Comunicazione - Audiomedical
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capitolo quarto<br />
parte terza<br />
L’ascoltavo a dispetto delle voci dei bambini e mi sentivo vivo. Le sue parole non mi<br />
annoiavano perché capivo bene di cosa stava parlando. Glielo dissi e lei s’illuminò<br />
come una bambina, per tornare triste il momento successivo.<br />
“Anche tu...”<br />
Passato il momento dell’euforia iniziale, il coraggio mi venne meno e sentivo la mia<br />
voce affievolirsi, fino a non percepirne quasi il suono, mentre intorno a noi il rumore<br />
del traffico, fino a poco prima dissolto dalle nostre voci, aveva riacquistato tutta la<br />
sua invadenza.<br />
La confidenza spontanea era stata sostituita da una lancinante timidezza: stavo quasi<br />
per andarmene, convinto che per me l’età dell’oro e i treni da non lasciarsi scappare<br />
fossero ormai soltanto un ricordo intriso dell’amarezza di non essere salito sul vagone<br />
giusto. D’improvviso lei mi chiese di lasciarle il numero di telefono: glielo scrissi<br />
sul retro dello scontrino del bar e mi feci dare il suo.<br />
Poi se n’andò, leggera com’era arrivata, con lo sciame di bambini che adesso ci guardavano<br />
incuriositi, in silenzio, non avendo ben compreso l’evento che si era consumato<br />
a quell’angolo di strada.<br />
Sono arrivato a casa stranamente leggero, con un senso di nuvole che si dissolvevano<br />
dentro. Non ho cenato, sono andato subito a dormire. Nel sogno ho rivissuto l’attimo<br />
in cui mi ero sentito utile per qualcuno senza ispirargli pietà. Ho dormito di un<br />
sonno bambino. La mattina dopo mi sono svegliato prestissimo, animato da una<br />
nuova energia: mi sembrava di aver da fare cose grandi in quella giornata nuova di<br />
zecca e volevo che anche Francesca ne facesse parte. Finalmente alle dieci riuscii a<br />
prendere la cornetta in mano e a telefonarle. Le ho chiesto se avesse impegni particolari.<br />
Mi ha detto di no e le ho proposto di andarcene al mare, a Viareggio, per<br />
cogliere il sentore di quella giornata di fine febbraio così vicina alla primavera.<br />
Siamo partiti con la mia macchina. Lungo la strada che attraversa la macchia di<br />
Migliarino i pini marittimi ci salutavano, esultavano alla brezza frizzante che pervadeva<br />
l’aria, mentre l’universo aveva per un attimo smesso di mormorare alle nostre spalle<br />
rumori incomprensibili, ci sentivamo di nuovo padroni delle nostre vite. Francesca<br />
mi raccontò di sé, con poche frasi che alternava a slanci improvvisi d’allegria.<br />
Faceva l’insegnante in una scuola elementare. Mi raccontava che fin da bambina giocava<br />
a far la maestra con i più piccoli, finché da grande aveva poi scoperto la magica<br />
sensazione del saper trasmettere la conoscenza a creature giovani.<br />
La sua sordità era apparsa verso i dieci anni e da allora era lentamente progredita fino<br />
a richiedere l’uso dell’apparecchio verso i trenta, all’apice della sua carriera d’insegnante.<br />
Lei aveva sempre cercato di ignorare che stava perdendo la sensibilità uditiva,<br />
finché una volta le capitò, durante una gita scolastica, che non sentì la voce di un<br />
bambino che inavvertitamente si era chiuso dentro il bagno.<br />
Poteva sembrare un episodio banale, ma Francesca rimase sconvolta dall’impotenza<br />
in cui l’aveva gettata quella nuova condizione.<br />
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