips (Filippo
Caracciolo, all’epoca console italiano a Lugano) . il progetto di golpe elaborato
da Olivetti richiede troppo tempo per essere sviluppato e si basa sul presupposto
che gli Alleati sospendano i loro piani di sbarco in Sicilia. La cessazione delle
ostilità si potrà prendere in considerazione solo quando l’Italia si arrenderà senza
condizioni. È del tutto evidente che per il governo inglese l’obiettivo di liberare
l’Italia dal nazifascismo è posto in secondo piano rispetto all’esigenza di
conquistare un totale predominio politico, militare ed economico sulla penisola.
Viene così liquidata definitivamente anche la proposta di Olivettidi costituire
all’estero una sorta di comitato antifascista, con sede a Londra. Il Regno Unito
58 Ivi, p. 59.
165

darà il benvenuto alle personalità indicate da Olivetti solamente nell’ambito del
Soe. Di fatto si tratta di un via libera all’industriale, ma a condizione che si
muova dentro i confini dell’intelligence e con compiti puramente esecutivi.
«Il governo di Sua Maestà non intende riconoscere un comitato antifascista fuori
dall’Italia. […] Al momento del collasso dell’Italia, è nostro desiderio avere le
mani totalmente libere, con l’obiettivo di formare un governo adeguato agli
interessi britannici 59 .»
A meno di un mese dal 25 luglio 1943, data in cui il Gran Consiglio destituirà
Mussolini, Londra da un lato incoraggia gli antifascisti del gruppo Brown, seppur
limitandone l’autonomia d’azione; dall’altro è in contatto con la lobby anglofila
del regime, di cui Ciano e Grandi sono i massimi esponenti. Due giochi diversi
che hanno lo stesso scopo: creare le condizioni per la piena egemonia sull’Italia.
Roosevelt deve aver intercettato le ambizioni inglesi e cerca di intromettersi per
frenarle. Roosevelt ha appeso che il papa sta meditando una qualche iniziativa di
pace per conto degli italiani. Il presidente americano vorrebbe inviare dei
funzionari per negoziare, ma Eden sconsiglia vivamente il governo Usadi
compiere una mossa che potrebbe scatenare una ridda di voci.
Nonostante gli inglesi cerchino di tenere a bada l’intraprendente Olivetti, ai primi
di luglio gli eventi subiscono un’imprevista accelerazione. Olivetti ha attivato un
canale con il Vaticano. Il pontefice è favorevole a ospitare dei negoziati, a
condizione di essere contattato direttamente da casa Savoia o dal governo
britannico. Secondo Brown si potrebbe aprire immediatamente un negoziato per
l’uscita simultanea dall’Asse di Italia, Ungheria, Romania e Finlandia. Ma
Olivetti chiede una risposta entro la sera dell’8 luglio. Olivetti non è disposto a
limitarsi a ruoli meramente esecutivi. In questi mesi ha tessuto in gran segreto la
sua tela di relazioni con l’intelligence britannica, Casa Savoia, i vertici militari
italiani, il fronte antifascista ed il Vaticano. Il 15 luglio Olivetti si definisce “il
rappresentante dell’opposizione italiana” contravvenendo alle direttive del Soe.
59 Ivi, p. 63.
166

Brown scrive persino all’Oss perché gli americani comunichino un messaggio
preciso ai Savoia: a guerra finita, la forma istituzionale riconosciuta da
Washington dovrà essere quella di una monarchia limitata nella sua autorità.
Tutto ciò dovrà avvenire a prescindere dalle forme di governo che si
concretizzeranno in Italia nei prossimi mesi. Probabilmente Olivetti a bruciato le
tappe perché avendo contatti con l’intelligence britannica deve essere venuto a
conoscenza del golpe ce Ciano e Grandi stanno organizzando segretamente per il
25 luglio. Lo sbarco alleato è già avvenuto. Mussolini è sempre al potere. Forse
spera ancora in un’uscita di scena decorosa. Ma visto il grande attivismo di
Olivetti, il Regno Unito non può più sperare di arrestare la sua corsa, può però
prendere tempo, in attesa che i piani che l’intelligence di Sua Maestà si
compiano. L’imprenditore italiano però anticipa nuovamente i tempi e si reca in
Vaticano prima del previsto, per dare il via alle operazioni che di lì a poco
porteranno alla deposizione del duce.
Nella notte tra il 24 e il 25 luglio, il Gran Consiglio vota la sfiducia a Mussolini e
il re Vittorio Emanuele III affida la guida del governo al maresciallo Badoglio.
Ora che Mussolini è stato destituito, gli inglesi ritengono utile fare il punto sul
piano originario proposto da Olivetti per valutare se ed in quale misura possa
essere conveniente per gli interessi britannici assecondare qualche sua richiesta.
Badoglio deve inviare in Sicilia suoi emissari per trattare con il governo
britannico e attuare una finta resistenza contro gli Alleati, poiché l’Italia fa
ancora ufficialmente parte dell’Asse. Deve inoltre indicare agli angloamericani
gli altri punti dove effettuare sbarchi senza incontrare difficoltà. Dopo aver preso
possesso delle aree concordate, compresa Roma, gli Alleati firmeranno
l’armistizio con Badoglio. Occorre anche programmare azioni sovversive per
contrastare l’aviazione e l’esercito tedeschi. In cambio gli Alleati nominano
Maria José reggente al trono al posto del figli, per assicurarsi il sostegno dei
generali fedeli alla monarchia. Questa è l’idea di Brown, ma il Foreign Office
non è d’accordo. Accogliere tutte le richieste di Olivetti sarebbe come trattare
167

una nazione che per quasi tutta la durata del conflitto si è schierata contro gli
Alleati, al pari di una potenza vincitrice; e questo non è accettabile. L’Italia è una
nazione vinta e non cobelligerante come tendono a volerla dipingere gli
americani.
È l’ennesima conferma che il vero obiettivo britannico è l’egemonia sull’Italia.
Brown è stato molto utile ma il suo eccesso d’iniziativa autonoma ha fatto saltare
il gioco che il governo inglese stava conducendo sul tavolo dei rapporti con i
vecchi amici fascisti.
Lo stesso duce infatti sperava di potersi ritirare a vita privata salvando il suo
regime. È per questo motivo che aveva inviato Ciano in Vaticano, per
incoraggiarne segretamente le prove di dialogo con gli amici britannici. A questo
scopo aveva anche chiesto ai comandanti della Marina militare italiana di non
mettere a rischio la flotta e di non proteggere la Sicilia (in vista dello sbarco che
sarebbe avvenuto poco dopo).
Dunque sono due le cordate attivate per rimuovere il duce. Quella guidata da
Grandi e Ciano e quella diretta da Brown (Adriano Olivetti), Badoglio e Filippo
Caracciolo (Phillips). L’una si è mossa all’insaputa dell’altra. Ma entrambe su
input britannico e controllate dai servizi e dalla diplomazia di Londra. Con
l’arresto di Mussolini e la nomina di Badoglio a capo del governo, la monarchia
prende definitivamente in mano le redini della situazione e il 3 settembre 1943,
firma segretamente l’armistizio con gli Alleati,a Cassabile, in Sicilia. Entrerà in
vigore l’8 settembre. Più che un armistizio è una resa incondizionata. Il 13
ottobre l’Italia dichiara guerra a lla Germania. Ma lo status che le viene
riconosciuto è solo quello di nazione cobelligerante, non di alleata a tutti gli
effetti di Gran Bretagna e Stati Uniti. Un alto dettagli non di poco conto,
destinato a condizionare da ogni punto di vista l’intera storia italiana dalla
Resistenza almeno fino alla morte di Aldo Moro.
I bombardamenti alle fonti petrolifere tedesche stanno seriamente
compromettendo la capacità del nemico di continuare la guerra. La macchia
168

ellica di Mussolini e Hitler è a corto di carburante. Il contesto è tale che i destini
della guerra sono già segnati. Stati Uniti, Gran Bretagna e Unione Sovietica
hanno conquistato una schiacciante superiorità strategica perché controllano gran
parte delle fonti di approvvigionamento energetico. Germania nazista e
Repubblica sociale italiana, sono invece allo stremo delle forze, perché i tentativi
di raggiungere con le loro armate i pozzi petroliferi del Medio Oriente e del
Caucaso sono stati respinti. Due anni prima, nel 1941, l’Italia aveva tentato di
tornare nell’Iraq occupato degli inglesi. Un’operazione finita quasi nel ridicolo
perché, dopo aver combattuto per un paio di giorni, i tredici aerei inviati laggiù
dall’Italia sono subito rientrati alla base. Evidentemente, per non fare uno sgarbo
agli inglesi, non si aveva voglia di impegnarsi troppo. Quanto al Fuhrer, si sono
infranti i sogni hitleriani di conquistare quello “spazio vitale” a Est. L’unica
risorsa di cui dispone l’Asse è il petrolio romeno, ed è proprio in quell’aera che si
concentrano gli sforzi bellici per arrestare il nemico mortale.
Gli alleati sono ormai talmente certi della vittoria che già pensano a come
dividersi la torta energetica. Ai vecchi conflitti che caratterizzavano Stati Uniti e
Gran Bretagna all’epoca del delitto Matteotti, se ne vanno ad aggiungere di
nuovi.
Gli statunitensi intendono rivendicare un’ampia porzione degli interessi
petroliferi inglesi nel Vicino Oriente. Mirando, in particolare, ad attingere alle
risorse irachene e kuwaitiane. Nel Vicino Oriente inoltre sono intenzionati a
chiedere che il rifornimento per i loro oleodotti sia pari a quello britannico. Ciò
risulterebbe deleterio per gli interessi di Sua Maestà britannica, poiché già alla
fine del primo conflitto mondiale, gli americani si erano impossessati della metà
del petrolio inglese in Iraq, e di certo non possono commettere nuovamente lo
stesso errore. Tuttavia si vocifera che nell’autunno del 1943 a Washington, è nato
un nuovo organo dello stato volto alla gestione della distribuzione e della
produzione del petrolio; e la Gran Bretagna dubita di poter competere con un
organo spalleggiato dalle illimitate risorse degli Stati Uniti.
169

L’esigenza, inglese quanto americana, di intavolare delle trattative nasce dalla
presa di coscienza che, il petrolio, assumerà un’enorme importanza globale, sia
nel dopoguerra che nel lungo periodo.
Forte del fatto gli alcuni americani molto influenti possiedono già da tempo le
licenze per lo sfruttamento di vaste risorse petrolifere in Medio Oriente; gli
americani avanzano pretese nei confronti degli inglesi.
Di tutta risposta Eden, suggerisce al War Cabinet di chiedere che i colloqui con
gli americani vengano estesi non solo alle politiche petrolifere mediorientali, ma
a livello globale. La speranza è che di fronte a eventuali richieste inglesi
d’ingresso nelle zone petrolifere controllate dagli americani, Washington sia
indotta a mitigare le sue pretese nelle zone di competenza britannica.
L’unica proposta che l’intelligence inglese approva all’unanimità è la costruzione
di un oleodotto che colleghi il Golfo Persico al Mediterraneo orientale, ma solo
perché ne intravede i vantaggi strategici e commerciali.
Intanto un nuovo nemico si sta profilando all’orizzonte, l’Urss, per ora alleata
contro il nazifascismo, ma candidata a diventare prestissimo la minaccia epocale
da cui difendersi.
«A nostro avviso risulta vantaggioso per la Gran Bretagna che gli americani
siano interessati ai pozzi petroliferi nel Vicino Oriente. Ciò li condurrà ad
assumersi responsabilità di tipo strategico. La Russia è un potenziale nemico per
l’area mediorientale. Anche se diventasse autosufficiente dal punto di vista delle
risorse petrolifere, potrebbe essere tentata di guardare con invidia agli sbocchi
verso l’Oceani Indiano, che sarebbero garantiti dai porti del Golfo Persico. Per
noi costituisce un enorme vantaggio poter contare, con giustificata fiducia,
sull’assistenza americana per contrastare questo pericolo 60 .»
Il discorso che il 17 luglio 1944 la Gran Bretagna dovrà illustrare il pensiero
britannico agli americani, è un vero e proprio capolavoro diplomatico.
60 Ivi, p. 83.
170

«Noi non chiediamo vantaggi commerciali per la Gran Bretagna. Ciò che
vogliamo, a vantaggio di una nazione che è stata devastata dalla guerra, è la
sicurezza. […] il tema della sicurezza – ossia della nostra sopravvivenza come
nazione – non può passare in secondo piano. La guerra ha insegnato al nostro
popolo che il petrolio è essenziale alle operazioni belliche. […] Se non
possedessimo risorse petrolifere permanenti, verrebbe meno tutta la nostra
capacità di difenderci. […] Senza il petrolio la Gran Bretagna non sarebbe in
grado di partecipare alla salvaguardia della pace mondiale. Perciò i rifornimenti
petroliferi devono adattarsi alle nostre esigenze in tema di sicurezza. […] Tali
urgenze non si limitano alla difesa delle Isole britanniche e alle vie di
comunicazione marittime che a esse conducono. Noi desideriamo difendere,
parimenti, anche i domini e le colonie di Sua Maestà 61 .»
Come si è detto, americani ed inglesi non hanno la stessa idea sul ruolo e sullo
status bellico degli italiani che si oppongono alla Repubblica di Salò. Soprattutto
non hanno gli stessi disegni sull’assetto istituzionale e sul ruolo futuro della
penisola italiana.
La Quinta armata americana e l’Ottava armata inglese riflettono due mondi e due
epoche diverse, e gli americani conducono la campagna italiana in un clima di
crescente insofferenza nei confronti dell’alleato.
Gli americani sbarcano in Italia come liberatori di popoli trascinati alla rovina dal
fascismo. Cacciato Mussolini, ripristinato il sistema democratico e ripuliti gli
apparati dello Stato da ogni scoria autoritaria il loro obiettivo è tornarsene a casa.
In questo modo l’Italia può riguadagnare fiducia in sé stessa, nonché
quell’indipendenza politica ed economica che permetterebbe al governo italiano
di collaborare attivamente alla guerra contro la Germania e diventare un
elemento stabile e costruttivo nell’Europa postbellica.
Gli inglesi invece sono ispirati dalla politica conservatrice di Churchill, malevolo
verso l’Italia, ed i loro punti di riferimento sono Badoglio, il suo re ed i “fascisti
61 Ivi, p. 85.
171

per bene”. Gli antifascisti sono scomodi perché troppo ansiosi di essere in prima
fila nella guerra contro gli occupanti tedeschi ed il regime; quindi pronti a
rivendicare, dopo la vittoria, il dignitoso status di liberatori, con tutto quello che
ne conseguirebbe. Tropo per Londra, ansiosa di trasformare l’Italia in una sorta
di protettorato britannico e di tornare alla situazione di una penisola
addomesticata agli interessi inglesi com’era a partire dal 1861.
L’interesse degli inglesi, qualora non riuscissero ad assoggettare l’intera penisola
ai loro interessi, è direzionato in particolare sulla Sicilia. Una regione dilaniata di
per sé dai conflitti interni causati dalla mafia. Conflitti che gli inglesi intendono
alimentare per fomentare i leader separatisti e trasformare l’isola italiana in una
specie di Malta; creando così il proprio triangolo strategico per il controllo del
Mediterraneo.: Malta, Pantelleria e Sicilia. Le ambizioni separatiste inglesi
vengono ridimensionate dall’intervento degli americani che, attraverso l’agente
dei servizi segreti Scamporino, capta in tempo reale e addirittura riesce ad
anticipare le mosse degli inglesi, scongiurando il peggio e costringendo
l’intelligence di Sua Maestà ad agire con più cautela per non inimicarsi l’alleato.
La guerra per il petrolio tra Usa e Gran Bretagna non solo proietta i suoi riflessi
sulla campagna militare in Italia, ma qui finisce addirittura per complicarsi.
Perché tra le forze armate impegnate nella Resistenza c’è il Partito comunista di
Palmiro Togliatti, cioè il futuro nemico degli interessi occidentali nella penisola
italiana. Si crea così un incredibile paradosso. Un conflitto bellico alla luce del
sole contro Mussolini e Hitler. E, contemporaneamente, di due guerre segrete
all’interno del fronte antifascista: tra americani e inglesi per il petrolio, tra
comunisti e anticomunisti per i futuri assetti politici della penisola. Tutti e tre i
conflitti finiscono per intrecciarsi, creando un groviglio di questioni il cui peso
graverà in maniera determinante sui decenni successivi.
Nel marzo 1944 la guerra è virtualmente conclusa. L’operazione più ardita della
Resistenza è saldare in un unico fronte le formazioni partigiane più
anticomuniste. L’uomo chiave per i piani inglesi è Edgardo Sogno. Rampollo di
172

un’antica famiglia piemontese, fa il suo apprendistato prima nei Balilla poi nei
Gruppi universitari fascisti (Guf). Dopo l’8 settembre resta in contatto con gli
ambienti militari fedeli alla corte, con i partigiani e con i servizi segreti. È un
uomo che resta sempre a cavallo tra gli opposti. Durante la Resistenza crea
l’organizzazione Franchi,
Durante la Resistenza crea l’organizzazione Franchi, una rete legata
all’intelligence britannica. L’organizzazione Franchi stringe rapporti con il
nucleo Otto ed il Vai (Volontari armati italiani); al fine di contrastare la minaccia
comunista in Italia.
Otto è il nucleo d’intelligence di cui fanno parte molti agenti doppiogiochisti dei
vecchi apparati fascisti e della Rsi. Il Vai è un’organizzazione fondata da
Badoglio, in cui sono confluiti interi pezzi degli apparati del regime. Quando il
31 marzo l’organizzazione Otto viene debellata, il Soe comincia a nutrire di
dubbi sulla fedeltà di Sogno, il quale tuttavia non ha mai capeggiato
un’organizzazione autonoma ed quindi probabile che accetti di rimanere alle
dipendenze del Soe, come Olivetti non ha fatto a suo tempo. Il primo agosto
1944 Sogno è attivo e comincia a trasmettere le sue informazioni a Londra. La
dirigenza del Pci è seria e patriottica. Oltre agli elementi di fede comunista, la
Brigate Garibaldi includono molti leader militari.
Alcune ingerenze comuniste si sono verificate alla fine del mese di luglio
nell’area di Macerata contro la volontà dei leader partigiani locali, e c’è il rischio
che le stesse complicazioni possano verificarsi nelle zone in cui i comunisti
tentano di assumere il controllo della situazione. A Sogno viene affidato il
compito di stabilire quali formazioni delle Brigate Garibaldi siano meritevole del
sostegno del Soe, e quali, contravvenendo o avendo intenzione di contravvenire
alle direttive inglesi, non lo meritino. La linea di condotta nei confronti dei
combattenti comunisti decisa da Sogno e dal Soe non è condivisa dai servizi
americani, i quali, per ricevere informazioni ed assistere in maniera ottimale la
Resistenza, decidono di elargire fondi a qualsiasi partito in grado di fornire loro
173

notizie. In particolare gli americano conferiscono particolare importanza proprio
ai comunisti. Il Foreign Office comincia ad essere seriamente allarmato dalla
penetrazione sovietica nelle formazioni antifasciste. Tanto che affidano a Sogno
l’incarico di costituire un corpo speciale composto da 200 uomini che dovrebbero
agire da polizia, da organizzazione di sicurezza e per compiere azioni sul campo.
Saranno utilizzati dopo la resa dei nazifascisti, quando si arriverà al regolamento
dei conti con le formazioni partigiane comuniste.
Sogno è uno dei più affidabili agenti del Som (Special Operations
Mediterranean). È una figura eccezionale della Resistenza italiana, a detta degli
inglesi, un uomo che ha compiuto un’opera straordinariamente valida per gli
Alleati. Tra le opere straordinariamente valide compiute dal Som grazie
all’organizzazione Franchi c’è anche il lavoro di capillare infiltrazione delle
bande partigiane comuniste. In particolare delle formazioni biellesi, dove il
predominio del Pci clandestino è pressoché totale. Si capisce perché a suo tempo,
quando il Soe chiedeva a Sogno a quali formazioni garibaldine paracadutare gli
aiuti, lui avesse indicato proprio la zona di Biella, dove era attivo Vincenzo
Moscatelli, detto Cino. Moscatelli ha modellato la sua banda secondo i metodi
comunisti più spietati ed è attivamente impegnato a costruirsi una reputazione a
Milano.Jocumsen, un agente del Som, è convinto che i comunisti stiano
preparando un colpo di mano ed è in grado di indicare il luogo in cui Moscatelli
ha nascosto un consistente deposito d’armi. Così Jocumsen viene infiltrato nella
banda Moscatelli. Sebbene goda della fiducia di Cino, viene sottoposto ad attenta
sorveglianza. Di conseguenza, l’unico modo per trasmettere informazioni a
Londra, è utilizzare i canali ufficiali.
L’intelligence britannica punta a manovrare i garibaldini. Tra l’autunno del 194 e
le prime settimane del 194, gli inglesi riescono ad ammorbidire l’opposizione
Usa favorendo l’ascesa di un loro uomo all’interno dell’Oss. Si tratta di James
JesusAngleton, che durante la sua permanenza in Italia è rimasto affascinato
dalle imprese del regime fascista. Alla fine del novembre 1944diventa
174

esponsabile dell’X-2 di Roma, il controspionaggio dell’Oss, al cui interno opera
l’unità Z dello Special Counter Intelligence, un corpo d’élite misto, composto da
agenti britannici ed americani. Quella promozione è merito del suo illustre
genitore, un potente massone della loggia di “Rito Scozzese Antico e Accettato”,
l’ala più filobritannica della massoneria americana (che comincerà ad affermarsi
anche in Italia dalla fine del 1944). È dalla postazione romana dell’X-2 che
James Jesus svolge il suo ruolo di supervisione nella delicata fase dei contatti
segretissimi tra Soe e repubblichini.
Nell’ottobre 1944 Giorgio Zanardi, un ufficiale delle forze navali dell’Italia
liberata, è in missione segreta nella Rsi per conto dell’intelligence inglese e
riferisce:
«Ho acquisito la convinzione che la Decima è una delle pochissime, forse l’unica
organizzazione militare repubblichina, che non agisce agli ordini diretti dei
tedeschi e che ha conservato una certa indipendenza e autonomia. […]L’idea di
mettersi a capo di tutto il ribellismo lombardo e piemontese mi è parso che
allettasse molto Borghese, e ho cercato di stuzzicarlo nella realizzazione di una
collaborazione tra il “Vega” della Decima Mas e le formazioni partigiane
anticomuniste, che, se si concretizzasse, costringerebbe i tedeschi a distogliere un
notevole numero di forze dal fronte di combattimento e porrebbe definitivamente
fine a una vergognosa guerra fratricida.»
Borghese a questo punto chiede di incontrare gli imprenditori italiani per
garantire loro che i suoi reparti difenderanno gli impianti da eventuali sabotaggi
tedeschi. Il primo novembre 194 nasce così il battaglione Vega, del tutto
autonomo dai servizi tedeschi, da cui ancora dipendono molti altri reparti
d’eccellenza.
Le forze terrestri di Borghese vengono poi trasferite nel biellese, dove le
formazioni partigiane comuniste sono in gran parte agli ordini del maresciallo
Tito. Nel frattempo Borghese selezione 220 tra i suoi uomini migliori nel settore
175

dell’intelligence e delle operazioni speciali e li inquadra nel Vega per fargli
prendere contatto con le formazioni partigiane anticomuniste del Nord Italia.
Mario Scelba, un uomo della futura classe dirigente democristiana, ha già ben
chiaro che il problema con il quale si dovranno fare i conti, oltre al pericolo
comunista, è Londra. Scelba dovrebbe gioire per la fine imminente della guerra,
eppure non nasconde la sua amarezza. Il governo italiano lavora e fa del suo
meglio, ma non riesce ad unificare la nazione. L’economia peggiora di giorno in
giorno a causa dell’inflazione ed il futuro appare sempre più incerto. Il paese ha
l’impressione di essere nelle mani degli angloamericani e delle nazioni a loro
vicine, che cercano soltanto di trarre vantaggi dalla situazione italiana. I francesi
hanno già gli occhi puntati sulla Valle d’Aosta. Ma è soprattutto Londra a
preoccupare Scelba. Gli inglesi puntano sulla presunta instabilità governativa per
affermare la loro egemonia. E sembra si oppongano alla ripresa produttiva delle
industrie. Da tutto questo scaturisce un forte sentimento anti-inglese. A causa
della durezza dei ministri inglesi, ancora una volta, i punti di vista britannico ed
americano divergono. Sebbene gli inglesi intendano trattare la situazione italiana
il più possibile in sintonia con gli americani, non approvano la loro idea di un
trattato di pace preliminare che conferisca benefici immediati all’Italia. Secondo
gli inglesi, penalità e benefici nel confronti degli italiani devono essere imposti in
contemporanea.
Londra vuole un’Italia democratica e purgata dal fascismo, che goda della
ragionevole possibilità di incrementare la sua economia ed il suo livello di vita.
Desidera che, vista la sua posizione geografica, venga accolta nel sistema
europeo occidentale, evitando che diventi comunista e che diventi
eccessivamente autonoma sotto tutti i punti di vista. Per questo motivo è fuori
discussione che l’Italia continui ad avere ambizioni da grande potenza. Londra
vuole dimostrare che l’aggressione non rende, e che l’Italia deve pagare per aver
preso parte al conflitto al fianco della Germania.
176

Emerge in tutta la sua evidenza quale fosse il vero obiettivo dell’ambigua
posizione inglese all’epoca della campagna etiopica di Mussolini negli anni
1935-1936. Ecco perché da un lato, i britannici incoraggiassero tacitamente il
duce e, dall’altro, ne attaccassero apertamente le ambizioni coloniali. Adesso
invece la Russia si sta espandendo, il Vicino Oriente è già in fase di
sovietizzazione. Di conseguenza, affidare le colonie italiane al controllo
internazionale significa esporre gli arabi all’influenza sovietica. Un pericolo che
non turba gli Stati Uniti. Il Mediterraneo non è vitale per loro, e la preservazione
degli interessi britannici nel Vicino Oriente non rientra nelle politiche americane.
Il governo inglese vuole, quindi, mettere le mani sugli ex possedimenti italiani
più ricchi, come la Cirenaica, o strategicamente più importanti per i controllo del
Mar Rosso, come il Corno d’Africa. Lasciando come contentino una qualche
presenza formale al governo di Roma: sotto la fredda tutela militare britannica in
Tripolitania e sotto l’egida politica anglofrancese in Somalia.
A Londra sanno benissimo che per esercitare il pieno controllo sulle rotte
marittime nel Mediterraneo e verso il Mar Rosso, è necessario avere il pieno
dominio anche dell’Italia. Pur mantenendo come carta di riserva il separatismo
siciliano per costruire un eventuale triangolo strategico con Malta e Pantelleria, è
all’intera Italia che punta il governo britannico. Londra ha manifestato dubbi su
alcune tendenze di sinistra della Dc e viene prontamente rassicurata dalla Santa
Sede che assicura che, il partito seguirà alla lettera le loro direttive. Il Santo
padre spera che la situazione italiana si risolva senza conflitti o violenze, e
confida nel fatto che gli Alleati riconoscano il contributo dell’Italia alla guerra di
Liberazione.
L’Unione Sovietica acconsentirà a lasciare totalmente in pace l’Italia, mentre gli
Stati Uniti le forniranno ogni possibile sostegno morale e materiale nell’ambito
degli interessi britannici. Churchill svela che l’unica cosa che mancherà all’Italia
è una totale libertà politica. La Santa sede dissentirà in parte da questa umiliante
valutazione che potrebbe seminare discordia nei futuri governi italiani. Churchill
177

aggiunge che il controllo politico sarà effettuato con la massima discrezione
possibile. Se fosse stato commesso l’imperdonabile errore di ammettere l’Italia
nella famiglia delle nazioni alleate dopo la liberazione di Roma, accogliendola
poi come una potenza vincitrice, non sarebbe stato possibile esercitare alcun
controllo sul paese, condannandolo definitivamente alla rovina.
Adesso gli inglesi accentuano la loro aggressività, e non hanno neanche li pudore
di camuffare le loro intenzioni. Per Churchill, il contributo militare, politico e di
sangue fornito dagli italiani alla liberazione dal nazifascismo è del tutto
irrilevante.
La gran massa degli italiani è individualista e politicamente irresponsabile; si
preoccupa soltanto dei suoi problemi economici più urgenti. Mussolini aveva
ragione, secondo gli inglesi, a dire che gli italiani sono sempre stati povera gente.
Tuttavia, l’Italia, che tanto disprezzano, è proprio la nazione al cui controllo
maggiormente ambiscono. Vedremo come gli inglesi si comporteranno nei
confronti di quegli esponenti della classe dirigente italiana che proveranno ad
emancipare gli italiani dal loro status di povera gente: personaggi come Enrico
Mattei e Aldo Moro.
A preoccupare Londra è anche il continuo evolversi della situazione di Israele.
Gli inglesi, che esercitano il loro protettorato sulla Palestina dal 1920, non
vedono di buon occhi la nascita dello Stato ebraico. Temono ripercussioni sulle
popolazioni arabe. Cnsiderato che gli Stati Uniti diventeranno ben presto
importatori di petrolio, e che nel Vicino Oriente la produzione complessiva
quadruplicherà nei dieci anni successivi, la conclusione è che la Gran Bretagna
dovrà conservare un ruolo di predominio nel Vicino Oriente. La situazione nello
scacchiere meridionale finisce inevitabilmente per riflettersi sui rapporti tra gli
Alleati in Italia. A inasprirli è anche la nascita dello Stato ebraico nel maggio del
1948, oltre alla crescita dell’influenza americana nella penisola. Israele è
considerato con una sorta di intruso in un’area di esclusiva influenza inglese. Il
progetto di uno Stato ebraico è fortemente appoggiato dagli Stati Uniti, che
178

insidiano anche il primato di Londra a Roma. Anche grazie alle ingenti somme di
denaro e agli aiuti elargiti agli italiani dagli americani; ora l’Italia guarda a
Washington per la sua salvezza.
Ecco cosa scrivono gli agenti segreti americani a Washington:
«Al giorno d’oggi, l’Italia è un vasto campo di battaglia politica e di intrighi tra
le maggiori potenze. Per quale motivo la battaglia ha luogo in Italia? Perché essa
è divenuta un punto focale degli intrighi dei vari servizi segreti, conseguenza
della fina del suo ruolo di grande potenza mondiale, della sua posizione
strategica nel Mediterraneo e, infine, dell’assenza di un forte governo centrale. I
vari servizi d’intelligence puntano a controllare l’economia, la politica e la
posizione strategica dell’Italia.»
È innanzi tutto l’Urss di Stalin a preoccupare i servizi americani. Di fronte alla
minaccia espansionistica sovietica, secondo l’analisi dell’intelligence Usa,
l’Inghilterra non rappresenta una garanzia. L’egeminia economica e politica di
Londra sull’Italia garantisce solo la sopravvivenza inglese, non la sicurezza
dell’Occidente nel bacino mediterraneo e nel Vicino Oriente, gli unici bastioni
contro le mire russe. La conclusione è del tutto evidente: sono aree strategiche
del mondo il cui controllo non può essere lasciato ai britannici. Come non può
essere lasciato a loro neppure il Vaticano che è al momento il centro di
spionaggio più importante al mondo. Coscienti della loro debolezza, gli inglesi si
danno parecchio da fare nella guerra segreta italiana. Hanno bisogno di posizioni
di forza per contrastare la concorrenza americana, e investono molto sulle reti
occulte, oltre che su altri settori strategici come la propaganda. L’obiettivo è
quello di convincere la popolazione dei vantaggi offerti dal modo di vita delle
democrazie occidentali, in particolare di quelli offerti dalla democrazia
britannica. Lo strumento per realizzare quell’obiettivo si chiama Pwb,
Psychological Wafare Branch, quel settore dei servizi segreto specializzato nel
manipolare l’opinione pubblica attraverso ogni mezzo di comunicazione. Tra gli
uomini di spicco del Pwb che il “colonnello Merryl”, ovvero Renato Mieli,
179

futuro padre di Paolo, uno degli uomini più potenti del giornalismo e dell’editoria
degli ultimi decenni. L’altro delicatissimo campo coltivato dell’intelligence di
Londra subito dopo la guerra è quello della riorganizzazione politico-militare
degli ambienti ex fascisti ed ex repubblichini, nonché anticomunisti. Un gruppo
di personalità militari e politiche di destra, incoraggiate e sostenute
finanziariamente da centri di osservazione stranieri che hanno sede provvisoria in
Italia, hanno iniziato consultazioni nell’intento di creare un movimento politico a
carattere massonico, che assumerà il nome di “Fronte italiano anticomunista”
(Fia).
A Roma si vocifera che anche il generale Cadorna faccia parte del Fia.
Il loro proposito è quello di sondare l’atteggiamento degli Alleati dinanzi alla
rinascita del fascismo sotto gli auspici di un nuovo partito che opererebbe
mascherato da nazionalismo. Si tratta di una riedizione dell’operazione di
saldatura di un fronte anticomunista realizzata da Sogno durante la Resistenza.
Ma l’operazione britannica non si limita alla riorganizzazione del neofascismo
italiano. L’intelligence di Londra lancia una sorta di chiamata alle armi
clandestina di tutti gli elementi più duri dell’anticomunismo europeo. Questo
provoca allarme anche nei servizi italiani, ovviamente tra quei settori non
contaminati da legami con il vecchio regime. Il capo del movimento per l’Italia è
il generale Marko Mihajlovic. Il centro internazionale del movimento è a Parigi.
Il Sis (Servizio informazioni e sicurezza) è evidentemente impressionato
dall’attivismo inglese. Non può fare a meno di notare a partenza imminente
dell’americano e filo britannico James Angleton, a capo del controspionaggio
Usa, da Roma. Se ne va da Roma per contrasti sorti con l’ambasciata degli Stati
Uniti. È anche grazie a lui che i britannici sono riusciti a costruire una potente
rete occulta riciclando vecchi arnesi della Rsi, settori della mafia e massoni.
Quella rete confluirà in parte nella Stay Behind della Nato (in Italia meglio nota
con il nome in codice Gladio), fortemente voluta dagli americani per contrastare
un’eventuale invasione sovietica dell’Italia e, al tempo steso, per controllarne gli
180

elementi più esagitati. Quegli elementi che agiranno da forze di polizia al
comando degli inglesi.
Sconfitta in guerra, ammessa al tavola della pace ma solo con lo status di
cobelligerante al fianco delle potenze vincitrici, umiliata, da un trattato con
clausole aggiuntive che ne limitano l’autonomia politica all’interno e all’esterno
dei propri confini, nel 1953 l’Italia prova a rialzare la testa. Quell’anno, infatti,
nasce l’Ente nazionali idrocarburi (Eni), un’azienda di Stato finalizzata allo
sfruttamento delle risorse energetiche. Il suo artefice, Enrico Mattei, irromperà
prestissimo sulla scena nazionale e internazionale con la forza di un uragano e, di
fatto, con i poteri di un capo di governo. Una novità al di fuori di ogni
immaginazione, per gli inglesi. I quali mal sopportano l’idea che un paese di
straccioni cerchi autonomamente energia per la propria industria e per il
benessere della propria gente, e che tratti con altri stati senza chiedere il
permesso a Londra, la capitale di un impero coloniale che non intende
rassegnarsi ad un destino di decadenza. I regnanti filofascisti e filo inglesi di
Casa Savoia sono ormai in esilio, l’Italia è una repubblica.
Il paese è più vicino all’America e al fronte europeo filoamericano che alla Gran
Bretagna. A Washington è stato firmato il Patto Atlantico, la Nato si è già
insediata. Sul mondo è calata la cortina di ferro, è iniziata la guerra fredda. Il
nuovo presidente degli Stati Uniti, Harry Truman, ha enunciato la sua dottrina,
che assegna a Washington la leadership mondiale nella lotta al comunismo
sovietico.
A Londra si cominciano ad avvertire i primi scricchiolii nell’Impero britannico.
Il Vicino Oriente è essenziale alla ripresa economica della Gran Bretagna;
l’influenza inglese in quest’area è maggiore rispetto a quella esercitata dalle altre
potenze. Risulta essenziale quindi che il Regno Unito mantenga la sua speciale
posizione. Il Foreign Office indica una serie di minacce al ruolo britannico in
quello scacchiere. Prima fra tutte la tensione tra Israele e gli stati arabi. Non deve
181

altresì verificarsi alcun conflitto d’interessi con le altre potenze occidentali, fatta
eccezione per l’Italia, che non viene considerata al pari delle potenze vincitrici.
L’Onu approva una risoluzione che sancisce il diritto all’indipendenza dall’Italia
della Libia e della Somalia, riconoscendo una presenza inglese in quell’area.
Questo pronunciamento delle Nazioni Unite, si rivelerà di fatto una formidabile
leva per la politica estera dell’Italia ed un boomerang per gli interessi britannici.
L’Onu finirà, inconsapevolmente, per accrescere le aspettative d’indipendenza di
molti altri paesi, aspettative che l’Eni di Mattei riuscirà a cavalcare con grande
abilità.
Si fissano le nuove coordinate della politica estera del Regno Unito. Si
rivendicano i privilegi ottenuti grazie allo status di potenza vincitrice, ma si
ammette di non avere abbastanza risorse per perseguire autonomamente i propri
obiettivi. La preservazione delle attuali strategie politiche britanniche, in patria e
all’estero, comporta oneri che l’economia inglese non è più in grado di sostenere.
Non avendo Londra le necessarie risorse, si punta a trasformare diverse aree,
compresa quella del canale di Suez, in una zona a giurisdizione internazionale. Il
gioco inglese appare fin troppo chiaro: conservare il più possibile posizioni fi
forza nelle aree strategiche del mondo, facendone però ricadere il peso
economico sulle spalle degli americani, gli unici in grado di farsene carico.
Le difficoltà nel Vicino Oriente sono acuite dai sentimenti antibritannici che
dilagano in tutta l’area. Epicentri dei sommovimenti sono proprio i due bastioni
del Regno Unito. Il primo è l’Egitto, dove un golpe militare nel 1952 depone il re
filo britannico Faruq. Il secondo è l’Iran, dove il nuovo primo ministro
Mohammad Mossadeq, al potere tra il 1951 e il 1953, decide la
nazionalizzazione del petrolio. In entrambi i casi, il governo italiano esprime la
propria simpatia per i movimenti indipendentisti. La nazionalizzazione del
petrolio iraniano inasprisce anche le tensioni tra Roma e Londra, portando le
relazioni diplomatiche tra i due paesi a un passo dalla rottura. L’embargo deciso
degli inglesi per ritorsione contro Teheran non viene rispettato da varie imprese
182

private italiane. All’inizio del 1953, alcune petroliere italiane, caricano il greggio
nei porti persiani e lo trasportano a Porto Marghera per la raffinazione. Per gli
inglesi è un vero e proprio affronto. Occorre impedire ulteriori importazioni di
petrolio in Italia. Diverse società hanno già firmato un contratto di cinque anni
con la Persia, un accordo che prevede l’importazione di petrolio in cambio di
macchinari e prodotto tessili. Il greggio persiano, acquistato dagli italiani con uno
sconto del 50%, viene sottoposto a raffinazione negli stabilimenti della penisola,
con grossi tagli ai costi. La mancata obbedienza ai desiderata inglesi manda su
tutte le furie Churchill. Londra pretende che il governo italiano non conceda
nuove autorizzazioni all’importazione di greggio. E vorrebbe che la
disapprovazione nei confronti delle imprese che hanno “rubato” il petrolio
iraniano sia resa pubblica in una dichiarazione ufficiale. Contestando la
legittimazione della nazionalizzazione messa in atto da Teheran, gli inglesi
considerano ancora il petrolio di loro esclusiva proprietà.
Mentre da un lato il governo italiano rassicura gli inglesi che le licenze concesse
alle imprese italiane non riguardano il greggio iraniano, dall’altro autorizza tre
imprese ad effettuare transazioni petrolifere con Teheran per un valore di 300
milioni di lire. A Londra non temono solo che l’Italia riesca a espandere la
propria influenza nel Vicino Oriente. Ora l’attenzione i concentra anche su una
novità: la scoperta di nuovi giacimenti petroliferi in Sicilia e di gas nella valle del
Po, oltre che la nascita dell’Eni. Nell’isola, compagnie britanniche e americane
stanno già effettuando sondaggi con l’autorizzazione del governo regionale.
L’Eni è un ente autonomo, e gode di poteri finanziari al di fuori del controllo del
parlamento. Il suo sviluppo è stato ampiamente determinato dalla forte
personalità del suo presidente: Enrico Mattei. Visto con ostilità dagli industriali
italiani, sembra coltivi ambizioni imperialistiche.
Nel Vicino Oriente la situazione è ormai critica per gli inglesi. Il pericolo è la
violazione degli accordi basati sulla cosiddetta regola del “fifty-fifty”, cioè il 50
per cento dei profitti ai paesi produttori di petrolio, il restante 50 per cento alle
183

imprese straniere che lo estraggono. Il colpo più duro però arriva nel 1956
dall’Egitto, quando Nasser espelle dal paese le forze armate britanniche rimaste a
presidio del canale di Suez. Londra risponde inviando le sue truppe con
l’appoggio militare francese e israeliano. Ma il blitz contro il Cairo provoca la
reazione del mondo sovietico ed arabo, e induce il leader americano Dwight
Eisenhower a ordinare agli anglofrancesi l’immediato ritiro dall’Egitto.
Grazie alla posizione filo nasseriana ispirata da Mattei, il prestigio italiano cresce
in tutta l’area, mentre quello inglese sembra in caduta libera.
È trascorso appena un decennio dal trattato di pace di Parigi, eppure la situazione
sembra essersi capovolta. La politica e la diplomazia inglesi hanno abbandonato i
toni boriosi e arroganti della potenza vincitrice ansiosa di imporre soltanto il
proprio dominio. Hanno dovuto accettare la leadership americana sul mondo
libero. Ora tentano un opportunistico avvicinamento anche all’Europa, che hanno
guardato dall’alto in basso. Cercano sponde per fronteggiare il nemico-alleato
con il quale sono costretti a fare i conti: l’Italia.
È un Italia diversa da quella con cui erano abituati a trattare. Non è più quella del
fascismo, sempre accomodante e con aspirazioni coloniali. La classe dirigente
emersa nel dopoguerra è ambiziosa. Ha obiettivi espansionistici anche oltre i
confini nazionali e li persegue facendo tesoro degli errori del passato.
L’uomo che più di ogni altro in Italia ha contribuito al rovesciamento della
situazione è Enrico Mattei. Ha compiuto il proprio apprendistato politico in
epoca fascista, ma si è poi riscattato durante la Resistenza guidando i partigiani
democristiani. Ha assunto la presidenza dell’Eni nel 1953. In poco più di tre
anni., ha trasformato l’ente petrolifero in una potenza.
Ha l’esclusiva dei diritti estrattivi nell’area padana ed in Sicilia. Ha ottenuto
concessioni in Venezuela e nel Vicino Oriente. In Egitto per esempio, sfrutta i
pozzi dei Sinai che potrebbero produrre 4 milioni di tonnellate di petrolio
all’anno.
184

Mattei utilizza l’Eni per finanziare la corrente “Iniziativa democratica” di
Fanfani, che dal 1954 controlla l’apparato organizzativo della Dc. Ha fondato il
quotidiano “Il Giorno” che si è opposto alla strategia anglofrancese e ha spinto
affinché il governo italiano adottasse una politica filoaraba. Mattei è un uomo
vanitoso, con modi da dittatore. A differenza dimolti esponenti democristiani,
non sembra essere corrotto a livello personale. Il suo unico svago è la pesca.
Spesso condivide la sua passione con il presidente della Repubblica Giovanni
Gronchi, del quale è molto amico. Mattei si trova nelle condizioni di fare un gran
bene o un gran male all’Italia. È determinato a conquistare una posizione
internazionale come produttore di petrolio, non limitandosi ai confini geografici
dell’Italia.
Il 21 marzo, la National Iranian Oil Company (Nioc) raggiunge un accordo con
l’Agip per tre concessioni petrolifere in Iran. Il governo iraniano riceverà il 75
per cento dei profitti, l’Agip solo il 25 per cento. La notizia della violazione della
regola del “fifty-fifty”, getta Londra nello scompiglio.
Gli iraniani considerano il contratto stipulato con l’Eni innovativo e conveniente.
Un arrogante ultimatum giunge da Londra: prima di approvare in via definitiva
qualsiasi accordo che violi il principio del “fifty-fifty”, il governo italiano
dovrebbe consultarsi con il governo britannico e con quello statunitense. Sarebbe
un peccato, a detta degli inglesi, se tale mossa mettesse in crisi i delicati equilibri
petroliferi nel Vicino Oriente.
Ma Mattei è determinato a portare avanti i suoi obiettivi. Il parlamento italiano
esercita un controllo scarso su di lui e sulla gestione dell’Eni. All’indomani della
crisi di Suez, l’influenza di Mattei si è rafforzata. Ora ritiene di essere l’unico
uomo in grado di ristabilire buone relazioni tra il mondo arabo e l’Occidente. Il
principio del “fifty-fifty” è ormai alle corde.
Il presidente è appena tornato dall’Iran con in tasca l’accordo per la costruzione
di un oleodotto che andrà da Qum alle coste del Mediterraneo.
185

Non è chiaro se Washington voglia lasciarlo fare o se intenda reagire con la
necessaria durezza. Il governo statunitense lascia che siano le compagnie private
americane a decidere se raggiungere un accordo con Mattei o scatenargli contro
una guerra.
La rimozione di Mattei da presidente dell’Eni risulta impraticabile. I britannici
tentano di fargli terra bruciata intorno in modo da isolarlo ed indurlo a desistere.
Un altro ottimo amico degli inglesi è il ministro degli Esteri Gaetano Martini, che
incontra Mattei nell’aprile del 1957. Gli fa presente che il suo accordo con l’Iran
è in contrasto con la linea del governo italiano e minaccia di tagliare i fondi
all’Eni. Mattei non si fida di Martino e gli risponde che, cercando di assicurarsi
nuove risorse petrolifere a prezzi convenienti, non fa altro che servire gli interessi
dell’Italia.
L’influenza di Mattei, da quando ha rilanciato l’Agip e dopo aver fondato l’Eni, è
enormemente cresciuta, sulla scena nazionale ed internazionale. Si candida di
fatto a riempire quel vuoto lasciato nel Vicino Oriente degli insuccessi della
politica britannica. In più si pone come mediatore tra Occidente e mondo arabo.
Almeno per il momento la reputazione di Francia e Gran Bretagna nell’area è al
suo punto più basso.
A breve arriva un altro duro colpo per la politica inglese. Il ministro del
Commercio iracheno è in visita ufficiale a Roma, e si mostra particolarmente
interessato a conoscere lo schema del 75-25 applicato nelle transazioni
petrolifere iraniane.
I motivi di questa ricerca di autonomia italiana sono da ricercare nel diffuso
malessere causato dal ruolo subordinato che l’Italia ha svolto fino a questo
momento nelle questioni internazionali. Ma all’ambasciata inglese di Roma non
tutti pensano che l’arroganza sia il migliore di modi per trattare con una persona
determinate come Mattei e, più in generale, con un paese, l’Italia, che ha
finalmente alzato la testa. Ma né la British Petroleum, né la Shell hanno
intenzione di trattate con l’Eni, che nel frattempo sta negoziando con l’Urss per
186

la costruzione di una serie di oleodotti in cambio di petrolio. Mattei adesso è
spalleggiato dal ministero del tesoro dal momento che Fanfani, suo amico, ora è
diventato presidente del Consiglio. Tuttavia potrebbe ancora essere disposto a
scendere a compromessi per essere ammesso come membro effettivo nel club
petrolifero internazionale.
Dopo aver sottoscritto un accordo con l’Urss per l’importazione in Italia di 12
milioni di tonnellate di greggio sovietico in quattro anni, Mattei punta ora gli
occhi sulla Cina.
È intenzionato, inoltre, a costruire una raffineria nella Repubblica d’Irlanda,
come primo passo verso la conquista del mercato anglosassone.
In quel periodo Mattei ha qualche problema anche con gli Usa, per via del
petrolio sovietico. Il fatto che Mosca inondi l’Italia di greggio a basso costo,
preoccupa Washington e la Nato. Il rischio che in piana guerra fredda i paesi
membri del Patto atlantico possano dipendere dai rifornimenti energetici del
nemico non è un dettaglio di poco conto. E la Nato ha addirittura creato una
commissione per valutare i potenziali pericoli per la sicurezza dell’Europa
democratica.
Londra da un lato aizza gli alleati contro Mattei, dall’altro spera di trarre dei
vantaggi da un’eventuale rottura degli accordi petroliferi tra Roma e Mosca.
La Nato propone così di ridurre le importazioni dall’Urss.
La guerra contro Mattei non può trascinarsi a lungo, visti i danni che ha già
provocato agli interessi britannici. Anche perché il nemico italiano non tollera il
minimo affronto, soprattutto se questo proviene da un paese straniero. In Italia
nessuno può immaginare che Mattei ha ormai i mesi contati. Ben presto Mattei
comprerà a buon prezzo maggiori quantità di greggio russo e, incoraggerà i paesi
arabi a pretendere maggiori percentuali dalle imprese inglesi. Se la presente
situazione dovesse perdurare, i problemi diventeranno di natura economica.
Fino a quando le compagnie britanniche continueranno a considerare Mattei
come una sorta di verruca, non ci si potrà aspettare che si comporti in maniera
187

amichevole nei loro confronti. Mattei, con i suoi amici, Giovanni Gronchi
(presidente della Repubblica), Amintore Fanfani (presidente del Consiglio) e
Aldo Moro (il nuovo segretario della Dc), è il regista della nuova fase politica
inaugurata nel 1960 con il governo tripartito Dc-Psdi-Pri. La stagione del
centrosinistra, con i filo britannici all’opposizione ha avuto il benestare del papa
e di John F. Kennedy. Ed è proprio agli Usa che l’Eni ora guarda per ottenere
quello che non ha mai potuto avere da Londra: il riconoscimento dello status di
compagnia petrolifera di primo livello, alla pari delle Sette sorelle. Di più: la
definitiva legittimazione della sua linea di apertura a sinistra in Italia. Il governo
Usa esorta le compagnie petrolifere americane ad essere un po’ più accomodanti
con Mattei, ma si dichiarano decisamente contrarie a quest’apertura nei confronti
del presidente dell’Eni.
A fronte di questa negazione Mattei risponde che gli ci sono voluti sette anni per
condurre il governo italiano verso un’apertura a sinistra, e ce ne vorranno ancora
meno per far uscire l’Italia dalla Nato e metterla alla testa dei paesi neutrali.
Il 7 agosto 1962 giunge a Londra la notizia che, nonostante l’opposizione delle
compagnie petrolifere americane, Mattei si recherà a Washington per vedersi
riconosciuto finalmente il rango di potenza internazionale.
L’Eni incoraggia l’autarchia a scapito degli investimenti britannici, e questo
Londra non può permetterlo.
Il 25 ottobre 1962 il quotidiano britannico “Financial Times” pubblica un articolo
dal sapore profetico: “The Italian Scene: Will Signor Mattei Have to Go?”
Due giorni dopo, la sera del 27 ottobre 1962, l’aereo privato del presidente
dell’Eni decolla dall’aeroporto di Catania diretto a Milano. A bordo, insieme a
lui, ci sono il pilota Irnerio Bertuzzi e un giornalista americano. Ma i velivolo
non arriverà mai a destinazione. Precipita in provincia di Pavia. Muore così
quell’italiano insolente che aveva osato sfidare la potenza britannica. Proprio alla
vigilia del suo viaggio negli Usa, dove Kennedy lo avrebbe accolto come un capo
di Stato. La diverse inchieste non arriveranno a chiarire la causa dell’incidente.
188

L’ultima, quella riaperta nel 1997, pur non individuando i responsabili materiali,
stabilirà comunque che a provocare la caduta dell’aereo fu un sabotaggio.
Dopo la morte di Enrico Mattei a Londra tirano un sospiro di sollievo. Pericolo
scampato. Ma per gli inglesi l’Italia resta un paese inaffidabile. Anarcoide.
Levantino. Ingrato. Sempre pronto a riservare brutte sorprese agli stranieri che ne
hanno a cuore le sorti.
Sembra che gli inglese guardino all’Italia attraverso gli occhi di Luigi Barzini jr.
e di un suo memorabile best sellers, “The Italians”. O che Barzini, uno dei più
grandi giornalisti del Novecento, guardi all’Italia attraverso gli occhi britannici.
Il suo è un libro sul carattere degli italiani, scritto in lingua inglese per un
pubblico internazionale che non sa ancora com’è fatto questo strano popolo di
eroi mafiosi. Esce nel 1964, due anni dopo la scomparsa di Mattei, presso un
editore americano. Nel 1965 il libro viene pubblicato in Italia da Mondadori. Con
una premessa per il lettore italiano a cui l’autore dedica la sua opera ormai
immortale a tutti i connazionali illustri e sconosciuti che hanno speso la vita, si
sono sacrificati e sono morti perché il loro paese non fosse com’è. Nel 1940
Barzini è corrispondente da Londra: insieme a Berlino la sede più ambita e
strategica per chiunque voglia osservare e raccogliere informazioni. Nella
capitale inglese va a trovarlo la promessa sposa, Giannalisa Feltrinelli, ex moglie
di Carlo e mamma di Giangiacomo, il futuro editore-guerrigliero responsabile
delle relazioni esterne delle prime Brigate Rosse. Giangiacomo è uno studente
disattento, ribelle e ostile. Un fascista arrabbiato . tappezza la casa di manifesti
inneggianti al duce. Ascolta dietro le porte le conversazioni degli adulti, pronto a
riferire e a denunciare senza pietà.
Subito dopo la guerra Barzini jr. è al centro di alcune operazioni editoriali
promosse dal Pwb, l’ufficio per la propaganda e la guerra psicologica dei servizi
angloamericani. È tra i fondatori del Sisi (Servizio informazioni stampa italiana).
Collabora al “Corriere Lombardo” di Milano, diretto da Edgardo Sogno, vecchia
conoscenza del Soe, e al quotidiano “Risorgimento liberale”, riaperto del Pwb,
189

che ne ha affidato la direzione a Renato Mieli. Nel 1958 tenta l’avventura
politica nelle file del più anglofilo dei partiti italiani, il Pli, che lo fa eleggere alla
Camera dei deputati. È una fase particolarmente delicata della storia italiana. Il
centrismo (i governi basati sull’alleanza tra la Dc e i partiti laici Pli, Psdi, Pri) si
è esaurito. Mattei, Moro e Fanfani aprono a sinistra, ai socialisti. L’Eni è
diventata una potenza, accrescendo anche l’influenza e il prestigio italiani nel
mondo, mentre la stella della Gran Bretagna è decisamente in calo.
Quando un editore americano chiede a Barzini di scrivere un libro sul suo paese,
l’immagine dell’Italia è complessivamente positiva e l’Italian way of life suscita
simpatie internazionali. Il libro è, però, il prodotto dell’opera di enfatizzazione
dei difetti e dei vizi italiani da parte della macchina propagandistica di una
nazione concorrente. Il quel periodo Barzini è troppo famoso e coccolato perché
a qualcuno possa venire qualche dubbio sull’operazione. Quello che nessuno
immagina è che a sponsorizzare “The Italians” sono soprattutto i servizi segreti
britannici. Lo si saprà soltanto qualche decennio dopo grazie al lavoro di Frances
Stonor Saunders, in un volume dal titolo “La guerra fredda culturale. La Cia e il
mondo delle lettere e delle arti”; pubblicato nel 1999 in Gran Bretagna e negli
Stati Uniti, e pressoché ignorato in Italia. La studiosa vi ricostruisce la storia del
Congresso per la libertà della cultura, che si svolge a Berlino nel 1950, una delle
più grandi operazioni coperte di propaganda e guerra psicologica mai concepita
da un servizio segreto per contrastare il nemico. In questo caso, il nemico
comunista, attraverso la promozione di intellettuali e giornalisti con l’obiettivo di
indurre nell’opinione pubblica degli stati d’animo favorevoli alla propria parte e
naturalmente ostili a quella avversaria. Per la Cia l’obiettivo è contenere
l’influenza della propaganda sovietica in Occidente. Per i servizi britannici,
l’operazione “Packet” ha, non solo l’obiettivo di contrastare il comunismo, ma
anche quello di esercitare un controllo sull’opinione pubblica interna italiana e
screditare l’immagine dell’Italia all’estero.
190

Quando gli angloamericani arrivano a Napoli, nel 1944, l’uomo del Pwb è il
“colonnello Merryl” (Renato Mieli). Subito dopo la guerra fonda l’agenzia di
stampa Ansa e contribuisce alla rinascita dell’industria editoriale e
dell’informazione. Fra le redazioni aperte del Pwb c’è anche quella del “Corriere
Lombardo” di Milano, in cui lavorano, Dino Buzzati, Bruno Fallaci, zio di
Oriana e molte altre personalità di rilievo. L’uomo a cui vengono consegnate la
proprietà e la direzione della testata è Edgardo Sogno, che cambia il nome della
testata ribattezzandola “Corriere d’Informazione”. «Fui l’unico ad accogliere
senza riserve i giornalisti che avevano collaborato con la Repubblica sociale, i
miei amici mi dicevamo che ero come una di quelle Madonne trecentesche che
proteggevano chiunque sotto il loro manto» dice.
Il Pwb, esaurito il suo compito, chiude i battenti. Le sue funzioni vengono
ereditate dall’americano United States Information Service (Usis) e dal
britannico Information Research Department (Ird). Renato Mieli si trasferisce al
Pci, come direttore dell’edizione milanese de “l’Unità”.
L’Ird nasce nel gennaio del 1948, un anno dopo l’annuncio ufficiale dell’inizio
della guerra fredda da parte del presidente americano Truman. Gli inglesi lo
fondano allo scopo di preservare l’Europa occidentale e il Medio Oriente dal
pericolo comunista. Ma per Londra la minaccia viene anche dal Sud, dall’Italia.
Non solo bisogna fare i conti con i progetti mediterranei e terzomondisti del
governo di Roma, ma anche con la presenza del Pci, il più forte partito comunista
d’Occidente. Il quale nella guerra fredda appoggia Mattei, la sua politica estera di
apertura ai movimenti di liberazione e quella interna, che ha come obiettivi lo
sviluppo di una forte industria di Stato e un progressivo spostamento a sinistra
dei centri del potere politico. Già nel febbraio 1948 gli inglesi puntano a
influenzare le prime elezioni politiche italiane dopo la caduta del fascismo. Gli
inglesi ritengono che gli uomini che si oppongono al comunismo possano essere
lieti di ricevere sottobanco i materiali informativi da loro forniti; a patto che non
ne venga divulgata la fonte.
191

Le elezioni della primavera del 1948 assumono un’importanza vitale. La posta in
gioco è la collocazione internazionale dell’Italia, non solo il suo regime politico
interno. E gli inglesi sono davvero disposti a tutto, pur di impedire che vince il
Fronte popolare della sinistra socialdemocratica. Il loro compito è fortemente
agevolato dall’esistenza di una stampa agguerrita e apertamente anticomunista in
Italia.
Le elezioni del 18 aprile 1948 decretano la sconfitta della sinistra e il trionfo del
blocco anticomunista guidato dalla Dc. All’interno della Dc covano tendenze
sinistrorse e indipendentistiche. Il lavoro della propaganda britannica continua e
si intensifica ancora di più.
Tra il luglio e il dicembre del 1949, l’Ird fa tradurre in italiano 400 articoli
anticomunisti inglesi, che vengono pubblicati in decine di quotidiani per un totale
di 1234 Ustica. Nell’aprile del 1950, la sezione romana dell’ufficio della
propaganda scrive che Alberto Moravia, Elsa Morante, Elio Vittorini e Ignazio
Silone si stanno allontanando dalle idee socialcomuniste, perché disillusi dal
comunismo.
Di fronte all’aggressività della propaganda sovietica in tutto l’Occidente, a
Londra e a Washington ci si rende conto che gli sforzi compiuti fino a quel
momento hanno bisogno di una pianificazione più accurata. Di
un’organizzazione centralizzata: l’operazione “Packet”.
Al primo Congresso per la libertà della cultura di Berlino, nel 1950. Partecipano
molti dei nomi più prestigiosi della cultura internazionale. Tutti fieramente
anticomunisti. L’incontro è stato organizzato dallo scrittore Ignazio Silone. A
presiederlo è il filosofo Benedetto Croce. Nel gruppo troviamo anche il “Mister
Brown” che nel 1943 faceva la spola tra Berna e Roma per organizzare il golpe
contro Mussolini: Adriano Olivetti. Dopo la prima riunione comincia a costruire
il suo impero editoriale, destinato a esercitare una forte influenza sulla cultura e
la politica. “L’Espresso”, che poi regalerà al suo amico, il principe Carlo
192

Caracciolo, figlio di un’altra vecchia conoscenza del Soe, “Carr Philips” Filippo
Caracciolo, con il quale tesseva la sua rete contro il duce.
La rete italiana del Congresso si ramifica grazie a una serie di prestigiose riviste
che promuovono intellettuali e fanno opinione.
Nascono anche “Nuovi Argomenti” di Alberto Moravia e, soprattutto “Botteghe
Oscure”. Grazie a “Botteghe Oscure” gli italiani e il mondo posso conoscere e
apprezzare autori del calibro di Alberto Moravia e Pier Paolo Pasolini, Elsa
Morante ed Eugenio Montale. Ma il Congresso per la libertà della cultura è
soltanto la facciata pubblica di una realtà sommersa. L’idea che ispira l’intera
operazione e che, per contenere la crescita dell’influenza comunista, non serve
contrapporre semplicemente la verità atlantiche alle menzogne comuniste.
Occorre costruire delle mezze verità affidandone la diffusione alle élite locali.
L’uso pianificato della propaganda per esercitare influenza sulle opinioni, sulle
emozioni e sui comportamenti di gruppi stranieri al fine di conseguire obiettivi
nazionali. Qualcuno conosce il sottofondo occulto del Congresso, altri
preferiscono non approfondire. Altri ancora sono all’oscuro di tutto. Ma Londra
preferisce coltivare anche una rete propria. Nel 1952, l’Ird italiana prepara un
documento segreto intitolato, “La campagna anticomunista” in vista delle
elezioni politiche della primavera dell’anno successivo. Vengono indicati gli
argomenti della propaganda del Pci contro cui agire: l’anticlericalismo, la critica
alle condizioni sociali ed economiche dell’Italia, la convinzione che la Russia sia
forte e progressista; nonché gli ambienti in cui diffondere il materiale britannico.
Tali ambienti sono: politici (Psdi e Dc), prefetture, sindacati (Cisl e Uil), forze
armate, polizia, imprenditori, università oltre ovviamente ai mezzi
d’informazione. I russi e i comunisti italiani sono probabilmente al corrente della
propaganda promossa dagli inglesi, ma ciò non significa che sappiano che esiste
un dipartimento al Foreign Office che si occupa di queste attività.
A Roma sono stati distribuiti diversi materiali speciali. C’è anche Enrico Mattei
nella lista dei nomi a cui inviare il materiale inglese. È il 1952, l’Eni non è
193

ancora nato,e sulla testa dell’Agip pende sempre la minaccia di uno
smantellamento, compito affidato proprio a Mattei. In quel momento non
rappresenta un pericolo per i britannici. È solo l’ex fascista che durante la
Resistenza ha comandato i partigiani cattolici e che, secondo alcuni report del
Foreign Office, del 1947, sta allestendo in Lombardia l’organizzazione segreta
Gladio: la sezione italiana della rete atlantica Stay Behind. È ritenuto un
anticomunista duro e puro. In più, se l’Agip non dovesse essere chiusa, averlo
come “cliente” dell’Ird, e quindi in una posizione manovrabile, potrebbe essere
lo strumento attraverso cui controllare anche la politica energetica italiana. A
Londra nessuno immagina che toccherà proprio a Mattei incarnare quello spirito
di rinascita nazionale che anima buona parte del ceto dirigente democristiano.
L’Ird ha tra i sui clienti anche diversi personaggi collocati nei punti più delicati
degli apparati dello Stato. Vale la pena soffermarsi sulla figura di Giuseppe
Pièche, figura con un passato discusso ed un futuro inquietante. Capo del
controspionaggio del Sim, ha favorito la nascita di gruppi armati neofascisti
come il Movimento anticomunista per la ricostruzione italiana (Marci), il Fronte
antibolscevico (Fa) e l’Armata italiana di liberazione (Ail), in cui sono confluiti
molti reduci della Rsi.
Nei primi mesi del 1953, crescono ancora i contatti in due città del triangolo
industriale del Nord, Genova e Torino, dove il Pci è molto radicato nelle
fabbriche, e soprattutto nella capitale del comunismo italiano Bologna. Nei
capoluoghi ligure e piemontese, l’Ird recluta in special modo tra i dirigenti
sindacali della Cisl e della Uil, e nel mondo imprenditoriale. Mentre a Bologna fa
proseliti nella Chiesa, negli apparati dello Stato e nel mondo dell’informazione.
Nell’estate da Londra chiedono all’ambasciata di Roma informazioni e schede
dettagliate sui leader e i dirigenti del Pci. Si pensa anche a una campagna mirata
contro le persone e non solo contro l’ideologia. Le testate regionali assumono
una grande importanza nella strategia di lungo periodo dell’Ird, dal momento che
le opinioni che circolano a Roma hanno scarsa eco nella provincia italiana.
194

L’asse della politica italiana comincia a spostarsi verso sinistra. Mattei fonda
l’Eni e avvia una rapida manovra di sganciamento dagli interessi britannici.
Adesso si punta a selezionare i contatti o i clienti in base alla qualità del servizio
svolto e non più in base alla quantità. A tutti, gli agenti inglesi raccomandano
personalmente di non rivelare la fonte dei materiali forniti.
Nella seconda metà del 1955 Luigi Cavallo, ex comunista che ora affianca
Edgardo sogno, attraverso il loro foglio conducono campagne contro la Fiom-
Cgil e divulgano dossier scandalistici sui dirigenti del Pci. Negli elenchi compare
anche un prelato, Giovanni Battista Montini, il futuro papa Paolo VI ed Enzo
Biagi. A ogni modo, la guerra di propaganda compiuta per dieci anni in Italia,
non sortisce gli effetti sperati. L’influenza del Pci continua a crescere. L’apertura
a sinistra, che sarà presto caldeggiata dall’amministrazione Kennedy, è ormai
ineluttabile. Mattei e la sua Eni sono diventati una potenza mondiale. Nel 1959
comincia a calare il numero di articoli diffusi.
La superiorità dell’Urss in campo spaziale ha creato grande impressione in Italia.
Quindi l’unica via d’uscita è produrre materiale che dimostri la superiorità del
sistema capitalistico rispetto a quello comunista. Da Londra non possono che
rispondere che se l’Italia non ha fiducia nel modo di vita e nelle conquiste
dell’Occidente, la propaganda inglese può far ben poco. Nonostante l’impegno di
tante brillantissime penne, nel gennaio 1964, benché Mattei sia morto da quasi un
anno e mezzo, l’ambasciatore britannico a Roma Sir John Ward, segnala a
Londra l’atteggiamento pericoloso della Dc, che è diventata ottimista nei
confronti del Pci. È stato chiuso l’ufficio del partito che si occupava della
propaganda anticomunista fin dal dopoguerra. Segnala a Londra che è necessario
che l’ambasciata inglese sviluppi contatti più stretti con i circoli della destra ed
ecclesiastici, nella speranza di stimolare l’attività anticomunista. Tra i vari
suggerimenti c’è quello di influenzare una serie di giornalisti e di scrittori come
Umberto Righetti, Lucio Lonza, Giorgio Galli, ma soprattutto Ivan Matteo
Lombardi. Quest’ultimo lo ritroveremo presto sulla scena. Protagonista con altri
195

di un convegno che determinerà il corso più drammatico della storia politica
italiana. Quello che comincerà con u n raduno all’hotel Parco dei Principi di
Roma, nel maggio 1965,e che si concluderà con l’assassinio di Aldo Moro, nel
1978.
Nell’agosto del 1965, Julia Vranek (Ird, Roma) ammette ormai che i contatti
diretti con gli ambienti ufficiali italiani si sono rarefatti, come quelli con i circoli
accademici. Non esistono più relazioni con le organizzazioni giovanili, tutte
controllate o infiltrate dai comunisti. Gli unici contatti attivi sono quelli con la
stampa e la radio. Ricorda poi che la forza del Pci ha ormai raggiunto il 25 per
cento dei voti. La guerra al Pci, da questo punto in poi, si trasformerà sempre più
in una guerra all’Italia, alla sua politica interna, alla sua immagine internazionale.
Nonostante l’immenso sforzo della propaganda britannica, il Pci e la sua crescita
politico-elettorale continuano a turbare Londra. È il novembre 1963.
Democristiani e socialisti stanno trattando per formare il primo governo di
centrosinistra organico. Il regista dell’operazione è Aldo Moro. Avrebbe voluto
farlo già due anni prima e ci era quasi riuscito, tant’è che aveva allertato Mario
Scelba pregandolo di tenersi pronto per la presidenza del Consiglio. Ma i tempi
erano stati giudicati ancora acerbi. Ora, però, il momento sembra essere arrivato.
Anche se il presidente della Repubblica Antonio Segni sta tentando di mettere i
bastoni fra le ruote. Il leader democristiano sta per portare a compimento il
progetto di Mattei. Alle elezioni politiche del 28 aprile 1963 si è registrato un
nuovo balzo in avanti del Pic, che ha superato il 25 per cento. I comunisti, l’unica
alternativa di governo, rappresentano una minaccia reale e mortale per la
democrazia italiana. Come farvi fronte? Secondo l’ambasciatore italiano a Roma
una soluzione sarebbe da evitare, perché porterebbe l’Italia alle soglie di una
guerra civile e dividerebbe il paese non tra comunisti e gli altri, ma tra destra e
sinistra. E nella sinistra finirebbero per essere inglobati anche i socialisti, la
componente di sinistra dei partiti di centro, i comunisti e una fetta sostanziale
196

della Dc. Al momento l’unica possibilità di contenimento del pericolo è un
governo di centrosinistra.
Verso la fine del 1963 nasce il primo governo di centrosinistra presieduto da
Moro. A Londra cercano di capire che cosa potrebbe cambiare nella politica
italiana. La nomina di Francesco Malfatti di Montetretto a capo di gabinetto del
ministero degli Affari esteri viene salutata con grande calore. Socialista,
incaricato negli anni Cinquanta di costruire un primo nucleo segreto
dell’anticomunismo di Stato, insieme all’uomo del Soe Edgardo Sogno. Il
centrosinistra costituisce una sorta di ultima spiaggia. Come comportarsi di
fronte alla richiesta di Moro di accogliere l’Italia nel gruppo delle grandi potenze
dell’Occidente? Per l’Italia sarebbe il riconoscimento definitivo del suo ruolo
internazionale e del suo status di nazione finalmente affrancata dai vincoli di
dipendenza imposti dal trattato di pace del 1947. Ma per la Gran Bretagna
suonerebbe come un’ammissione, al cospetto della comunità internazionale, della
perdita del proprio prestigio e della propria influenza nel Mediterraneo. Ma per il
Foreign Office gli italiani non possono essere accolti nel club di Stati Uniti,
Francia, Germania Federale e Regno Unito perché non godono dei diritti e delle
speciali responsabilità della Germania occidentale. Dopo quasi due anni di
centrosinistra, ossia l’ultima barriera contro la minaccia del Pci, la situazione non
è però migliorata. Anzi, i comunisti non fanno mistero di puntare ad abbattere
l’instabile governo per poter così tornare al potere. Secondo l’ambasciatore
inglese a Roma, ci sono tutte le condizioni perché possano raggiungere il loro
obiettivo. Godono di un grande prestigio per la loro presunta indipendenza
dell’Urss. Considerata la sua forza, sarebbe prematuro ritenere che il Pci si sia
allontanato dalla dottrina dell’ortodossia comunista, secondo la quale l’obiettivo
ultimo dell’azione politica consiste nella conquista del potere. I comunisti italiani
puntano a un’Italia a partito unico, un obiettivo che desiderano raggiungere per
vie costituzionali, non con la violenza. Ma una volta conquistato il potere, il Pci
non lo abbandonerebbe. La paura del comunismo si trasforma in una vera e
197

propria ossessione. Forse è proprio questo che vuole la propaganda britannica.
Quanto più grave appare la situazione, tanto più si legittimano le strategie di
contrasto più dure e radicali. È in un clima simile che, fra il 3 e il 5 maggio 1965,
si tiene all’hotel Parco dei Principi di Roma un convegno i cui drammatici effetti
saranno valutabili solo qualche anno più tardi. Il tema è la guerra rivoluzionaria,
cioè la guerra subdola dichiarata dal comunismo al mondo libero. Il convegno è
organizzato dell’Istituto di studi militari “Alberto Pollio”, un’emanazione dello
Stato maggiore della Difesa. Ma a finanziarlo è l’ex agente del Soe Edgardo
Sogno oltre all’italiano più sponsorizzato dai britannici: Francesco Malfatti di
Montetretto. Ci sono Vittorio De Biasi, il braccio destro dell’amministratore
delegato della Edison, e l’anglofilo Giorgio Valerio, uno dei più acerrimi
oppositori della politica di Mattei. Il “colonnello Merryl” del Pwb, Renato Mieli.
Vecchi repubblichini e commilitoni del principe Borghese. Il fondatore
dell’organizzazione neonazista Ordine Nuovo, Pino Rauti. Infine una ventina di
studenti di estrema destra che diventeranno noti al grande pubblico dopo la strage
di Piazza Fontana (1969), a Milano. Tra loro ci sono Stefano Delle Chiaie e
Mario Merlino. Al Parco dei Principi si ricostruirebbe quel milieu politico che
Sogno ha contribuito a formare durante la guerra per conto dell’intelligence
britannica. Ma nessuno o quasi si accorge di quel convegno. Né i mezzi
d’informazione, né il potere politico.
«Bisogna che la gente si renda conto che noi siamo in pieno nel corso della terza,
ed ultima, guerra mondiale. Sono pochissimi a rendersene conto e quei
pochissimi non hanno, per giunta, il coraggio di dirlo.» Afferma Ivan Matteo
Lombardo.
Una volta delineato il quadro generale della minaccia in atto, bisogna trarre le
conclusioni. E questo compito viene affidato all’ex tenete delle Ss, Pio Filippani
Ronconi. È lui che propone lo schema di difesa e contrattacco della guerra
controrivoluzionaria. È uno schema differenziato che obbedisce al criterio di far
agire su tre piani complementari, ma tatticamente impermeabili l’uno rispetto
198

all’altro. A un primo livello disponiamo di individui i quali, seppure ben orientati
e ben disposti nei riguardi di un’ipotetica controrivoluzione, sono capaci di
compiere un’azione puramente passiva, che non li impegni in situazioni
rischiose. Il secondo livello potrà essere costituito da quelle altre persone
naturalmente inclini o adatte a compiti che impegnino in azioni di pressione,
come manifestazioni sul piano ufficiale, nell’ambito della legalità, anzi in difesa
dello Stato e della Legge conculcati dagli avversari. Al terzo livello, molto più
specializzato, dovrebbero costituirsi nuclei scelti di pochissime unità, addestrate
a compiti di controterrore e di rotture degli eventuali punti di precario equilibrio.
Quest’organizzazione prende il nome di “partito del golpe”, ovvero quell’insieme
di forze e ambienti che condizionerà il corso della politica italiana per oltre un
ventennio.
Attivata la macchina del golpe, la Gran Bretagna bada al sodo. Cioè al petrolio e
alla politica dell’Eni dopo la morte di Mattei. Ora il capo dell’Eni è Eugenio
Cefis, e sembra intenzionato a cambiare molte cose. Almeno è quello che
promette ai britannici. Cefis ha promesso al dirigente della Bp che cambierà
totalmente le coordinate della politica di Mattei. Farà in modo che l’ente italiano
si muova di concerto con le compagnie britanniche; che il prezzo del petrolio
aumenti sul mercato italiano in modo da non danneggiare le Sette sorelle. È un
Cefis completamente prono di fronte alle richieste degli inglesi. Tanto di rivelare
le sue intenzioni a loro prima ancora di informare il governo italiano. Con Cefis
l’Eni sembra aver adottato una strategia ben più ragionevole, e pare intenzionato
a limitare il più possibile le sue operazioni finanziarie. Non passano neppure due
anni che i rapporti tra Londra e Roma tornano al punto di partenza. Il nuovo
casus belli è il progetto accarezzato dal governo italiano di rientrare in Iraq. Da
dove l’Italia era stata espulsa alla vigilia della campagna d’Etiopia, a causa della
furbizia doppiogiochista britannica e delle velleità imperiali di Mussolini. C’è
appena stata la guerra dei Sei giorni tra Israele e paesi arabi. A Baghdad ora sono
al potere gli uomini del partito panarabo Ba’ht, che hanno espulso dal paese gli
199

interessi petroliferi inglesi. Mentre vengono spalancate le porte a quelli italiani. Il
pericolo per gli inglesi è che altri governi mediorientali seguano l’esempio
iracheno. Sembra un film già visto mille volte tra il 1953 e il 1962, la politica
energetica italiana non è il frutto di una sola mente, eliminata la quale ogni
problema può essere risolto come d’incanto. Il complicità con il governo italiano,
nel tentativo di impossessarsi si quest’area, l’Eni si sta comportando come il
beneficiario di un bene espropriato. Dunque nel mirino di Londra ora ci sono
direttamente i politici: il ministro degli Esteri Fanfani e il presidente del
Consiglio Moro. Fanfani spiega che, prima di rivolgersi all’Iraq, l’Italia ha
cercato disperatamente di procurarsi combustibile da altre fonti, ma ha avuto
difficoltà e ha poi scoperto che i rifornimento erano controllati da imprese
internazionali. Colto di sorpresa dalla determinazione dello statista democristiano
e dai suoi argomenti, l’ambasciatore inglese Brown appare imbarazzato e chiede
a Fanfani di tenersi in disparte almeno fino a quando la Gran Bretagna non avrà
risolto il contenzioso con l’Iraq. L’ingerenza dell’Eni rende tutto più difficile. Ma
il ministro degli Esteri italiano replica che, di lì a tre anni, l’Italia non avrà un
solo metro cubo di gas ed quindi costretta a trovare nuove fonti. Per un membro
del governo di Sua Maestà, probabilmente poco abituato a sentirsi tratatre da pari
a pari, le parole di quell’italiano così poco accomodante devono sembrare a dir
poco insolenti. Non a caso l’affermazione con la quale chiude l’incontro è irritata
e sinistre. Se ciò accadesse, dice, sarebbe come mettere le mani su una proprietà
rubata alla Gran Bretagna. Le minacce britanniche non sortiscono l’effetto
sperato. Anzi. Secondo l’Eni, gli enti pubblici costituiscono una fondamentale
fonte di potere per lo Stato. Le richieste dell’Eni al governo italiano vengono
accolte, naturalmente.
Il 1968 e il 1969 sono due anni davvero cruciali nei rapporti tra Roma e Londra.
L’ente petrolifero italiano ha trovato nel governo e nel parlamento sponde assai
più solide e aperte che ne legittimano e ne proteggono l’operato all’interno dei
confini della penisola. Le elezioni politiche del maggio 1968, grazie all’ottima
200

affermazione del Pci, hanno determinato uno smottamento verso l’area
comunista e la crisi ormai irreversibile del centrosinistra. La futura
partecipazione del Pci a una coalizione di governo è una tesi che guadagna
sempre più punti. Sempre più persone ritengono che sia difficile pensare a
un’alternativa convincente sul lungo periodo. Paradossalmente, però, l’incertezza
della situazione politica interna non condiziona né l’attivismo dell’Eni, né quello
della politica estera italiana. Proprio nel 1969 giunge a compimento il disegno
strategico di Mattei e della Dc morotea e fanfaniana, con la benedizione
dell’opposizione comunista.
L’Inghilterra è ormai una forza marginale in Medio Oriente. Molti paesi
anglofoni hanno conquistato l’indipendenza. E sta per essere espulsa anche dal
Mediterraneo, ormai fuori dall’Egitto nasseriano e perse le isole di Cipro e Malta,
controlla solo la Libia. Ed è proprio qui, nel paese più ricco della fascia
nordafricana, che si gioca la partita finale tra Italia e Regno Unito. Nella notte tra
il 31 agosto e il primo settembre 1969, con un colpo di stato, il re filo britannico
Idris viene deposto e a Tripoli conquista il potere il giovane colonnello
Mu’ammar Gheddafi, un filo nasseriano addestrato nelle accademie militari
europee. Quel golpe è stato pianificato in un albergo di Abano Terme, in
provincia di Padova. Il nuovo governo rivoluzionario annuncia alle compagnie
straniere di voler aumentare il prezzo del petrolio. Espelle poi dal territorio libico
le basi militari americane e inglesi, mentre sono destinati a crescere i rapporti
commerciali e militari con l’Italia. In quel momento, l’Italia è in una posizione di
forza in tutta l’area mediorientale e del Mediterraneo. Gli Stati Uniti fanno buon
viso a cattiva sorte. Ed il presidente repubblicano Richard Nixon, riconosce
all’Italia il ruolo di potenza destinata a mediare i conflitti tra il nazionalismo
arabo e l’Occidente nell’ambito della Nato. Il Regno Unito ora è un’importante
isola del Nord Europa a cui resta solo la rocca di Gibilterra: al contrario, l’Italia,
nazione sconfitta, è diventata la potenza egemone nell’area. Non è un caso che
proprio in quel periodo rispuntino sulla scena due vecchi amici dei servizi
201

inglesi: Borghese e Sogno, al fianco dell’editore di estrema sinistra Giangiacomo
Feltrinelli. Intorno alle loro tre figure, tra la fine degli anni Sessanta e i primi
anni Settanta si intrecceranno quasi tutti i fili dell’eversione nera, bianca e rossa.
Il 4 marzo 1969, un ufficiale dei servizi della Marina italiana contatta un agente
Cia a Roma e lo mette al corrente dei piani preparati da alcuni suoi amici
influenti per attuare un colpo di stato in Italia. Sono ben piazzati sia nel governo
italiano sia nell’industria privata e non sono inquadrati in un’organizzazione
formale. Chiede se la Cia sia disposta a sedersi a un tavolo e dare ascolto a
questo gruppo. Ma soprattutto vuole sapere come si comporterebbero gli Stati
Uniti in caso di golpe. L’agente americano non può parlare a nome del governo
Usa e comunque non può approvare piani così vaghi. Il 4 aprile l’italiano si
ripresenta. Lui e i suoi amici vogliono soltanto essere rassicurati che Washington
assumerà un atteggiamento neutrale. La Cia non può fornire una risposta senza
essere prima messa al corrente sui dettagli. A quel punto l’italiano rivela chi il
principale ispiratore e organizzatore del complotto è proprio il “principe nero”
Borghese, leader del movimento di estrema destra Fronte nazionale. Il golpe sarà
guidato da un’alleanza tra forze militari ed economiche italiane. Borghese parla
di un’Italia in pericolo, che sta scivolando molto rapidamente sotto il controllo
dei comunisti; sono poche le figure importanti a preoccuparsene. Si tratta di
industriali, professionisti, intellettuali e appartenenti alla piccola borghesia.
L’obiettivo consiste nel catalizzare l’opinione pubblica e soppiantare l’attuale
sistema di governo. Il Fronte ha già costituito un governo ombra.
Gli americani non lo prendono sul serio, ma questo progetto non è altro che la
maturazione degli argomenti discussi all’hotel Parco dei Principi. Da allora, la
rete occulta si è costituita e radicata in molti ambienti. La formazione di questa
rete occulta è stata ufficializzata da una lettera inviata a duemila ufficiali de
Franco Freda e Giovanni Ventura, editori veneti esponenti di un’anomala area
nazi-maoista, in cui nuotano ambigui personaggi del calibro di Giangiacomo
Feltrinelli. Nella primavera del 1969 i piani golpisti sono già a buon punto. La
202

data del colpo di stato è stata fissata per il 13 o il 14 dicembre. Subito dopo la
strage della banca dell’Agricoltura di piazza Fontana (17 morti e quasi un
centinaio di feriti), a Milano. Quell’attentato mira a innescare una richiesta
d’ordine nell’opinione pubblica, a cui il presidente del Consiglio in carica, il
democristiano Mariano Rumor, dovrà rispondere proclamando lo stato
d’emergenza. Il segnale che Borghese aspetta per entrare in azione. Ma all’ultimo
momento, per ragioni mai chiarite, Rumor si tira indietro. Ci riproverà un anno
dopo, la notte tra il 7 e l’8 dicembre 1970. Ma gli americani, a quel punto, sanno
già chi gli copre le spalle. Borghese ha contatti con l’intelligence britannica, dalla
quale è influenzato. Gli uomini del principe arriveranno a un passo
dall’occupazione del Quirinale e dall’arresto del presidente della Repubblica
Giuseppe Saragat. Ma un ordine giunto dall’alto all’ultimo minuto,
probabilmente dall’ambasciata americana, bloccherà tutto. La strage di piazza
Fontana e la sindrome del golpe che quel tragico evento provoca in tutta la
sinistra sono i pretesti colti da Feltrinelli per passare a sua volta all’azione.
L’editore che ha già fondato i Gap (Gruppi di azione partigiana),
un’organizzazione per la guerriglia urbana, entra in clandestinità con il nome di
“Osvaldo”, pronto a guidare un’insurrezione armata che non ci sarà mai, se non
in una forma puramente terroristica.
Edgardo Sogno, entrato in urto con Moro e Fanfani,da lui considerati servi
sciocchi dei comunisti, riunisce vecchi commilitoni della “Franchi, la rete
dell’intelligence inglese, per incitarli a riprendere a combattere un Pci sempre più
forte e una Dc sempre più arrendevole di fronte al nemico, se non addirittura
complice. Si discute sulla necessità di passare all’azione, esercitando tutta la
pressione possibile per spostare l’asse della politica italiana verso il centro. Ma
l’ora grave impone che si faccia qualcosa di più. Impedire con ogni mezzo un
governo con il Pci. Anche sovvertendo con le armi il risultato di libere elezioni.
È il 24 dicembre 1969. Sono passati dodici giorni dalla strage di piazza Fontana,
l’inizio di una lunghissima, interminabile stagione di sangue. Ma non è questo a
203

preoccupare gli inglesi. Il loro interesse è concentrato sulla politica energetica
dell’Italia e sul rischio che la crescente influenza del Pci rafforzi le scelte
dell’Eni. In quella vigilia di Natale, il loro incubo, è l’accordo appena firmato tra
Eugenio Cefis e il viceministro del Commercio sovietico per la fornitura all’Italia
di gas naturale. Le imprese che avranno gli appalti sono la Fiat, l’Italsider, il
Nuovo Pignone, la Snam progetti e la Pirelli. Grazie all’accordo con Mosca e alle
forniture che arriveranno anche dalla Libia e dall’Algeria, l’Italia sarà in grado di
soddisfare il proprio fabbisogno di gas naturale per tutti gli anni Settanta. Se il
Pci dovesse conquistare il potere, l’accordo Eni-Urss andrebbe a rafforzare i
vincoli tra l’Italia e il mercato economico dei paesi comunisti. Per gli inglesi il
1969 è un anno davvero cruciale. Non sono Borghese e le bombe a impensierirli,
bensì la notizia che il nuovo ministro degli Esteri sia Aldo Moro, celebre per la
sua capacità di non dire niente malgrado utilizzi fiumi di parole.
Gli occhi sono puntati su Moro e sul Pci. Il partito ora è affidato a Berlinguer.
Quale strada imboccherà il partito comunista più forte dell’Occidente? Il reale
interesse del governo britannico consiste nel cercare di capire il più possibile il
Pci. Dieci giorni dopo un’agente dell’Ird incontra nella sede comunista di via
delle Botteghe Oscure, a Roma, Carlo Galluzzi e Armando Cossutta, esponenti
dei punti di vista più estremi della destra, il primo, e della sinistra il secondo. Il
10 maggio parla anche con Giorgio Napolitano. Ai primi di novembre del 1970
giunge segretamente a Roma una delegazione del ministero della Difesa di Sua
Maestà per discutere con l’intelligence dell’Arma dei carabinieri le questioni
legate alla sicurezza interna del paese. Un sinistro preannuncio, visto che proprio
in quei giorni Borghese sta mettendo a punto gli ultimi dettagli del suo secondo
tentativo di golpe tra il 7 e l’8 dicembre. La situazione potrebbe condurre a una
grave crisi dell’ordine pubblico in Italia. Queste sono le conclusioni. Queste
minacce indubbiamente esistono. Tuttavia non è compito dei carabinieri o degli
altri servizi di sicurezza italiani impedire di votare comunista.
204

Il ministero della Difesa di Sua Maestà chiede ai servizi italiani e all’Arma di
appoggiare i piani contro la minaccia comunista. Non tutti a Londra considerano
l’opzione golpista la più efficace. Tanto più che a gestirla sarebbe un uomo dal
passato repubblichino come il principe Borghese. La freddezza
dell’amministrazione americana a la netta opposizione di gran parte del ceto
politico italiano di governo spiegano perché, ormai in dirittura d’arrivo, l’ex
comandante della Decima mas sarà costretto a fermarsi e a rinviare a data da
destinarsi i suoi piani di colpo di stato.
La Malfa attribuisce alla Dc e al Vaticano la colpa dell’instabile situazione
politica italiana. Asserisce che è possibile staccare il Pci dall’abbraccio russo. Gli
stessi leader comunisti ammettono la pericolosità dell’Urss. Tuttavia l’evoluzione
democratica del partito richiederà del tempo. Se gli italiani si staccassero
bruscamente dall’Urss Mosca potrebbe creare un nuovo partito filosovietico.
A giugno è prevista una visita ufficiale a Londra del presidente del Consiglio
italiano Emilio Colombo. La nota dolente ancora una volta riguarda l’Eni. La
speranza degli inglesi è che Colombo metta in campo tutta la sua influenza per
far cambiare atteggiamento all’Eni. E si chiedono se il premier sia realmente
intenzionato a frenare le politiche petrolifere di Roma. L’ossessione inglese,
insomma, è la linea di Mattei, che continua a sopravvivere all’uomo che l’aveva
elaborata vent’anni prima, portandola al successo ai quattro angoli del mondo.
Ma i colloqui con Colombo non sembrano sortire l’effetto sperato. L’Inghilterra
cerca ancora una volta di mettere i bastoni fra le ruote alla rinascita politica
matteiana. La propaganda e l’intelligence britanniche decidono di armare la
sinistra extraparlamentare contro il Pci. È davvero curioso che l’intelligence del
governo di Sua Maestà (in quel momento tra l’altro è al potere il conservatore
Edward Heath) trovi più opportuno coltivare politici e intellettuali della sinistra
rivoluzionaria, piuttosto che tentare di comprendere le sforzo che un giovane
stalinista come Enrico Berlinguer sta compiendo per emancipare il partito dalla
tutela moscovita.
205

Feltrinelli ha molti soldi. E un progetto politico ambizioso: la nascita di un
partito armato della sinistra rivoluzionaria, antiberlingueriano. Ha già individuato
gli interlocutori: la componente insurrezionali sta del Pci, quella che fa capo a
Pietro Secchia e a Francesco Moranino, il gruppo del “il manifesto” e le
neoformazioni extraparlamentari, ossia Potere operaio, Lotta continua e le
Brigate rosse. Alberto Franceschini racconterà che, proprio in quel periodo, lui e
Renato Curcio, i capi delle Br, erano soliti incontrare Osvaldo periodicamente,
nel giardini del Castello Sforzesco di Milano, perché gli avevano affidato il
compito di gestire le relazioni internazionali dei brigatisti. Feltrinelli, però, non
ha il tempo di assistere alla realizzazione del suo ambizioso progetto. Nella notte
tra il 14 e il 15 marzo 1972 cerca di sabotare il congresso del Pci, che finirà per
eleggere Berlinguer segretario politico. Nel tentativo di far mancare la corrente
elettrica, sale su un traliccio di Segrate per minarlo. Ma, a causa del timer
difettoso, l’ordigno esplode in anticipo e Osvaldo muore dilaniato. Poco distante
c’è il suo furgone: sul sedile posteriore, una sacca con 300 milioni di lire. “Il
Manifesto” era uno dei sogni del suo progetto rivoluzionario. Tant’è vero che
proprio in quegli anni, “manifesto” e “Pot.Op” (Potere Operaio) fecero un
accordo per presentarsi insieme alle elezioni politiche. Feltrinelli avrebbe dovuto
consegnare i 300 milioni di lire al “manifesto”, il suo contributo per la campagna
elettorale.
È sempre più chiaro ormai, che la guerra britannica al Pci non è in difesa di una
democrazia minacciata, ma contro la politica italiana e la classe dirigente che la
esprime. Quella politica che dal 1969 in poi, subito dopo il golpe in Libia, ha
consentito all’Italia di conquistare una posizione di egemonia crescente nel
Mediterraneo. Tutto ciò grazie ai discreti anche se altalenanti rapporti con il
nuovo regime di Tripoli e con il suo capo, che le carte inglesi in quegli anni
definiscono un pazzo. Relazioni divenute ancora più strategiche dopo la chiusura
del canale di Suez, avvenuta in seguito alla guerra dei Sei giorni del giugno 1967
tra arabi e israeliani. Da allora, le forniture di greggio mediorientale destinate alla
206

Gran Bretagna sono diventate più problematiche e costose, perché le
superpetroliere sono ora costrette a circumnavigare l’Africa per arrivare a
destinazione. Così, diversi paesi europei, Regno Unito compreso, si vedono
obbligati a rifornirsi dalla Libia che gioca al continuo rialzo dei prezzi con
l’appoggio italiano. Al momento la Libia è probabilmente l’unico paese
produttore con ampie riserve finanziarie, tali da permetterle di affrontare
un’interruzione prolungata della produzione di idrocarburi. Quella previsione si
avvera. Quando in seguito alla guerra del Kippur, tra arabi e israeliani, i paesi
dell’Opec (l’organizzazione dei paesi esportatori di petrolio) decidono di
chiudere i rubinetti dell’oro nero. Ed è fortissimo il risentimento contro il
governo di Roma.
La Farnesina punta ancora una volta a mettere in campo una sua strategia politica
speciale nel Mediterraneo. Lo conferma il fatto che gli ultimi governi italiani
sono stati inclini ad avere un atteggiamento amichevole verso gli arabi.
L’ambasciatore inglese muove genericamente le sue accuse alla politica estera
italiana. In realtà, il suo bersaglio è preciso e ha un nome e un cognome: Aldo
Moro, alla Farnesina dal 1969. È lui il motore dell’attivismo italiano nel
Mediterraneo, il fautore della linea filoaraba, nonché l’interlocutore privilegiato
del leader comunista Berlinguer. Il quale lancia la sua proposta di un
“compromesso storico” tra comunisti, socialisti e democristiani. Un patto che ha
delle clausole: l’allontanamento del Pci dall’ortodossia sovietica e l’abbandono
della discriminante anticomunista da parte della Dc.
Moro è decisamente più pericoloso di Mattei perché rappresenta il potere politico
che si identifica con gli interessi nazionali italiani, e li persegue con
determinazione e con quel pizzico i cinismo che è insito nella ragion di Stato.
Proprio in un clima di eccellenti relazioni con il mondo arabo, Moro sigla il più
segreto dei suoi patti: il “lodo Moro”. Un’intesa con le organizzazioni palestinesi,
volta a impedire azioni terroristiche in territorio italiano, in cambio di una
207

sostanziale immunità per il traffico d’armi e per l’allestimento di basi logistiche
della penisola italiana.
Tra al primavera e l’estate del 1974 si sta preparando un complotto. Se ne
accorge anche il governo italiano che incarica il giudice istruttore Luciano
Violante di indagare su Edgardo Sogno, il giovane magistrato accusa Sogno di
aver organizzato un golpe bianco, che sarebbe dovuto scattar proprio alla fine di
agosto di quell’anno. nell’organizzazione golpista c’è anche Carlo Fumagalli, ora
a capo di un’organizzazione paramilitare neofascista, le Squadre di Azione
Mussolini (Sam), coinvolte nella terribile strage compiuta il 28 maggio di
quell’anno a Brescia, in piazza della Loggia. Intorno a Sogno scatta una rete
protettiva per bloccare l’inchiesta di Violante. Se il magistrato andasse fino
infondo, scoprirebbe verità di cui, nel clima della guerra fredda, l’opinione
pubblica non deve essere messa al corrente, per nessun motivo. A cominciare dal
ruolo degli inglesi in Italia e dalla presenza di loro infiltrati nella politica,
nell’economia, nei sindacati, nell’informazione, nella cultura, negli apparati dello
Stato, nella diplomazia e persino nelle alte gerarchie della Chiesa. L’inchiesta,
come quella di Ustica e molte altre, viene trasferita a Roma e si conclude con il
proscioglimento degli imputati.
Fallito il golpe nero di Borghese nel biennio 1969-1970, bruciato anche il golpe
bianco di Sogno, Londra è costretta a rivedere le proprie strategie italiane, per
l’ennesima volta. È spunta un’altra sorpresa per i britannici. Uno dei loro clienti,
Emilio Traviani, ha compiuto una spettacolare virata a sinistra e ora propone
addirittura di sperimentare il “compromesso storico” tra Dc e Pci. Il vero
pericolo, spiega, è rappresentato ora dai neofascisti, mentre il Pci berlingueriano
ha subito un’evoluzione, in parte determinata dai cambiamenti in atto nella
politica estera dell’Urss, tutta presa dal processo di distensione con gli Stati Uniti
d’America. I sovietici non sono al momento favorevoli alla presa del potere da
parte dei comunisti in Italia. Perciò, dal momento che a breve termine non esiste
la prospettiva di un governo nazionale appoggiato da Berlinguer, Tavani non
208

vede la ragione per la quale accordi con il Pci non debbano essere attuati a livello
regionale. Il Pci è un partito serio anche se attraversa una crisi interna. Anche La
Malfa vede nell’opposizione sovietica uno dei maggiori ostacoli alla marcia di
avvicinamento dei comunisti italiani al potere.
Il nocciolo duro della politica italiana non sarà più la Dc; l’alternativa adesso è
costituita dal Pci anche se non è chiaro quale tendenza prevarrà dentro il partito.
Gli elettori italiani regalano una strepitosa vittoria al Pci alle elezioni
amministrative del 15 giugno 1975. La prospettiva appare a dir poco catastrofica.
Quasi tutte le previsioni danno ormai per scontato il sorpasso elettorale del Pci
sulla Dc. La linea morotea è pericolosa, perché considera irreversibile la crescita
del Pci. Moro, insomma, cammina su un terreno scivoloso.
Ma c’è un nuovo grattacapo per Londra. Lo scandalo petrolifero esploso a Roma
tra il 1973 e il 1974. Ha una fastidiosissima e imbarazzante coda londinese che
coinvolge la Shell e la Bp. Accusate di aver pagato tra il 1966 e il 1975 fior di
tangenti ad aziende petrolifere e a partiti politici italiani e di molti altri paesi.
Come uscire da questa situazione? Insabbiando, naturalmente. Ovvero attraverso
l’unica modalità che i governi abbiano sempre applicato per affossare verità
decisamente imbarazzanti, da che mondo è mondo. Il governo di Sua Maestà
decide di non aprire un’inchiesta a riguardo. Coperto lo scandalo, resta il
problema di come salvare la faccia di fronte all’opinione pubblica inglese e
internazionale.
«Il governo desidera ovviamente che le nostre imprese petrolifere conducano le
loro transazioni commerciali internazionali nel più assoluto rispetto delle leggi
vigenti nei paesi in cui operano. […] Il governo britannico si prodigherà con tutti
i mezzi necessari per mettere fine alla pratica delle tangenti e delle estorsioni che,
purtroppo, si sviluppa di tanto in tanto nelle transazioni commerciali
all’estero 62 .»
62 Fasanella, G. Priore, R. Intrigo internazionale. Perché la guerra in Italia. Le verità che non si sono mai potute
dire, cit.
209

Lo scandalo è chiuso. Si può continuare come prima. Rispettare la forma
all’interno dei propri confini, ma far sì che tutto diventi lecito all’estero. Con
ogni mezzo a disposizione. Chiuso il capitolo delle tangenti petrolifere
britanniche, ora si apre l’ultimo atto della guerra segreta conto l’Italia.
Tra il 1976 e il 1978, in un crescendo di tensione, si consuma l’ultimo
drammatico atto della guerra segreta britanniche contro l’Italia. Quel periodo
passato alla storia come gli “anni di piombo”
le elezioni politiche del 20 giugno 1976 sanciscono un sostanziale pareggio tra
Pci e Dc. Lo scenario politico si evolve in un contesto di violenza diffusa, in cui
il partito armato può lanciare il suo attacco al cuore dello Stato. L’obiettivo
dichiarato delle Br è impedire che il compromesso storico si realizzi, che il Pci
entri nel governo. Attentato dopo attentato si arriva ala data che cambia il corso
della storia politica italiana: 16 marzo 1978.
Andreotti sta per presentare alle Camere un nuovo Gabinetto di “solidarietà
nazionale”. Poco prima dell’inizio del dibattito parlamentare le Br sequestrano
Aldo Moro, stratega, con Enrico Berlinguer, di una nuova stagione politica. Sarà
assassinato dopo cinquantacinque giorni di detenzione in una “prigione del
popolo”. È la storia del 1976, l’anno in cui, dopo aver a lungo valutato se
scegliere il golpe militare classico di destra o una diversa azione sovversiva,
Londra imbocca questa seconda strada. Gli inglese cercano alleati negli Usa per
la loro offensiva finale. Dopo le dimissioni del repubblicano Richard Nixon,
l’amministrazione è retta dal suo vice Gerald Ford. L’americano spiega che il suo
governo è totalmente contrario alla partecipazione dei comunisti al governo. Gli
Usta stanno facendo tutto il possibile per influenzare la Dc. Il prestigio del Pci
cresce in maniera sorprendente. Berlinguer è una delle migliori carte del Pci. Le
cose che dice sono credibili e, come altri leader comunisti italiani, le espone in
maniera plausibile. In Inghilterra non capiscono, o non vogliono ammettere, che
il fascino del Pci possa nascere proprio dal fatto che sia un partito diverso,
lontano dall’ortodossia moscovita. E tendono a domandarsi cosa sia possibile
210

fare per aiutare gli italiani a non finire sotto il dominio del Pci. Gli italiani magari
preferiscono scegliere liberamente i loro governanti. È fuori discussione l’ipotesi
di piazzare articoli anticomunisti nella stampa. Gli unici giornali a cui gli inglesi
hanno accesso sono screditati e, giusto o sbagliato che sia, sono reputati
irrimediabilmente di destra. Bisogna perciò incoraggiare i media a dipingere il
Psi e la Dc come forze positive nel panorama politico italiano, e non far niente
che possa incrementare il prestigio del Pci. L’Occidente soffrirebbe in caso di
ascesa del Pci al potere. Se l’Italia accogliesse nel governo un partito che
condivide l’ideologia che sta alla base del Patto di Varsavia, cioè il nemico
diretto, per la Nato di tratterebbe di una sfida molto grave e si creerebbe un
problema molto grave per la sicurezza. I segreti sensibili finirebbero per essere
rivelati ai sovietici. E poiché Berlinguer non punta al ritiro dell’Italia dal Patto
Atlantico, la presenza all’interno della Nato di un paese vicino all’Urss
renderebbe la situazione ancora più paradossale. Perderebbe efficacia tutta la
strategia atlantica basata sulla deterrenza. L’unico modo per preservare la
sicurezza delle informazioni top secret sarebbe l’espulsione dalla Nato dell’Italia
semicomunista. C’è chi si è accorto che il comunismo italiano e il suo leader non
sono assimilabili all’ideologia sovietica. Peter nicol, il corrispondente da Roma
del “Times”, ha stabilito un buon rapporto con Enrico Berlinguer e ha scritto
alcuni articoli tutta’altro che critici sulla sua diversità. Il Foreign Office va su
tutte le furie per l’immagine troppo positiva del Pci descritta da Nichols.
Il Pci desidera arrivare al potere con delicatezza e in modo impercettibile. I
comunisti sono molto bravi a convincere gli italiani che la conquista del potere
sarà indolore nonché inevitabile. Il mondo politico è in subbuglio. I socialisti
sono usciti dal governo e Moro ne ha subito formato un altro, per il quale però
tutti prevedono vita breve. Insomma, la crisi è ormai certa.
Sono sempre meno le persone convinte che il Pci debba rimanere fuori dal
governo. L’istinto primordiale della politica italiana, che consiste nell’approdare
sempre a una qualche forma di compromesso, sta producendo un effetto
211

dirompente. Di recente, l’influente direttore di un quotidiano ha messo al
corrente il console britannico di Firenze della dettagliata discussione, fra
Andreatta (consigliere economico di Moro) e il sindaco di Bologna Renato
Zangheri, un comunista di spicco. Hanno discusso delle possibili forme di
cooperazione economica tra Pci e Dc. Il compromesso storico diventa ora
un’idea più minacciosa.
Il Pci è terrorizzato all’idea che la Dc possa disintegrasi, perché, se i comunisti
dovessero diventare il nuovo perno del sistema politico, ci sarebbe un golpe di
destra. E i comunisti sono persone intelligenti e ben informate. In Italia c’è un
clima di rassegnazione e depressione, perché non sembra esserci alternativa
alcuna a questo benedetto compromesso storico.
A Palazzo Chigi Moro si è appena consultato con Berlinguer, prima di varare un
pacchetto di misure economiche. Ora i comunisti fanno virtualmente parte della
maggioranza. Moro, di fatto, non è più in carica e lo Stato ha perso autorità. Le
conseguenze internazionali dell’ingresso del Pci nel governo italiano sarebbero
disastrose. Il 40 per cento della polizia sarebbe pronto a partecipare a un golpe di
sinistra. Ma a Londra ci si chiede in che misura il Pci è prossimo al potere’
Il Pci deve essere considerato uno strumento della politica sovietica. La funzione
primaria della Nato è quella di difendere le democrazie occidentali dalla
minaccia esterna del comunismo sovietico. L’arrivo al potere del Pci
costituirebbe un forte colpo psicologico per l’Occidente. Le credenziali
democratiche del Pci sono dubbie. Gli inglesi sanno bene che è la stessa Mosca a
patire l’avvicinamento dei comunisti italiani al potere. La partecipazione del Pci
al governo creerebbe problemi anche all’Urss. Il dissidio ideologico tra i due
partiti si farebbe più acuto con il rischio che le idee riformiste si diffondano in
tutta l’Europa dell’Est. Ma per i sovietici i vantaggi (soprattutto l’indebolimento
della Nato e la messa in crisi delle relazioni tra Usa ed Europa) supererebbero di
gran lunga gli svantaggi. L’ingresso dei comunisti nel governo italiano non è
inevitabile. Dalle ambasciate si raccomanda a Londra di affrontare la situazione
212

italiana con americani, francesi e tedeschi, con l’obiettivo di raggiungere una
posizione comune e, se possibile, una strategia sulle politiche da mettere in
campo.
Ci si troverebbe nell’imbarazzante situazione di dover declassare il ruolo
dell’Italia, creando di fatto un’Alleanza a più livelli, con paesi più affidabili e
altri meno, con la conseguenza inevitabile di un suo indebolimento. Si dovrebbe
ogni volta scendere a patti con gli italiani per trovare un compromesso. Tutto
questo se l’Italia rimanesse all’interno della Nato. Ma se fosse espulsa o indotta
ad andarsene, sorgerebbero altri pericoli. L’Alleanza sarebbe costretta a rivedere
radicalmente le strategie difensive sul fianco Sud. Secondo gli analisti della
Difesa britannica, nel primo come nel secondo caso, le conseguenze sarebbero
davvero drammatiche. La soluzione è obbligata. Che cosa si può fare per
impedire l’ascesa al potere del Pci? Ci sarebbe un’opzione più drastica:
minacciare ritorsioni. Ma è difficile che un’eventualità del genere possa avere un
qualche effetto sull’elettorato italiano.
Londra rivolge la sua attenzione anche alle istituzioni ecclesiastiche. Il Vaticano
continua ad essere fortemente contrario a un’alleanza tra Dc e Pci. Il futuro papa
Giovanni Paolo I, si lascia andare ad alcune amare conclusioni che suonano come
una critica nei confronti di Paolo VI. Luciani respinge l’idea che la Chiesa
continui ad essere un’entità puramente spirituale, mentre dovrebbe occuparsi
della vita quotidiana. Per mantenere i necessari contatti con i fedeli (posto che
questi siano comunisti), alcuni preti si sentono in obbligo di convertirsi al
comunismo, ma non si può essere cristiani e marxisti allo stesso tempo.
Il 12 aprile 1976 continua la pressione inglese anche sull’amministrazione
americana, per indurla ad assumere un atteggiamento più duro. Occhi e orecchie
dell’intelligence britannica sono puntati su Mosca. Tutto l’intenso lavorio è volto
a impedire l’avvicinamento al potere dei filosovietici. Ma da un lato si spera che
si proprio l’Urss a bloccare il Pci. Ma al momento il Cremlino non ha ancora una
strategia per incanalare la marcia elettorale del Pci.
213

Per il Foreign Office l’idea di una netta amputazione dell’Italia dell’Alleanza
atlantica, suggerita da Sir John Killick, il capo della delegazione britannica alla
Nato, è impraticabile. Non sarebbe altro che un regalo a Mosca. L’espulsione
dell’Italia avrebbe come effetto un suo avvicinamento al movimento dei Non
alleati. Occorre comunque trovare una via d’uscita. Per sua natura, un colpo di
stato può produrre effetti inaspettati. Un’azione volta a prevenire la
partecipazione del Pci al governo italiano, se dovesse avvenire, arriverebbe con
ogni probabilità dalla destra e si baserebbe sull’Esercito e sulla Polizia. Le
potenze Occidentali si troverebbero così dinnanzi a un dilemma: se sostenessero
il golpe, verrebbero identificate con una chiara azione antidemocratica; se in vece
si rifiutassero di riconoscere il governo golpista, si schiererebbero di fatto dalla
parte del Pci. Se il golpe avesse successo in modo netto il dilemma sarebbe di
breve durata. Se invece il tentativo di golpe si prolungasse, cosa molto probabile,
il dilemma si farebbe molto più acuto. La preoccupazione britannica in questo
caso è quella di assicurarsi l’appoggio o quantomeno la neutralità da parte degli
altri paesi occidentali.
Ancora più interessante è un documento dal titolo “Possibili opzioni aperte alla
Nato e alla Cee nell’eventualità che il Pci entri nel governo italiano”. Si va
dall’ipotesi di lasciare tutto com’è, a quella di aggiustamenti operativi (misure
per salvaguardare i segreti della Nato impedendone l’accesso agli italiani), sino
alla persuasione di tipo economico e politico e all’espulsione dell’Italia
dall’Alleanza (anche questa soluzione già scartata). È la quarta opzione quella
valutata con più attenzione. È intitolata “Intervento sovversivo o militare contro
il Pci” ovvero delle operazioni volte a dirigere un intervento a sostegno di un
colpo di stato incoraggiato dall’esterno. Tali misure potrebbero aiutare a
rimuovere il Pci dal governo. Gli svantaggi ci sono. Ci sono immense difficoltà
pratiche per portare al successo questo tipo di operazione. Londra teme fughe di
notizie perciò si invitano tutti i funzionari a non parlare, se non nelle sedi
autorizzate, dei piani d’emergenza segreti. Se la notizia diventasse di dominio
214

pubblico, si darebbe l’impressione che la Nato si stia schierando contro l’Italia. Il
problema è proteggere i segreti nucleari dell’Alleanza: far tornare l’Italia in
carreggiata. Il 22 aprile 1976 l’opzione militare viene bocciata dagli americani.
In ogni caso, gli Stati Uniti, escludono ogni misura di intervento militare e
tantomeno puntano su un golpe di destra, improbabile a meno che non si verifichi
un altrettanto improbabile golpe di sinistra.
Berlinguer al governo metterebbe in difficoltà l’Urss. In primo luogo perché
l’adesione dei comunisti italiani al pluralismo politico potrebbe indurre altri
partiti comunisti a seguire l’esempio del Pci, indebolendo il controllo sovietico
sul movimento comunista internazionale. L’Unione Sovietica teme una crisi
nell’equilibrio strategico tra Est e Ovest. In un mondo destabilizzato il rischio di
una guerra nucleare con gli Usa potrebbe tornare a farsi acuto. Tale pericolo
diventerebbe estremo se il Pci dovesse arrivare a dominare il governo di Roma. I
russi infatti non controllano gli eventi italiani.
Delusa da Washington, Londra sembra aver trovato appoggio da Mosca,
confidando nell’interesse della salvaguardi dell’ideologia comunista da parte
dell’Urss.
Il quinto governo presieduto da Aldo Moro si è dimesso ai primi di maggio 1976.
Questa data coincide con l’improvviso e grave deterioramento della situazione
politica ed economica dell’Italia. Un periodo contrassegnato da sensazionali
scandali (Lockheed) e dal collasso della lira. La fase politica italiana che era
iniziata nel 1963, con il primo governo di centrosinistra presieduto da Moro, è
giunta al capolinea. Il 13 maggio 1976 viene divulgato all’interno del Foreign
Office un altro documento dal titolo: “L’Italia e i comunisti: opzioni per
l’Occidente”. Porta la data del 6 maggio ed è diviso in tre parti. La prima indica
una serie di possibilità per un’azione prima dell’ingresso del Pci nel governo. La
seconda si occupa delle misure da adottare nell’eventualità che il Pci ottenga una
parte del potere. Fin qui sono poche le novità rispetto al documento diffuso
precedentemente. La terza parte è assai più interessante. Mentre nella prima
215

ozza si parlava di “Un possibile colpo di stato”, ora quel punto è formulato così:
“Azione a sostegno di un colpo di stato o di una diversa azione sovversiva”. Per
una serie di motivi l’idea di un colpo di stato potrebbe risultare attraente; ma è
un’idea irrealistica. La forza dei comunisti provocherebbe una resistenza lunga e
sanguinosa, e persino una guerra civile. L’Occidente non avrebbe nulla da
guadagnare da questa situazione. Senza contare che l’Urss potrebbe intromettersi.
In conclusione tutte queste considerazioni portano a sconsigliare un golpe in
Italia. Anche se fosse promosso esclusivamente dalle forze interne. La preferenza
della Gran Bretagna va a una diversa azione sovversiva. Quale? Un omicidio
politico? E puntando su quali forze? Quelle già esistenti in Italia, magari
Autonomia operaia e Brigate Rosse, che facevano da tempo parte del progetto del
partito armato di Feltrinelli?
Il 24 maggio l’ambasciatore Millard continua il suo giro di ricognizione negli
ambienti politico-diplomatici italiani e riferisce a Londra. I comunisti hanno una
gran paura di andare al potere, sia a causa dei problemi che attanagliano l’Italia,
sia perché temono l’ostilità dell’Urss. I sovietici desiderano la vittoria della Dc.
Quando a metà degli anni Settanta, aumentò il consenso verso i comunisti in
Italia, il Pci chiese a Mosca di appoggiare l’idea di un “compromesso storico”
con i democristiani. Mosca, pur avendo rapporti abbastanza buoni con la
Democrazia cristiana, esitò a farlo. Era disturbata dalla prospettiva che il Pci, con
il quale già aveva alcune divergenze di vedute, entrasse a far parte di un governo
di coalizione, o addirittura ne divenisse il partito guida. La proposta fu resa
accettabile dal fatto che il Pci avrebbe appoggiato il governo Dc, ma non sarebbe
entrato a farne parte. La collaborazione tra Dc e Pci funzionò meglio di quanto
Mosca avesse previsto. I rapporti tra i due paesi migliorarono quando a capo del
governo ci fu Aldo Moro, persona con cui i capi sovietici ritenevano di poter
trattare. Il suo assassinio da parte delle Brigate rosse nel 1978 fu considerato una
vera sciagura per gli interessi sovietici. Quando i britannici esaminano le varie
opzioni per impedire ai comunisti italiani di andare al governo, il colonnello
216

Gordievskij del Kgb, è già un agente doppio, almeno dal 1974. È del tutto
improbabile che il governo inglese non sappia quanto siano buoni i rapporti tra
Moro e Mosca. E, quindi, che i veri problemi per gli interessi britannici e per la
Nato non derivino tanto dal Pci, quanto proprio dalla politica di Moro e dalla sua
influenza all’interno della Dc. Proprio come ai tempi di Mattei.
Kissinger, il segretario di Stato americano, è irritato dal modo in cui gli alleati
europei affrontano la questione italiana. Washington non desidera un governo
con il Pci, almeno fino a quando quel partito non sceglierà tra le democrazie
occidentali e Mosca in modo inequivocabile e definitivo. Dunque bisognerebbe
decidere subito che, se il Pci entrerà nel governo, l’Italia sarà esclusa dal Nuclear
Planning Group e da altri settori sensibili della Nato, anche se i comunisti non
dovessero occupare posti chiave come i ministeri della Difesa e degli Esteri. In
ogni caso, Kissinger, spera che siano gli europei a prendere l’iniziativa, perché
gli americani non intendono fare la figura del bad cop. Vogliono passare la patata
bollente nelle mani di Gran Bretagna, Francia e Germania.
Berlinguer, in un’intervista rilasciata al “Corriere della Sera” dice di sentirsi più
sicuro sotto l’ala protettiva della Nato che non sotto quella del Patto di Varsavia.
Per questo motivo il Pci sarà costretto ad avvicinarsi all’Occidente.
Nelle elezioni politiche del 20 e21 giugno 1976 c’è stato il temuto sorpasso
comunista nei confronti della Dc. I riflettori, ora, sono puntati soprattutto sul
leader della Dc Aldo Moro. È ancora presidente del Consiglio , in attesa che si
formi il nuovo governo. Chiuderà la porta in faccia ai comunisti o riprenderà il
dialogo con il Pci di Belinguer?
Il 27 giugno a Puerto Rico è in corso un vertice delle cinque grandi potenze
occidentali: Usa, Gran Bretagna, Francia, Germania e Italia. Sono presenti i
rispettivi capi di governo accompagnati dai loro ministri degli Esteri. L’Italia è
rappresentata da Moro e Rumor. Gli altri decidono di vedersi a pranzo
escludendo gli italiani, ma nessuno si preoccupa di avvertirli. Quando Moro e
Rumor si presentano al ristorante dell’albergo, vengono cortesemente invitati ad
217

andarsene. I quattro si incontrano per discutere proprio la situazione italiana e le
misure da adottare. È necessario fare tutto il possibile perché i comunisti non
entrino nel governo. Il più scatenato contro l’Italia è il presidente della
Repubblica francese Valéry Giscard d’Estaing. È lui che conduce il gioco e fissa
la linea: costringere il futuro governo italiano a inserire nel proprio programma
una serie di punti ritenuti irrinunciabili dagli alleati. Questa è la condizione
indispensabile per poter concedere eventuali aiuti finanziari al nostro paese.
Giscard d’Estaing infine propone ai commensali di rivedersi in luglio a Parigi.
Per rifare il punto della situazione. Il nuovo vertice si svolge come previsto a
Parigi, nel palazzo presidenziale dell’Eliseo, l’8 luglio. Un incontro insidioso.
Fra i quattro ci sono stati contrasti molto forti. Gli americani e i tedeschi
vogliono un governo di centrosinistra. I francesi puntano a spostare a destra
l’asse della politica interna italiana. L’unico punto sul quale si trovano d’accordo
è che il Pci resti fuori, e che i quattro incontrino uno ad uno i leader italiani. I
tedeschi incontreranno Saragat, Colombo, Giudo Carli, Gianni Agnelli e Aldo
Moro. I francesi avvicineranno il presidente della Repubblica Giovanni Leone,
Fanfani, il presidente della Fiat e Zaccagnini, il neosegretario della Dc. Gli
americani invece si tengono fuori. Il summit si conclude con una bella abbuffata
in un ristorante parigino. Dal canto suo, Reginald Hibbert, sottosegretario del
Foreign Office per le questioni europee, che ha partecipato al summit a Parigi;
pensa sia necessario agire, non solo limitarsi alle parole.
Il rapporto di Hibbert sul vertice parigino finisce sulla scrivania del primo
ministro laburista Jim Callaghan. Teme fughe di notizie e scrive direttamente una
lettera al presidente francese Giscard d’Estaing e al cancelliere tedesco Helmut
Schmidt.
«Dovremmo usare molta cautela nel trattare questo documento, tenendo conto
dell’enorme danno che ne deriverebbe se la sua esistenza diventasse di dominio
pubblico: sarebbe considerato un’intrusione diretta negli affari di uno Stato
europeo nostro alleato.»
218

Dopo l’esito delle elezioni politiche, mentre da Mosca continuano a giungere
informazioni che confermano l’ostilità del Cremlino nei confronti di un governo
con il Pci, l’attenzione britannica è sempre più puntata sulla Dc, e in particolare
su Aldo Moro. L’anno si chiude con il cambio della guardi all’ambasciata di
Roma. Guy Millard torna in patria. E, a sostituirlo, arriva Alan Campbell, il
regista dei vertici segreti di qualche mese prima. Ovvero le riunioni in cui sono
state elaborate la possibili opzioni per risolvere il caos italiano.
Adesso ci si chiede se è il Pci il problema, o piuttosto la Dc? O più precisamente
il suo leader più prestigioso che ne ispira la politica interna di apertura a sinistra e
quella estera di puro stampo matteiano? Esclusa orami l’opzione del golpe
classico di destra, resta sul tavolo il sostegno a una diversa azione sovversiva. E
adesso, con Alan Campbell, uomo del Soe (in particolare dei commandos che
durante la guerra attuavano azioni di sabotaggio nell’Europa occupata dalla
Germania nazista) a Roma, la realizzazione di quest’operazione non risulta più
tanto complicata.
Roma, 16 marzo 1978. È la data che cambierà drammaticamente il corso della
storia italiana. Quella mattina, in parlamento, sta materializzarsi l’incubo che i
britannici hanno tentato di scacciare in ogni modo: Giulio Andreotti e il suo
governo di “solidarietà nazionale” si presenteranno alla Camere per il dibattito
sulla fiducia. Il disegno politico di Aldo Moro, ora presidente della Dc, sta
dunque per compiersi. Tutti sanno che i comunisti gli hanno già garantito i loro
voti per eleggerlo, di lì a poco, alla presidenza della Repubblica. E dalla
posizione del Quirinale sarà lui che guiderà il paese verso una democrazia
compiuta, moderna e simile a quelle di tutti gli stati d’Occidente. L’Italia sta per
emanciparsi dalla sua condizione di paese sconfitto in guerra, soggetto ai diktat
delle potenze vincitrici, in modo particolare dalla Gran Bretagna. Ora l’Italia può
aspirare a diventare tutto quello che il Regno Unito ha sempre tentato di
impedirle di essere.
219

La mattina di quel16 marzo, Moro esce di casa presto. Sale sulla sua auto
accompagnato dai cinque uomini della scorta, lascia il quartiere romano del
Trionfale diretto alla Camera dei deputati. In via Fani la tragedia. Un commando
delle Br blocca la sua macchina e quella della scorta. Dopo aver massacrato i
cinque uomini, lo sequestrano e lo conducono in una prigione del popolo per
sottoporlo ad un processo proletario. Lo condannano a morte. Dopo
cinquantacinque giorni di prigionia, lo uccidono e ne abbandonano il cadavere
nel bagagliaio di una Renault rossa parcheggiata in via Caetani, in pieno centro
storico. Gli esecutori materiali dell’attentati saranno quasi tutti identificati,
catturati, processati e condannati. Ma non si riuscirà mai a capire chi ha suggerito
ai capi delle Br il nome di Moro, in che modo sia stata presa la decisione di
sequestrarlo e poi ucciderlo, in quante e quali prigioni del popolo abbia trascorso
i cinquantacinque giorni di prigionia e chi davvero abbia premuto il grilletto. La
vicenda Moro non è mai stata definitivamente archiviata con una verità
soddisfacente. Non è mai stato un caso chiuso per il generale Carlo Alberto Dalla
Chiesa, per il giudice Rosario Priore, titolare delle prime quattro inchieste
giudiziarie. Non lo è mai stato per Giovanni Pellegrino. Anche lui come Dalla
Chiesa e Priore ha sempre sostenuto che il caso Moro non può essere ricostruito
che all’interno di un contesto più ampio, quello della storia del paese e dei
conflitti geopolitici vissuti nel dopoguerra. E non lo è mai stato neppure per i
nostri servizi. Per una parte almeno, quella più efficiente, perché fedele ai
governi italiani e alle loro politiche. Moro era ancora vivo e ostaggio delle Br
quando degli agenti del Sismi (l’allora servizio segreto militare) andarono a
cercarlo nel palazzo della famiglia Caetani, nell’omonima via. La stessa dimora
sotto le cui finestre, alcuni giorni dopo, la mattina del 9 maggio 1978,sarà
ritrovato il corpo senza vita del presidente democristiano. Gli ufficiali del Sismi
avevano ricevuto una soffiata dai servizi segreti israeliani. Perché proprio lì?
Probabilmente perché quel palazzo e le dimore vicine costituivano una sorta di
crocevia del partito inglese italiano. Politici, diplomatici, intellettuali, giornalisti
220

e personalità anglofile dell’intelligence intrecciavano le loro relazioni in quei
salotti. Ma gli agenti del Sismi si erano dovuti fermare sulla soglia di quelle
dimore. Tutte le inchieste non sono mai riuscite a oltrepassare quella soglia.
Perché è successo oggi è facilmente comprensibile grazie ai documenti britannici
che illuminano oltre mezzo secolo di storia dei rapporti fra Londra e Roma.
Ed è più facile da capire alla luce di una delle ultime dichiarazioni di Francesco
Cossiga, il più anglofilo dei politici italiani, ministro dell’Interno all’epoca del
sequestro. Due anni prima della sua morte, avvenuta nel 2010, consegnò a un
giornalista un interessantissimo documento che fu pubblicato su “Panorama” nel
marzo del 2008. Lui, amante e conoscitore della cultura e della storia inglesi più
di ogni altro uomo politico italiano, era ossessionato dal “nodo di via Caetani”.
Riteneva che fosse lì la chiave per decifrare la vicenda Moro, del suo amico
Moro. Soffriva di un profondo senso di colpa per non essere riuscito a salvarlo. E
covava una rabbia profonda nei confronti degli amici britannici a cui si era
rivolto, invano, per ottenerne la liberazione.«Guardi – disse al cronista - non ci
sono misteri da svelare, solo cose che non si potevano dire. Il documento che sto
per darle l’aiuterà a capire.»
Era una relazione riservata che gli aveva inviato il 19 novembre 1990 il Bnd, il
servizio segreto della Germania federale. All’epoca Cossiga era presidente della
Repubblica e girò quella relazione alla Procura romana e alla commissione
parlamentare Stragi e terrorismo, priva però della parte che i tedeschi avevano
secretato. Il punto che né i magistrati né il parlamento conoscevano è il ruolo
della Nato e della sua rete clandestina Stay Behind (in Italia conosciuta come
Gladio)durante il sequestro. Un ruolo cruciale che escludeva gli italiani,
affidando la gestione dell’intera vicenda a “unità speciali” Stay Behind, in quel
periodo coordinata da un direttorio di cui facevano parte Gran Bretagna, Francia,
Usa e Germania. Le autorità politiche e gli apparati del governo italiano, nel
corso di quei drammatici cinquantacinque giorni, furono ridotti al rango di puri
osservatori. All’Italia fu bruscamente ricordato il suo status di nazione sconfitta
221

in guerra, soggetta al controllo delle potenze vincitrici. In primo luogo alla Gran
Bretagna.
L’impossibilità di accedere alla dimensione internazionale e geopolitica
dell’affaire Moro ha prodotto nei decenni effetti perversi. Il caso è stato trattato
alla stregua di un grande episodio di cronaca nera, come il prodotto di una
situazione tutta interna italiana. Dall’altro lato è fiorita una sterminata letteratura
cosiddetta “complottistica” tendente a spiegare la vicenda come uno dei piani
orditi dalla capitale del male Washington. Due facce della stessa medaglia.
Entrambe hanno impedito che si arrivasse alla verità. Mai la vicenda è stata
affrontata nella sua vera essenza. Moro era l’espressione di quella parte del ceto
politico democristiano più autenticamente nazionale. Che aveva un progetto di
modernizzazione del paese e del suo sistema politico-economico. Ecco perché
Moro come Mattei si trovò al centro dei conflitti di tutto il mondo. E, come
Mattei, quando il suo progetto stava per concretizzarsi, fu ucciso.
La sua morte cambiò il corso della storia italiana, provocando effetti a catena. Le
Br continuarono colpendo i morotei. Caddero o furono intimiditi molti tra i più
importanti dirigenti che si ispiravano alla linea del leader scomparso. Il
presidente della Repubblica Giovanni Leone fu costretto a dimettersi. Perso il
Quirinale, la Dc finì per perdere anche la presidenza del Consiglio e la sua
centralità nel sistema politico italiano, a favore delle componenti più anglofile
dello schieramento laico-socialista. Accadde proprio quello che Moro aveva
previsto nelle lettere scritte dalla prigione del popolo durante i giorni del
sequestro. La leadership del partito fu assunta da Andreotti, che non fu però in
grado di stabilire con Enrico Berlinguer quel rapporto politico-intellettuale che si
era instaurato negli anni del compromesso storico. Preso di mira dal fuoco della
politica e dell’intellighenzia, allergiche al cattocomunismo, il Pci si rinchiuse nel
proprio fortino, perdendo sempre più lucidità di analisi e capacità di iniziativa
politica. La solidarietà nazionale finì un anno e dopo l’assassinio di Moro e
tornarono alla carica gli antimorotei. Nel congresso del 1980, passato alla storia
222

come il Congresso del preambolo, Donat-Cattin fu il promotore di un documento
di poche, ma pesanti, righe in cui si indicava il collante di una nuova alleanza
all’interno del partito: la chiusura di ogni dialogo con il Pci. Si formò una
maggioranza anticomunista e Piccoli venne eletto segretario al posto del moroteo
Benigno Zaccagnini. Dopo Moro, nulla è rimasto come prima. Il paese è
precipitato in una crisi sempre più grave e profonda. Ormai priva di leader capaci
di attuare strategie lungimiranti, l’Italia ha perso l’occasione del riscatto offerta
dalla caduta del Muro di Berlino. Il vecchio regime non è sopravvissuto alla fine
della guerra fredda. E dopo, nessuno è stato più capace di costruirne uno nuovo.
Tutto è andato in pezzi. A cominciare dalla grande industria di Stato, smembrata
e venduta alle banche anglosassoni. L’Italia ha, poco alla volta, perso tutte le
posizioni d’influenza che, da Mattei in poi, aveva conquistato nel Mediterraneo e
nei paesi in via di sviluppo, in particolare nel Maghreb e nel Vicino Oriente. La
morte di Moro ha avuto gli stessi effetti di un golpe: ha provocato gli stessi effetti
di una guerra devastante.
223

«Ustica: destins croisés. Quand en essayant de faire respecter les loi
d’un pays, on affecte les intérêts internationaux»
9. Les relations internationales
9.1 Introduction: les limites de la vérité judiciaire
Entre le début de les années soixante-dix et les années quatre-vingt-dix, Priore 63 a
conduit la plupart des processus de violence politique et de terrorisme qui ont
marqué l'histoire judiciaire italienne. Il a enquêté sur la tragédie d’Ustica, sur
l’attentat de la gare de Bologne et sur la tentative d’assassinat de Jean-Paul II du
13 mai 1981. Il a lu la biographie d’Igor Markevic, le chef d’orchestre d’origine
russe qui était impliqué dans l’affaire Moro. Bien que l’enquête soit conclue, il a
continué à s’intéresser à Markevitch, un personnage complexe, ami de François
Mitterrand, et qui était en contact avec la couronne britannique. Il avait non
seulement des relations avec Paris et Londre, mais aussi avec Tel-Aviv, Prague et
Berlin Est. Depuis la Seconde Guerre mondiale, Markevitch était en contact avec
des éléments du milieu artistique et avec les intellectuels du monde entier.
L’attentat de la Piazza Fontana et celui de la gare de Bologne, la tragédie
d’Ustica et le terrorisme sélectif, ont atteint leur point culminant avec
l'enlèvement et assassiner d'Aldo Moro.
Une longue période de l'histoire italienne, qui, à partir de 1969, a été
profondément marquée par la violence politique, qui a causé des centaines de
morts et des milliers de blessés, pourquoi est-ce arrivé? Et pourquoi en Italie? Il
n’a jamais cessé de rechercher une réponse à ces questions. Il a lu et relu la
montagne de papiers stockés dans ses archives. Il a passé en revue les notes de
ses nombreuses rencontres avec les gens qui savaient, italiens et chefs des
63 Magistrat, depuis plus de trente ans. Au début des années soixante, quand il arrive à Rome, travaille auprès de la
Cour de Rome, il suit de nombreux cas de violence et de terrorisme (national et international) : l'affaire Moro et la
tragédie d'Ustica, les attentats Palestiniens et le tentative d'assassinat de Jean-Paul II du 13 mai 1981.
224

services de renseignement étrangers, hommes politiques et anciens terroristes. Il
a cherché de nouvelles preuves. Il a lu tous les livres sur chacun des thèmes
abordés dans ses enquêtes. Le pouvoir judiciaire n'est jamais arrivé à la vérité
parce que le travail des juges a toujours dû faire face à des obstacles
insurmontables : des dépistages, des papiers volés, des informations démenties,
des témoins disparus. La demande de justice et la vérité sont venues souvent en
conflit avec la Raison d'État. Depuis plusieurs décennies, l'histoire des enquêtes
en relation avec les actes de terrorisme a été affectée par deux des intérêts
irréconciliables de l'Etat: le besoin de garantir la légalité et de sanctionner les
responsables ; mais aussi d'empêcher que la garantie du principe de légalité nuise
aux intérêts supérieurs de l’Italie, à ses relations avec d'autres pays et à l'équilibre
global. Au cours de ses enquêtes, Priore identifie un troisième joueur, engagé à
attiser les tensions nationales italiennes.
Il parle des guerres en Italie, qui sont une suite de conflits menés par les
souverains français et anglais pour l'hégémonie en Méditerranée et pour le
contrôle des sources d'approvisionnement au Moyen-Orient. Dans le contexte de
la guerre en Méditerranée on peut aussi comprendre deux des mystères les plus
denses de l'Italie d'après-guerre: la tragédie d'Ustica, où on a combattu une
véritable guerre aérienne ; et l’attentat de la gare de Bologne. Depuis longtemps
la Méditerranée n'est plus une mer de paix. Aujourd'hui plus que jamais, Elle est
traversée par des conflits violents, des guerres civiles, par le terrorisme et par la
criminalité transnationale. La Méditerranée a été une mer de paix quand les côtes
asiatiques et celles africaines faisaient partie du même empire, l'Empire romain,
caractérisé par une seule loi, et, à partir de l'Édit de Constantin 64 , une religion
unique. Puis vint l'Islam et l'unité éclata. En particulier dans les Balkans, où la
religion est aujourd’hui la source de conflits majeurs. Cette situation persiste
aussi de nos jours à cause de l’ancien projet de construire le premier état
64 promulgué par les empereurs Constantin Ier et Licinius en avril 313,. Cela s’agit d’un édit de tolérance qui accorde
la liberté de culte à toutes les religions et permet aux chrétiens de ne plus devoir vénérer l'empereur comme un dieu.
225

islamique en Europe. «Rome qui sera prise à l’épée». Comme on peut lire dans
de nombreux textes de l'intégrisme.
En Italie, la haine et la violence semblent celles qui sont typiques des guerres
civiles; même en Espagne et en Grèce, pour nommer que deux exemples, où il y
en a eu. La violence est très répandue dans notre pays. Elle est politique,
syndicale et sociale. Ca nous remue. Dans d'autres pays on n’est jamais arrivé à
l'élimination physique. En Italie, une personne avec une idéologie différente c’est
un ennemi. Dans les autres pays de l'Occident, au contraire, le conflit est le seul
de la démocratie, parce les intérêts essentiels sont les mêmes. Une tradition de
conflit qui a été renforcée au milieu du XXe siècle en raison de notre situation de
pays frontalier, où, pendant la guerre froide, se sont heurtées les grandes
idéologies du XXe siècle et aussi les deux blocs militaires avec leurs arsenaux
nucléaires.
A partir de 1969 la situation semble être hors de contrôle. Selon le juge Rosario
Priore, la clé pour comprendre ce qui s'est passé pendant ces années, ne se trouve
pas dans les arrestations de la justice:
«En tant que juge, j'ai tenté de me rapprocher le plus possible de la vérité en me
basant sur les faits. Mais il faut aussi tenir compte de la vérité historique. Le
magistrat reconstitue les faits à la recherche du coupable, afin de répondre aux
besoins de qui doit prononcer un jugement. Au cours des années de plomb, nous
avons été obligés de travailler sous la pression des événements qui se sont
succédés à un rythme impressionnant. Je me souviens en particulier des jours
entre le 16 et le 19 Mars 1980, quand trois juges ont été victimes d’agression.
Notre enquête sur le terrorisme a reconstitué, en termes généraux, l'ensemble des
faits. Puis il fallait un travail de reconstruction du contexte ou des contextes qui
ont conduit à ces événements. Mais ce travail n’a jamais eu lieu. En ce qui
concerne le terrorisme rouge, dans la grande majorité des cas, les auteurs ont été
identifiés et leurs organisations démantelées. Mais pour les massacres l'impunité
est la règle. Diverses organisations subversives de terrorisme noir ont été
226

désarticulées. Dans ce cas le démantèlement a été plus efficace. Le niveau
intellectuel des organisations de gauche reste dans l'ombre. En ce qui concerne
les massacres organisés à niveau international ne sont pas resté impunis;
heureusement nous avons individué les auteurs mais les procédures de sanctions
n’ont jamais été respectées. En parlant de massacres au niveau international
j’entends les attentats de l’aéroport de Fiumicino organisés par les terroristes
palestiniens de Septembre noir en Décembre 1973 et en Décembre 1985. Mais
aussi à toutes les autres qui ont frappé Rome dans les années Soixante-dix et
Quatre-vingt 65 .»
A l'époque on ne parlait pas de terrorisme de matrice islamique, parce que les
groupes terroristes étaient laïques, ils n’étaient pas influencés par des idéologies
religieuses. Ils recherchaient soutien à Moscou ou à Pékin, selon leurs besoins.
Pour cette raison, avec l'aide des autres pays européens, on a pu combattre ce
phénomène. Les responsabilités des massacres commis entre 1969 et 1974, et
attribués aux néo-fascistes, restent encore incertaines. Et on peut dire la même
chose pour l’attentat de la gare de Bologne en 1980 et la tragédie d'Ustica
survenue la même année. Il ya encore une vérité historique à découvrir. Et aussi
la vérité judiciaire semble être très précaire. En ce qui concerne les massacres on
ne peut pas encore écrire le mot fin, au moins du point de vue de la vérité
historique. Il existe un cadre national qui détermine la naissance d'organisations
subversives rouges ou noires. Mais il y a aussi un contexte international ou des
contextes multiples qui affectent nos affaires internes, afin de les exploiter.
Quelqu'un de l'étranger a profité de la faiblesse de notre pays et de nos
institutions. Nous sommes un pays avec des structures démocratiques très jeunes.
D'autres pays ont réagi plus avec force aux phénomènes du terrorisme. C’est le
cas de l'Allemagne et de la France, qui ont remédié à ce problème en un laps de
temps très court. La fragilité de nos institutions, a encouragé l'interférence par
des institutions étrangères dans nos conflits internes. Les services de
65 G,Fasanella, R.Priore – “Intrigo internazionale. Perché la guerra in Italia. Le verità che non si sono mai potute
dire”, Milano, Chiarelettere editore srl, 2010, pp. 13, 14, 15
227

enseignement qui avaient intérêt à jouer à certains jeux sur notre territoire, l’ont
fait pour protéger leurs intérêts ou ceux du bloc auxquels ils appartenaient. Les
grands massacres en Italie sont des opérations politiques visant à nous tenir en
échec.
9.2 La France, l’Angleterre, l’Italie et Mouammar Kadhafi au cours de la
guerre entre les deux blocs: Etats-Unis et URSS
Les conflits l’Est et l’-Ouest n'ont jamais dépassé une certaine limite. On parle
des plus violents, ceux qui auraient pu provoquer le déplacement d'un pays d'un
bloc à l'autre. Ils n'ont jamais atteint ou dépassé la limite au-delà de laquelle la
guerre n'aurait plus été froide ; en tenant compte des arsenaux nucléaires à leur
disposition.
Il y avait ceux qui ne respectaient pas la subdivision du monde en zones
d'influence, établie par les puissances victorieuses de la Seconde Guerre
mondiale au cours de la Conférence de Yalta 66 . Quelqu'un a saboté cet équilibre.
La limite de Yalta c’était sa structure absolument rigide, qui a été défendue au
prix de l'intervention militaire. C'était un équilibre fondé sur les baïonnettes. Des
critiques à Yalta, ont été soulevées formulées par les payes de l'Occident, qui
soutenaient illégalement les forces qui s’opposaient au communisme. Mais aussi
de l'Est, parce que cette division trop rigide entravait les intentions des
communistes qui voulaient étendre leurs influences et leurs modèles de société.
Yalta, en fait, empêchait qu'une nation insérée dans un bloc pouvait passer de
l'autre côté. Les grandes puissances ont essayé de « voler » les pays du bloc
adversaire. Cela est arrivé quand les Etats-Unis ont favorisé les insurrections
antisoviétiques. Quant aux Soviétiques, ils fomentaient des guerres civiles dans
66 Conférence qui a pour but de réunir à Lévadhia (Yalta) Roosevelt, Churchill et Staline en vue de régler les
problèmes posés par la défaite récente des Allemands. Signés en Février 1945, les accords de Yalta ont été présentés
comme un partage du monde entre les Américains et les Soviétiques dans les zones d'influence. Les expressions
impropres telles que «l'équilibre de Yalta» ou «le monde de Yalta» ont servi notamment, jusqu'à la fin des années
1980, à affirmer l'existence d'une domination commune et négociée du monde par les deux superpuissances. En fait,
la conférence de Yalta reflète surtout les rapports de force sur le terrain, rapports qui vont inéluctablement conduire à
la guerre froide.
228

le bloc atlantique et de mouvements anti-américains. Ils ont essayé de desserrer
les liens avec Washington ou Moscou. Nombreuses furent les manœuvres de ce
genre dans notre pays. Du point de vue du droit international et de la politique,
pas un seul Etat a changé de camp, du moins jusqu'à la chute du mur de Berlin
qui a comporté la dissolution du Pacte de Varsovie. Dans certains pays il y a eu
des tentatives de changer les lignes de la politique interne, légalement ou pas.
Prenons le cas des Brigades rouges.
Il ne s’agissait pas de décider si l’Italie pouvait ou non faire partie de l’OTAN ; il
fallait vérifier le degré de fidélité ou d'infidélité aux lignes américaines de notre
pays. Parce que notre politique étrangère a toujours été caractérisée par une
tradition de changements de flanc. L'Italie était partagée intérieurement en deux
blocs: le Parti communiste et les anti-communistes. L'influence croissante du
Parti communiste dans la politique italienne et le contrôle de certains domaines
du pouvoir, pouvait entrainer un décalage de l'axe de notre politique étrangère en
faveur de l’URSS. Mais la situation italienne a toujours été compliquée. Le jeu
joué par les Etats-Unis et l'URSS sur le territoire italien, a été joué avec l'arme
des élections politique, donc d’une manière pacifique. Mais la violence et le
terrorisme, à partir d'une certaine période, a influencé le cours de la vie politique
italienne. C'est arrivé après l’attentat de la Piazza Fontana: le début d'une phase
de l'histoire qui n'est pas encore terminée.
Le contexte de ces années est caractérisé par un élément important: la crise
irréversible de tout équilibre politique qui exclut le Parti communiste. L'approche
des communistes italiens au pouvoir conduirait à la modification de la structure
interne d'un pays, l’Italie, située dans une région stratégique; ainsi qu'un
changement de l'équilibre de la Méditerranée et du marché européen. Ce
phénomène produira des effets tout au long de la chaîne de l'Alliance atlantique.
A l’époque, l’Italie était une puissance en Europe. Pas seulement pour sa position
géopolitique géostratégique, mais aussi pour sa situation économique. L’Italie
était un pays vaincu dans la Seconde Guerre mondiale, mais elle est devenue une
229

nation capable de rivaliser même avec les gagnants: la Grande-Bretagne et la
France.
Le Parti communiste italien s’est éloigné de l’idéologie soviétique. Surtout à
partir du moment où Enrico Berlinguer 67 a commencé à s’imposer dans le
panorama politique italien. C’est l’Europe son objectif, l'Occident. Et cela a
ennuyé profondément les plus conservateurs du bloc soviétique, qui ont toujours
considéré Berlinguer un danger potentiel. Berlinguer a été considéré dangereux,
même par les plus conservateurs de l'atlantisme, encore plus insidieux des
Faucons rouges. Son communisme semblait être une sorte de cheval de Troie qui
cachait le communisme soviétique le plus despotique. La politique de Berlinguer
était une grave menace pour l'équilibre de Yalta. Afin de comprendre ce qui s'est
passé en Italie, il faut tenir compte du fait que l'Amérique n'était pas entièrement
anticommuniste. Et même dans les forces soviétiques il y avait aucunes
personnalités en faveur du dialogue. Dans les deux blocs, les progressistes et les
conservateurs étaient souvent en conflit. Et ce conflit a laissé sa marque sur la
situation italienne, qui plus est déterminée par des événements extérieurs à nos
propres idéologies. Tout simplement parce que nous sommes un pays faible par
rapport aux grandes puissances, nous sommes plus sensibles à la volonté des
autres Etats. Nous tendons à nier cette relation de dépendance parce que nous
devons faire un effort pour apparaître normaux et indépendants, alors que nous
n'avons jamais été ni l'un ni l'autre. On a parlé du jeu mondial. Ils existent
d'autres importantes régions de conflit dans lesquelles nous sommes placés. La
Méditerranée, où il y a des intérêts immenses.
67 Il est né à Sassari en 1922 dans une famille aisée. Enrico Berlinguer a été le secrétaire général du Parti communiste
italien, depuis 1972 jusqu'à sa mort. Cousin de Francesco Cossiga. Le thème central de sa politique était la
dénonciation de la corruption et de l'inefficacité du système démocratique des partis politiques. Berlinguer assignait
aux partis un rôle éducatif et de médiation sociale et politique. Le Compromis Historique aurait eu comme point focal
le monde catholique. Cette ouverture culturelle des Communistes de Berlinguer était accompagnée par une nouvelle
politique étrangère détachée des idéologies soviétiques (cette politique peut expliquer le soutient des communistes au
«Printemps de Prague» et la condamnation ultérieure de l'intervention réactionnaire soviétique). Il cherchait
l'intégration européenne du Communisme italien à travers l'alliance, non seulement avec les partis communistes
européens: c’est-à-dire avec le projet nommé Eurocommunisme, mais aussi avec la social-démocratie, d'abord avec le
SPD de Willy Brandt et le Parti travailliste de Harold Wilson.
230

En Europe, les relations sont plus statiques, parce que les nations connaissent les
limites à ne pas dépasser. Mais dans certaines régions de la Méditerranéenne, il y
a une forte instabilité et les populations sont influencées par des idéologies et des
religions en conflit depuis des siècles. L'Italie a oublié que la Méditerranée n'était
plus l’ancien «Mare nostrum». Au fil des siècles, elle était devenue une mer
anglaise. La Grande-Bretagne contrôlait les routes d'accès aux ressources de la
Méditerranée (le Détroit de Gibraltar et le Canal de Suez), les principaux piliers
de routes nationales (l’Ile de Malte et de Chypre), ils avaient le contrôle des côtes
de l'Afrique du Nord et du Moyen-Orient entier. La Grande-Bretagne pouvait
empêcher le mouvement Est-Ouest et Nord-Sud.
Au cours du XXe siècle, l’Italie a essayé d’acquérir une position dominante dans
la Méditerranée, pour redimensionner la présence britannique dans cette région.
Mais malgré le fait que la flotte italienne, à certains moments, a été encore plus
grande que celle anglaise, n'a jamais été vraiment en mesure de faire face à
l'adversaire. Ces efforts ont eu de grands protagonistes. Enrico Mattei a mis en
œuvre une politique de puissance et d'expansion dans la région, en utilisant des
méthodes qui ont irrité les autres pays occidentaux. L'homme qui lui a succédé
c’était Aldo Moro 68 , qui poursuivait le même objectif dans le domaine politique.
Même ses initiatives sont entrées en conflit avec ceux qui avaient des intérêts en
Méditerranée.
La coïncidence est frappante: les deux principaux protagonistes de la politique
d’expansion italienne en Méditerranée, à un moment donné, ont été assassinés.
Deux assassinats qui sont de toute évidence politiques. Les hommes qui sont
capables de réaliser des grandes initiatives, engendrent des réactions autant
fortes.
68 Il est né à Maglie en 1916 et mort à Rome le 9 mai 1978. Il était un homme politique italien., et a été Cinq fois
Président du Conseil des Ministres et Président du Parti de la Démocratie Chrétienne. Il a été enlevé le 16 mars 1978
et assassiné le 9 mai, après 55 jours de captivité. Aldo Moro et Amintore Fanfani étaient les chefs de la démocratie
chrétienne. Au début du 1978, Moro, qui alors était le président du Parti de la Démocratie Chrétienne, était l'homme
politique le plus important parmi ceux qui ont pensé que le gouvernement de «solidarité nationale» était possible. Il
s'agissait donc d'un gouvernement qui comprenait également le PCI dans la majorité, même s'il n'avait aucun pouvoir
dans le gouvernement. Cette solution présentait beaucoup de risques en ce qui concernait la politique internationale,
parce qu'il n'avait pas le consensus des grandes superpuissances.
231

La France était l'une des principales victimes de la politique étrangère italienne.
Mattei a financé et appuyé de toutes les manières la guerre de libération
algérienne du joug français. Ensuite, l'Algérie a renforcé grâce à l'aide de l'Italie.
Même aujourd’hui on garde de relations d’alliance et de coopération économique
avec l’Algérie.
La politique pétrolière italienne était basée sur une relation plus égalitaire avec
les pays producteurs. L’Ente Nazionale Idrocarburi (ENI) de Enrico Mattei,
garantissait le cinquante pour cent des profits aux pays producteurs, contre le
trente pour cent des autres entreprises occidentales. De cette manière, l'Italie a
porté un coup fatal aux intérêts Britanniques et Français. La politique
méditerranéenne de l'Italie s’est basée aussi sur une propagande visant à
défavoriser les concurrents. Cela vaut, en particulier, pour le film «La Bataille
d'Alger" 69 de Gillo Pontecorvo. Bien qu'il n'y ait aucune preuve pour l’affirmer
avec certitude, ce film pourrait avoir été promu par le gouvernement italien. Il a
été bien accueilli au niveau politique, parce qu'il a donné au monde entier une
idée très négative de la France: un pays qui opprimait l'armée algérienne et qui ne
dédaignait pas d’en torturer les composants. Une magnifique opération de
propagande contre les Français.
Il y a eu aussi des tentatives italiens d’influencer la politique intérieure des pays
de l’Afrique du Nord, en favorisant les factions qui avaient de liens avec les
italiens. Le gouvernement italien a influencé le cours de la politique intérieure de
ces pays. En Tunisie, par exemple, l'Italie a favorisé le passage de Zine El-
Abidine Ben Ali à la fonction de chef de l'Etat, en 1987; en écartant du pouvoir
Habib Bourguiba, un nationaliste avec des tendances francophiles. Même si on
dit que Bourguiba a été écarté du pouvoir pour des raisons de santé. En fait, il
69 C’est un film italo-algérien de Gillo Pontecorvo, sorti en 1966. Le récit prend pour cadre, comme son titre l'indique,
la bataille d'Alger qui, durant la guerre d'Algérie, opposait l'armée française aux indépendantistes du Front de
libération nationale. Le film voit le jour en 1965, trois ans après la fin des hostilités en Algérie, lorsqu'un des chefs
militaires du FNL à Alger, Yacef Saadi, propose au réalisateur communiste italien l'idée d'un film basé sur son
expérience dans l'Armée de libération nationale algérienne (ALN). La présentation officielle de ce film au Festival de
Venise en 1966 suscita la mauvaise humeur de la délégation française qui n'assista pas à la projection du film.
232

s’agissait d’un coup d’Etat, comme l'a admis l'amiral Fulvio Martini, ancien
directeur du SISMI, le service d’Information italien de cette époque.
Pour parler encore du conflit avec la France, l'intervention italienne était
également évidente en Corse. Là-bas il y a toujours eu une politique italienne
clandestine en faveur d'une plus grande autonomie corse par rapport aux français.
Comme dit le juge Rosario Priore:
«À certains égards, la Corse est beaucoup plus italienne que la Sardaigne. Notre
soutien à la cause de la Corse était évident. Ils ont pu installer dans le territoire
italien les stations de radio des indépendantistes corses, sans que nos autorités
intervinssent. Et on ne peut pas exclure qu’il y ait eu aussi d'autres types d'aide.
Au début, les Français se sont limités à exprimer leurs doléances. Puis ils sont
passés à l'action en faisant sauter certaines stations de radio. Dans les années
Quatre-vingt, à la frontière entre l'Italie et la France, on a aussi trouvé les corps
de nombreux agents des services d’Informations, qui étaient morts dans des
circonstances suspectes. Il est fort probable que ces épisodes étaient liés à la
question de la Corse 70 .»
On a mis l’accent sur les conflits avec la France à propos de la région du
Maghreb et de la Corse; mais l’Italie avait des conflits aussi avec l'Angleterre, en
ce qui concerne la situation de la Libye, qui à partir de la Seconde Guerre
mondiale était sous le mandat britannique. Cette guerre souterraine a continué au
moins jusqu'aux années Soixante-dix. Cette décision avait été précédée par un
conflit très dur. Les États-Unis et l'Union Soviétique voulaient qu’une partie du
territoire libyen restât sous mandat italien. Mais l’Angleterre a vaincu.
L'influence britannique en Libye était basée sur la puissance de la famille du roi
Idris. En 1969 suite au coup d'Etat des jeunes colonels dirigés par Mouammar
Kadhafi, le royaume du roi Idris trouvait sa fin. Ce coup d'Etat avait été organisé
dans un hôtel italien de Abano Terme. Quand Kadhafi a pris le pouvoir, les
italiens lui ont envoyé des navires chargés de chars qu’il a utilisé pour la parade
70 Voir note explicative 62, p.31
233

triomphale. On a même laissé nos défenses de frontières sans protection. Nous
savions ce qu’il y avait dans celle boîte de sable, parce que nous y avions fait
quelques recherches avant la guerre. Nous savions qu'il y avait le pétrole, et nous
savions aussi que la Libye aurait pu être notre réserve stratégique: le carburant de
notre développement économique. Les Libyens ont immédiatement fermé les
bases militaires britanniques et américaines. Des milliers d’Italiens ont également
été expulsés, mais malgré cela, l’Italie est rapidement devenue le principal
partenaire économique de Kadhafi. En ayant perdu la Libye, les britanniques se
sont trouvés hors de la Méditerranée. En fait, ils ont été forcés de quitter aussi les
îles de Malte et de Chypre. Les réactions anglaises contre l’Italie ne sont pas
manquées. Selon une théorie, qui n’a pas encore été prouvée, les anglais auraient
une part de responsabilité en ce qui concerne l’attentat de la Piazza Fontana. Cet
attentat a eu lieu en Décembre 1969, trois mois après du coup d'Etat de Tripoli.
En outre, les organisations néo-fascistes italiennes, accusées de l’attentat, avaient
des liens avec le prince Valerio Borghese, qui était proche aux services
d’Informations britanniques.
Il faut aussi tenir compte du fait que l’expression «stratégie de la tension» a été
inventée par la presse britannique exactement en Décembre 1969 71 . Cette
expression ne cesse d'être la clé d’interprétation pas seulement de l’attentat de la
Piazza Fontana, mais de l’entière période des années de plomb.
Il est également important de se rappeler de l'accusation explicite aux Anglais
faite par le Président de la République de l’époque: Giuseppe Saragat. Quelques
jours après l’attentat, Saragat réagit en accusant les Anglais, soupçonnés d’avoir
des liens avec l'environnement dans lequel le projet avait été mis au point. Les
anglais avaient immédiatement essayé de récupérer ce qu'ils avaient perdu en
Libye. Mais ils ont failli, parce que l'Italie, protégeait le régime de Kadhafi.
Un an après le coup d'Etat, ils ont organisé une expédition militaire secrète
nommée Opération Hilton. En 1971, ils ont planifié une attaque contre Kadhafi.
71 Voir note explicative 62, p.33
234

Mais l'opération failli, parce que l'intelligence italienne intercepta le navire
mercenaire dans le port de Trieste et averti immédiatement le chef d’Etat libyen.
L’Angleterre n’eut que le contrôle du détroit de Gibraltar. D’autre part, l'Italie
gagna le prestige politique et militaire, et l'OTAN confiait à l'amiral Gino
Birindelli le control de la région sud-méditerranéenne.
Il n’aurait pas été possible de mener à bien ces projets, si une grande puissance
comme les Etats-Unis ne l’aurait pas permis. L'Amérique nous a toujours laissé
faire. L’Amérique a exploité l'Italie pour contenir l'expansionnisme français et
anglais dans la Méditerranée. Les Etats-Unis craignaient que le renforcement de
l'Angleterre et de la France dans la Méditerranée, pût restaurer la situation
d’avant-guerre, quand la domination britannique était presque inégalée. Cette
domination avait été menacée seulement par le fascisme. Donc les Etats-Unis
souhaitaient que l'Italie se développât. Surtout pour contenir l’influence du
communisme le long de la frontière orientale. A la fin de la Seconde Guerre
mondiale, les Soviétiques avaient déjà planifié et organisé leur stratégie
d'expansion vers la vallée du Pô. Lorsqu’il y a eu des conflits territoriaux, les
Américains ont toujours protégé nos anciennes frontières. Quand en 1945, en
profitant de la fin des hostilités, les Français ont occupé la Vallée d'Aoste, les
Américains ont menacé d'envoyer leurs chars pour les persuader de renoncer.
9.3 Le conflit pro-arabe italien et le conflit avec Israël
La politique méditerranéenne et pro-arabe italienne a agacé les Français et les
Britanniques. Mais en cette région il y a aussi un autre acteur: l’Etat d'Israël, qui
a toujours été en conflit avec le monde arabe, qui veut le détruire. Israël était
donc ami de l'Italie et un ennemi mortel de nos amis arabes.
L’attitude de l'Italie, comme celle d’autres pays européens, envers Israël n'a pas
été constante au fil des années. Quand l'Etat d'Israël avait été fondé,
immédiatement après la guerre, il n'y avait pas de conflits. Aux yeux des Italiens
et selon les payses européens, il s’agissait d’un pays libéral, mais pas
235

communiste. Un pays qui essayait de trouver de nouvelles solutions aux
problèmes économiques et sociaux. Le collectivisme démocratique qui
caractérisait son système économique, fascinait beaucoup les intellectuels; qui
avaient déjà une certaine sympathie pour le peuple juif, qui avaient réussi à
trouver son propre territoire. Les problèmes ont commencé quand la politique
israélienne a subi une rotation de 180 degrés et, par conséquent, aussi la
perception de cet état en Italie et en Europe a commencé à changer. Israël a fini
par perdre beaucoup de son charme, en devenant un problème de plus en plus
compliqué pour nos relations internationales. Italie s'est rendue compte que la
politique israélienne pouvait lui créer de sérieuses difficultés. Et l’Israël ne
pouvait pas supporter que la nation la plus forte de la Méditerranée c’était un
pays ami des arabes.
Entre l'Italie et l’Israël il y a toujours eu une compétition pour établir qui était le
meilleur gardien des intérêts de l’Occident dans la mer Méditerranée. Les
Américains pensaient que c'était l'Italie à donner plus de garanties à cet égard.
Mais les choses ont changé. Nous avons fait des choix un peu trop biaisée en
faveur des Arabes, qui ont provoqué la réaction des États-Unis. Israël, s’est donc
démontré le pays le plus digne pour remplacer l'Italie dans ses fonctions de
protecteur des régions périphériques de l'empire de Washington. Les Israéliens se
considèrent comme la seule alternative à l'Italie. Nous avons essayé de maintenir
un certain équilibre entre les Arabes et les Israéliens, mais les intérêts pétroliers
nous ont fait faire la faveur de la cause du monde arabe. En effet, à partir d'un
certain point, nous sommes devenus les protecteurs des intérêts des Arabes et des
Palestiniens. Au point de tolérer le terrorisme pratiqué par des organisations
palestiniennes contre les israéliennes dans le territoire italien. Au début des
années Soixante, certaines organisations palestiniennes ont décidé d'exporter la
guerre contre Israël en Europe. Ils avaient compris que pour influencer l'opinion
publique et les chefs politiques européens, c’était mieux d’accomplir les actions
armées sur notre continent plutôt que dans le Moyen Orient. De nombreux pays
236

européens ont été transformés en champs de bataille, même l’Italie. On a déjà
mentionné le massacre de l'aéroport de Fiumicino en 1973. Mais le
gouvernement italien a fait un accord avec les Palestiniens. Et sans doute aussi
d'autres gouvernements européens l’ont fait. Tout le monde était terrifié. Ce pacte
secret c’est le «prix Moro», ce prix doit son nom à l'homme politique italien qui a
eu la capacité et le courage de le concevoir et de le réaliser. L'accord permettait
aux Palestiniens de maintenir des bases logistiques sur notre territoire, en
échange de la non-agression. Pour cette raison, pour une période, en Italie il n'y a
plus eu d'attaques de matrice palestinienne. Il faut dire, cependant, que même en
faveur des Israéliens, nous avons fermé un œil. Et quelques fois les deux.
Les Israéliens aussi ont pratiqué des formes de terrorisme sur le territoire italien.
Une forme de représailles contre les Palestiniens et, dans certains cas, même
contre les Italiens. Toutes les enquêtes, à l'exception de cas très rares, n’ont pas
obtenu les résultats espérés.
On sait, par exemple, que le Mossad a contacté les Brigades rouges de Renato
Curcio et Alberto Franceschini pour lui offrir de l’aide. Aux Israéliens il suffisait
que les Brigades Rouges existaient. Pourquoi garder l'Italie dans un état de
constante fibrillation interne, ça signifiait affaiblir la considération que les États-
Unis avaient d’elle.
9.4 Le réseau Feltrinelli 72
Aussi l’Allemagne de l'Est avait ses intérêts en Italie, et ses services
d’informations étaient très actifs. La Bulgarie, qui pour une certaine période,
avait été déléguée par l’Union Soviétique et par d’autre pays du Pacte de
Varsovie, pour exécuter certaines fonctions contre l’Italie; désormais la
contrôlait, aussi bien que le faisait d’autre pays afin d’avoir la situation politique
du pays sous contrôle
72 surnommé Osvaldo, est né à Milan en 1926 et il est décédé en 1972 à Segrate dans des circonstances suspectes.
C'était un important éditeur et activiste italien. Fondateur de la célèbre maison d'édition Feltrinelli et, en 1970, du
Groupe d'Action Révolutionnaire (GAP), l'une des premières organisations armées des années de plomb.
237

L'Union soviétique a rompu ses relations avec le Br à l'époque de l'affaire Moro,
lorsque Moscou a commencé à se rendre compte du danger de cette organisation
subversive. Une partie de la diplomatie soviétique a pris les distances du
terrorisme italien, parce qu'il craignait qu’on puisse remonter aux responsabilités
de Moscou, et que les anciens liens soient révélés.
Les Soviétiques avaient des contacts avec le Brigades Rouges, en particulier à
travers les services des pays satellites comme Allemagne de l'Est et la
Tchécoslovaquie.
Immédiatement après la guerre, Prague a été le refuge des communistes italiens
responsables des vengeances partisanes menées dans le «triangle de la mort» à
partir du 25 Avril 1945, et aussi de plusieurs auteurs des crimes du Volant rouge,
une organisation paramilitaire du Parti communiste, le précurseur des futures
Brigades rouges. On pouvait arriver facilement de l’Italie à la Tchécoslovaquie.
On dit qu'il y avait une sorte de «chemin Feltrinelli» qui traversait les propriétés
de cette famille; en partant des forêts du Trentin et du Frioul pour se rendre sur le
territoire autrichien et arriver jusqu’à la frontière tchécoslovaque. Giangiacomo
Feltrinelli avait beaucoup de relations avec Prague. A partir de la période dans
laquelle il militait dans le Partit Communiste Italien, il a commencé à entretenir
des relations aussi avec l'aile insurrectionnelle du parti; avec les partisans qui,
après la résistance, pensaient que la lutte armée devait continuer afin d’établir le
communisme en Italie.
Pietro Secchia, Francesco Moranino, Giangiacomo Feltrinelli: sont les
composants de l'axe autour duquel agissait le groupe de terroristes. Une menace
pour le parti de Berlinguer. Secchia était l'homme qui rêvait la révolution.
Moranino, qui avait étudié dans une école de sabotage des services
Tchécoslovaquie en était l’organisateur. Feltrinelli était un homme d'influence
dans le monde de la culture, mais aussi l’homme qui a signé le passage à la lutte
armée. Ses actions et ses contacts, qui ne se limitaient pas seulement aux pays
communistes, s’étendaient jusqu’à la France et l'Angleterre. Le début de la lutte
238

armée en Italie coïncide avec l'action de l’organisation de Feltrinelli, qui naissait
à Prague. Il a poursuivi, pendant une certaine période de temps, le projet de
transformer la Sardaigne en une base de soutien pour tous les mouvements
révolutionnaires qui opéraient dans les pays riverains de la mer Méditerranée. Il
voulait l'indépendance de l'île. On a même parlé de l’atterrissage d'un millier de
fusils en Sardaigne pour constituer le premier arsenal de la lutte armée. Il tenta
une approche aux bandits sardes, qui aurait dû être le bras armé de l’organisation,
contre la République italienne. Ca n’est pas arrivé à cause de l'opposition de la
criminalité organisée sarde. Les Brigades rouges, après la fin des années
Soixante-dix, ont essayé de reprendre leur projet. Les intérêts de Feltrinelli,
arrivaient jusqu’à la Grèce. Ici, en 1970, il y a eu un épisode destiné à avoir une
importance énorme dans l'histoire du terrorisme international: le bombardement
de l'ambassade américaine d’Athènes. La bombe a explosé prématurément à
cause d'un défaut de la minuterie, les deux assaillants ont été tués. L'attaque avait
été organisée en Italie. C’était le Superclan, le niveau supérieur et plus occulte
des Brigade rouges, qui avaient organisé cet attentat. Il avait été fondé par
Corrado Simioni, qui, après la mort de Feltrinelli s'installa à Paris, où il a
continué à gérer l’organisation de l’école de langues parisienne Hypérion.
La fonction de refuge pour les fugitifs italiens, qui, dans les années Cinquante et
Soixante était attribué à la Tchécoslovaquie, au cours des années Quatre-vingt est
passés à la France. Simioni a hérité le réseau de relations construites par
Feltrinelli, après sa mort. Feltrinelli a utilisé sa maison d'édition pour recruter
parmi les intellectuels du monde entier, ceux qui sont devenus les terroristes des
Brigades rouges. Le réseau Feltrinelli, c’était un réseau d'influence culturel et
idéologique.
Il est possible que ce réseau d'influence ait été créé afin de diffuser le
communisme en Europe. Le même rôle qui avait le Congrès pour la liberté de la
culture promu par la CIA, depuis les années Cinquante, pour influencer l’opinion
publique occidentale. Il s'agissait d'un réseau qui visait à créer une opinion
239

publique favorable à certains intérêts idéologiques, ceux soviétiques. Cependant,
il n'existe aucune preuve de collusion du Congrès avec les organisations
subversives. On ne peut pas dire de même du réseau Feltrinelli. Il y avait des
gens qui étaient idéologiquement convaincus que les révolutions étaient tout à
fait légitimes. Feltrinelli a soutenu de multiples formes de terrorisme armé. Et il
l’a fait en suivant un projet très précis: la construction d’un parti armé.
Un projet qui a survécu à lui-même. C'était le projet de Corrado Simioni, du
Superclan et des militantes de l’Hypérion. Le projet de devenir les leaders et les
guides idéologiques de toutes les organisations qui s'opposaient à l'État sous
forme de violence et contre la dictature de classe.
Est-il possible qu'un homme de culture comme l’était Giangiacomo Feltrinelli, ait
vraiment cru qu'il pouvait mener une révolution armée dans un pays comme
l'Italie? Selon Rosario Priore, cela était possible:
«Il n’était pas le seul à le croire possible; beaucoup d'autres personnes, ayant une
expérience politique encore plus grande, en étaient convaincus. Ils pensaient
qu’un attentat ou n’importe quel genre d’action armée, cela était suffisant pour
pousser les gens à l'insurrection. Je me rappelle que, dans la matinée du 16 Mars
1978, quand les Brigades rouges ont enlevé Moro, nombreux accidents se sont
vérifiés à Rome; des voitures et des autobus ont été incendiés, la gare de Termini
allait être prise, et les gens sur le transport public chantaient à la réussite de
l'opération. Je me souviens très bien du climat: il y avait ceux qui s'attendaient à
tout moment que les gens descendaient dans les rues pour s’unir aux Brigades
rouges 73 .»
La Tchécoslovaquie avait toutes les raisons de détester l’Italie, à cause du soutien
des communistes italiens pour les organisateurs du Printemps de Prague. Mais le
soutien aux organisations armées italiennes était aussi le plan de certains pays de
l'Europe occidentale, les amis et les voisins qui ont cherché à affaiblir les
concurrents : "A la guerre comme à la guerre".
73 Voir note explicative 62, p.63
240

Le risque pour les pays du bloc soviétique, c’était que la politique de Berlinguer
fut exemplaire pour les autres pays du bloc, qui pouvaient s’éloigner de
l’idéologie de Moscou. Berlinguer était un danger mortel, tellement dangereux de
pousser les Bulgares à planifier une attaque pour l'éliminer en Octobre 1973, à
Sofia.
«Je me souviens des photographies de l’accident. La voiture de Berlinguer frappé
par un camion militaire conduite par un homme des services spéciaux de l'armée
bulgare. La voiture n’est pas tombée du viaduc juste parce qu’elle a heurté un
lampadaire. Le secrétaire du Parti communiste, lui-même était convaincu qu'il
avait été victime d'une attaque. J’ai voulu aller visiter le lieu de l’accident. J'étais
souvent à Sofia quand j'ai enquêté sur la tentative d'assassinat dont le pape Jean-
Paul II a été victime. Je suis allé en Bulgarie pour de nombreuses rogatoires. J'ai
réalisé que c’était peu probable qu'il avait eu un accident 74 .»
Les Bulgares ont agi avec la participation de Moscou. Dans tous les cas, les
Bulgares ont failli et Moscou a réalisé qu'ils n’étaient pas si fiables. La Stasi était
responsable d'une multitude de questions sur lesquelles le Kgb soviétique est
intervenu presque marginalement. Dès qu’une responsabilité des autorités
bulgares se matérialisait en ce qui concerne l’attentat au Pape 75 ; à Sofia ils ont
demandé de l’aide à l'Allemagne. Parce que la Stasi était le seul service secret,
capable de traiter et de résoudre les problèmes qui pourraient découler de
l’enquête italienne contre les Bulgares et tout le bloc du Pacte de Varsovie. Tout
ça, grâce à des opérations de contre-information et de guerre psychologique. La
RAF a été l’organisation conductrice du terrorisme européen. L’organisation à
laquelle l'IRA irlandaise, Action directe et les Brigades Rouges, demandaient de
l'aide: directement ou à travers les conférences qui se tenaient à Paris, une ville
74 Voir note explicative 62, pp.70, 71
75 le mercredi 13 mai 1981, Mehmet Ali Ağca, membre de l'organisation nationaliste turque des "Loups gris", tenta
d'assassiner le pape Jean-Paul II, dans la place Saint-Pierre à Rome. Le pape fut touché trois fois et perdit une grande
quantité de sang avant d'être hospitalisé. Mehmet Ali Ağca fut interpellé sur-place et plus tard condamné à la prison à
perpétuité. Selon les résultats de l'enquête menée par une commission parlementaire italienne, il s'agissait d'un
complot ourdi par plusieurs États du bloc communiste. Bien que cette théorie soit la plus vraisemblable, d'autres
pistes ont continué à être évoquées jusqu'à ce jour.
241

qui devenait une capitale de plus en plus de importante. Surtout à partir du
moment où François Mitterrand est monté au pouvoir. Même si c’était la Raf qui
agissait, bien sûr, les Soviétiques savaient exactement ce que la Stasi faisait. Et
ils ont aussi assuré leur soutien aux Brigades rouges à l’époque de l'enlèvement
d’Aldo Moro. Sans ce soutien, ils n'auraient pas été en mesure de mener à bien
une opération si importante. Probablement, si Berlinguer fut décédé à Sofia.
L’histoire italienne aurait pris un cours différent. La situation s’étant normalisée,
il n'y aurait pas eu aucune besoin de l’opération Moro.
On a compris que les manifestations de violence en Italie étaient trop bien
organisées pour sortir simplement de l'enthousiasme des jeunes. Les jeunes se
laissaient transporter. Tout était bien organisé. A Rome, les défilés partaient de
l'université La Sapienza. Les patrouilles s'assuraient qu'il n'y avait pas d'ennemis
dans les rues latérales. Ils parcourraient la Via Nazionale et Piazza Venezia pour
se rendre à côté du siège du Parti communiste et celui de la Démocratie
chrétienne 76 . Et après avoir lancé des pierres sur les fenêtres des sièges, ils
arrivaient jusqu'au centre-ville. Ça se répétait presque tous les samedis.
Ce n'est pas par hasard que le défilé passait toujours entre le siège du Parti
communiste et celui de la Démocratie Chrétienne, ça se vérifiait à cause du
Compromis historique et de la solidarité nationale. On l'a appris par des
documents qui ont été écrits par les Brigades Rouges et Autonomia. Les
politiques de ces deux partis, ont été la raison principale des attentats produits par
ces organisations subversives.
Il y avait d'autres organisations qui avaient la même structure des Brigades
Rouges: des organisations à deux niveaux, l'un légal et l'autre illégal. Les
membres étaient presque toujours les mêmes des années précédentes. On a
76 Il s’agit d’un courant de pensée politique et religieuse qui s'exprime en Europe à partir de la fin du XIXe siècle. La
Démocratie Chrétienne cherche à promouvoir, au sein d'une société démocratique et pluraliste, une politique
conforme au message qu'expriment l’Évangile, la doctrine sociale de l'Eglise et les travaux de penseurs chrétiens. En
Italie, celle-ci fut fondée en 1942 par Alcide De Gasperi. Il s'agit d'un ancien parti politique italien, qui a dominé le
paysage politique italien jusqu'en 1994, année de sa disparition à la suite de l'opération Mains propres: une série
d'enquêtes qui mirent au jour un système de corruption et de financement illicite des partis politiques surnommé
Tangentopoli. La DC prend alors brièvement le nom de Parti populaire italien, nom du parti ayant précédé la
Démocratie Chrétienne.
242

etrouvé plusieurs arsenaux mobiles pleins de tout ce dont on a besoin pour
mener une guérilla urbaine. Ce qui se passait à Rome, se passait à Turin, à
Naples, à Milan et à Gênes. Il y avait des véritables bases, où on planifiait en
détail les attentats et toutes les opérations militaires. Potere Operaio était
responsable de la plupart des attentats. Ses dirigeants avaient une forte influence
sur les étudiants universitaires. Les organisations sont devenues de plus en plus
complexes et donc les composants de ces organisations ont de plus en plus
ressenti la nécessité de rendre ce niveau de planification plus serré et occulte; il
s'agit du niveau où on décidait si un attentat devait, ou non, être revendiqué.
Ces attentats étaient justifiés par une stratégie de pure terreur. Les responsables
restaient inconnus aussi bien qu’aux autres militants de l'organisation. Tout ça
simplement pour affaiblir les institutions italiennes. Un résultat beaucoup plus
facile à atteindre si l'ennemi reste inconnu; en ce cas on ne sait pas de qui se
défendre.
Il faut aussi tenir compte du fait que toutes les principales organisations
extraparlementaires avaient des liens au niveau international. L'organisation
Potere Operaio, dont on a déjà parlé, avait des liens partout en Europe. C'était le
groupe le plus important de la gauche révolutionnaire italienne et aussi la plus
ramifier à l'étranger. Ces dirigeants avaient des liens en France, en Angleterre, en
Allemagne et en Suisse. En outre, bien évidemment, aussi avec la
Tchécoslovaquie. Autonomia Operaia, et enfin les Brigades Rouges, ont hérité
cette réseau de connaissances. Il s'agit d'un parcours qui ne doit pas être traversé
par des voyageurs trop curieux.
Quelqu'un a essayé de concentrer l'attention exclusivement sur la dimension
nationale du phénomène de la lutte armée italienne; sans se poser des questions à
propos des relations du phénomène avec le contexte international. Si on essaye
de reconstruire les rapports de Potop au niveau international, on se rend compte
qu'il s'agit des mêmes connaissances de Giangiacomo Feltrinelli, on parle de son
projet de créer un parti communiste armé.
243

A Paris, le débat se concentrait dans les universités, où les militants ont profité de
cet environnement culturel pour entrelacer la plupart des liens, et pour s'échanger
leurs expériences. Toni Negri est certainement la figure la plus importante. Un
personnage qui était équivalent à Corrado Simioni. Il était le chef du Superclan,
le secteur le plus caché de la lutte armée, au moins jusqu'aux années Soixante-
Dix. Ensuite, il est allé en France où il a fondé l'école de langue Hypérion, et sa
succursale en Angleterre.
Francfort et d'autres villes allemandes étaient à la base de l'organisation militaire
et logistique. Alors que la Suisse était le refuge des fugitifs italiens. Beaucoup
d'intellectuels français s'étaient convaincus que l'Italie était sur le point d'être
détruite par une dictature fasciste et donc il fallait réagir, en fournissant toute
sorte d'aide aux organisations parlementaires et extraparlementaires. Le Secours
rouge international, était basé à Paris. Les fugitifs du monde entier avaient
beaucoup de soutien en France.
Dans les années Soixante et Soixante-dix, la menace venait de la droite néo-
fasciste. Ensuite, l'ennemi, même dans l'imagination des intellectuels français, est
devenu de plus en plus le Parti communiste et bien sûr aussi la Démocratie
chrétienne à partir du moment où ils ont commencé à planifier la réalisation d'un
gouvernement politique ensemble. On peut parler du développement du parti
armé romain. Ils ont commencé avec des attentats contre les Noirs et les
entreprises Capetti. Puis ils ont agi contre les chefs de la Démocratie chrétienne
et les communistes italiens. Le Compromis historique entre PCI et DC menaçait
l'unité de base du communisme international. Ils ont fait l'impossible pour en
empêcher la réalisation. Cette politique était un coup fatal pour l'idéologie
communiste soviétique. Mais aussi des pays de l'Europe occidentale avaient
formé un axe socialiste contraire à la politique de Berlinguer.
Quel ennui pourrait donner la politique d'un Parti communiste qui devenait de
plus en plus proche à l'occident? Les socialistes et les sociale-démocrates, en
toute logique, auraient dû en profiter.
244

La générosité de la France envers nos terroristes s'est manifestée dans toute sa
plénitude quand le socialiste François Mitterrand est devenu chef d'Etat en 1981.
Le socialisme français a pris sous sa protection toutes les organisations
subversives de la gauche. Les puissances de l'Axe ont poursuivi leur propre ligne
stratégique socialiste visant à créer, sur la scène mondiale, une sorte de troisième
joueur entre l'Amérique et l'Union soviétique. Il s'agit de la ligne politique qui est
entrée dans l'histoire sous le nom de Ostpolitik. Avec la «doctrine Mitterrand»,
les portes de la France se sont ouvertes à des centaines de terroristes italiens qui
cherchaient refuge. Les dirigeants du Superclan étaient les principaux
interlocuteurs entre les milieux intellectuels français et la lutte armée italienne.
Le Superclan avait élaboré un scénario dans lequel était prévu une rupture
révolutionnaire au cours des années Soixante-dix. Résultat d'une stratégie de
Corrado Simioni. Il y avait aussi des gens qui travaillaient avec Simioni et aussi
au sein des partis institutionnels.
Les Brigades Rouges voulaient une organisation compartimentée, mais en fait ils
n'ont jamais eu une structure interne capable d'empêcher les fuites
d'informations. Il y a eu presque une migration féminine de l'Allemagne vers les
organisations combattantes italiennes, les femmes se mariaient avec les Italiens
pour obtenir des informations à envoyer aux services d'informations allemands.
Quand les Brigades Rouges tuèrent Aldo Moro, la RAF avait déjà tué le
président des industriels allemands, Hanns-Martin Schleyer en Septembre 1977.
C'est ça le modèle auquel les Brigades rouges se sont inspirés pour l'affaire
Moro.
Il y a eu une transfusion de connaissances entre ces organisations subversives.
Schleyer a été enlevé après que les terroristes avaient bloqué sa voiture et tué son
chauffeur et son garde du corps. Plus ou moins la même chose qui s'est passée
dans la Via Fani. Les Brigade Rouges ont aussi appris de la RAF, une série de
connaissances logistiques pour la gestion d'un otage enlevé; par exemple la
réalisation de véritables prisons. La RAF ne pouvait pas ne savoir ce qu'ils
245

préparaient la BR. Les français aussi en savaient quelque chose. Ils ont dit au
gouvernement italien qu’en Février 1978, ils avaient appris qu'une organisation
subversive était en train de se préparer pour l'enlèvement d'un homme politique
italien appartenant à la Démocratie chrétienne.
Renato Curcio voulait une organisation impénétrable. Mais ça ce n'était pas
possible. Il y a plusieurs éléments qui rendent probable l'hypothèse d'une
présence étrangère, et en particulier celle allemande, en ce qui concerne l'Affaire
Moro. Le matin de l'enlèvement il y avait, en Via Fan, une personne qui parlait
allemand, un allemand très dur, comme s'il donnait des ordres. Probablement, sur
le lieu de l'enlèvement, il y avait au moins un autre tueur, qui savait bien user les
armes. Celui qui était sur le côté droit du trottoir quand les autres militants des
BR étaient sur le côté gauche. On peut dire avec certitude que les Brigades
Rouges, en Via Fani 77 , n'ont pas agi toutes seules.
9.5 Les relations internationales des Brigades Rouges
Les Brigades Rouges n'ont jamais eu une structure interne capable d'empêcher
les fuites d’informations. Nous savons qu'il y a eu une migration féminine de
l'Allemagne vers les organisations combattantes italiennes, elles instauraient des
relations amoureuses avec les italiens, afin d’obtenir des informations.
En Septembre 1977, la RAF avait enlevé le président des industriels allemands,
Hanns-Martin Schleyer. L’enlèvement de Shleyer a été le modèle auquel les
Brigades rouges se sont inspirés pour l’enlèvement de Moro. Il y a eu une
transfusion de connaissances. Le Brigades Rouges ont appris par la Raf une série
de connaissances logistiques pour la gestion d'un otage, par exemple la
réalisation de véritables prisons. La RAF ne pouvait ne pas savoir ce qu'ils
avaient l’intention de faire. Les grands services d’Informations devaient en savoir
77 le 16 Mars 1978, jour de la présentation du nouveau gouvernement italien, dirigé par Giulio Andreotti, la Fiat 130
portant Aldo Moro, président de la Démocratie chrétienne, est interceptée par un commando des Brigades Rouges
entre Via Mario Fani et Via Stresa. Les hommes de la BR tuèrent en quelques secondes, les cinq gardes du corps du
président (Domenico Ricci, Oreste Leonardi, Raffaele Iozzino, Giulio Rivera et Francesco Zizzi) et ils enlevèrent
Moro.
246

quelque chose, même les Français. A l’époque de l’Affaire Moro, on a posé
nombreuses questions aux pays européens. En Février 1978, les français nous ont
dit qu’ils étaient a connaissance du fait qu’une organisation subversive italienne,
était en train de se préparer pour l'enlèvement d'un homme politique italien. Les
Français nous ont dit que l'objectif était un homme politique appartenant au parti
de la majorité politique, un homme de la Démocratie chrétienne. Il y a plusieurs
éléments qui suggèrent l’existence d’une intervention étrangère en ce qui
concerne l’Affaire Moro. On pense, en particulier à l'Allemagne. Le matin de
l'enlèvement il y avait une personne qui parlait en allemand, sur un ton très
sévère, comme s'il donnât des ordres. Probablement, ce matin-là, il y avait au
moins un autre tueur, un tireur d’élite très expert. Celui qui était sur le côté droit
du trottoir quand les brigadistes étaient sur le côté gauche. On peut dire avec
certitude que les Brigades rouges n’ont pas agi toutes seules.
9.6 La nuit où ils voulaient tuer Kadhafi
On va parler d'une des outres enquêtes conduites par Rosario Priore: la tragédie
d'Ustica, qui semble rappeler des scénarios très différents de ceux qui nous ont
été décrit.
Les enquêteurs ont recueilli beaucoup de preuves et d'informations qui mènent à
la vérité. Mais il s'agit d'une vérité indicible. Une vérité affirmé mais
immédiatement rétractée. Il y a des fautes et des responsabilités directes
concernant différentes pays. Sans parler des autres qui savent, mais qui ne
peuvent ou ne veulent pas dire. En bref, la tragédie d'Ustica est signée par le
silence international, qui est encore plus impénétrable que celui d'un simple clan
sicilien ou calabrais. L'hypothèse d'une défaillance de la structure de l'avion a été
presque immédiatement écartée par les experts. Ça aurait été une bombe explosé
à l'intérieur de l'avion la cause de l'accident. Cette hypothèse a été soutenue
pendant une longue période, mais ça n'est guère crédible. Les parties principales
de l'avion ont été retrouvées et il n'y avait aucun signe d'explosion. Mais aussi en
247

ce qui concerne cette hypothèse, les experts ne sont pas parvenus à l'unanimité.
Les nombreux échecs des commissions d'enquête qui ont enquêté sur la tragédie
d'Ustica, ont soulevé beaucoup de soupçons. On a commencé a penser qu'il y
avait quelqu'un qui voulait empêcher aux enquêteurs d'arriver à la vérité. Il faut
considérer qu'il existe une quatrième hypothèse qui a un certain degré de fiabilité,
l'hypothèse de la quasi-collision. L'explosion du DC-9 aurait été provoqué par
une explosion à l'extérieure de l'avion.
Le DC-9 de la compagnie aérienne Itavia ce soir-là, à ce moment-là ne voulait
pas seul. Il y avait beaucoup d'avions: d'avions civils et militaires. Ils les ont vus
tous dans les centres de contrôle radar militaires, mais tout a été rapidement
caché et «oublié». Certains craignaient que quelqu'un puisse révéler cette
situation complexe. Ce n'était pas le DC-9 Itavia l'objectif des avions militaires,
mais un autre avion qui à ce moment-là, aurait dû voler dans son sillage pour se
protéger des interceptions radar. On peut dire avec certitude que les avions
assaillants étaient des avions militaires. Dans le voisinage de la Toscane, sur le
radar des centres de contrôle militaires et civils, on a vu qu'il y avait deux autres
avions, probablement ceux qui ont suivi le sillage du DC-9. Après ils sont apparu
les traces d'un autre avion militaire, un AWACS qui se trouvait sur la mer
Tyrrhénienne, entre la Ligurie et la Toscane. Les AWACS sont des avions qui
sont généralement utilisé dans les opérations de guerre, ou au cours des exercices
militaires. C'était un avion américain, parce que seulement les États-Unis ont en
leur possession ce type d'avion. Il était décollé de Ramstein, une base militaire
qui se trouve en Allemagne. Il y avait seulement deux avions militaires italiens
ce soir-là. La présence d'un AWACS était inhabituelle. Même en temps de paix,
les avions militaires, ceux italiens et ceux des pays alliés, ils font tout pour ne pas
être identifiés, et pour ne pas faire comprendre où ils sont en train d'aller. Ils
voyagent au-dessous des avions civiles, et le radar n'est pas capable de distinguer
s'il s'agit d'un ou de deux avions. Tout à coup, au moins un des deux avions
militaires a traversé le sillage du DC-9 pour se mettre en position d'attaque. et le
248

DC-9 a explosé. Du nuage de débris émergent les traces de deux avions qui
s'éloignent à grande allure l'un vers l'est, et l'autre vers le sud. Le DC-9 volait du
nord au sud, de l'ouest est soudainement apparu un objet non identifié qui s'est
approché à l'avion civil sans qu'il y ait une collision, et, peu après, le DC-9 a
explosé. L'objet non identifié a continué son vol vers l'est après avoir dépassé le
nuage de débris. L'histoire aurait pu se terminer quelque mois après l'événement,
mais au contraire les enquêtes ont continué pendant toutes ces années. Les deux
avions italiens qui étaient en vol eu distante du DC-9 et qui l'ont intercepté,
étaient les avions de Mario Naldini et Ivo Nutarelli. Ils se sont rendu compte que
quelque chose n'allait pas et ils ont lancé un signal d'alarme. Après ils ont dû
retourner immédiatement à l'aéroport militaire de Grosseto. Ils leurs ont ordonnée
de le faire. Naldini et Nutarelli ont été appelé à témoigner, mais quelque jour
avant ils sont morts dans l'accident de Ramstein. Accident pour lequel la justice
allemande a ouvert une enquête dont les résultats n'ont jamais été communiqués
aux autorités italiennes.
L'objectif de cette opération secret c'était une autre: c'était l'avion qui volait dans
le sillage du DC-9. Peut-être qu'il s'agissait d'un Mig libyen, le même qui s'est
écrasé en Calabre quelque jour après. Selon un expert allemand, un expert qui
étudie les missiles, le DC-9 a été abattu, parce que sur le fuselage de l'avion, il y
avait des traces de coups. Malheureusement il n'a jamais été en mesure de
s'exprimer avec certitude parce que les restes du Mig ont été presque
immédiatement renvoyés en Libye. Faux témoignages, des preuves détruites, des
témoins disparus ou morts. Sans oublier les registres: le parcoure des avions
militaires et civiles, sont aussi conservés sur papier. Dans certaines bases
militaires, ces registres on ne l'a pas trouvé. Quelque fois les documents ont été
trouvés, mais avec des feuilles manquantes, ceux du soir du 27 Juin, 1980.
Et puis on va parler des témoins qui ont disparu ou pire, morts. Trop de morts, au
moins une douzaine. Les deux pilotes de Grosseto dans l'accident de Ramstein.
Le jeune capitaine de la base de Poggio Ballone qui est mort d'une crise
249

cardiaque alors qu'il ne souffrait d'aucune trouble cardiaque: ce soir-là dans la
salle de contrôle radar, l’avait vu sur les écrans la même scène qui Nutarelli er
Naldini avaient vu quand ils étaient en vol. Le maréchal qui travaillait dans la
même base militaire, s'est suicidé: il avait commis l'erreur de divulguer aux
membres de sa famille la nouvelle que ce soir-là il avait été témoin d’une guerre
aérienne. Enfin, le maréchal qui était de service dans le centre radar d'Otrante,
qui voyait le lieu où il est tombé le Mig libyen: il est mort pendu peu avant de
témoigner.
Evidemment il y avait un projet visant à nous empêcher de comprendre ce qui
s'était passé dans le ciel au-dessus d'Ustica ce soir-là. Il faut supposer l'existence
d'une organisation très répandue, explique Rosario Priore, le juge qui a conduit la
plupart de l'enquête:
«Je me souviens des efforts que nous avons fait pour identifier ceux qui étaient
présents dans le centre de contrôle radar de l'aéroport de Ciampino, le soir de la
tragédie. L'armée de l'air italienne, avait mis en place un bureau qui avait
officiellement la tâche de nous aider dans notre travail pour répondre à nos
besoins. Par conséquent, s'il y avait quelqu'un qui voulait empêcher la recherche
de la vérité, il pouvait le faire efficacement 78 .»
Il y avait une série de vérité indicible causée par la politique méditerranéenne
italienne, en particulier en ce qui concerne l'alliance avec la Libye. Si la vérité
avait été rendue publique, il y aurait sûrement eu de graves conséquences.
L'attaque militaire dans le ciel d'Ustica était dirigée contre un avion qu'on savait
qui allait passer ce soir-là, à ce moment-là. Le système NADGE, le réseau radars
qui protège les pays européens de l'Alliance atlantique, a des trous au moins en
ce qui concerne l'espace aérien italien. Les libyens avaient été informé par les
italiens de ces couloirs secrets. Ils pouvaient les utiliser pour ne pas être contrôlé
de l'OTAN. Le système NADGE les aurait automatiquement défini avions
78 Voir note explicative 62, p.146
250

ennemis. Les libyens utilisaient systématiquement ces corridors. Soit à des fins
civiles soit à des fins militaires, pour arriver jusqu'au cœur de l'Europe.
Tout ça se vérifiait parce que les libyens avaient une relation spéciale avec
l'Italie. Les avions libyens se rendaient souvent en Yougoslavie pour des
réparations, et les italiens leurs fournissaient toute l'aide dont ils avaient besoin.
C'est suffisant de penser qu'en Juin 1980, juste quelque jour avant l'explosion du
DC-9, à Venise, à côté de l'avion officiel du président américain et de celui du
président français, qui étaient là-bas pour un sommet international, il y avait
aussi des avions libyens. Beaucoup de personnages importants, choisissaient de
se déplacer avec des avions civiles, ou dans leurs sillages. Tout cela pour des
raisons de sécurité.
Comme lui-même il l'a dit, il semble que l'objectif c'était le libyen Kadhafi. On
savait que Kadhafi avait planifié un vol pour se diriger de Tripoli à Varsovie. Le
dirigeant libyen, a été averti, probablement par les services d'informations
italiens d'un danger imminent et a changé de cap retournant en Libye.
Le chef d'Etat libyen avait beaucoup de connaissances à Rome et au SISMI
(l'ancien service d'information italien), c'est pour cette raison qu'il savait que
s'était mieux de retourner en Libye.
Aujourd'hui on sait aussi qui aurait voulu tuer Kadhafi. L'ancien président de la
République italienne Francesco Cossiga 79 , qui à l'époque était le président du
Conseil, a parlé explicitement d'une responsabilité des services d'informations
françaises. À ce moment-là, dans la région Méditerranéenne, seulement deux
pays auraient pu être en mesure d'organiser une opération militaire de ce genre:
les Etats-Unis et la France.
79 Il est né le 26 juillet 1928 à Sassari et est décédé le 17 aout 2010 à Rome, il fut un homme d'Etat italien, et une
figure importante de la Démocratie Chrétienne. Président du Conseil des ministres de 1979 à 1980, il est élu trois ans
plus tard à la présidence du Sénat de 1983. En 1985 il est élu président de la République italienne pour un mandat de
sept ans; mais il démissionna quelques semaines avant son mandat. Conformément au droit que lui suggère la
Constitution italienne, il devient sénateur à vie jusqu'à son décès.
251

La France avait des porte-avions dans la mer Tyrrhénienne et aussi des bases
militaires en Corse. On peut exclure qu'il y ait aussi une responsabilité de
l'administration américaine. Tout d'abord, parce au pouvoir il y avait le
démocrate Jimmy Carter, qui à l'époque entretenait des relations avec la Libye.
Deuxièmement, parce que les américains ont aidé beaucoup les italiens dans
l'enquête concernant la tragédie d'Ustica. Quelqu'un savait ce qui s'était passé,
mais ils ne voulaient le dire.
Aussi l'Union soviétique aurait été en mesure de voir ce qui se passait à Ustica.
Mais les soviétiques, nous ont toujours répondu qu'ils n'avaient aucune
information utile.
Les américains ont fait pression sur les italiens afin qu'ils disent la vérité, pour
disculper complètement Washington.
Au cours de l'enquête, l'Italie a demandé beaucoup d'informations aux français
mais ceux-ci n'ont jamais répondu. Que ce soit Valéry Giscard d'Estaing ou
François Mitterrand, ils ont toujours revendiqué le droit de protéger leurs secrets
d'Etat. Ensuite, on a découvert que l'opération est partie du porte-avions français
Clemenceau, qui se trouvait au sud de la Corse. Il faut se rappeler aussi du
témoignage du général Niccolò Bozzo. Le 27 juin 1980 il était en vacances en
Corse avec son frère et sa famille, il se trouvait dans une chambre d'hôtel dont la
fenêtre donnait directement sur la base aérienne française. Il a dit qu'il y avait
sans cesse des décollages et des atterrissages d'avions de chasse appartenant à
presque tous les pays européens. Ils ont dit aux institutions italiennes que la
porte-avions Clemenceau, ce jour-là et cette nuit-là, ne se trouvait pas en Corse,
mais dans le port de Toulon. Rosario Priore affirme que quand les autorités d'une
grande puissance comme la France donnent ce genre des réponses officielles, on
ne peut faire que deux choses: continuer à chercher des réponses, ou s’arrêter là.
Parce qu’un système judiciaire national n'a certainement pas le pouvoir
d’appliquer ses lois dans un autre Etat 80 .
80 Voir note explicative 62, p156
252

Kadhafi était considéré un élément dangereux. Il a eu des ambitions
hégémoniques. Les libyens ont toujours senti le besoin d’avoir un armée de l’air
bien équipée: ce projet a été réalise grâce à l’aide des militaires italiens en congé.
Les italiens ont rapporté aux libyens l’endroit où se trouvaient les zones
d’ombres du système radar de la défense aérienne, et les libyens ont su
promptement profiter de ces informations pour ne pas être retrouvés par les
radars de l’OTAN.
L'Italie a toujours soutenu la Libye en ce qui concerne les conflits de Kadhafi
avec la France. Kadhafi s'est plusieurs fois adressé aux habitants de l'île de la
Réunion, un protectorat français, afin qu'ils constituassent un mouvement de
libération. En Janvier 1980, il y avait eu aussi un épisode grave avec la Tunisie.
Les libyens avaient envahi et occupé Gafsa, pour renverser le gouvernement
francophile de Habib Bourguiba. La Libye de Kadhafi poursuivait une véritable
politique d'expansion impériale. Et il ne faut pas oublier qu'ils fournissaient aussi
du soutien à beaucoup d'organisations terroristes internationales, en menaçant les
intérêts de nombreux payses, pas seulement ceux de la France.
Qui avait préparé l'assassinat de Kadhafi a voulu punir aussi l'Italie. A cause du
soutien que l'Italie a donné à la Libye pour poursuivre ses objectifs.
Il est également vrai que, en 1980, les relations entre l'Italie et la Libye, n'étaient
pas si idyllique. Kadhafi était vraiment dangereux, et un problème si grave
pouvait être résolu seulement en se débarrassant de lui. Le terme élimination
physique avait déjà été utilisé dans le livre du Président de la République
française Valéry Giscard d'Estaing, qui plus tard a supervisé la rédaction de la
Constitution européenne. L'opération a été menée le 27 Juin, parce que Kadhafi
était certainement plus vulnérable à ce moment-là. Aux États-Unis, en 1980, il y
avait les élections primaires pour la course à la Maison Blanche entre le président
sortant, le démocrate Jimmy Carter et son rival républicain Ronald Reagan.
Carter, qui avait toléré les fournitures militaires italiennes vers la Libye, était en
sérieuse difficulté. Sa position était devenue encore plus critique à cause du
253

scandale impliquant son frère, Billy, qui était accusé de commerce illégal avec la
Libye de Kadhafi. Soit Reagan soit Giscard d'Estaing avaient un intérêt
particulier à mettre en difficulté Jimmy Carter et, par conséquent aussi Kadhafi.
Quel meilleur moment pour se débarrasser de lui et en même temps frappé l'Italie
et les États-Unis? Dans toutes les relations internationales, on sait que si un
protégé devient un danger, il faut frapper le protecteur.
254

“Ustica: crossed destinies. When a country’s warranty of legality,
damage the international interests”
10. The English Putsch: The longest coup in history
10.1 Introduction
With the expression "English putsch" we are not referring to the sudden and
violent overthrow of a government by a subversive organization or an opponent
party of the same state. The English putsch is the British government's attempt to
influence the Italian politics. We can say that the territorial unity of the Italian
nation, is the product of British ambitions. Just one year after the realization of
the Suez Canal, which was opened in 1869, the Queen Victoria annexed India,
Pakistan, Burma and Bengal to the British Empire. The Great Britain understood
the geopolitical importance of the Italian peninsula located in the middle of the
Mediterranean sea, which is one of the most strategic areas of the world.
The monarchs of the House of Savoy 81
255
reigned over Italy, and it couldn't be
otherwise, but Italy wasn't strong enough to avoid the protection of the British
government. In this chess game we measure the aspirations of a young country
with the interests of a glorious colonial empire in decline, which puts forward its
network of influences at the slightest sign of danger.
The beginning of the twentieth century marks the end of the era of coal and
leaves room for a new source of energy: oil, which upsets the political structures
all over the world. Oil is the weapon and the stakes of each conflict involving the
Mediterranean area. Thus, Italy becomes so crucial to the British interests, that
London begins to influence its internal political life, affecting economic growth
81 It was formed in the early XIth century in the historical Savoy region. Through gradual expansion, it grew from
ruling a small country in that region to eventually rule the Kingdom of Italy from 1861 until the end od World War II.
The House of Savoy ruled unified Italy for 85 years with Victor Emmanuel II, Umberto I, Victor Emmanuel III and
Umberto II as monarchs. The last monarch ruled for a few weeks before being overthrown by a popular referendum
and a new republican government.

and directing the foreign Italian policy. These were difficult years for the British,
which face a new threat dawning in Europe, Soviet communism, as well as a new
competitor for the oil - the United States of America.
Since the period of the Renaissance 82 , London influenced the armed forces, the
politics and the Italian culture, even contributing to the rise and consolidation of
fascism. Benito Mussolini 83 was “an English creature”, but after he started to
pursuit a national energy policy which threatened the British interests, and he
betrayed the former Allies, siding with Germany in World War II, he was
overthrown.
At the end of the war, the Americans thought that Italy was a country that had
fought for its liberation from fascism on the Allied side. But for the English Italy
was not only a defeated nation which couldn't have a fully democratic system,
but above all couldn't follow a foreign policy based on its own national interest.
These were the secret rules imposed by the British conservative leader Winston
Churchill 84 , which are written in the peace treaty of 1947. Whoever disobeyed
Churchill’s doctrine, be it Enrico Mattei 85 or Aldo Moro 86 , would be considered a
mortal enemy to be fought by any means necessary.
82 It was a cultural movement that profoundly affected European intellectual life in the early modern period. It was a
cultural movement that spanned the period roughly from the 14th to the 17th century. Beginning in Italy, and
spreading to the rest of Europe by the 16th century, its influence was felt in literature, philosophy, art, music, politics,
science, religion, and other aspects of intellectual inquiry. Renaissance scholars employed the humanist mot hod in
study, and searched for realism and human emotion in art. In all, the Renaissance could be viewed as an attempt by
intellectuals to study and improve the secular and worldly, both through the revival of ideas from antiquity, and
through a new approach.
83 He was an Italian politician who led the National Fascist Party, ruling the country from 1922 to his ousting in 1943,
and is credited with being one of the key figures in the creation of fascism.
84 He was a British Conservative politician an statesman known for his leadership of the United Kingdom during the
Second World War. Widely regarded as one of the greatest wartime leaders of the past century, he served as Prime
Minister twice, from 1940 to 1945 and from 1951 to 1955. A noted statesman and orator, Churchill was also an
officer in the British Army, a historian, a writer, and an artist. He is the only British Prime Minister to have received
the Nobel Prize in Literature, and was the first person to be made an Honorary Citizen of the United Sates.
85 He was and Italian public administrator. After World War II he was given the task of dismantling the Italian
Petroleum Agency Agip, a state enterprise established by the Fascism regime. Instead Mattei enlarged and
reorganized by into the National Fuel Trust "Ente Nazionale Idrocarburi" (ENI). Under his direction ENI negotiated
important oil concessions in the Middle East as well as a significant trade agreement with the Soviet Union which
helped break the oligopoly of the "Seven Sisters" that dominated the mid 20th century oil industry. He also
introduced the principle whereby the country that owned exploited oil reserves received 75% if the profits.
86 He was an Italian politician and the 39th Prime Minister of Italy, from 1963 to 1968, and then from 1974 to 1976.
He was one of Italy's longest-serving post-war Prime Ministers, holding power for a combined total of more than six
years. A leader of the Christian Democracy, Moro was considered an intellectual and a patient mediator, especially in
the internal life of his party. He was kidnapped on March 16, 1978, by the left-wing Red Brigades (BR), and killed
after 55 days of captivity.
256

10.2 Fascism and Matteotti’s murder
Between 1920 and 1921, the liberal government established the Directorate
General of fuels (Dgc), in order to reduce Italy's energy dependence by foreign
companies. But at the end of 1921, a parliamentary committee abolishes the Dgc,
which was closed by Mussolini.
With this decision Mussolini opens the doors of the Italian market to the British
government. Nevertheless the relations between Rome and Moscow irritate the
British, they are a threat to their interests. Also the Americans are interested in
oil, and very soon, a conflict on the Italian territory, starts between the two
energy giants of the time: the American Standard Oil (a private company) and the
British Anglo-Persian Oil Company.
American supremacy in the Italian territory is due to the fact that the British do
not have a refinery in the Mediterranean area.
Both agreements, the one with Moscow but also the one with Washington, pose a
serious threat to British interests, and the latter, who see themselves betrayed by
one of their allies, Benito Mussolini, give the opposition, and in particular to
Giacomo Matteotti, a socialist deputy, the papers that would later prove to be the
reason of his murder.
Fascism was formed after the elections of April 6th 1924, not without fraud and
intimidation. On May 30th 1924 Giacomo Matteotti 87 makes a tough speech to
the Chamber of Deputies. He asks the annulment of the elections and he
announces a second speech for June 11. On June10th, he’s kidnapped by a group
of thugs, loaded on a car and stabbed. His body was abandoned to be found more
than two months later. The news generated great indignation. When Matteotti
was kidnapped he had a bag full of papers concerning Mussolini’s skullduggery,
this bag has never been found. Matteotti’s kidnapping, like for Ustica and many
87 He was an Italian socialist politician. On 30 May 1924, he openly spoke in the Italian Parliament alleging the
Fascists committed fraud in the recently held elections, and denounced the violence they used to gain votes. Eleven
days later he was kidnapped and killed by Fascists.
257

other tragedies of the Nineties, never came to a complete judicial truth. The
murders are: Amerigo Dumini, Albino Volpi, Giuseppe Viola, Augusto Malachi
and Poveromo, who worked for Emilio De Bono, the head of Public Security.
But the motive that lies behind the assassination of the most feared member of
the opposition remains a mystery. Mussolini is accused of being the instigator of
the murder. The leader denies any wrongdoing, but after a few months, in a
speech he takes full responsibility for what happened before and after the
elections. Then Mussolini returns to proclaim his innocence, saying: «Only an
enemy that for many nights had thought of something evil against me could make
this crime that strikes us with horror and indignation.» With this statement
Mussolini refers to De Bono, who is a member of the Freemasons: the thread that
binds secretly London to Rome. On 22 April 1924, two months before his
assassination, Matteotti went secretly to London for four days, then to France and
then he returned to Italy. Matteotti didn’t know that Albino Volpi, stalked him all
the time. The deputy went to London to discuss with the laborites about a very
embarrassing topic for the regime: the bribes that Arnaldo Mussolini pocketed
for the signing of the agreement with the Sinclair Oil, the greatest American oil
company. Today, we are quite certain that the papers Matteotti received in
London were the cause of his murder.
After the murder of Matteotti, when Mussolini learned about Matteotti’s
meetings in London, the Italian government suddenly invalidated the agreements
whit the Sinclair Oil.
«The murder of Matteotti solves every problem. The Americans decided to
remain out of the black gold rush. Mussolini’s reputation wasn't affected because
Matteotti couldn’t pronounce his speech, and British interests were saved 88 .»
88 Cereghino, M. J. Fasanella, G. Il golpe inglese. Da Matteotti a Moro: le prove della guerra segreta per il controllo
del petrolio e dell’Italia, Chiarelettere 2011.
258

10.3 World War II
Rome establishes excellent relations with London. In 1926 the Italian
government founded Agip 89 . This operation aimed at meeting Italian aspirations
for a national energy policy, which was the dream of most of the members of the
regime. The Italian resentment against British and French, that after World War I
shared out the Middle East excluding Italy, was still strong. Italian researchers
know which kind of richness this desert hides. Mussolini also knew it, but in
November of 1935, he convened Umberto Puppini, the President of Agip: «The
high destinies of our country require us to sacrifice our oil interests in Iraq. I
demand you the utmost obedience and I command you to follow these rules 90 .»
British diplomacy put Rome in front of the choice between the Iraqi oil or the
conquest of Ethiopia, knowing they could rely on the imperial ambitions of
Mussolini, who, with London’s help, gained his “place in the sun”. Italy was able
to conquer Ethiopia, and the Iraqi oil remained exclusively in the hands of the
British. Exhausted from the battle and betrayed by the British allies, and despite
Mussolini continued to maintain good relations with Churchill, Italy is sucked
into the orbit of the new emerging power: the Nazi Germany of Adolf Hitler 91 .
One of the reasons for the racial campaign adopted by Mussolini could be the
desire to emphasize his sympathy for the struggle of the Arabs against the Jews
in the Middle East. According to the British, Mussolini wanted to put them in
trouble in Palestine, which was a British protectorate; and that’s the reason why
they started to mobilize their intelligence. Mussolini begun to take advantage of
the anti-British resentment of the Arab population, frustrated by the promises of
independence made and never kept. Once they became aware of having oil, the
89 (Azienda Generale Italiana Petroli - General Italian Oil Company) It’s a former Italian automotive gasoline, Diesel,
LGP, lubricants, fuel oil, and bitumen retailer established in 1926. It has been a subsidiary of the multinational
petroleum company Eni. In 2003, Eniacquired Agip Petroli S.p.A., creating the Refining and Marketing Division
(R&M).
90 Cereghino, M.J. Fasanella, G. Il golpe inglese. Da Matteotti a Moro: le prove della guerra segreta per il controllo
del petrolio e dell’Italia, Chiarelettere 2011
91 He was an Austrian-born German politician and the leader of the Nazi Party (Nationalsozialistische Deutsche
Arbeiterpartei - National Socialist German Workers Party). Hitler was chancellor of Germany from 1933 to 1945 and
dictator of Nazi Germany from 1934 to 1945. He was at the centre of the founding of Nazism, the start of World War
II, and the Holocaust.
259

Arabs looked for redemption. Palestine was considered a strategic area for the
British interests in the Middle East, but was also marked by strong tensions.
That's the sore spot on which the fascist diplomacy was going to beat, but
London couldn’t let it happen.
Soon the Nazi invasion of Poland triggered World War II, and Italy, despite the
British intelligence had mobilized to avoid it, was dragged into the conflict on
the side of Germany.
Now, Italy just wanted to stay out of the war, because the consequences would be
catastrophic. Mussolini feared that France and Britain might consider easier and
more convenient to attack the weakened Italy before heading to Germany. He
said that the Nazi Germany was underestimated by the Allied. The relationship
between Mussolini and Hitler seemed to be justified by the Italian need to be
protected, especially from an economic point of view. So they adopted the
philosophy "if you can’t fight them, join them". On June 10th 1940 Italy
declared war on France and Britain, despite Winston Churchill, Mussolini’s
friend, had just become the new leader of the British government.
In 1941, the post-war scenarios started to emerge. The guidance of the United
Nations was to be assigned to three major powers: the British Commonwealth,
the United States of America and Russia, who must ensure that no nation would
be a threat to peace. From a political point of view, the goal would be to limit
the power of Germany and Japan. The British didn't want to consider the
possibility of recognizing these nations as great powers, but only as the defeated
nations. As for Italy, the problem did not arise since Italy had never been
considered powerful. According to Great Britain, Italy was easily manageable
and essential, given that their interests were mainly concentrated in the Middle
East and in the Mediterranean sea. The underground war fought in Italy, at the
time of the murder of Matteotti between Great Britain and American Standard
Oil company, is now threatening to happen again in the Middle East. The reason
for this conflict is not purely economic, the Democrat President Franklin D.
260

Roosevelt 92 pointed his finger at London, who was guilty of delaying the desire
of independence of the inhabitants of their colonies, only for the sake of their
own interests. Italy is a country on the way of dissolution. That of the Italian
situation was a dramatic scenario. Italy was on the brink of collapse, with a very
serious economic crisis. Fascism was falling down, also because of the defeat in
Libya by the British. It was in this context that the groundwork was laid for the
putsch of July 25th 1943: the day when the Grand Council of Fascism passed a
vote of no confidence to Mussolini. Both the Vatican and the regime wanted to
limit the effects of the defeat and to facilitate the exit of Italy from the conflict
with the least possible damage from a political point of view. But the Great
Britain decided to treat Ciano with coldness because, according to London, to
encourage his ideas without posing some conditions, would lead him to raise the
price, claiming a compromise and not an unconditional surrender on the part of
Italy. As usual the British were very active in Italy. But their movements did not
escape the Americans who, while refusing to deal with the regime, would have
been in favor of the restoration of constitutional rights and freedoms, in the event
that a dialogue with Italy was inevitable.
In June 1943 there were several projects of putsch and all them were supervised
by the British government.
The end of hostilities could be taken into account only when Italy would
surrender unconditionally. It's quite clear that the British government's aim
wasn't to liberate Italy from fascism, but to achieve a total dominance of Italy
from a political, military and economical point of view.
London encouraged the anti-fascist groups, but always limited their autonomy of
action. Yet they were also in contact with the Anglophile's lobby of the regime,
whose leading exponents are Ciano and Grandi. The Great Britain was playing
two different games that had the same goal: they wanted to create the conditions
92 Also known by his initials, FDR, he was the 32nd President of the United States from 1933 to 1945, and a central
figure in world events during the mid-20th century, leading the United States during a time of worldwide economic
depression and total war. The only American president elected to more than two terms, he facilitated a durable
coalition that realigned American politics for decades.
261

to obtain a full hegemony over Italy. Roosevelt must have intercepted the British
ambitions and tries to interfere to curb them.
The Allied landing has already happened. Mussolini was still in power. Maybe
he still hoped in a decent ending.
During the night between 24 and 25 July, the Grand Council passed a vote of no
confidence to Mussolini, and King Vittorio Emanuele III 93 entrusted the reins of
the government to Marshal Badoglio 94 .
The monarchy definitely takes the reins of the situation and the 3 September
1943, Italy secretly signs an armistice with the Allies, in Cassabile, Sicily. It
begun on September 8th of the same year. But this wasn't really an armistice, it
was an unconditional surrender. On October 13, Italy declares war on Germany.
But it was just a co-belligerent nation, it didn't have the same role of Great
Britain or of the United States. This detail will influence, from every point of
view, the entire history of Italy, from Resistance at least until the death of Aldo
Moro.
After Italy's betrayal, the only aim of Hitler was to conquer the Axis' "living
space", that's the reason why in this area, the Allies focused their efforts to stop
the mortal enemy.
The Allies were now so confident of victory, that they thought of how to divide
the new resources which would be soon available. New conflicts between United
States and Great Britain characterized those years.
The Americans intended to claim a large portion of the British oil interests in the
Middle East.
The Soviet Union agreed to leave the control of Italy to the Allies, while the
United States provided the UK all the support they needed, to protect their own
93 He was a member of the House of Savoy and King of Italy from 29 July 1900 to 9 May 1946. In addition, he
claimed the thrones of Ethiopia and Albania as Emperor of Ethiopia from 1936 to 1941, and King of the Albanians
from 1939 to 43, which were unrecognized by the Great Powers. During his long reign (46 years), the Kingdom of
Italy became involved in two World Wars. His reign also encompassed the birth, rise, and fall of Italian Fascism.
94 He was the 1st Duke of Addis Abeba, and the 1st Marquess of Sabotino. He was an Italian soldier and politician.
He was a member of the National Fascist Party and commanded fascist troops under Italian dictator Benito Mussolini
in the Second Italo-Abyssinian War. Due to post-war expediencies, however, he was never brought to justice.
262

interests. Churchill revealed to the Pope, who was concerned about the fate of
Italy, that it would become a free nation under all points of view except for what
regarded its policy. Churchill thinks that if he committed the unforgivable
mistake of admitting Italy in the family of the victorious powers, accepting it as a
victorious power after the Allied liberation of Rome, it wouldn't have been
possible to exercise any control over the country, condemning it to ruin.
10.4 Enrico Mattei: Italy tries to raise again
Defeated in war, admitted to the table of peace but only with the status of a co-
belligerent nation on the side of the victorious powers, humiliated by a treaty
with additional clauses which limit its political autonomy, within and outside its
borders, in 1953 Italy tries to raise again.
That year, Enrico Mattei founded the Ente Nazionale Idrocarburi (Eni), a State
company whose aim is the exploitation of energy resources. Enrico Mattei, break
on the national and international scene with the force of a hurricane and with the
power of a head of government.
An event that the British could not have imagined. They can't stand the idea that
a country of beggars, is now looking autonomously for the energy resources to
provide welfare to its people. Italy is so brazen that doesn't ask permission to
London, which is the capital of a colonial empire, and which doesn't intend to
resign to a fate of decadence. The Savoy family is exiled. Italy is a Republic.
The country is closer to America than to Britain. The North Atlantic Treaty had
been signed in Washington. The Cold War 95 begins. The new U.S. president,
95 Often dated from 1947–1991, it was a sustained state of political and military tension between the powers of the
Western world, led by the United States and its NATO allies, and the communist world, led by the Soviet Union, its
satellite states and allies. This began after the success of their temporary wartime alliance against Nazi Germany,
leaving the USSR and the US as two superpowers with profound economic and political differences. The Soviet
Union created the Eastern Bloc with the eastern European countries it occupied, maintaining these as satellite states.
The United States forged NATO, a military alliance using containment of communism as a main strategy through the
Truman Doctrine, in 1949, while the Soviet bloc formed the Warsaw Pact in 1955. Some countries aligned with either
of the two powers, whilst others chose to remain neutral with the Non-Aligned Movement.
263

Harry Truman 96 , sets out his doctrine, which gives to Washington the role of
world leader in the fight against Soviet communism.
The British empire begins to fall down. The Middle East is essential to the
economic recovery of Britain, the British influence in this area is greater than
that exerted by the other nations. Therefore it's essential that the Great Britain
retains its special position.
The United Nations passed a resolution that enshrines the right to independence
for Italy, Libya and Somalia. This pronouncement of the United Nations, will be
a boomerang for British interests, but a lifeline for Italy.
The United Nations will unwittingly end up to raise the expectations of
independence in many countries. Enrico Mattei will take advantage of this
expectation, with great skill.
Preserving their own interests becomes more and more expensive for London. It
involves charges that the UK economy is no longer able to support. London
doesn't have the necessary resources, so it aims to transform many areas,
including that of the Suez Canal, in an area of international jurisdiction. The
English aim is clear: they want to preserve their strategic positions as much as
possible, and make the Americans, the only ones who're able to bear it, take the
economic burden.
The British difficulties in the Middle East are exacerbated by the anti-British
feelings popping up throughout the area, especially in Egypt and in Iran, where
the new prime minister Mohammad Mossadeq, decides in 1951, the
nationalization of oil. In both cases, the Italian government expresses its
sympathy for the independent movements. The nationalization of Iranian oil also
exacerbates tensions between Rome and London, bringing diplomatic relations
on the brink of collapse. At the beginning of 1953, some Italian tankers, load
crude oil in Persia to transport it in Porto Marghera for refining. For the British
96 He was the 33rd President of the United States from 1945 to 1953. The final running mate of President Franklin D.
Roosevelt in 1944, Truman succeeded to the presidency on April 1945, when Roosevelt died after months of
declining health. Under Truman, the U.S. successfully concluded World War II; in the aftermath of the conflict,
tensions with the Soviet Union increased, that's the start of the Cold War.
264

government this is a real insult. According to them, it's necessary to prevent other
oil imports to Italy.
The Italian government reassures the British, but in the meantime, it supports
Eni's energy policy. Eni is an autonomous institution, whose financial resources
aren't under the control of the Italian Parliament. Its development is largely
determined by the strong personality of its president Enrico Mattei, who's viewed
with hostility by the Italian industrialists. He seems to cultivate imperial
ambitions.
In the Near East, the situation became critical for the British. The danger is the
violation of the agreement based on the so-called rule of "fifty-fifty": the 50
percent of the profits goes to the oil-producing countries, while the remaining 50
per cent goes to the foreign companies that extract it.
The Peace Treaty of Paris had been signed just ten years before, but the situation
seems to have reversed. The British diplomacy has abandoned the arrogant and
haughty tones it used when it was a winning power, only anxious to impose its
rule. They had to accept the American leadership in the free world, and now
London tries an opportunistic approach to Europe.
Italy is now different from the one with which they used to deal with. It's no
longer the one of fascism, always accommodating and always pursuing colonial
aspirations. The ruling class emerged in the postwar period is very ambitious.
They take advantage of the mistakes of the past.
The man who has contributed to the change of the Italian situation is Enrico
Mattei.
He has the exclusive mining rights in the Po Valley and in Sicily. He has
obtained some concessions in Venezuela and in the Middle East. In Egypt, for
example, he takes advantage of the Sinai wells that produce 4 million tons of oil
annually.
Mattei uses Eni to fund the democratic party of Fanfani, who from 1954 controls
265

the organizational apparatus of the Christian democratic party 97 . He founds the
newspaper "Il Giorno" which is against the Anglo-French strategy, and which
prompts the Italian government to adopt a pro-Arab policy. Mattei is determined
to impose Italy at international level as an oil producing power.
On March 21, the National Iranian Oil Company reaches an agreement with Agip
for three oil concessions in Iran. The Iranian government will receive 75 percent
of the profits, while Agip will receive only 25 percent. The news of the violation
of the rule of the "fifty-fifty" agreement, throws London into turmoil.
The Iranians consider the contract with Eni innovative and convenient.
An arrogant ultimatum comes from London: before final approval of any
agreement that violates the principle of "fifty-fifty", the Italian government
should consult the British government and the United States.
Yet, Mattei is determined to carry out his objectives. The Italian parliament has
little control over him and the entire management of Eni. In the aftermath of the
Suez crisis, the influence of Mattei has strengthened. Now he believes he's the
only man who can restore good relations between the Arab world and the West.
It is not clear whether Washington wants to let him do it or it intends to react
with the necessary hardness.
10.5 Mattei’s energy policy: the Soviet oil
Removing Mattei from the presidency of Eni is impossible. The British attempt
to isolate him and to induce him to desist fails. The influence of Mattei increases
enormously, in Italy and abroad. At least for the moment, the reputation of
France and Great Britain in this area is at its lowest level.
Mattei is now backed by Fanfani, his friend, who has now become the Italian
97 It was founded in 1943 as the ideological successor of the historical Italian People's Party, which had the same
symbol, a crossed shield (scudo crociato). The DC, a Christian centrist, catch-all party comprising both right-wing
and left-wing factions, dominated the politics of Italy for almost 50 years from 1944 until its demise amid a welter of
corruption allegations in 1992. It was succeeded by several parties, including the Italian Poeple's Party, the Christian
Democratic Centre, the United Christian Democrats and the current Union of Christian and Centre Democrats.
However, most former Christian Democrats are now affiliated to the centre-right The People of Freedom and the
centre-left Democratic Party.
266

Prime Minister.
After signing an agreement with the USSR for the importation into Italy of 12
million tons of Soviet crude oil, Mattei is now interested in China's resources.
He also intends to build a refinery in the Republic of Ireland, as a first step
towards the conquest of the British market. At that time, Mattei has some
problems with the United States, because of Soviet oil. The fact that Moscow
floods Italy of crude oil at low cost, worries Washington and NATO. During the
Cold War the member countries of the Atlantic Pact could not depend on the
enemy's energy supplies. NATO has even created a commission to evaluate this
sort of risk.
London incites the Allies against Mattei, but in the meantime it hopes it can take
advantage of a possible failure of the oil agreements between Rome and
Moscow. NATO thus proposes to reduce imports from the USSR. The war
against Mattei cannot drag on, considering the damage that has already brought
to the British interests. London doesn't tolerate the slightest affront, especially if
it comes from a foreign country. In Italy, no one can imagine that Mattei has only
a few months to live.
Mattei, with his friends Gronchi (the President of the Italian Republic), Amintore
Fanfani 98 (the Prime Minister of Italy) and Aldo Moro (the new Secretary of the
Christian democratic party), is the director of a new political phase; which was
inaugurated in 1960 with the Tripartite Government. The United States and the
Pope, approve this line. And now Eni is even asking the United States to be
legitimated as a first level oil company, equal to the Seven Sisters.
To their denial, Mattei replies that he took seven years to lead the Italian
government closer to the left-wing area, and it will take even less to eject Italy
from NATO and to put it at the head of the neutral countries. Eni encourages
neutral countries self-sufficiency at the expense of British investments, and
98 He was an Italian career politician and the 33rd man to serve the office of Prime Minister of the State. He was one
of the well-known Italian politicians after the Second World War, and a historical figure of the Christian Democracy.
Fanfani and Giovanni Giolitti are still the sole men who became Prime ministers of Italy in five different periods.
Fanfani was one of the dominant figures of the Italian Christian Democrats for over three decades.
267

London can't let it that happen.
10.6 "The Italian scene: Mr. Mattei will have to go?"
On 25 October 1962 the British newspaper "Financial Times" published a
prophetic article: "The Italian Scene: Mr. Mattei Will Have to Go?"
Two days later Mattei's private plane takes off from Catania to Milan. On board
with him, there are the pilot Irnerio Bertuzzi and an American reporter. But the
aircraft will never arrive to its destination. It falls near Pavia. The insolent Italian
who had dared to challenge British power, is dead. The juridical investigations
had never clarify the cause of the accident. However, today is certain that it was a
sabotage to cause the crash.
10.7 An unreliable country: the Congress for Cultural Freedom
After the death of Enrico Mattei, London breathes a sigh of relief. But for the
British government, Italy continues to be an unreliable country. It's anarchist and
ungrateful. It's always ready to betray foreigners who have its fate at heart.
It seems that London looks to Italy through the eyes of Luigi Barzini Jr. 99 His
memorable bestseller, "The Italians", is a book about the Italian way of life, it's
written in English for an international audience. An audience that doesn't know
this strange people of “heroes" and “mafiosi”. It was published in 1964, two
years after the death of Enrico Mattei. In 1965 the book was published in Italy by
Mondadori, at the beginning of the book there's an introduction addressed to the
Italian reader. The book is dedicated to all the illustrious compatriots who have
spent their lives, trying to change unsuccessfully the fate of Italy.
99 He was an Italian journalist, writer and politician who's famous for his 1964 book "The Italians", delving deeply
into the Italian national character and introducing many Anglo-Saxon readers to the Italian way of life and culture.
After completing his studies in Italy and at Columbia University, Barzini Jr. worked for two New York newspapers,
including the New York World. In 1928, together with Richard Washburn Child, former Ambassador to Italy and a
supporter of Benito Mussolini, he ghostwrote The Autobiography of Benito Mussolini. He returned to Italy in 1930 to
become a correspondent for "Corriere della Sera". His father had pro-Fascist sentiments and had access to highest
political circles of Benito Mussolini's Fascist regime. Luigi Jr., however, frequently associated with young dissidents
around Galeazzo Ciano, the Italian Minister of Foreign Affairs and Mussolini's son-in-law.
268

Immediately after the war, Barzini jr. was the protagonist of some editorial
operations promoted by the PCB, the British Office for propaganda and
psychological warfare. No one knows that his book was sponsored by the British
secret service. Today we know it thanks to the work of Frances Stonor
Saunders 100 , in the volume entitled "The Culture Cold War. The CIA and the
world of arts and letters" which was published in 1999 in Great Britain and in the
United States. This bestsellers has been practically ignored in Italy. The writer
reconstructs the history of the Congress for Cultural Freedom, which took place
in Berlin in 1950, one of the largest secret operations of propaganda and
psychological warfare ever conceived by an intelligence service to counter the
enemy. In this case, the enemy is the Communism. Through the promotion of
intellectuals and journalists, they tried to induce public opinion to be favorable to
the democracy, and naturally to be hostile to the Communism. The goal is to
curb the influence of Soviet propaganda in the Western world. But the aim of the
British secret service in the context of the "Packet" operation, is not only to fight
against Communism 101 . They also want to exert the fully control on the public
opinion, to discredit the Italian image abroad.
The first summit of the Congress for Cultural Freedom, took place in Berlin in
1950, and it was attended by many of the leading names in the international
culture. They were all fiercely anticommunist. The Italian anticommunist
network involved a series of prestigious magazines and a great number of
intellectuals.
100 He’s a British journalist and historian. A few years after graduating (in 1987) with a first-class Honours degree in
English from St Anne's College, Oxford, she embarked on a career as a television film-maker. "Who Paid the Piper?:
CIA and the Cultural Cold War" (1999) (in the USA: "The Cultural Cold War: The CIA and the World of Arts and
Letters"), was the title of her first book, developed from her work on the documentary, concentrating on the history of
the covertly CIA-funded Congress for Cultural Freedom. Stonor Saunders' other works reflect her academic
background as a medievalist.
101 It’s a revolutionary socialist movement which aims at createing a classless, moneyless, and stateless social order
structured upon common ownership of the means of production, as well as a social, political and economic ideology
that aims at the establishment of this social order. This movement, in its Marxist-Leninist interpretations,
significantly influenced the history of the 20th century, which saw intense rivalry between the "socialist world"
(socialist states ruled by communist parties) and the "western world" (countries with capitalist economies).
269

Thanks to the magazine "Botteghe Oscure" 102 the Italians and all the world could
appreciate some authors such as Alberto Moravia and Pier Paolo Pasolini, Elsa
Morante and Eugenio Montale. But the Congress for Cultural Freedom is only
the public facade of a submerged reality. The idea that inspires the entire
operation is to contain the growing influence of Communism. They used
anticommunist propaganda to influence the public opinion, theirs emotions and
behaviors in order to achieve their own objectives.
The majority of the intellectuals that takes part in the Congress, doesn't know its
occult background. The superiority of the USSR in enterprises for the conquest
of space creates a great impression in Italy. So the only way to came out from
this situation is to produce some papers that demonstrate the superiority of the
capitalist system over the Communism.
According to the British, Italy can't be safe from the communist threat, if it
doesn't have confidence in the Western institutions. And if the Italians don't have
confidence in it, the British propaganda can do little.
10.8 The Italian “partito del golpe”
In January 1964, despite the efforts of so many writers, the Communist Party is
stronger and stronger. Mattei is dead and he's no more a danger, but the British
ambassador in Rome, Sir. John Ward, notes the dangerous attitude of the
Christian Democratic party, which has become optimistic about the Communist
Party. London is no more fighting against the Italian Communist Party, it's
fighting against Italy, against his domestic policy and its international image.
Despite the huge effort of British propaganda, the Communist Party's growing
politically and electorally. It's November 1963. Christian Democrats and
Socialists are negotiating to form the first center-left government. The director of
102 It was a literary journal, published and edited in Rome by Marguerite Caetani (Princess of Bassiano) from 1948
until 1960. It was named after Botteghe Oscure Street, where the editorial office was located. With poetry and prose
in five languages (Italian, French, English, German and Spanish), the review was published twice a year. It was also
distributed in the United States.
270

this great operation is Aldo Moro. The Christian Democrat leader is about to
complete Mattei's project. The Communists, are the only alternative to the
current government, they are a real threat for Italian democracy. How to curb
their influence? The only way to contain the danger is a center-left government in
Italy.
This operation is led by Aldo Moro, who wants Italy to be included in the group
of the great Western powers. In this way Italy will be free from all bonds of
dependence imposed by the peace treaty of 1947. But for the London government
it sounds like admitting its loss of prestige and influence in the Mediterranean
area.
The center-left government in Italy, is the last barrier against the threat of the
Communist Party. The Allies think that it would be premature to say that the PCI
has moved away from the orthodox Communist doctrine, whose ultimate goal is
the conquest of political power. The Italian Communists are different, they want
to reach their goal constitutionally. The more serious the situation is, the more
radical strategies to combat it are necessaries. In this climate, between 3 and 5
May 1965, the anticommunists held a conference at the hotel Parco dei Principi
in Rome. Its dramatic effects will be visible only few years later. The theme is
the Revolutionary War, the subtle war against Communism, the war which will
free the world from the Soviet threat. Almost no one is aware of that conference.
Neither the media or the Italian ruling class.
According to Ivan Matteo Lombardo 103 : “People must realize that this is the
World War III. The last war between Democracy and Communism. Few people
have understood it, but they don't have the courage to say it publicly.”
This organization is called the "Partito del golpe" and it will influence the course
of the Italian politics for over twenty years.
103 He was an Italian politician member of the PSI, Secretary of the party between 1946 and 1947 he was two times
Minister.
271

10.9 The new ENI’s President: Eugenio Cefis
Now the Great Britain can look after its interests without being disturbed. The
new president of Eni is Eugenio Cefis, who seems to be willing to change many
things: he promises the leader of British Petroleum that he will totally change
the coordinates of Mattei's energy policy. He will cooperate with British oil
companies. The oil price will increase on the Italian market in order not to
damage the Seven Sisters. Cefis is completely prone to the demands of the
British. He's so accommodating that he reveals his intentions to London before
informing the Italian government. After two years, the diplomatic relations
between London and Rome return to the starting point. The Italian energy policy
is not the result of one mind, there are lots strategists behind Mattei's project. The
ruling class is dominated by the Italian Foreign Minister Fanfani and the Prime
Minister Aldo Moro. Fanfani says that this time, before turning to Iraq, Italy has
been trying desperately to get oil from other sources, but it has had difficulties
and just after the signing of the agreement with Iraq, they discovered that the
supply was controlled by international companies. In three years, Italy will not
have a single cubic meter of gas and then it's forced to find new sources.
1968 and 1969 are two crucial years for the relations between Rome and London.
The elections of May 1968 marks the irreversible crisis of the center wing
parties. The future participation of the Communist Party in a Coalition
Government is a theory that is gaining more consensus. Paradoxically the
uncertainty of the political situation in Italy doesn't affect Eni, or the Italian
foreign policy.
In 1969 the strategic plan of Enrico Mattei came to fruition. England is now a
marginal force in the Middle East. Many of the former English colony gain their
independence. London is going to be expelled also from the Mediterranean sea,
it's out of Egypt, led by Nasser. It has lost the control of the islands of Cyprus
and Malta; now the Great Britain controls just Libya. It's precisely in Libia, in the
richest country of the North African area, that the final match between Italy and
272

the United Kingdom takes place. In 1969, in the night between August 31 and
September 1, the Anglophile King Idris is deposed and the young Colonel
Mu'ammar Gaddafi 104 comes to power. That putsch was planned in Italy; in a
hotel in Abano Terme, near Padua. The new revolutionary government
announces to the foreign companies the intention to increase the price of oil.
Then the Libyans expel the American and the British military bases from their
territory, and on the contrary, the relations with Italy improve. Italy is in a strong
position throughout the Middle East region and into the Mediterranean area. The
United States know it, that's the reason why the Republican American President
Richard Nixon 105 , understands that Italy is the only nation which is able to
mediate in the conflicts between Arab world and NATO.
10.10 An endless season of blood
Italy, a defeated nation, has become the hegemonic power in the Mediterranean
area. Edgardo Sogno 106 , who came into collision with Moro and Fanfani,
considered foolish servants of the Communists, meets the members of the
104 or Colonel Gaddafi, was the ruler of the Libyan Arab Republic from 1969 to 1977 and then the "Brother Leader"
of the Libyan Arab Jamahiriya from 1977 to 2011. Gaddafi seized power in a bloodless military coup in 1969 and
served as the country's head of state until 1977, when he stepped down from his official executive role as Chairman
of the Revolutionary Command Council of Libya and claimed subsequently to be merely a symbolic figurehead. He
styled himself as "Leader of the Revolution"; in 2008 a meeting of traditional African rulers bestowed on him the title
"King if Kings". A leading advocate for a United States of Africa, he served as Chairperson of the African Union
(AU) from 2 February 2009 to 31 January 2010. Gaddafi was then killed by NLA fighters. His 41-year leadership,
made him the fourth-longest-serving non-royal leader since 1900, as well as the longest-serving Arab leader.
105 was the 37th President of the United States, serving from 1969 to 1974. His pursuit of the Hiss Case established
his reputation as a leading anti-communist, and elevated him to national prominence. He was the running mate of
Dwight D. Eisenhower, the Republican Party presidential nominee in the 1952 election. Nixon served for eight years
as vice president. The only president to resign the office, Nixon had previously served as a US representative and
senator from California and as the 36th Vice President of the United States from 1953 to 1961. He waged an
unsuccessful presidential campaign in 1960, narrowly losing to John F. Kennedy, and lost a race for Governor of
California in 1962. In 1968, he ran again for the presidency and was elected.
106 was an Italian diplomat, partisan and political figure. He was born in an aristocratic family from Piedmont. He
joined the Italian military at 18 and was named sub-lieutenant in the regiment Nizza Cavalleria. He volunteered for
Mussolini's auxiliary units which fought in the Spanish Civil War in 1938 on the Francoist side. Then he became
collaborator of the Minister of Foreign Affairs in 1940, during World War II. He started frequenting some anti-fascist
circles. He returned to Italy in 1971, where he founded the Committee of Democratic Resistance, an anti-communist
politic centre. Three years later, he was accused by the communist magistrate Luciano Violante of having planned,
along with Luigi Cavallo and Randolfo Pacciardi, the Golpe bianco: a supposed colpo di stato. After a year and a half
of prison, he was freed in 1978, the investigative magistrate declaring that he was in the impossibility to proceed in
the trial. In 1998 Sogno revealed how he had visited the CIA station chief in Rome in July 1974 to inform him about
his plans for an anti-communist putsch.
273

"Franchi" organization 107 , the network of British intelligence, to encourage them
to continue the fight against the Italian Communist Party and also against the
Christian Democratic party. They think that psychological warfare is not enough.
It's time to react, to prevent at all costs a government with the Communist Party,
even if this means subverting with weapons the result of the elections.
In December 1969, in Italy, starts a long and endless season of blood. This is the
right moment for the British government to take control of Italy. They are
motivated to prevent that the Communist Party comes to power because they
think that the strengthening of the Communist Party can favor the development
of Eni. On Christmas Eve 1969, Eugenio Cefis and the Soviet Minister of Trade,
sign an agreement for the supply of natural gas to Italy. Thanks to this agreement
with Moscow and to the supplies that will also come from Libya and Algeria,
Italy will be able to meet its requirements for natural gas for a whole decade.
All eyes are on Aldo Moro and on the Communist Party, now led by Enrico
Berlinguer 108 . The real interest of the British government is to try to understand
as much as possible which way is taking the Communist Party. Berlinguer, and
the kind of Communism he represents, are a danger not only for the countries of
the North Atlantic Treaty, but also for Moscow.
The Italian economic miracle of the 60s, has aggravated the preexisting social
conflicts. It’s increasingly clear that the gap between the North, characterized by
the proliferation of industries, and the South, which’s profoundly backward and
that’s the theater of the major waves of immigrations, can’t be bridged. The rich
are getting richer and the poor are getting poorer. The economic miracle’s
permitted by the low wages of the Italian workers. The threshold of literacy has
risen, creating more expectations even in the lower social classes. At the end of
107 was the partisan network founded by Edgardo Sogno, which was directly connected with the Allies.
108 was an Italian politician; he was national secretary of the Italian Communist Party from 1972 until his death.
Berlinguer's career was obviously carrying him towards the highest positions in the party. After having held many
responsible posts, in 1968 he was elected a deputy for the first time for the electoral district of Rome. The following
year he was elected deputy national secretary of the party. He took part in the 1969 international conference of the
Communist parties in Moscow, where his delegation disagreed with the "official" political line, and refused to
support the final report.
274

the 60s these tensions explode. Young people contribute significantly to redefine
the political life, through the creation of group initiatives and youth movements
representing the tendencies of Communism. They wanted to reduce the political
affiliations to the mass parties. The Protests of 1968 run wild. The explosion of
youth revolt in all universities and all working in factories, marks a decisive joint
concerning the way to manifest tensions. The years 1968 and 1969 are known as
the Second Italian "Two Red Years", in which raises again the historical dilemma
of the lack of integration of the working class in the Italian society. The ongoing
socio-economic processes, generate a series of collective actions between 1968
and 1974; during this period, the requests coming from the youth movements
didn’t receive an adequate response from the political-institutional system. There
were about 140 attacks in Italy. The lack of consideration of the conflict, taking
place among students and workers, at the institutional level, contributes
emphasize the loss of credibility in the Italian political system. And with the
onset of the first symptoms of the economic crisis, after the economic recovery
of the 60s, the effects of the conflict extend unexpectedly, affecting also the
institutions and the social and political organizations.
The gap between the parties (left wing parties and the trade unions) and the
institutions, favors the creation and the diffusion of extra-parliamentary
organizations (those involved in the Ustica massacre were the Red Brigades, the
Armed revolutionary Nuclei 109 , Potere Operaio and New Order).
No more recognizing themselves in those parties which were supposed to
represent their interests, workers and students mobilize themselves creating
groups of protestors: organizations which are independent from any association
recognized by the Italian State. This period is characterized by anti-institutional
feelings. Workers and students criticize not only the government but also the
109 It was an Italian neofascist Militant organization active from 1977 to November 1981. It committed 33 murders in
four years, and had planned to assassinate Francesco Cossiga, Gianfranco Fini and Adolfo Urso. An off-shoot
of Terza Posizione, the group maintained close links with the Banda della Magliana, a Rome-based criminal
organization, which provided such logistical support as lodging, false papers, weapons, and bombs to the NAR. In
November 1981, it was discovered that the NAR hid weapons in the basements of the Health Ministry. The first trial
against them sentenced 53 persons on May 2, 1985, on charges of terrorist activities.
275

Church and all the means for public information, such as RAI. In this period , a
huge work of counter information was promoted, so that workers and students
could reveal all the wrong information promoted by the media which served the
government. That’s what happened in the case of the attack to the Banca
Nazionale del Lavoro, The newspaper “Lotta Continua” was the first newspaper
to emphasize the involvement of the Italian government in the attack. The
government was accused to incite the subversion.
In this scenario fits the figure of Giangiacomo Feltrinelli.
Giangiacomo Feltrinelli 110 has a lot of money and an ambitious project: he wants
to create the first armed revolutionary party in Italy. He refuses each kind of
institution, and he has already found his interlocutors: some of them belong to
the most radical fringe of Pci, some to the group of “Il manifesto”, and to new
revolutionary groups, like Potere Operaio 111 , Lotta Continua 112 and the Red
Brigades 113 . But in the night between the 14 and 15 March 1972, Feltrinelli dies.
He was trying to sabotate the Italian Congress of the Communist Party. Nearby
his corpse, into his car, there was a bag with all the money he wanted to give to
promote the newspaper "Il Manifesto" which was part of his revolutionary
project.
110 He was an Italian publisher and a left-wing political activist. He founded the publishing house Giangiacomo
Feltrinelli Editore in 1954. He was also a communist and founded the GAP in 1970. GAP would become the second
militant organization to be formed during the Years of Lead. On March 1972, Giangiacomo Feltrinelli was found
dead at the foot of a high-voltage power line pylon at Segrate, near Milan, apparently killed by his own explosives
while on an operation with other GAP members. Some believe that the Italian secret services, had a part in his death,
but no conclusive evidence was ever found. Recent evidences, reported by the Italian newspaper "Corriere della
Sera", casts more doubts about his death.
111 It was a radical left-wing Italian political group, active between 1968 and 1973. Among the group's leaders there
were Antonio Negri, Franco Piperno, Oreste Scalzone and Valerio Morucci, who led its clandestine armed wing.
Potere Operaio officially ceased to exist on 1973. Most of its core members went on to be involved in Autonomia
Operaia. Some of the leaders later drifted towards more radical groups such as the Re Brigades, including Morucci
and Adriana Faranda, who took part in the murder of Aldo Moro. Toni Negri was arrested in the late 1970s, accused
of being the leader of the Red Brigades. Oreste Scalzone also was arrested.
112 It was an Italian extra-parliamentary organization. It was founded in 1969 in Turin. The first publication of Lotta
Continua's eponymous newspaper was published in November 1969, and publication continued until 1982.
113 It was a Marxist-Leninist organization, based in Italy, which was responsible for numerous violent incidents,
assassinations, and robberies during the so-called "Years of Lead". Formed in 1970, the organization sought to create
a "revolutionary" state through armd struggle, and to remove Italy from the North Atlantic Treaty Organization. The
Red Brigades attained notoriety in the 1970s and early 1980s with their violent attempts to destabilisate Italy by acts
of sabotage, bank robberies, and kidnappings. The group's most infamous act took place in 1978, when the BR,
headed by Mario Moretti, kidnapped the former Christian Democrat Prime Minister Aldo Moro, who was trying to
reach a Compromesso Storico, or "historic compromise", with the Communists.
276

It's clear now that for the British, the war against the Communist Party is not a
conflict in defense of a threatened democracy, but against the Italian politics and
the ruling class that expresses it. We must remember that Italy was allied with
Tripoli and the regime of Gaddafi, who's defined a madman by the English. The
relations between Italy and Libya on the one hand, and Great Britain on the
other, became even more complicated after the closure of the Suez Canal, which
took place after the Six Day War 114 in June 1967 between Arabs and Israelis.
Since then, the Middle East crude oil supplies intended for the UK had become
more problematic and expensive, because the supertankers are now forced to
circumnavigate Africa to reach their destination. Thus, several European
countries, including the Great Britain, are obliged to obtain supplies from Libya
that continues to rise the price of oil with the support of Italy. The British are
outraged, and now their enemy has a name: it's Aldo Moro. He is the engine of
the Italian activism in the Mediterranean area, the protector of the Italian pro-
Arab line, as well as the privileged interlocutor of the Communist leader Enrico
Berlinguer, who launches its proposal for an "Historic Compromise" 115 between
the Communists, the Socialists and the Christian Democrats. An agreement that
includes some important clauses: the Italian Communist Party will totally
abandon the Soviet orthodoxy; the Christian Democratic party will stop the
discrimination against Pci.
10.11 The Years of Lead
Aldo Moro is definitely more dangerous than Enrico Mattei, because he pursues
his objectives with determination and with a touch of cynicism.
In a climate of excellent relations with the Arab world, Moro signs the most
114 also known as the Arab-Israeli War, or Third Arab-Israeli War, was fought by Israel and the neighboring states of
Egypt (known at the time as the United Arab Repulic), Jordan, and Syria. After a period of high tension between
Israel and its neighbors states, the war began on June 5 with Israel launching a surprise bombing raids against
Egyptian airfields. Within six days, Israel won a decisive war. Israeli forces took control of the Gaza Strip, the Sinai
Peninsula from Egypt, the West Bank and the East Jerusalem from Jordan, and the Golan Heights from Syria.
115 was an accommodation between the Christian Democrats (DC) and the Italian Communist Party (PCI). The 1978
assassination of the DC leader Aldo Moro put an end to the Compromesso storico.
277

secret of its agreement, the "lodo Moro." An agreement with the Palestinian
organizations, aimed at preventing the acts of terrorism in the Italian territory, in
exchange for the permission of arms traffic and the setting up some Palestinian
logistical bases on the Italian peninsula.
In 1975, the Italian voters give a resounding victory to the Communist Party in
the administrative elections. Between 1976 and 1978, in a crescendo of tension,
takes place the last dramatic act of the British secret war against Italy. That
period is known as the "Years of Lead" 116 .
After the political elections of 20 June 1976 ended in a drew between PCI end
DC, the political landscape evolved in a context of widespread violence, in which
the armed party launches his attack against the heart of the State. The stated
objective of the Red Brigades is to prevent the Historic Compromise to happen.
After a long series of terrorist attacks, we arrive to the day that changed the
course of Italian political history: the Aldo Moro's murder.
Just before the Parliamentary debate which would give Moro the Parliament
permission to realize the Historic Compromise, the Red Brigades kidnaps him.
He will be killed after fifty-five days of detention in a "prigione del popolo".
This is the story of 1976, the year in which, after having for long time considered
all the options available to stop Italy, London decides to support a "different
subversive action".
The British want to understand if they can rely on the support of the United
States. The American government is totally contrary to the participation of
Communists in the Italian government. They are doing everything possible to
influence the Italian Christian Democrats. The prestige of the Communist Party
grows in a surprising way. Berlinguer is really persuasive. In London they don't
understand or they don't want to admit, that the Italian Communist Party is far
from the Soviet orthodoxy. The British wonder what can they do to avoid that
116 It was a period of socio-political turmoil in Italy that lasted from the late 1960s into the early 1980s. This period
was marked by a wave of terrorism, initially called "Opposing Extremisms" (Opposti Estremismi) and later renamed
as the "Years of Lead" (Anni di piombo).
278

the Communists come to the power in Italy. Writing anticommunists articles is
not a good idea, because the only newspapers that the British can control have
been discredited. If Italy were to be governed by a party that shares the ideology
of NATO's direct enemy, it would be a very serious challenge and a problem for
the Allies countries’ security. The sensitive secrets would eventually be revealed
to the Soviets. The only way to preserve the security of NATO's top secret
information would be the expulsion of Italy from NATO.
Someone, like the English journalist Peter Nichols, realizes that the Italian
Communism and its leaders are not comparable to the Soviet ideology.
The Italian Communist Party is terrified at the idea that the Christian Democracy
can lose the power, because if they took the power there is a serious risk of a
right-wing coup d'état. The Communists are intelligent and well informed. In
Italy there is an atmosphere of resignation and depression, because there seems to
be no alternative to the Historic Compromise.
The Italian Communist Party must continue to be considered at the service of the
Soviet policy. And the primary function of NATO is to defend the Western
democracies from the external threat of the Soviet communism. The participation
of the Communist Party to the Italian government would create problems even to
the USSR, and the Great Britain knows it. The ideological conflict between the
two blocks, the Soviet and the Atlantic one, would be more acute, with the risk
for Moscow, that the reformist ideas spread throughout the Eastern Europe. But
the Soviets would have more advantages than disadvantages from this situation.
The Allies couldn't fully trust Italy, and this situation could damage NATO, by
creating a multi-level alliance, whit the inevitable consequence of its weakening.
All this if Italy would remain within NATO. But if it was expelled from the
organization, or if it was induced to leave, a worsen damage would arise. The
Alliance would have to radically revise its defensive strategies on the Southside.
That's the reason why the British are induced to react. They chose to encourage
the subversive actions in the Italian territory. London seeks the support of the
279

Americans but it can't find it. Disappointed with Washington, the British
government seems to have found the support it needs from Moscow, trusting in
the interest of the USSR of safeguarding the Communist ideology.
Berlinguer says that he feels safer under the protective wing of NATO then under
the one of Moscow. For this reason the Italian Communist Party will be obliged
to get closer to the Western politics.
In the elections of June 1976 the Communists overtakes the Christian Democrats.
The attention is focused on the leader of the Christian Democracy Aldo Moro.
He is still the President of the Council, while waiting for the new government to
be formed. It's no more clear if he intends to drive out Communists, or if he want
to resume the political dialogue with Enrico Berlinguer.
Abroad they are all wondering whether the problem in Italy is the Communist
Party or the leader of the Christian Democrats; the man who inspires the Italian
domestic semi-communist policy and its Foreign Policy based on Mattei's
project.
Rome, 16 March 1978. This is the date that dramatically changes the course of
the Italian history. That morning, in the Parliament, the nightmare that the British
have tried to avoid in every way, is going to materialize: Giulio Andreotti 117 and
his government based on the National Solidarity, will express the trust in Aldo
Moro and Enrico Berlinguer. The political project of Aldo Moro, who's now the
President of the Christian Democrats, is therefore going to become true.
Everyone knows that the Communists have already guaranteed Moro their votes
to elect him as the Italian President of the Republic.
In this way he will lead the country towards a full democracy, a modern
117 He’s an Italian politician of the now dissolved Christian Democracy party. He served as the 41st Prime Minister of
Italy from 1972 to 1973, from 1976 to 1979 and from 1989 to 1992. He also served as Minister of the Interior in 1954
and in 1978, Defense Minister from 1959 to 1966, and Foreign Minister from 1983 to 1989; he has been a senator for
life since 1991. He is also a journalist and author. From 1974 to 1976, Andreotti was the Italian Minister of Foreign
Affairs. In this period Italy opened and developed diplomatic and economic relationships with the Arab countries of
the Mediterranean Basin, a policy previously pursued only at non-government level, such as by Enrico Mattei's ENI.
He also supported business and trade between Italy and the Soviet Union. In March 1978, the crisis was overcome by
the intervention of Moro, who proposed a new cabinet, again formed only by DC politicians, but this time with
positive confidence votes from the other parties, including the PCI. This cabinet was also chaired by Andreotti, and
was formed on March 1978, when Aldo Moro was kidnapped by the communist terrorist group the Red Brigades.
280

democracy, similar to those of all the Western countries. Italy is emancipating
itself from its status of country which was defeated in war, subjected to the rules
imposed by the victorious powers, especially from Great Britain. Now Italy can
aspire to become all that the United Kingdom has always tried to prevent.
On that morning of March, Moro leaves home early. He's accompanied by five
bodyguards, he's directed to the Chamber of Deputies. In Via Fani the tragedy
happens. An armed commando of the Red Brigades crashes his car and the one of
his bodyguards. After having slaughtered his five bodyguards, they kidnap Aldo
Moro and they lead him to a "prigione del popolo" to subject him to a "processo
proletario". They condemn him to death. After fifty-five days of captivity, they
kill him and they leave his body in a red Renault parked in Via Caetani, in
Rome's Historic City Center.
10.12 Conclusions
All Moro's murderers have been identified, captured, tried and convicted. But we
still don't know who has suggested to the Red Brigades to kidnap him. The case
of Aldo Moro’s murder has never been closed. According to the General Carlo
Alberto Dalla Chiesa 118 and the judge Rosario Priore, it has never been a closed
case. They have always affirmed that the Moro case, as the Bologna massacre
and the Ustica massacre, is a case that involves also the Allies countries. It's the
result of our country's tradition of geopolitical conflicts.
Moro was still alive when some agents of the SISMI (the former Italian military
intelligence) went to look for him in the palace of the Caetani family. The same
house under the windows of which, a few days later, on 9 May 1978, they found
the lifeless body of the Christian Democrat leader. The SISMI officers had been
tipped off by Israeli intelligence. That building and the nearby houses, were the
main meetings took place between the Italian revolutionaries and the British
118 He was a general of the Italian Carabinieri notable for campaigning against terrorism during the 1970s in Italy and
was later assassinated by the Mafia in Palermo.
281

intelligence. Politicians, diplomats, intellectuals and journalists wove their
relations in those salons. But the SISMI agents had had to stop out of the door of
those palace. All the investigations have never been able to cross that threshold.
Today the British papers, shed a light on more than half a century of history
revealing the relations between London and Rome.
The point that neither the judges nor the parliament knew at the time, was the
role of NATO and its clandestine network Stay Behind 119 (known as Gladio in
Italy) during the seizure. It's a crucial role, which excluded the Italians, entrusting
the management of the whole case to a special unit of the network Stay Behind.
That organization was headed by a directorate which included Britain, France,
USA and Germany. During those dramatic fifty-five days, the Italian government
was reduced to a mere observer. Italy was abruptly recalled its status of nation
defeated in war; a nation which must remain under the control of the victorious
powers. First of all under the control of Great Britain.
The case was treated as a crime news; as the product of the complicated Italian
domestic situation. On the other hand, a vast literature has flourished, which
tended to blame Washington for what had happened. Two sides of the same coin.
Both have prevented the truth to emerge, to come to a end. The real essence of
this case, as for the Ustica massacre, had never been took into account.
Moro had a project; he wanted to modernize Italy and its political-economic
system. That's why Moro as Mattei was in the middle of all conflicts, around the
world. And, as Mattei, when his project was becoming true, he has been killed.
His death changed the course of the Italian history, causing ripple effects. The
Red Brigades continued to attack by intimidating many of the most important
leaders who wanted to follow the project of the deceased leader. It happened just
what Moro had predicted in one of the letters he wrote from his prison during
the days of the seizure. The party leadership was assumed by Andreotti who
119 In a stay-behind operation, a country places secret operatives or organizations in its own territory, for use in the
event that the territory is overrun by an enemy. If this occurs, the operatives would then form the basis of a resistance
movement, or would act as spies from behind enemy lines. Small-scale operations covered only small areas, but
larger stay-behind operations envisaged entire countries being conquered.
282

hasn't been able to establish the same relationship Aldo Moro had with Enrico
Berlinguer, in the years of the Historic Compromise. The country plunged into a
deep and growing crisis, devoid of leaders who're able to implement forward-
looking strategies, Italy lost the chance of redemption offered by the fall of the
Berlin Wall. The old regime didn't survive to the end of the Cold War. It fell
apart. Beginning with the state-owned industry, which was dismantled and sold
to the Anglo-Saxon banks. Italy has, little by little, lost all the positions of
influence Mattei and Moro had gained. The death of Moro has had the same
effect of a coup d'état: it caused the same effects of a devastating war. Then,
NATO, Great Britain and France got the upper hand in the oil market, also by
transforming Italy in a sort of battlefield.
10.13 NATO: peace and security, that’s our mission
NATO is a political and military Alliance of countries from North America and
Europe. It is often said that the North Atlantic Treaty Organization was founded
in response to the threat posed by the Soviet Union. This is only partially true. In
fact, the Alliance’s creation was part of a broader effort to serve three purposes:
deterring Soviet expansionism, forbidding the revival of nationalist militarism in
Europe through a strong North American presence on the continent, and
encouraging European political integration.
NATO provides a unique link between these two continents for consultation and
cooperation in the field of defense and security, and the conduct of multinational
crisis management operations.
«The basic premise of NATO was that Europe's security was the United States
security and vice versa. 120 »
NATO is committed to the peaceful resolution of disputes. If diplomatic efforts
fail, it has the military capacity needed to undertake crisis management
operations. These are carried out under Article 5 of the Washington Treaty and\or
120 Harnden, T. Barack Obama: “arrogant US has been dismissive” to allies, from «The Telegraph» 09 april 2009.
283

under a UN mandate, alone or in cooperation with other countries and
international organizations.
«We want to be sure that we can walk around freely in a safe and secure
environment. Security in all areas of everyday life is key to our well-being, but it
cannot be taken for granted 121 .»
NATO is committed to the principle that an attack against one or several
members is considered as an attack against all. This is the principle of collective
defense, which is enshrined in Article 5 of NATO's founding treaty: the
Washington Treaty 122 .
«The Parties agree that an armed attack against one or more of them in Europe or
North America shall be considered an attack against them all a and consequently
they agree that, if such an armed attack occurs, each of them, in exercise of the
right of individual or collective self-defense recognized by Article 51 of the
Charter of the United Nations, will assist the Party or Parties so attacked by
taking forthwith, individually and in concert with the other Parties, such action as
it deems necessary, including the use of armed force, to restore and maintain the
security of the North Atlantic area. Any such armed attack and all measures
taken as a result thereof shall immediately be reported to the Security Council.
Such measures shall be terminated when the Security Council has taken the
measures necessary to restore and maintain international peace and security 123 .»
It is crucial to promote stability in regions where tensions pose security threats.
This is why NATO takes an active role in crisis management operations, most of
them under a UN Security Council mandate. NATO leads multinational
operations and ensures that, in the field, personnel and equipment can fulfill the
mission efficiently. NATO also co-ordinates international humanitarian
assistance for disaster-stricken areas.
Partnerships have been formed with counties willing to develop a relationship
121 A message from Anonymous to NATO, www.nato.int.
122 It’s also called the "North Atlantic Treaty". Signed in Washington D.C. on 1949, it's the treaty which established
the North Atlantic Treaty Organization (NATO).
123 The Washington Treaty, article 5.
284

with NATO that differs from that of a member country. Partner countries stretch
from the Atlantic to Central Asia and from Scandinavia to the Middle East.
A NATO decision is the expression of a collective will of all 28 member
countries since all decision are taken by consensus. The security challenges
confronting our societies today know no hordes. As threats and risks have
diversified, NATO is addressing a broader spectrum of defense and security
challenges than in the past and must ensure it has the military and civilian
capabilities to do so.
During the Cold War, NATO's role and purpose were clearly defined by the
existence of the threat posed by the Soviet Union. When, by the early 1990s, the
Warsaw Pact had been dissolved, the Alliance actively contributed to
overcoming the old East-West divide of Europe by proposing a cooperative
approach to security. With the disappearance of its traditional adversaries, some
believed that the need for NATO had also been removed and that the future
defense could be dramatically reduced. However, it soon became clear that
although the end of the Cold War might have removed the threat of military
invasion, instability in some parts of Europe has increased. New forms of
political and military cooperation were required to preserve peace and stability in
Europe and to prevent the escalation of regional tensions.
«Now that the Cold War is over, we are faced not with a single all-embracing
threat but with a multitude of new risks and challenges 124 .»
NATO adapted quickly to the post-Cold War security environment. The new
concept also highlighted that future threats would be multidirectional and often
difficult to prevent or simply to predict. The shocking brutality of the attacks of
September 11, and the means to achieve them demonstrated the vulnerability of
open and democratic societies. The next day, for the first time in the Alliance
history, the Allies invoked Article 5 of the Washington Treaty. The Alliance
subsequently adopted measures to support the United States.
124 J. Solana then NATO Secretary General, What is NATO? An introduction to the transatlantic Alliance, 25 January
1999, page 12.
285

«Taking the political decision to deploy military force is never easy. But the
rapid and careful application of force can often prevent a crisis from developing
into a more serious one 125 .»
This statement explains in a nutshell, what happened on that evening of June 27,
1980, in the skies over Ustica, according to the former President of the Republic
Francesco Cossiga 126 .
125
A. F. Rasmussen, NATO Secretary General, Speech to the NATO Parliamentary Assembly, in Bulgaria. 30 May
2011.
126
He was an Italian politician, the 43rd Prime Minister and the eight President of the Italian Republic. He was also a
professor of constitutional law at the University of Sassari. Cossiga was born in Sardinia. He started his political
career during World War II. He was the cousin of Enrico Berlinguer. He was minister for the Democrazia Cristiana
party (DC). He was in-charge during the kidnapping and the murder of Aldo Moro by the R Brigades. He resigned
when Moro was found dead in 1978. According to Italian journalist Enrico Deaglio, Cossiga to justify his lack of
action "accused the leaders of CGIL and of the Italian Communist Party to know the location where Moro was
detained". Cossiga was elected President of the Italian Senate in 1983, a position he held until 24 June 1985, when he
became the President of the Republic. According to the Italian Constitution, Cossiga became President Emeritus of
the Italian Republic.
286

287

“Ustica: destini incrociati. Quando la garanzia di legalità di un paese,
danneggia gli interessi internazionali”
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A message from Anonymous to NATO
Cereghino, M. J. Fasanella, G. Il golpe inglese. Da Matteotti a Moro: le prove
della Guerra segreta per il controllo del petrolio e dell’Italia, Milano,
Chiarelettere editore srl, 2011.
291

Harnden, T. Barack Obama: “arrogant US has been dismissive” to allies, «The
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www.nato.int
www.stragi80.it
Zanghì, C. Diritto delle organizzazioni internazionali, Torino, Giappichelli
Editore, 2007.
292

RINGRAZIAMENTI
Si ringraziano per la preziosa collaborazione “Il Museo d’Arte Moderna di
Bologna” (MAMbo) ed il “Museo per la Memoria di Ustica” per aver concesso
alla candidata l’acquisizione di materiale fotografico, cartaceo e multimediale a
scopo didattico.
Si ringraziano altresì gli ex dipendenti Itavia, nella persona di Antonio Bovolato,
creatore del gruppo Facebook “Noi dell’ITAVIA”, per aver fornito alla candidata
tutto il loro contributo in termini di testimonianza e affetto.
In ultimo si ringrazia il professor Giordano Altarozzi per aver permesso alla
candidata di disporre della sua esperienza, e per aver fornito alla stessa il suo
autorevole punto di vista circa la strage di Ustica, delineando altresì, con estrema
chiarezza, il complesso panorama internazionale della guerra fredda.
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