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NUOVO_DOCUMENTO 15 MAGGIO 5D IGEA - Itcgassisi.It

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SIMULAZIONE PRIMA PROVA SCRITTA 24 NOVEMBRE 2010<br />

Svolgi la prova, scegliendo una delle quattro tipologie proposte<br />

TIPOLOGIA “A” - ANALISI DEL TESTO<br />

Vasco Pratolini, Metello<br />

Fu un brutto inverno, chiuso il cantiere di Romito, con nemmeno mezzo toscano nel corso di una giornata; e una<br />

primavera in cui s'incominciò e si lasciò in tronco un lavoro a Villamagna. Quindi, erano accaduti i moti di quel<br />

maggio del '98 ai quali, sempre così, «pareva sempre tutto combinato», Metello si trovò in mezzo e ne avrebbe fatto<br />

volentieri a meno. Ma uscire di casa, il martedì 6, e approvare chi gridava: «Pane!», fu spontaneo, come spicca<br />

l'acqua dalla sorgente e le labbra pronunciano le parole. Dopo tre mesi di disoccupazione, e ripugnandogli l'idea di<br />

mettersi un'altra volta a lavorare da facchino, non più soltanto mezzo sigaro gli mancava, ma giusto anche per lui era<br />

questione di pane, e di fitto arretrato, di debiti da pagare, di loggione per l'"Aida" promesso alla fidanzata del<br />

momento, sempre che non lo animassero degli ideali. Poi, trovarsi in prima fila negli scontri di Piazza Vittorio,<br />

venne di conseguenza, sarebbe stato assurdo il contrario. Una colonna di dimostranti proveniente da San Frediano<br />

(c'era Gemignani in mezzo a loro, lo conosceva di vista, era un collega, si erano incontrati al funerale di Pallesi)<br />

l'aveva come rimorchiato. Costoro non seguivano una bara, era gente scalmanata, carica d'odio e di fame...<br />

[…]Fu un parapiglia, egli non fece in tempo a roteare le braccia ché un calcio di fucile gli calò sulla testa e lo stordì.<br />

Soltanto giorni e mesi dopo seppe come erano andate le cose, a Milano e nel resto d'<strong>It</strong>alia, e che a Firenze c'erano<br />

state decine di feriti, cinque morti a Sesto, uno a Ricorboli, tre alle Caldine, nove in tutto il giro dei colli che<br />

abbracciano la città. E come avevano preso lui, avevano preso Del Buono, avevano preso Turati.<br />

[… ]I più li avevano chiusi alla Fortezza da Basso; lui e altri alle Murate.<br />

La sera successiva l'arresto, erano già stati condotti al carcere e ristretti nel camerone; ci fu di certo come una tregua,<br />

un accordo tra le guardie e quelle donne che da ore vociavano dalla strada. Loro si arrampicavano a turno sulle<br />

sbarre del camerone. D'un tratto si fece silenzio e una delle donne gridò:<br />

«Arrestati d'ieri, ascoltatemi. Abbiamo ottenuto di potervi salutare una per volta, ma voi non rispondete se no ci<br />

mandano via con la forza. Non possiamo darvi nemmeno notizie di casa, se no dicono che c'è dell'intesa».<br />

I prigionieri avevano fatto gruppo sotto le sbarre, erano una trentina e la più parte, l'uno all'altro sconosciuto; si<br />

mordevano la lingua per trattenere il fiato e le parole.<br />

Incominciò, nel gran silenzio, la chiama.<br />

«Io sono la moglie di Monsani Federigo» gridò la stessa voce. «Diteglielo se lui non ha sentito. Ghigo Monsani, sua<br />

moglie lo saluta».<br />

«Io sono la moglie di Baldinotti Armando. Baldinotti Armando, son la Gina» gridò la seconda.<br />

E la terza: «Martini Pisacane, sono tua moglie Lidia».<br />

«Gemignani Giannotto, sono Annita» gridò la quarta.<br />

Nel camerone, a ogni nome, un agitarsi di teste; un improvviso vuoto nella calca perché l'uomo potesse arrampicarsi<br />

sulle sbarre, da dove tuttavia non si arrivava a vedere la strada, ma il tetto dirimpetto e le poche stelle in cielo.<br />

«Qui c'è una vecchia che non ha abbastanza voce» tornò a gridare la moglie di Ghigo Monsani. «E' la mamma di<br />

Palanti Sergio...» s'interruppe. «Pananti, Pananti Sergio, fa il fornajo».<br />

Metello si teneva da un lato, siccome nessuno l'avrebbe chiamato; non certo «la prussiana» ch'egli aveva sfuggito,<br />

non qualcuna delle sue belle, non Pia, non Garibalda, non Viola, nemmeno, non ci sperava.<br />

«Sono la moglie di Fioravanti il tornitore. Fioravanti Giuseppe, il tornitore».<br />

«Giulio... Giulio Corradi» gridò una voce, si sentì il pianto che la strozzava.<br />

«Sestilio! Sono Rosina!».<br />

«Pantiferi Omero, sono la figliola di Pantiferi Omero. C'è anche la moglie che lo saluta».<br />

Ora, tra i carcerati, alla sorpresa, al primo impeto di gioia, era succeduta una tensione nervosa, resistevano sempre<br />

meno a lasciare senza risposta quei richiami, si capiva che prima o poi qualcuno avrebbe ceduto; già il grosso<br />

Monsani, rosso di pelo e con una taglia da Sansone, aveva dovuto intervenire di prepotenza, chiudendo la bocca di<br />

Corradi, il quale davvero non c'entrava con la «rivoluzione», e da due giorni piangeva, le lacrime scendevano a<br />

bagnare i suoi onesti baffi di impiegato della Prefettura. «Attraversavo Piazza Goldoni per andare in ufficio e<br />

m'hanno preso. Non ho ancora trent'anni e la carriera rovinata. Il Generale Sani mi conosce, ho uno zio capitano,<br />

nessuno mi crede» ripeteva, né si rendeva conto che coteste benemerenze poco lo aiutavano ad affiatarsi nella<br />

convivenza tra cui si trovava. Tante teste, ora, l'una accanto all'altra; voltati di fianco, per tendere l'orecchio, tanti<br />

visi, nella poca luce, visti di profilo, e attenti, pronti a scattare su per le alte sbarre del camerone.<br />

«Sono ancora io, Antonietta Monsani. Parlo a nome della moglie di Lucarelli Egisto. Sta bene, ma per via degli anni<br />

non ce la fa coi polmoni».<br />

Quindi, come anticipando il proprio turno, fu questa l'impressione, precipitosa, si annunciò una giovane e chiara<br />

voce.<br />

«Salani Metello, sono Ersilia. Salani Metello, son la figliola del Pallesi».<br />

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