Comunicazione - Audiomedical
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60 parte terza capitolo quarto<br />
della loro accettazione, riconquistarne i significati in relazione alla mia esperienza,<br />
oltre alla capacità di mediarne i contrasti”.<br />
Questi pensieri mi hanno rasserenato. E comunque, di fronte a tutta quella confusione<br />
non sono stato colto dal panico abituale, dalla voglia di scappare, perché ero<br />
troppo impegnato ad osservare la ragazza appena incontrata.<br />
Era impossibile non notarla. In mezzo a bambini sporchi di gelato e gonfi di risate,<br />
appariva assolutamente lontana. Un polo d’attrazione per le piccole pesti, che sembravano<br />
ammaliati come i topi dal pifferaio, e la cercavano e la chiamavano senza<br />
riposo. Calma, naturale, come se fosse assente pur trovandosi a neanche due metri<br />
dal mio tavolo, ella riusciva a controllare ogni movimento con la coda di mille occhi<br />
e sempre col sorriso sulle labbra. Sembrava che la totale assenza d’ordine che la circondava<br />
fosse il suo habitat naturale, anziché il contrattempo di un sabato pomeriggio<br />
e, a ben guardarla, pareva che tutto ciò le piacesse, anzi, che le fosse necessario.<br />
Ero ancora immerso nell’osservazione dei suoi gesti, quando improvvisamente, leggera<br />
com’era arrivata, la vidi andar via. Scartai subito l’ipotesi di raggiungerla e parlarle:<br />
alla mia età e con la sordità che mi accompagna, mi ero fatto un’idea di quello<br />
che potevo o non potevo osare, di ciò che mi era concesso e non, cercando di farmi<br />
notare il meno possibile dalla vita.<br />
Ad un tratto l’ho vista, come in una scena al rallentatore, fermarsi in mezzo alla strada<br />
dove stava facendo attraversare i bambini, incurante delle auto che le sfrecciavano<br />
intorno e degli automobilisti che inveivano contro il branco di marmocchi che<br />
avevano invaso le strisce: era rimasta ferma, concentrata ad ascoltare se stessa, una<br />
smorfia sul volto, i bambini che sciamavano impazziti...<br />
In quel momento…il peso della sua apparente, inspiegabile solitudine mi apparve<br />
istintivamente più grande del peso della mia. Corsi verso di lei con le suole incerte<br />
che battevano l’asfalto ancora bagnato e con in testa le parole di una canzone sudamericana<br />
di cui ignoravo il senso, ma che assecondava il ritmo di quel pomeriggio.<br />
La raggiunsi in fretta. Non so come, riuscii a convogliare il gruppetto di piccole<br />
pesti dall’altra parte della strada, tenendo lei per una mano.<br />
Le ho detto con il fiato in gola per la corsa e l’emozione: “C’è qualche problema?”.<br />
Lei mi ha guardato con aria interrogativa, mentre una lacrima le rigava il volto e i<br />
bambini si erano fermati attoniti nel vederla piangere. Sorrise appena, ma bastò per<br />
riscaldare di nuovo tutta l’aria.<br />
Solo allora notai la protesi che portava dietro l’orecchio: era una di quelle moderne,<br />
automatiche, di colore grigio e dalla forma sottile e stilizzata. Si era bloccata in mezzo<br />
alla strada perché per un istante il suo apparecchio, forse a causa della batteria scarica,<br />
aveva smesso di funzionare, trasportandola dal caos di una qualunque giornata in<br />
un centro cittadino al silenzio assoluto. Un’interruzione di pochi secondi che le aveva<br />
lasciato un senso di paura e di smarrimento sfociato in pianto sommesso.<br />
“M’è successo come quando, da ragazzi, ci si lanciava per scherzo nell’acqua per ritrovarsi<br />
improvvisamente sommersi in mezzo a rumori sconosciuti”.