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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PALERMO<br />
FACOLTA’ DI LETTERE E FILOSOFIA<br />
CORSO DI LAUREA IN TECNOLOGIE E DIDATTICA DELLE LINGUE<br />
CORSO DI LETTERATURA INGLESE<br />
PROF. MARCELLO CAPPUZZO<br />
SAMUEL TAYLOR COLERIDGE<br />
THE RIME OF THE ANCIENT MARINER<br />
A CURA DI DI BLASI SALVATORE<br />
ANNO ACCADEMICO 2007/2008
Pensiero filos<strong>of</strong>ico e poetico dell’autore<br />
Samuel Taylor Coleridge è uno dei maggiori esponenti del romanticismo inglese. Insieme a<br />
William Wordsworth fa parte del primo filone di poeti romantici inglesi, e come tutti gli<br />
scrittori del suo tempo risente in tutta la sua formazione poetica e intellettuale della<br />
Rivoluzione francese e delle sue ripercussioni in tutta Europa. Bisogna dire, tuttavia, che<br />
Coleridge non visse a pieno la rivoluzione come fu, per esempio, per l’amico Wordsworth,<br />
che nel 1792 si trovava in Francia a combattere al fianco dei rivoluzionari; per lui la<br />
rivoluzione fu uno stimolo ulteriore di rottura col passato per provare nuove esperienze,<br />
nuove tecniche di scrittura che fossero distanti da quelle del secolo che si stava chiudendo nel<br />
caos della rivoluzione che aveva sconvolto i sistemi politici, ma anche gli animi e le certezze<br />
degli intellettuali.<br />
Nato nel 1772, ultimo di dieci figli, nel 1791 venne ammesso al Jesus College di Cambridge<br />
dove conobbe Robert Sou<strong>the</strong>y, con cui progettò di creare una società nuova chiamata<br />
Pantisocraty, una sorta di protocomunismo il cui carattere principale avrebbe dovuto essere un<br />
cristianesimo primitivo utopistico; questa nuova società, teoricamente avrebbe dovuto essere<br />
composta da dodici famiglie e sarebbe dovuta sorgere nel nuovo mondo, nei nuovi e appena<br />
sorti Stati Uniti d’America. Tuttavia l’espe<strong>rime</strong>nto fallì.<br />
Lasciati gli studi di Cambridge si trasferì a Bristol dove conobbe Wordsworth che diventerà<br />
presto suo grande amico e con cui creerà un sodalizio letterario tra i più importanti della storia<br />
della letteratura mondiale. I due infatti progettarono la creazione di un lavoro, una raccolta di<br />
poesie che ebbe grande successo, soprattutto nella seconda edizione del 1800, due anni dopo<br />
la pubblicazione della prima: le “Lyrical Ballads”. In questa raccolta i due poeti si pongono lo<br />
stesso obbiettivo, cioè quello di creare una visione totale ed unitaria della realtà, usando però<br />
due modalità diverse. Wordsworth infatti tende a ricreare nelle sue poesie la realtà quotidiana<br />
attraverso le piccole cose giornaliere, dandogli comunque un aspetto nuovo grazie al<br />
linguaggio poetico; Coleridge invece utilizza personaggi romanzeschi, immaginari, avvolti in<br />
situazioni strane e influenzate da forze soprannaturali, capaci quindi di rendere tangibile al<br />
lettore la sensazione dell’immanenza del soprannaturale sulla realtà. E proprio nella famosa<br />
ballata “<strong>The</strong> Rime <strong>of</strong> <strong>the</strong> Ancient Mariner” Coleridge svilupperà questo aspetto della sua arte<br />
poetica in maniera eccellente.<br />
La seconda edizione delle Lyrical Ballads ebbe grande successo per vari motivi, sia per una<br />
critica letteraria che a due anni dalla prima edizione era pronta ad accogliere un opera di tale<br />
spessore, sia perchè furono molto importanti i due anni tra il 1798 e il 1800, importanti nella<br />
formazione del loro pensiero poetico e filos<strong>of</strong>ico, che i due poeti trascorsero uno in Germania<br />
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e uno lo passarono nel Lake District, al confine con la Scozia, che gli permise di ritrovare il<br />
contatto con la natura, con la vita rurale, semplice, lontano dal caos delle città in frenetica<br />
evoluzione per via della rivoluzione industriale cavalcante.<br />
Tuttavia, soprattutto per Coleridge, fu di grande importanza e ispirazione il viaggio in<br />
Germania, dove venne a contatto con il romantico Gruppo di Jena, di cui facevano parte anche<br />
personaggi di alta levatura come Novalis e Schlegel. In quell’ambiente pregno di cultura,<br />
Coleridge venne a contatto con gli idealisti tedeschi della seconda metà del XVIII secolo da<br />
cui apprese, per poi elaborare a suo modo e mettere in pratica nei suoi scritti, gran parte delle<br />
tematiche del pensiero filos<strong>of</strong>ico che poi esp<strong>rime</strong>rà a pieno nella “Biographia literaria”, una<br />
sorta di testamento pubblicato nel 1817, un’autobiografia filos<strong>of</strong>ica in cui discute di:<br />
conciliazione degli opposti, contrapposizione tra imagination e fancy, la distinzione tra<br />
simbolo e allegoria, l’idea del sublime e la discussione sul genio.<br />
Per Coleridge il sublime è un sentimento soggettivo, vale a dire che di per sé nessun oggetto è<br />
sublime, ma diventa tale solo quando vi si associa, ognuno per se, un’idea, in quanto l’idea è<br />
l’unione dell’universale e del particolare, l’idea è l’essenza. Quando si parla di idea entra in<br />
gioco il concetto di simbolo, che rende accessibile l’idea in quanto parte stessa dell’idea;<br />
l’idea è direttamente collegata alla natura. Diversa dal simbolo è invece l’allegoria, che<br />
rappresenta una traduzione di concetti astratti in un linguaggio pittorico. È possibile assistere<br />
in Coleridge, come in molti altri poeti romantici, alla sacralizzazione del simbolo, in quanto<br />
strumento che permette di giungere all’idea e quindi alla natura, matrice di tutto, forza che<br />
sottende l’uomo, fatto sublime e al tempo stesso misterioso e indefinibile. Tutte queste<br />
tematiche troveranno poi riscontro nella ballata del vecchio marinaio.<br />
Nel pensiero filos<strong>of</strong>ico di Coleridge gioca un ruolo molto importante la distinzione che viene<br />
fatta tra imagination e fancy, le due facoltà creative della poesia. Sempre dagli idealisti<br />
tedeschi prese spunto, che poi rielaborò a suo modo, invertendo i termini, probabilmente per<br />
un errore di traduzione. Con questa distinzione Coleridge creò uno schema conoscitivo che<br />
riguardasse le diverse capacità che messe insieme danno la visione del tutto. L’imagination, in<br />
italiano fantasia, è la facoltà specifica del genio poetico; questa facoltà permette di unificare<br />
tutte le cose, di mediare tra ragione ed intelletto, di mutare il possibile nel reale, di conciliare,<br />
grazie alla poesia, gli opposti.<br />
Direttamente connessa all’imagination è la creatività del “genio” poetico in quanto, secondo<br />
Coleridge, nell’imagination opera la struttura dialettica “soggetto-oggetto-sintesi”, in cui il<br />
soggetto corrisponde al genio, l’oggetto è l’oggetto di studio e la sintesi è la creazione.<br />
L’imagination è contrapposta alla fancy, immaginazione in italiano, facoltà inferiore legata<br />
2
alle percezioni, ai sentimenti e alla memoria; la fancy comprende il talento e<br />
l’immaginazione, ma questi sono meccanicistici, cioè si limitano a combinare. Tuttavia,<br />
malgrado questa distinzione, è importante riferire che secondo lo schema di Coleridge,<br />
imagination e fancy, pur essendo diverse, non si escludono l’un l’altra, ma sono<br />
complementari per il genio poetico.<br />
Da Schelling inoltre Coleridge per una distinzione tra primary e secondary imagination. La<br />
prima è l’intuizione inconscia, il principio che permette le operazioni di dialettica, ovvero<br />
separare, riunire e sintetizzare; la seconda invece è l’arte di per se, e coesiste con la volontà e<br />
la coscienza. Entrambe queste “sub-facoltà” sono proprie del poeta.<br />
Secondo Coleridge il poeta, il genio poetico, deve avere tute le facoltà di cui si è appena<br />
descritto, in se deve riunire la percezione consapevole ed inconsapevole, in quanto è un<br />
creatore cosciente che lavora inconsciamente. Kant nel ‘700 parlava di corrispondenza tra<br />
genio e regole naturali; Coleridge rielabora questo pensiero kantiano parlando del genio<br />
poetico come di colui che ha in se la qualità dell’universalità, dell’impersonalità e<br />
dell’oggettività; il genio concilia gli opposti con naturalezza; è distaccato dai sentimenti<br />
personali per avvicinarsi a quelli universali. Tuttavia il genio poetico non deve essere troppo<br />
astratto, ma deve ricreare l’universale nel particolare, poichè la grandezza del creato si vede in<br />
ogni piccola creatura della Terra: consiste in questo la capacità di conciliare gli opposti.<br />
Inoltre il poeta genio non deve essere semplicemente un poeta, ma deve essere esperto in<br />
molti altri campi. Dice Coleridge che il poeta deve possedere determinate qualità: sensibilità,<br />
passione, volontà, buon senso, giudizio, fantasia ed immaginazione; deve essere implicito ed<br />
esplicito, filos<strong>of</strong>o, devoto, in quanto deve sempre stupirsi di fronte al mistero dell’universo;<br />
deve essere anche uomo di scienza, esperto in campi come l’anatomia, idrostatica,<br />
metallurgia, scienza dei fossili.<br />
Coleridge riteneva che la massima espressione del genio poetico avesse avuto la figura di<br />
William Shakespear. Dice Coleridge che in Shakespear non c’è né passato né futuro, ma tutto<br />
è permanente, nel senso che i temi trattati dal grande poeta inglese del ‘600 sono sempre di<br />
attualità, sebbene siano stati scritti due secoli prima; trascendono il carattere personale sia<br />
dello stesso scrittore che dei personaggi narrati nelle opere scritte, per raggiungere un<br />
carattere universale. Shakespear è il poeta ideale.<br />
Per ciò che riguarda il fine ultimo della poesia, Coleridge scrive che la poesia deve condurre il<br />
lettore al piacere estetico, almeno come obbiettivo immediato; in questo modo Coleridge si<br />
discosta abbastanza dai canoni romantici che mirano alla poesia impegnata, alla verità e<br />
3
all’utile, come per esempio era la poesia dell’amico Wordsworth. L’utile e il buono sono<br />
soltanto il fine ultimo, raggiungibili attraverso il piacere.<br />
Coleridge tenta di introdurre, inoltre, una distinzione tra poesy e poetry: secondo la sua<br />
opinione il termine poesy va attribuito a tutte le belle arti, mentre con poetry Coleridge<br />
identifica le opere il cui mezzo comunicativo ed espressivo sono le parole. Tuttavia, spesso<br />
nei suoi scritti si trova il termine poetry usato in un altro senso, ovvero lo utilizza per indicare<br />
quelle forme d’arte che più dilettano i sensi umani: per esempio parla della musica come della<br />
poetry dell’orecchio, della pittura come della poetry dell’occhio.<br />
Questi sono i caratteri generali della filos<strong>of</strong>ia di Coleridge, che lui riporterà poi nella sua<br />
poetica. È anche importante ricordare un altro aspetto della vita del poeta, una cosa che ha<br />
molto inciso sul suo modo di scrivere: l’oppio. Coleridge faceva grande uso di oppio, un uso<br />
cominciato si dall’età di circa dieci anni per alleviare dei dolori reumatici, ma via via<br />
cresciuto fino a diventarne dipendente. Alcuni critici letterari sostengono che questo eccessivo<br />
uso di oppio gli causasse molte visioni, e che quindi molto lo aiutasse per le ambientazioni<br />
strane ed esotiche delle sue opere; tuttavia altri ritengono che questa grande capacità<br />
immaginativa fosse data da un’indole passiva del poeta che lo portava ad immaginare più che<br />
a vivere la vita.<br />
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Analisi dell’opera<br />
La “Rime <strong>of</strong> <strong>the</strong> Ancient Mariner” nacque nel 1797, e probabilmente ha radici in letture che<br />
Coleridge aveva fatto in passato, letture di libri di viaggio; infatti il lungo percorso descritto<br />
da Coleridge ripropone, per molti aspetti, il viaggio attraverso cui Ferdinando Magellano<br />
raggiunse la Patagonia e l’Oceano Pacifico due secoli e mezzo prima. Altre letture fonte di<br />
ispirazione sembrano poter essere il Lenore di Bürger in cui si trovano termini marinareschi,<br />
nonché tematiche esoteriche, aspetti oscuri e magici allo stesso tempo; ma ciò che forse lo<br />
colpì più di tute fu la storia del capitano James Cook, di qualche anno precedente alla stesura<br />
della ballata, avventura molto simile in effetti a quella narrata da Coleridge: infatti il capitano<br />
Cook giunse in Antartide dopo aver attraversato l’equatore, s<strong>of</strong>frendo la bonaccia e il sole<br />
caldo prima e il freddo dei ghiacci incontrati man mano che scendeva verso il polo sud. Lo<br />
stesso Cook, inoltre, dice che durante il viaggio di ritorno fu condotto a casa “in sogno o con<br />
un prodigio”, come fu pure per il vecchio marinaio della storia.<br />
La “Rime <strong>of</strong> <strong>the</strong> Ancient Mariner” è divisa in sette parti. Coleridge, prima di cominciare il<br />
corpo del testo della ballata, pone un’epigrafe di Thomas Brunet tratta da Archeologiae<br />
Philosophicae; si tratta di un’epigrafe in latino in cui si accenna alla vita di cose visibili ed<br />
invisibili nell’universo, quale sia la loro funzione, ed invita a non chiudere la mente alle<br />
piccolezze della vita, ma a pensare a qualcosa di soprannaturale che pende sull’umanità. Il<br />
tema del soprannaturale, la consapevolezza che esiste qualcosa di superiore all’uomo e alle<br />
sue possibilità ricorre nella ballata, è lo scheletro su cui si erge l’opera.<br />
Come dice il titolo stesso, la metrica è tipica delle ballate, con quartine a rima alternata<br />
ABCB, e come si è già accennato in precedenza, Coleridge cura molto la musicalità dei versi<br />
e delle quartine, tramite l’uso di ripetizioni di parole o di versi, come se fossero piccoli<br />
ritornelli della ballata, e di allitterazioni<br />
“Higher and higher every day” (v. 29),<br />
“<strong>The</strong> ice was here, <strong>the</strong> ice was <strong>the</strong>re,<br />
<strong>The</strong> ice was all around” (vv. 59-60),<br />
“Swiftly, swiftly flew <strong>the</strong> ship,<br />
Yet she sailed s<strong>of</strong>tly too:<br />
Sweetly, sweetly blew <strong>the</strong> breeze –<br />
On me alone it blew.” (vv. 460-3).<br />
La ballata ha ambientazione, almeno all’inizio, in un banchetto di nozze, dove si introduce un<br />
uomo vecchio, dall’aria paurosa, con una lunga barba grigia; si tratta del vecchio marinaio che<br />
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afferra per il braccio un giovane, uno degli invitati alla festa, per raccontargli la sua storia. A<br />
primo acchitto il ragazzo non vuole ascoltare il vecchio, anche perchè spaventato da quella<br />
figura; tuttavia non riesce a staccarsi, perchè è come ipnotizzato dall’occhio ardente del<br />
marinaio “[...] glittering eye” (v. 3) prova ad allontanarsi da quell’uomo strano, ma<br />
“He holds him with his glittering eye-<br />
<strong>The</strong> wedding guest stood still,<br />
And listens like a three years’ child” (vv. 13-5).<br />
Il ragazzo è ipnotizzato, immobile, e ascolta come un bimbo di tre anni la storia che il<br />
marinaio si appresta a raccontargli. Inizia così il racconto del viaggio in nave del marinaio,<br />
che procede senza problemi fino all’equatore, che segna un punto di svolta nel viaggio, in<br />
quanto le condizioni del tempo diventano funeste, la nave viene come costretta a fuggire la<br />
tempesta, finché non giungono al Polo Sud, terra di ghiacci e nebbia, e di conseguenza la nave<br />
è costretta all’immobilità. Questo stato di non movimento dura finché non giunge l’albatro,<br />
grosso uccello che viene accolto dalla ciurma come un simbolo divino, di salvezza<br />
“As if had been a Christian soul,<br />
We hailed it in God’s name” (vv. 65-6).<br />
Infatti le cose cambiano; comincia a s<strong>of</strong>fiare un vento propizio che li spinge verso nord, fuori<br />
da quei ghiacci per l’Oceano Pacifico finché, malauguratamente, il vecchio marinaio con la<br />
sua balestra uccide l’albatro.<br />
Comincia qui la seconda parte della ballata, col viaggio verso nord ancora spinti dal vento, ma<br />
giunti all’equatore quel vento favorevole smette di s<strong>of</strong>fiare e la nave si ferma, sotto un sole<br />
cocente che li rende assetati, con le gole arse, col mare sotto di loro che sembra imputridire,<br />
ed un demone, abitante dell’Antartide, che li segue dalle pr<strong>of</strong>ondità marine<br />
“And some in dreams assured were<br />
Of <strong>the</strong> Spirit that plagued us so;<br />
Nine fathom deep he had followed us<br />
From <strong>the</strong> land <strong>of</strong> mist and snow” (vv. 131-4).<br />
Allora la ciurma comprende che uccidere l’albatro è stato un grande sbaglio così, come per<br />
Cristo, il cadavere del grosso uccello viene appeso alle spalle del vecchio marinaio.<br />
La terza parte è quella in cui la ciurma intera, tranne il protagonista della ballata, muore. Le<br />
gole infatti sono arse, secche, nessuno riesce a pr<strong>of</strong>erire parola, finché da lontano compare<br />
un’imbarcazione, che nonostante la completa assenza di vento e il mare piatto si avvicina: la<br />
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vela è stracciata, dello scafo rimane solo lo scheletro, tanto che il sole guardato attraverso di<br />
esso sembra in prigione; capiscono così quale immane sciagura si stia abbattendo su di loro<br />
“And straight <strong>the</strong> Sun was flecked with bars,<br />
(heaven’s Mo<strong>the</strong>r send us grace!)” (vv. 177-8).<br />
A bordo di quella spaventosa imbarcazione stanno solo due figure inquietanti che giocano a<br />
dadi, si giocano la sorte dell’equipaggio: sono Morte e Vita-In-Morte, e la seconda vince il<br />
vecchio marinaio<br />
“And <strong>the</strong> twain were casting dice;<br />
><br />
Quoth she, and whistles thrice.” (vv. 196-8).<br />
Al triplice fischio il sole scomparve di colpo, tutto si fece buio, e non appena la luna giunse a<br />
splendere in cielo uno dopo l’altro i marinai morivano, e nel momento del trapasso<br />
maledicevano con lo sguardo il vecchio marinaio<br />
“One after one, by <strong>the</strong> star – dogged – Moon,<br />
Too quick for groan or sigh,<br />
Each turned his face with a ghastly pang,<br />
And cursed me with his eye.” (vv. 211-4).<br />
Le loro anime volano in cielo passando accanto al vecchio marinaio, con un sibilo che<br />
richiama la balestra che uccise l’albatro.<br />
La quarta parte si apre con un cambiamento di set, infatti si torna all’ambientazione della festa<br />
di matrimonio, con il giovane convitato che si impaurisce pensando che anche il vecchio<br />
marinaio sia un morto; ma lui è vivo, ha vissuto la morte, l’ha vista coi propri occhi. Prosegue<br />
così il racconto del marinaio, con l’accentuazione della solitudine che sente solo, in mezzo<br />
all’oceano, su una nave coi cadaveri dei suoi compagni di viaggio, così comincia a provare<br />
disprezzo per le creature viscide che vede sott’acqua, nonché per lo stesso mare, putrido<br />
“And a thousand thousand slimy things<br />
Live on; and so did I.<br />
I looked upon <strong>the</strong> rotting sea,<br />
And drew my eyes away;<br />
I looked upon <strong>the</strong> rotting deck,<br />
And <strong>the</strong>re <strong>the</strong> dead men lay.” (vv. 238-243).<br />
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Il marinaio guarda quei corpi morti, che hanno gli occhi fissi su di lui, ancora quegli sguardi<br />
che lo maledicono. Finche, ad un certo punto, sotto la luce della luna, il marinaio comincia a<br />
guardare le cose con occhio diverso: vede le creature del mare adesso splendide<br />
“I watched <strong>the</strong>ir rich attire” (v. 278)<br />
e le considera “happy living things” (v. 282), felici creature viventi, e inconsapevolmente le<br />
benedice. In quello stesso istante il marinaio riesce a pregare, e ciò comincia a rompere quella<br />
sorta di incantesimo in cui era caduto<br />
“<strong>The</strong> self-same moment I could pray;<br />
And from my neck so free<br />
<strong>The</strong> Albatross fell <strong>of</strong>f, and sank<br />
Like lead into <strong>the</strong> sea.” (vv. 288-291).<br />
E gli cade dalle spalle, come per magia, l’albatro morto che affonda nel mare. È<br />
l’apprezzamento per la bellezza della natura che salva il marinaio; quelle creature che lui<br />
ammira e benedice sono il simbolo della natura.<br />
Col rompersi dell’incantesimo il marinaio viene pervaso dal sonno, dolce, un sonno che<br />
scende direttamente dal cielo, benedetto dalla Madonna. Siamo qui nella quinta parte, in cui<br />
viene fatta una comparazione tra due opposti, la realtà ed il sogno; il marinaio infatti sogna di<br />
essere tutto bagnato e di vedere i secchi sul ponte della nave traboccanti d’acqua, e così infatti<br />
è, perchè piove davvero; la realtà diventa visionaria<br />
“<strong>The</strong> silly buckets on <strong>the</strong> deck,<br />
That had so long remained,<br />
I dreamt that <strong>the</strong>y were filled with dew;<br />
And when I awoke, it rained.” (vv. 297-300).<br />
Comincia a s<strong>of</strong>fiare un forte vento che smuove le vele della nave che erano ferme da tanto<br />
tempo, il marinaio ode suoni stavolta benevoli provenire dal cielo e dal fondo del mare, vede<br />
cose strane in cielo e in acqua; e ad un tratto i corpi dei marinai morti riprendono a muoversi,<br />
animati da spiriti benevoli, che mettono in moto la nave. Non erano demoni o anime dannate,<br />
e si capisce dal fatto che all’alba tutti quei marinai si radunano intorno all’albero maestro e<br />
cominciano ad intonare inni di benedizione verso il cielo, mentre il marinaio udiva suoni<br />
soavi, di natura anche boschiva, di uccelli<br />
“Sometimes a-dropping from <strong>the</strong> sky<br />
I heard <strong>the</strong> sky-lark sing;<br />
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Sometimes all little birds that are,<br />
How <strong>the</strong>y seemed to fill <strong>the</strong> sea and air<br />
With <strong>the</strong>ir sweet jargoning!” (vv. 358-362).<br />
A mezzogiorno , calato il vento, la nave continua a muoversi grazie allo Spirito dell’Antartide<br />
che la spinge verso l’equatore, come ha voluto la schiera degli angeli e spiriti benevoli che<br />
muove i corpi dei marinai. Giunti all’equatore lo spirito smette di spingere e la nave si ferma,<br />
fa piccoli movimenti, finché non fa un balzo da far cadere per terra il marinaio senza sensi. In<br />
uno stato tra il sonno e la veglia, tra realtà e sogno, il marinaio ode due voci: sono di due<br />
demoni, compagni dello Spirito dell’Antartide, che intanto faceva rotta verso il Polo Sud, e<br />
discutono del marinaio e di ciò che l’aspetta<br />
“‘Is it he?’ quoth one, ‘Is this <strong>the</strong> man?<br />
By him who died on cross.<br />
With his cruel bow he laid full low<br />
<strong>The</strong> harmless Albatross.’” (vv. 398-401),<br />
“Quoth he, ‘<strong>The</strong> man hath penance done,<br />
And penance more will do. (vv. 408-9),<br />
il marinaio non ha finito di scontare la sua pena, perchè lo Spirito dell’Antartide vuole la sua<br />
vendetta.<br />
La sesta parte si apre col marinaio ancora nello stato di trans ipnotico, mentre ode ancora i<br />
due demoni sulla nave parlare e discutere sulla nave che, nonostante manchi vento, corre tanto<br />
veloce da non permettere al marinaio di svegliarsi. E un demone spiega all’altro che la nave si<br />
muove così veloce perchè il mare obbedisce alla luna, secondo la gerarchia della natura: la<br />
luna, divina, ordina al mare di far viaggiare la nave veloce verso casa.<br />
Quando si sveglia il marinaio, la nave procede lenta, ma lui deve proseguire la sua penitenza:<br />
infatti i corpi dei marinai stanno tutti in piedi, e lo fissano con occhi di pietra, “stony eyes” (v.<br />
436), tanto da non poter volgere lo sguardo al cielo e pregare<br />
“I could not draw my eyes from <strong>the</strong>irs,<br />
Nor turn <strong>the</strong>m up to pray.” (vv. 440-1).<br />
Ad un tratto però la maledizione si spezza, il marinaio ricomincia a vedere la natura nel suo<br />
reale splendore, sempre però impaurito, perchè ha visto la morte, e ha paura di voltarsi<br />
indietro e rivederla ancora; c’è qui un paragone con Dante, che nell’Inferno si appresta ad<br />
entrare e si volta per l’ultima volta a guardare il mondo dei vivi, tanto che Coleridge nel testo<br />
originale della ballata pone accanto, come nota “from Dante”. Riprende a sentire il vento, che<br />
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però s<strong>of</strong>fia solo su lui, stranamente, finché non comincia ad intravedere la costa, il porto, il<br />
faro, la sua terra, così felice da non capire se è realmente vivo o morto, sveglio o ancora<br />
sognante<br />
“O let me be awake, my God!<br />
Or let me sleep alway” (vv. 470-1).<br />
C’è ancora similitudine tra lo stato di vita e di morte, di veglia e sogno.<br />
Adesso le anime beate, i serafini, lasciano i corpi del marinaio e ritornano al cielo, salutando il<br />
vecchio marinaio<br />
“It was a heavenly sight!” (v. 493)<br />
che si sente bene, e sente una musica che proviene dal suo cuore<br />
“This seraph-band, each waved his hand,<br />
No voice did <strong>the</strong>y impart-<br />
No voice; but oh! <strong>the</strong> silence sank<br />
Like music on my heart.” (vv. 496-9).<br />
C’è subito il ritorno alla realtà; il marinaio vede da lontano, all’interno della baia in cui si<br />
specchia la luna, una barca che si avvicina in cui stanno tre uomini: il pilota, il mozzo e<br />
l’eremita che viene dal bosco e laverà il peccato dell’uccisione dell’albatro, l’uccello sacro.<br />
Nell’ultima parte vediamo che l’eremita rimane impressionato alla visione di quella nave<br />
spettrale, dallo scafo contorto, consumato, dalle vele stracciate e lise, finché tutto d’un tratto<br />
non ritorna il soprannaturale: dalle pr<strong>of</strong>ondità del mare si ode un rumore forte, il mare si apre<br />
e la nave del vecchio marinaio si inabissa<br />
“Under <strong>the</strong> water it rumbled on,<br />
Still louder and more dread:<br />
It reached <strong>the</strong> ship, it split <strong>the</strong> bay;<br />
<strong>The</strong> ship went down like lead.” (vv. 546-9).<br />
Il vecchio marinaio si salva e si risveglia a bordo della barca dell’eremita, ma appena apre<br />
bocca il pilota muore, e appena si mette ai remi il mozzo comincia a delirare, impazzito, e lo<br />
prende per il diavolo<br />
“Laughed loud and long, and all <strong>the</strong> while<br />
His eyes went to and fro.<br />
‘Ha! ha!’ quoth he, ‘full plain I see<br />
<strong>The</strong> Devil knows how to row.’” (vv. 566-9).<br />
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Giunti a terra il vecchio marinaio chiede all’eremita di essere confessato, che accetta, così il<br />
marinaio può raccontare per la prima volta l’avventura che ha fatto; in questo momento viene<br />
descritta la dinamica di come nasce la poesia nell’animo poetico, figlia di un’esperienza<br />
strana che causa un forte turbamento interiore. Infatti quando il marinaio sente dentro di se<br />
una forte agonia, ha bisogno di raccontare la sua storia<br />
“Since <strong>the</strong>n, at an uncertain hour,<br />
That agony returns:<br />
And till my ghastly tale is told,<br />
This heart within me burns.” (vv. 582-5).<br />
Così è accaduto per il convitato al matrimonio.<br />
La ballata si conclude col marinaio che esp<strong>rime</strong> nostalgia per la chiesa, un luogo in cui la sua<br />
anima dannata non potrà mai più entrare, con una morale finale: bisogna amare la natura ed<br />
ogni creatura vivente per poter amare bene Dio<br />
“He prayeth well, who loveth well<br />
Both man and bird and beast.<br />
He prayeth best, who loveth best<br />
All things both great and small;<br />
For <strong>the</strong> dear God who loveth us,<br />
He made and loveth all.” (vv. 612-7)<br />
Sene va dal matrimonio il vecchio marinaio, ma se ne va anche il convitato, con una nuova<br />
consapevolezza, nata dalla storia ascoltata: si sente adesso come lui<br />
“He went like one that hath been stunned,<br />
And is <strong>of</strong> sense forlorn:<br />
A sadder and wiser man,<br />
He rose <strong>the</strong> morrow morn.” (vv. 622-5).<br />
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Bibliografia:<br />
Buffoni, F. (2005). Poeti romantici inglesi. Milano: Oscar Mondadori.<br />
Coleridge, S. T. (1985). La ballata del vecchio marinaio. A cura di Ginevra Bompiani.<br />
Milano: Biblioteca Universale Rizzoli.<br />
Wellek, R. (1961). Storia della critica moderna. Bologna: Società editrice Il Mulino.<br />
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